testo della relazione tenuta il giorno 09/03/2011 in occasione della 6° Giornata Canonistica Interdisiciplinare

L’autotutela amministrativa come supplemento di conoscenza: la Remonstratio canonica (Cann. 1732-1734 CIC)



Il mio intervento di questa sera vuol essere solo un flash che si collega idealmente all’intervento di due anni fa alla 4° Giornata Canonistica Interdisciplinare in cui presentai, per sommissimi capi, una nuova –necessaria– impostazione per il Diritto amministrativo canonico, prospettando le esigenze irrinunciabili che ormai si pongono alla base stessa della Disciplina come tale:

1) conferire una visione sistematica unitaria all’intera pratica amministrativa nella Chiesa;

2) offrire un’impostazione ‘positiva’ della materia e delle tematiche correlate;

3) attuare una rivisitazione del Processo amministrativo canonico;

4) proporre un’appropriata metodica di studio e lavoro.


In quella sede proposi lo sviluppo a livello metodologico che chiamai il “Metodo costruttivo”.


Oggi non farò di più che mostrare come la nuova impostazione del Diritto amministrativo canonico in chiave ‘positiva’ sia in grado anche di reinterpretare una ‘dogmatica’ amministrativistica tanto ‘stantia’ quanto ancora giovane… per quanto ciò possa apparire contraddittorio.


L’attenzione si poserà sui 3 Canoni del Codice latino che aprono la “Prima Sezione della V Parte del Libro VII”, dedicata al “Ricorso contro i decreti amministrativi”: i Canoni 1732-1733-1734.

La questione è di grande interesse poiché permette di ‘isolare’ e definire in piena autonomia l’Istituto giuridico della Remonstratio che ancor oggi la quasi-totalità degli autori considera come soltanto strumentale all’adozione di un Istituto giuridico in qualche modo ‘primario’ come sarebbe il c.d. Ricorso gerarchico dei Cann. 1734-1739.



1. La Remonstratio

All’interno del contesto della comune missione ecclesiale che motiva anche la corresponsabilità di cui ci siamo occupati più espressamente due anni fa, il Codice latino, davanti ad una Decisione di governo ritenuta “gravosa” dal suo destinatario, indica come prima ed immediatareazione istituzionale’ non tanto la rottura delle relazioni con l’Autorità –come sarebbe con l’instaurazione di un contenzioso in cui l’Autorità di governo viene sottoposta ad un Giudice– ma, al contrario, proprio l’avvicinamento istituzionale ad essa, per intraprendere una nuova fase di conoscenza-valutazione-giudizio –questa volta– ‘multilaterale’ …in vista della possibile/necessaria correzione/revoca della Decisione, all’interno di un contesto giuridico ‘generale’ conosciuto come ‘autotutela’ posta in essere da parte dell’Autorità di governo ecclesiale che trovi ‘ostacolo’ da parte dei destinatari nell’esecuzione delle proprie Decisioni.



1.1 Un nuovo ‘contesto’

Al fine anche soltanto di evitare il linguaggio inadeguato del ‘contenzioso’ (per quanto quello canonico non abbia gli stessi ‘presupposti’ di quello civile) –utilizzato generalmente in questa materia–, si potrebbe usare utilmente il termine-concetto di “resistenza che offre il vantaggio (semantico, sintattico e logico) di mantenere in chiara evidenza la posizione istituzionalmente non-paritaria del decisore e del destinatario (a lui comunque sottoposto), indicando –per altro adeguatamente– la vera ‘natura’ del rapporto creatosi a seguito della Decisione in oggetto: il destinatario di una Decisione di governo che ritenga di non poterla ‘applicare/eseguire’, poiché a lui specificamente “gravosa”, in realtà non fa altro che opporre’ resistenza alla stessa, sollecitandone almeno la modifica da parte del suo autore (che così agirebbe in/a –propria– autotutela).


Le maggiori sistematizzazioni della materia oggi disponibili in  ambito canonico, tuttavia, non sembrano cogliere questa lettura, preferendo senza dubbio l’impostazione contenziosa.

a) Eduardo Labandeira (nel 1993) all’interno dell’esposizione della ‘sua’ teoria e sistematica del Ricorso gerarchico (che «è contenzioso») tratta specificamente delle “attività preliminari”, indicandole come “intento di conciliazione” e “supplica all’autore dell’atto”.

Circa la ‘natura’ di quanto previsto dal Can. 1734 egli scrive che

«tale supplica non si presenta né come un diritto, né come una grazia per l’amministrato, ma come un requisito che deve precedere il Ricorso e un privilegio per l’Amministrazione. In effetti si tratta di un preavviso dato all’Autorità perché non venga colta di sorpresa, possa valutare le conseguenze di un possibile Ricorso e abbia il tempo di prendere una decisione a riguardo dell’Atto in questione. […]

Secondo noi non si tratta di un vero Ricorso, ma tutt’al più di un Ricorso improprio, giacché manca del carattere di reclamo o d’impugnazione proprio del Ricorso stesso».


b) Nel 1996, Francesco D’Ostilio leggeva la “supplica o rimostranza” dei Cann. 1732-1734 in termini di “ricorso grazioso”, per poi assumere con chiarezza la prospettiva che la «controversia sorta tra il fedele e l’organo della P.A.» divenga –volontariamente ed ‘immediatamente’– “Ricorso” al quale, tuttavia, occorre premettere la “richiesta all’autore della revoca o riforma”.

Che l’Istituto dei Cann. 1732-1734 sia puramente formale/funzionale al Ricorso, senza alcuna reale consistenza e funzione propria, appare con evidenza nella considerazione che

«questa “supplicatio”, […] offre all’interessato uno spazio maggiore per preparare l’eventuale Ricorso gerarchico».


Tale Atto, infatti, da parte del destinatario «non è un vero e proprio Ricorso, ma costituisce il requisito previo perché uno possa interporre il Ricorso all’Autorità gerarchicamente superiore».

c) Anche Pio Vito Pinto, più recentemente (anno 2006) ma non altrimenti, parla di “Istanza previa” (ovviamente al Ricorso gerarchico vero e proprio!) come «ricorso in opposizione o di rimostranza, se diretto al Superiore autore del provvedimento che si intende impugnare, di cui si chiede la revoca o la riforma».

d) Ancora nell’anno 2009 gli autori dell’Università della S. Croce (e Pamplona), seguendo la linea dottrinale di Labandeira riproposta da Miras nel “Compendio exegetico al Codigo”, parlano di “controversia non formale” «vale a dire, non istituzionalizzata in un ambito giuridico di soluzione […] tra due parti aventi interessi tra loro contrastanti», evidenziando anch’essi l’interesse quasi esclusivo per il Ricorso gerarchico come tale (contenzioso amministrativo) e declassando l’Istituto dei Cann. 1732-1734 a semplice “passo previo al Ricorso” e “richiesta previa di correzione o revoca” in cui rileva l’elemento semplicemente temporale della ‘previetà’ al Ricorso vero e proprio: pura Procedura!

Lo status di esiguità (=insignificanza) giuridica di tale Richiesta è subito esplicitato dagli stessi con la precisazione che

«non è un Ricorso in senso tecnico, dal momento che non ha il carattere di impugnazione, tipico di tale atto: la sua presentazione, di fatto, non instaura ancora una lite giuridica, vale a dire un contraddittorio tra l’Autorità e l’interessato […]. Si tratta dunque semplicemente di una domanda, richiesta o supplica […], anteriore al Ricorso vero e proprio»


con finalità (bisogna osservare) puramente ‘ammonitoria’(!?) nei confronti dell’Autorità che, in tal modo, verrebbe “avvertita” (si tratta, quindi, di una notifica?) che qualcuno ha intenzione di “impugnare l’Atto” …implementando di fatto una vera minaccia sostanziale: aut modificare l’Atto aut “affrontare il Ricorso gerarchico”, in una prospettiva difficilmente qualificabile come coerente con l’Ecclesiologia conciliare.


1.2 La Rimostranza come Istituto ‘autonomo’

Il termine “Remonstratio” (=rimostranza, protesta, dissenso) che varrebbe la pena di utilizzare in modo specifico e tecnico per indicare espressamente ed univocamente l’Istituto dei Cann. 1732-1734, evidenzia bene l’atteggiamento del destinatario dissenziente nei confronti di un ‘decretum’ che lo riguardi: a chi è ‘gravatum’ da una decisione di governo ecclesiale l’Ordinamento riconosce la ‘possibilità’ di chiedere che il decidente ritorni sul proprio Atto mutandolo in modo più o meno radicale (dalla ‘correzione’ fino alla ‘revoca’) affinché sia possibile, nel caso, ‘riceverlo’ ed attuarlo, senza che ciò debba necessariamente [a] né configurare per il futuro un ‘proposito’ contenzioso, [b] né presupporre per il passato una ‘violazione’ (di norme o di diritti).

La questione terminologica in questo caso non è meramente formale poiché, fino a quando si tratti di sola istanza o formalità “previa” al Ricorso, poco importa come la si indichi; trattandosi, per contro, di un Istituto giuridico autonomo, la sua individuazione non può prescindere da un nomen adeguato che ne manifesti con chiarezza il contenuto e le funzioni.


In questa prospettiva, chi “dissente”, chi “fa opposizione” e/o “solleva rimostranze” nei confronti della Decisione assunta, attua una resistenza attiva col dichiararne motivatamente la non-recezione/esecuzione e manifestando il proprio espresso dissenso con cui formalizza in modo evidente la concreta inadeguatezza di tale Decisione: di qui la necessità della forma scritta e della tempestività (dieci giorni utili) del proprio agire. Proprio la pronta reazione istituzionale (non basta la semplice lamentela, casomai telefonica) del destinatario, realizzata ad normam Iuris, palesa la grave improprietà/inadeguatezza della Decisione ‘gravosa’, fornendo poi –anche in un secondo momento– all’Autorità di governo nuovi elementi o loro ulteriori valutazioni che la inducano a ritornare sui propri passi, ‘correggendo’ essa stessa il proprio operato.


Proprio questo concetto di “resistenza” pone –oggi– il destinatario della Decisione in una condizione ben diversa da chi –in un passato neppure troppo remoto– non poteva avere altro strumento che una semplice “petitio” o una più blanda “supplicatio” nei confronti dell’Autorità di governo ecclesiastico. La questione, d’altra parte, era certa ed indubitabile: ciò che l’Autorità ha deciso è ciò che –comunque(!)– si deve fare …anche moralmente e spiritualmente, “virtute religionis adstricti”; l’obbedienza ecclesiastica era divenuta ormai ‘teologale’ e costitutiva degli stessi status personarum di chierici e religiosi/consacrati. Il Decretum (=scelta/decisione, da “decerno-is”) aveva sempre valore costitutivo, sostanziale e giuridico, in forza della –sola– volontà del (Superiore) decidente: ius quia iussum …nessuna possibile ‘resistenza’ era ipotizzabile/ammissibile di principio. Rimaneva soltanto un piccolo spiraglio –“ratione maternitatis Ecclesiæ” o “benevolentiæ gratia”– attraverso cui tentare in qualche modo di ‘sottrarsi’ al Decretum: sempre, comunque, una ‘passiva’ via di fuga attraverso le maglie ‘dogmatiche’ del precedente Ius publicum ecclesiasticum (internum), gestore di una vera potestas dominativa.

Per contro, quanto proposto oggi dagli autori, sulla pretesa scia del mutamento ecclesiologico conciliare formalizzato nei “fidelium iura”, sembra porsi invece all’estremo opposto attraverso il contenzioso diretto in forza dei “diritti soggettivi” che finalmente la Chiesa oggi [a] non solo riconosce di principio a tutti i fedeli ma [b] anche tutela espressamente contro i loro Superiori …in modo tale che quanto una volta si chiedeva sommessamente per grazia, oggi lo si esiga ad alta voce per pretesa giuridica.


Di tutt’altra natura, invece, è l’atteggiamento di chi, con lucidità e fermezza, “resiste”. Resistere, infatti, significa e comporta avere motivazioni ed elementi concreti e reali da addurre e sui quali potersi confrontare per sviluppare dinamiche (argomentative, dialettiche e dimostrative) potenzialmente capaci di cambiare le ‘carte in tavola’ a livello di conoscenza-valutazione-giudizio, lasciando ragionevolmente ipotizzare anche una decisione differente da quella già assunta. Di fatto è proprio la Legge che guida in questa direzione indicando quale oggetto dell’agire del destinatario la richiesta espressa e formale, quanto meno, della revisione o modifica della Decisione in oggetto …cosa inammissibile in campo giudiziale/ario, poiché tali Decisioni (Sententiæ) sono ormai concluse e possono solo essere impugnate/appellate affinché vengano tolte di mezzo da parte di un ‘terzo’ rispetto alla vicenda in questione.

In modo ben diverso si configura, invece, la sostanziale “notifica ad effetto sospensivo” che gli autori sembrano supporre quale reale consistenza di quanto prescritto dei Cann. 1732-1734 in vista del Ricorso amministrativo vero e proprio; quasi si volesse dire che: chi vuole presentare Ricorso gerarchico contro il proprio Superiore deve prima ‘interromperne’ la buona fede attraverso formale notifica del rifiuto dell’Atto di governo in oggetto …secondo una logica in fondo non radicalmente diversa da quanto deve fare il Superiore attraverso la “Monitio” prima di sanzionare un fedele a lui soggetto (Cann. 1339). 


1.3 Elementi complementari

Vale certamente la pena specificare a questo proposito come, data la præsumptio Iuris per la validità della Decisione di governo e per la sua liceità in linea di principio (Can. 124 §2), il problema della Remonstratio –salvo rari casi– non riguarderà tanto aspetti di ‘legittimità’ (formale) delle Decisioni di governo quanto molto più facilmente –e radicalmente– la loro appropriatezza alla specificità e singolarità delle condizioni e circostanze di ‘cose’ e soprattutto di persone (=aggravio nei confronti del destinatario), spesso (purtroppo ancora) ignote a molti tra coloro che esercitano il governo ecclesiale. D’altra parte, chi gode di una maggior contestualizzazione e prossimità alla situazione particolare in oggetto (il destinatario immediato) ha anche la possibilità di fornire ulteriori elementi di discernimento e giudizio circa le stesse, in modo tale che la Decisione dell’Autorità ecclesiale sia la migliore possibile, tanto a fondamenti che ad efficacia.


Ciò, tuttavia, spinge con evidenza oltre lo stretto disposto di Legge che non impone –come invece nelle più specifiche Procedure per la Rimozione ed il Trasferimento dei Parroci– l’espressa esposizione di quanto ‘si oppone’ all’adempimento della Decisione: l’opposizione infatti, per quanto obbligatoriamente in forma scritta per la necessaria certezza giuridica, «non necessariamente deve essere motivata». Se ciò si mostra certamente favorevole al destinatario di una Decisione ‘gravosa’, che in tal modo può agire immediatamente anche assumendo un atteggiamento ‘di minima’, già sufficiente –però– a sospendere l’attuazione/esecuzione e rimandando ad un secondo momento una più chiara delineazione dei diversi elementi e problemi che la Decisione a lui diretta comporta per la sua vita, non di meno affinché il decidente possa ritornare sulla propria Decisione per rivederla, correggerla, annullarla, sarà necessario addurre adeguati motivi di conoscenza e valutazione. La cosa, tra l’altro, non potrà essere ‘evitata’ all’interno della ricerca “di comune accordo di un’equa soluzione” per il problema evidenziatosi (Can. 1733 §1).


Proprio in ragione di questo necessario ‘ulteriore apporto’ di elementi, circostanze, valutazioni (ed altro) appare possibile, dal punto di vista teoretico/dottrinale, presentare la Remonstratio (con le sue immediate conseguenze formali e sostanziali) come una vera e propria fase straordinaria di discernimento –per quanto ‘forzoso’ ed estrinsecamente indotto– in vista della emanazione di una efficace Decisione di governo, attraverso la quale l’Autorità esecutiva interviene lecitamente e proficuamente nella rimodulazione di una propria precedente Decisione inefficace, senza che l’iniziale inadeguatezza di quanto deciso infici l’esercizio della potestà esecutiva di governo. I nuovi dati messi a disposizione attraverso la ‘rimostranza’ del destinatario si saranno manifestati ormai sufficienti a circostanziare meglio la situazione concreta, producendo una nuova –efficace– Decisione di governo …o estinguendola del tutto, se davvero palesatasi non congrua. 

In questo modo l’Autorità potrà conservare il proprio ruolo ‘ministeriale’ (senza divenire né idolo né spauracchio) ed i fedeli, per parte loro, potranno continuare a porre in essa la fiducia necessaria per una effettiva condivisione della stessa missione ecclesiale, senza ridurre la propria appartenenza ‘istituzionale’ a mera sudditanza (passiva) …senza che nessuno debba previamente “avvertirla” dell’incombenza di un contenzioso, evitandole così di essere «presa alla sprovvista dall’interposizione di un Ricorso».


1.4 Complessità e sviluppi

Quanto sin qui esposto, se per un verso indirizza in modo deciso gli sviluppi dell’attuale teoria amministrativistica canonica verso direzioni ancora soltanto ‘di-preferenza’, non di meno non rinuncia a prospettare anche alcuni elementi di problematicità che meriteranno futuro specifico studio e sviluppo.


1.4.1 Conciliazione e mediazione

Il Can. 1733 che fornisce gli elementi operativi sostanziali per la gestione delle ‘crisi’ di efficacia delle Decisioni di governo ecclesiale, proprio ipotizzando ab origine che l’unico esito possibile non possa/debba essere quello contenzioso, lascia però intendere che la concreta correzione (emendatio) della Decisione in oggetto possa non essere facilmente esperibile, potendo o dovendo coinvolgere anche persone autorevoli (§1) o addirittura appositi Organismi a ciò deputati (§2) quali ‘mediatori’ tra Autorità di governo e destinatario della Decisione ‘gravosa’. Una gravosità che, per quanto apparentemente ‘soggettiva’, potrebbe assumere anche profili di tale ‘oggettività’ da postulare l’intervento di ‘terzi’ che aiutino nella ricerca di ‘soluzioni’ per il problema concretamente emerso. Se di ‘soluzioni’, pertanto, si tratta parrebbe doversi intendere che esistano non solo/tanto differenze di vedute tra Autorità decidente e destinatario (tali da sfociare –naturalmente?– in un vero e proprio contenzioso con opposizione delle parti) ma veri e propri ‘problemi’ …ben più complessi –in linea di principio, almeno– di una ‘semplice’ violazione di Legge o negazione di diritti, da deferirsi all’Autorità giudiziale/aria. Non di meno non si potrà –in tali casi almeno– far leva sulla necessaria ‘unilateralità’ che l’esercizio del governo deve comportare in modo ‘nativo’, sul presupposto che «è importante che chi svolge la funzione di governo possa farlo senza ostacoli, con strumenti giuridici e tecnici adeguati, godendo della necessaria discrezionalità» ipotecando così di principio la corresponsabilità che deve stare alla base della comune partecipazione alla stessa missione della stessa Chiesa.


1.4.2 Un ‘nuovo’ favor Iuris

Tra gli elementi di novità emergenti dalla problematica sin qui esposta se ne colloca uno che, per quanto assolutamente indiretto, non manca certo di evidenza e costituisce, anzi, la vera novità ‘costituzionale’ da assumere quale necessaria chiave di volta dell’intera relazionalità intra-ecclesiale: il favor Iuris Christifidelium che, di fatto, pone i fedeli in quanto tali (indipendentemente dal loro status) in una posizione di sostanziale ‘favore’ rispetto all’agire dell’Autorità ecclesiale: è questa, infatti, che nel proprio operare deve comportarsi non solo in modo formalmente legale ma anche sostanzialmente ‘accettabile’, se non proprio pienamente ‘condivisibile’ … pena l’inefficacia delle proprie Decisioni che risultino ‘gravose’ per i loro destinatari …che –ora(!)– potranno (in qualche modo) ‘respingerle’ senza cadere in un ‘gravosissimo’ e sempre traumatico contenzioso col governo ecclesiale.


Non si può negare in proposito che la prospettiva ecclesiologica, e conseguentemente potestativa, sia radicalmente mutata attraverso il Vaticano II; mentre, infatti, in precedenza il favor Iuris era comunque a vantaggio dell’Autorità ecclesiastica, all’interno di uno schema di vera sudditanza che non permetteva ordinariamente di ‘resisterle’ attivamente ma solo di ‘innalzare suppliche’ benevolentiæ gratia, nel Codice latino post-conciliare è riconosciuto ai fedeli un vero ruolo attivo anche all’interno delle Decisioni di governo che li riguardano …fino a poter ‘partecipare’ alla loro miglior delineazione (almeno in seconda battuta).


1.4.3 Un ‘nuovo’ concetto di efficacia giuridica

L’assetto normativo delineatosi attraverso soprattutto i Cann. 1732-1733, che devono essere ritenuti ed applicati come complementari ed integratori di quelli del Libro I sugli Atti amministrativi singolari, sollecita pertanto anche l’assunzione di una sorta di ‘sdoppiamento’ del concetto stesso di efficacia degli Atti giuridici canonici in genere: una efficacia che [a] potrebbe essere definita ‘iniziale’ ed [b] una efficacia ‘finale’ da riscontrarsi sistematicamente solo a seguito dell’accoglienza della Decisione di governo assunta dall’Autorità e correttamente notificata al suo destinatario. Per quanto ciò possa apparire una ‘inutile’ complicazione della materia e di molti Procedimenti, non pare tuttavia ipotizzabile ad oggi una seria Teoria dell’Atto amministrativo canonico che non tenga strutturalmente conto di questa piccola ‘latenza’ (dieci giorni utili dalla legittima notifica), seppure dal punto di vista pratico del tutto trascurabile nella maggioranza assoluta dei casi.


1.4.4 La preparazione degli Atti

La teorizzazione di una doppia fase di efficacia delle Decisioni di governo (iniziale e definitiva) genera immediate ricadute sulla struttura stessa del Procedimento di preparazione di tali Decisioni, sollecitandone una maggiore cura nella ‘fase’ preparatoria, onde non dover attuare troppo spesso (ed a quali ‘costi’?) la successiva autotutela nella ‘fase ricettiva’.

In quest’ottica [a] la ricerca di notizie, elementi e dati, [b] il dialogo con le persone interessate (Can. 50), [c] il confronto con differenti punti di vista –tanto personali che collegiali (Can. 127)– in vista di assetti ecclesiali, pastorali e personali stabili (efficacia), sono solo alcuni degli elementi di ‘contenuto’ che il Codice, in vari modi, prescrive come formalità qualificanti le Decisioni stesse di governo ecclesiale. Proprio il fatto che la loro mancanza/carenza possa rilevare a posteriori impedendo –ex Lege– l’efficacia delle Decisioni di governo ecclesiale ne indica la inderogabile significatività che il Legislatore canonico ha dato per acquisita e già –comunque– esercitata proprio al momento di adottare tali Decisioni …che proprio per questo godono di presunta validità.


CONCLUSIONE

‘Se’ o ‘che’ la Remonstratio costituisca un ‘nuovo’ Istituto giuridico canonico autonomo scaturito indirettamente dall’Ecclesiologia conciliare e derivato direttamente dalla sintesi di circa la metà dei Principi di revisione del Codice pio-benedettino, potrebbe –anche– rimanere questione opinata; resta però il fatto (da spiegare compiutamente, nel caso) che l’attuale ‘posizione’ dei fedeli verso le Decisioni di governo ecclesiale gode di caratteristiche affatto peculiari che ‘sembrano’ aver spostato in modo piuttosto netto l’intera questione dalla ‘potestà/giurisdizione’ alle sue finalità-modalità di esercizio.


Conoscenza-valutazione-giudizio costituiscono ad oggi le ineliminabili premesse ed i pre-supposti specifici di qualunque Decisione singolare, immediata, operativa; per contro: autorità-potestà-volontà, paiono profilarsi come la ‘sola’ base istituzionale che ne richiede-giustifica l’esercizio in capo ad alcuni soggetti piuttosto che ad altri.