Deputazione 28 maggio 2011

Se Bertulfo non passò da Bismantova - esposizione orale


Il passaggio dell’abate di Bobbio Bertulfo da Bismantova nell’anno 628 di ritorno da Roma dove avrebbe ottenuto da Papa Onorio I la Bolla di esenzione del monastero e la sua ‘sottomissione’ alla sola Sede apostolica, secondo il racconto di Giona di Bobbio nella “Vita sancti Columbani et eius discipulorum” è da qualche secolo una sorta di ‘punto fermo’ nella storiografia reggiana e non solo.


- La questione non rileva tanto in sé e per sé quanto, invece, per le ‘premesse’ che in molti hanno voluto dedurne attraverso l’applicazione di una sorta di ‘teorema’: “se un abate longobardo in missione ufficiale accompagnato da scorta regia passa e sosta in un determinato territorio, quel territorio è longobardo”.

- La questione si pone per Bismantova presso cui l’abate avrebbe pernottato la notte del 28 giugno 628: «et propter castrum cui Bismantum nomen est venissemus» (ma: “tenso tentorio aspera in loca”).

- La presenza nel IX sec. di un Gastaldato di Bismantova dipendente da Parma ha permesso ad un certo numero di autori: la maggioranza, di affermare che Bismantova sia stata longobarda da molto presto nel VII sec.: Dall’Aglio fissa il termine al 593, la Fasoli (con lo Schneider) al 610 ca., la maggioranza (tra cui Rombaldi) lo porta agli anni ’40 con le campagne militari di Rotari (che, però, oggi si concorda non furono di ‘conquista’).

- Ultimamente il ‘custode’ di Bobbio, il prof. Flavio Nuvolone ha scritto ed ‘illustrato’ che la Val d’Enza era certamente longobarda al tempo di Bertulfo, così come i passi appenninici a sud di Bismantova e, addirittura, Bertulfo avrebbe transitato di lì anche per scendere a Roma.


Esiste tuttavia un problema, montato in vario modo lungo il Novecento che mette in discussione (in realtà nega risolutamente) non tanto le ‘premesse’ o lo stesso ‘teorema’ sopra indicato, ma il fatto come tale: 

a) nessun abate Bertulfo sarebbe mai passato da Bismantova, semplicemente perché 

b) nessun abate Bertulfo sarebbe mai andato a Roma ad ottenere 

c) quello che mai esistette se non nella montagna di falsificazioni bobbiesi: la Bolla di Onorio I.


Di fatto già il Card. Mercati riconobbe nel 1921 nel suo articolo sul “Castrum Bismantum” che le critiche e le difficoltà storiografiche esposte dal Buzzi (co-editore del Codice Diplomatico di Bobbio insieme e dopo il Cipolla) erano “davvero impressionanti”, ma allora non esistevano un sacco di ‘dati’ ed elementi apparsi in seguito (soprattutto in campo diplomatistico) a dar ragione piena al Buzzi.

Ne emergono due le linee d’indagine sul tema Bertulfo-Bismantova:

- una più parziale (che devo continuare a seguire) per trovare ‘dove/quando’ fu inserita Bismantova nel racconto di Giona [quella da cui, in realtà ero partito],

- una più generale [quella che ora ho seguito] per dimostrare la falsità dell’esenzione bobiense, seguendo soprattutto le nuove ricerche diplomatistiche sul c.d. Liber diurnus di Bobbio che sarebbe servito come modello per creare la falsa Bolla di Onorio. La questione è ri-esplosa intorno alla “Storia della Diocesi di Piacenza”.


Per faciltare la messa in chiaro della problematica si possono usare tre formule simboliche ispirate alla matematica:


B:B = B:L [se Bertulfo a Bismantova, allora Bismantova è longobarda], questa, però dipende da una premessa:

B:B = B:O [Bertulfo a Bismantova, se Bertulfo da Onorio], anche questa, però a sua volta ha una premessa necessaria:

B:O = O:D [Bertulfo da Onorio, se la bolla di Onorio deriva dal Liber diurnus]

ma il Liber Diurnus ad oggi si sa che ‘non esiste’ o comunque non è quello posseduto –guardacaso– a Bobbio ed a Nonantola.


Questo genere di vicende mi interessa particolarmente all’interno delle ricerche più globali sul Limes bizantino il quale però sta evolvendo verso un’ipotesi un po’ ardita ma sempre più concreta: non di un limes si trattò ma di una intera Provincia: quella, fondamentalmente, che Paolo diacono chiamò delle “Alpes Appenninæ”, compresa tra la Valle del Bidente (tra Forlimpopoli ed Arezzo) ed il  crinale ad est del Trebbia, di cui parlarono già intorno agli anni ’30 del Novecento sia il Sorbelli (1934) che lo Schneider (1924).

Per dare corpo a questo territorio unitario è necessario eliminare via via tutte le possibili istanze di discontinuità in direzione nord-sud, come sono gli attraversamenti trans-appenninici che, di fatto, si riducono solo a due:

1) Bismantiva-Cerreto/Pradarena e 2) Passo della Cisa… a cui mi dedicherò in futuro.