Sulle tracce del Limes bizantino dell’Emilia occidentale attraverso il santorale parrocchiale appenninico
La Storiografia ‘locale’ dal secolo scorso ha creduto di trovare giovamento nelle proprie ricerche e nelle ‘spiegazioni’ di tanti elementi storicamente significativi, soprattutto in sede locale, (Conti, per tutti) dall’applicazione in funzione euristica (= di ricerca) di alcuni criteri dimostratisi in più occasioni di grande efficacia ermeneutica (= di spiegazione); tra di essi quello dei “loca sanctorum” di cui la Scuola bollandista aveva posto le basi intorno alla metà dell’900 (Delehaye) ed il Bognetti (L’età longobarda) aveva caldeggiato l’applicazione, non senza significativi risultati, confermati anche dalle ricerche di altri studiosi (Barni) …oltre a qualche comprensibile enfasi di cui si è ormai pienamente consapevoli.
Tale linea metodologica ha però trovato significative resistenze negli ultimi decenni da parte di insigni studiosi (Castagnetti, Ghiretti) secondo cui il criterio dei “loca sanctorum” non sarebbe adatto né per la “qualificazione di un’area come limitanea” né – più espressamente– «per assegnare ad una determinata zona la presenza di un castrum bizantino o longobardo che sia».
Al di là della posizione di principio del Castagnetti, certamente avvertita in chiave metodologico-critica, le prime osservazioni ‘reggiane’ e confinali già effettuate (cfr. Boll. St. Regg., n. 139) mi hanno spinto a verificare meglio la questione, soprattutto considerando alcuni elementi già proposti dal Barni per la situazione lombarda e sorprendentemente assimilabili a quella appenninica emiliana, in modo speculare: dalla pianura alla collina/montagna parrebbe ripetersi quanto già descritto dalla pianura alle Prealpi.
Partendo [a] dall’istanza critica di Castagnetti/Ghiretti, ma considerando anche gli [b] evidenti risultati di Bognetti/Barni, oltre a [c] quanto già conosciuto in ‘casa’ reggiana (Tincani/Costi), ho cercato di mettere alla prova il criterio dei “loca sanctorum” per verificarne la plausibilità ed applicabilità di principio negli studi che m’interessano circa la delineazione (prima) e la durata (poi) del Limes bizantino appenninico emiliano …anche perché non sembrano esserci –ad oggi ancora– molte alternative ‘sistematiche’ per guidare tale indagine.
Dalle ricerche ormai acquisite in area padana per il periodo Tardo Antico/Alto Medioevo ho ‘estratto’ un ‘santorale’ (elenco di santi) di 13 elementi ritenuti unanimemente i più significativi (che qui semplicemente elenco): S. Maria Assunta, S. Andrea, S. Apollinare, S. Giorgio, S. Giov. Battista, S. Lorenzo, S. Martino, S. Michele, S. Pietro, S. Stefano, S. Vitale, Ss. Salvatore, Ss. Trinità.
Per evitare i problemi ‘particolaristici’ denunciati da Castagnetti, la mia ricerca si è svolta in modo del tutto formale e generale attraverso l’analisi delle dedicazioni –attuali– delle chiese parrocchiali italiane (tutte) disponibili in internet; consapevole (più di Castagnetti) che una dedicazione cultuale è un fenomeno antropologico tra i più persistenti nel tempo.
Il presupposto metodologico seguito è stato quello di base delle Discipline statistiche: se c’è qualcosa di significativo nella realtà, deve emergere a suon di ‘numeri’! …basta fare le domande giuste!
Il risultato è stato entusiasmante, permettendo di porre –ora– proprio a Castagnetti una domanda cui non gli sarà così facile rispondere: cosa significano i dati, attualmente in nostro possesso, che posso qui esporre?
Il dato statistico
L’analisi delle dedicazioni parrocchiali dell’attuale Regione ecclesiastica Emilia-Romagna ha evidenziato elementi di tutta consistenza ed interesse per la finalità assunta.
a) Prima di tutto le (solo) tredici dedicazioni selezionate riguardano ben 799 Parrocchie su 2.691 dell’intera Regione ecclesiastica (circa il 30%) (grafico 1) con uno scostamento del 4% rispetto alla media nazionale (grafico 2): un elemento formale già sufficiente dal punto di vista statistico per indagare più oltre. Di grande rilievo è anche la constatazione che quasi il 59% di esse (468) sono collocate in collina e montagna (grafico 3), permettendo di evidenziare una loro non-indifferenza rispetto alla collocazione territoriale.
b) In secondo luogo appare evidente come le Province maggiormente interessate alle dedicazioni in esame siano proprio quelle dell’Emilia appenninica: da Piacenza a Bologna (565 Parrocchie su 799, pari a circa il 71% del santorale considerato [grafico 4]), proprio quelle in cui la storia conosce la maggior presenza ed attività longobarda, oltre a ricordare la presenza ed attività dei kastra bizantini montani caduti solo ai tempi di Liutprando, 40-50 anni prima del crollo dell’intero Regnum Italiæ in mano ai Franchi carolingi.
c) Fissando l’attenzione solo al settore emiliano il dato diventa ancora più significativo poiché su 468 Parrocchie montane in regione interessate alle 13 dedicazioni monitorate, non solo ben 388 (83%) si trovano in area emiliana (grafico 5), ma –molto di più– il territorio piacentino (87 dedicazioni) e parmense (106 dedicazioni) palesano l’intensità e la portata del fenomeno, che tende a scemare progredendo verso Est (55 a Reggio, 65 a Modena, 75 a Bologna).
d) In base alle ‘caratteristiche’ etnico-cultuali dei Santi monitorati, sembra emergere come le 388 dedicazioni del territorio appenninico emiliano siano riconducibili ad una ‘origine’ compresa tra il III e l’VIII sec.; in esse si evidenzierebbero infatti: [a] uno strato facilmente pre-longobardo di 164 Parrocchie (S. Pietro, S. Lorenzo, S. Stefano, S. Apollinare e S. Vitale), [b] uno strato bizantino-longobardo di ben 104 Parrocchie (S. Michele, S. Giorgio, Ss. Salvatore) ed [c] uno strato in qualche modo successivo di 39 Parrocchie. A queste si aggiungono altre 81 Parrocchie (56 dedicate a S. Giovanni Battista e 25 a S. Andrea) di difficile attribuzione, per quanto facilmente pre-carolingica.
e) Non meno significativo appare il dato più strettamente territoriale-geografico: dei 135 Comuni interessati nelle quattro Province emiliane, [a] ben 100 vedono al proprio interno almeno due dedicazioni significative dal punto di vista cultuale-etnico collocabili entro la fine dell’VIII sec., [b] 68 Comuni –cioè circa la metà– hanno poi sul loro territorio almeno tre dedicazioni di stampo cultuale-etnico, fino al ‘limite’ di Langhirano (PR) e Pavullo nel Frignano (MO) e che ne hanno rispettivamente nove e tredici… non serve certo la “Descriptio orbis romanæ” di Giorgio Ciprio per riconoscere le collocazioni di massima dei kastra “Kampsas” e “Feronianum”.
Lo specifico reggiano
Un’attenzione più profonda può esser dedicata –ancora solo statisticamente– al territorio specificamente reggiano, per il quale sono anche a disposizione un numero maggiore di dati ‘dedicatori’: quelli di tutti gli edifici di culto attualmente appartenenti ad Enti ecclesiastici.
Su un censimento ufficiale di 612 edifici sacri si ha questa distribuzione ‘funzionale’: 315 chiese parrocchiali, 225 oratori sussidiari, 56 chiese sussidiarie, 13 santuari, 3 tipologie differenti.
Ancora una volta il dato statistico, per quanto quasi doppio rispetto a quello semplicemente parrocchiale (612 dedicazioni totali contro 315 parrocchiali), conferma quanto già evidenziato su scala ben più ampia: 127 dedicazioni su 612 (18,62%) riguardano le 13 monitorate; di queste 127 ben 89 si attestano nella fascia collinare-montuosa della Diocesi per una incidenza del 70% della loro ricorsività.
Il limes appenninico tosco-emiliano
I dati statistici sin qui illustrati permettono di delineare un quadro geografico piuttosto specifico di tutta evidenza. Se, infatti, si suddivide l’attuale Emilia-Romagna come in quattro quadranti secondo gli assi costituiti dalla viabilità ‘pedemontana’ a sud della Via Emilia (est-ovest) e dal sistema fluviale Panaro-Reno (nord-sud), è inevitabile osservare come le dedicazioni santorali così indagate e geograficamente ‘collocate’ si concentrino vistosamente nel quadrante sud-ovest: l’Appennino emiliano-occidentale (figura 1).
In tal modo, nonostante la contestata esiguità delle ragioni del Conti e dei suoi seguaci, dai molti numeri e nomi sin qui vagliati sembra senz’altro possibile individuare lungo il crinale appenninico dell’Emilia occidentale un’area globale ben definita –per quanto fluttuante in singoli luoghi– da poter considerare con certezza di stabile presenza e dominio bizantino per tempi ben più lunghi di quelli normalmente indicati dalla storiografia generale, che vedrebbe sparire tale presenza greco-romana travolta dall’urto di Rotari negli anni ’30 del VII secolo in quelle che, ormai appare chiaro agli storici, furono solo devastanti scorrerie senza effettive stabili conseguenze ‘politiche’.
Dalla concentrazione dei dati sin qui evidenziata, invece, emerge con chiarezza una linea confinale individuabile nella contrapposizione cultuale –ma in realtà geo-politica– di “loca Sanctorum” bizantini e longobardi; essa racchiuderebbe a Nord una ‘fascia’ profonda quasi quanto l’intero territorio montuoso e collinare a cavallo del crinale tosco-emiliano, estesa ad ovest fino alle Alpi Marittime e connessa col Mar Tirreno attraverso la Valle della Magra, passando per Suriano/Filattiera, fino al porto di Luni da cui con costanza per circa due secoli giunsero ai kastra appenninici rifornimenti e rinforzi fino ai tempi di Liutprando nel secolo successivo (oltre ottant’anni dopo Rotari).
Occorre poi considerare anche, con le dovute attenzioni –e le necessarie implicanze–, come il limes bizantino appenninico tosco-emiliano non fosse una semplice ‘muraglia/trincea’ posta di fronte al nemico –come il Vallo d’Adriano in Inghilterra, o la ben più tardiva “Linea Maginot” in Francia–, ma un territorio abitato ed organizzato secondo le ‘regole’ delle missioni limitanee di cui i Romani erano ben esperti. Ai kastra, fortificati e collocati in posizione strategica presso gli incroci e lungo le vie di transito maggiormente accessibili e predisposte agli spostamenti di truppe e materiali, erano connessi pagi, vici e curtes in cui stanziavano e vivevano gli uomini (militari-coloni) in forza alle diverse guarnigioni …con essi le loro famiglie ed un’intera società agricolo-militare, con una propria struttura amministrativa e di governo –militare e civile– facente capo al Magister militum locale. È interessante in proposito che quando Paolo Diacono parla la prima volta del “Ferronianum” dal punto di vista semplicemente geografico lo qualifichi –insieme con Monteveglio, Sarsina (orig.: “Bobium”) ed Urbino– come “civitas”… e non “castrum”.
A. Ghiretti, Nuovi dati sul limes bizantino-longobardo dell’Appennino parmense, in Deputazione di storia patria per le province parmensi, Archivio storico per le Province parmensi, IV serie, XL (1988), 258.
A. Castagnetti, L’organizzazione del territorio rurale nel Medioevo, Bologna, 1982, 46-47.
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G. Costi, Topografia e toponomastica santorale. I Santi della montagna reggiana, in Bolletino storico reggiano, XXXVI (2003), n. 121, 79-83.
P. Gherri, L’insegnamento reggiano del Diritto giustinianeo nell’XI secolo, in Bolletino storico reggiano, XLI (2009), n. 139, 9-27.
G. Barni, Influenze bizantine, longobarde e franche nella Diocesi di Milano attraverso alcuni Santi cui sono dedicate le chiese, in Rivista di storia del Diritto italiano, XII (1939), 217.
I. Delehaye, Loca Sanctorum, in Analecta bollandiana, XLVIII (1930), 5-64;
G.P. Bognetti, I “Loca Sanctorum” e la storia della Chiesa nel regno dei Longobardi, in Rivista della storia della Chiesa in Italia, VI (1952), 165-204; oggi anche in: G.P. Bognetti (cur.), L’età longobarda, vol. III, Milano, 1966, 303-345.
P.M. Conti, L’Italia bizantina nella Descriptio Orbis Romani di Giorgio Ciprio, in Memorie della Accademia lunigianese di Scienze G. Cappellini, XL (1970), 47-48.
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