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Teologia del Diritto canonico: elementi per una fondazione epistemologica
1. La Riforma. 2. Collocazione della Disciplina. 3. Natura della Disciplina.
4. Individuazione della Disciplina. 5. Compiti della nuova Disciplina
L’Anno Accademico 2003-2004 ha visto per la prima volta l’insegnamento nelle Facoltà
di Diritto canonico di una Disciplina nuova: la “Teologia del Diritto canonico”,
nata dalla Riforma degli studi canonistici del settembre 2002.
L’individuazione degli Insegnanti, la stesura delle prime ‘dispense’, lo svolgimento
di un Corso completamente nuovo, hanno polarizzato in questi mesi parecchie risorse
ed energie attorno a ‘problematiche’ di grande concretezza che rischiano tuttavia
di far scivolare in ombra, già dagli inizi, la maggiore delle istanze riguardanti
la nuova Disciplina: la sua ‘definizione’, rischiando così che, superato il
primo momento di alacre intraprendenza ‘organizzativa’, la nuova Disciplina venga
insegnata con scarsa consapevolezza dandone per scontata l’‘acquisizione’.
1. La Riforma In data 2 settembre 2002 la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha emanato
un Decreto , approvato in forma specifica (“contrariis quibuslibet non obstantibus”)
dal romano Pontefice, con cui si rinnova l’ordinamento degli studi nelle Facoltà
di Diritto canonico. Di fatto il Decreto opera semplicemente la sostituzione dell’Art.
76 della Cost. Ap. Sapientia Christiana del 1979 , e degli Artt. 56 e 57 degli
acclusi Regolamenti.
Questa quarta riforma nell’arco di soli 85 anni costituisce una nuova tappa di grande
importanza per la ‘portata’ delle modifiche introdotte, non solo all’iter
accademico canonistico che risulta allungato nei tempi (cinque anni per la Licenza),
ma soprattutto alla struttura degli studi canonistici a partire proprio dall’impianto
generale e dalla tipologia delle materie d’insegnamento.
Nel 1979 le Norme applicative della C.A. Sapientia Christiana avevano previsto
per la prima volta l’insegnamento nelle Facoltà giuridiche ecclesiastiche di
“Elementa Sacræ Theologiæ (præsertim ex Ecclesiologia et Theologia
sacramentaria) et Philosophiæ (præsertim ex Ethica et Iure naturali), quæ
suapte natura requirantur ante studium Iuris canonici” , indicando così
quali avrebbero dovuto essere i contenuti teologici da offrire ai futuri canonisti,
iniziando in tal modo a ricomporre, seppur timidamente, quel ‘divorzio’ tra Canonistica
e Teologia, introdotto con la promulgazione del CIC pio-benedettino e delle conseguenti
norme per il suo studio; il CIC 17 infatti aveva costituito, secondo eminenti studiosi,
il punto di massima separazione fra Canonistica e Teologia, Diritto e Morale .
Di fatto l’introduzione nel 1979 degli “Elementi di Sacra Teologia” tra le Discipline
—obbligatorie— complementari a quelle ‘codiciali’ non costituiva altro che un’applicazione
delle direttive conciliari di OT 16 , integrando gli indirizzi esegetici e storici
ormai assodati con quelli, soprattutto ecclesiologici, espressi dal Vaticano II principalmente
nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium.
Lunga era già stata negli anni ’60 e ’70 la discussione circa le componenti
teologiche e giuridiche del Diritto canonico, fino alla pretesa ‘nascita’ della “Teologia
del Diritto (canonico)” come nuova Disciplina canonistica cui molti, incoraggiati
anche da interventi pontifici di vario genere e natura , iniziavano a far concreto
riferimento ed affidamento sull’onda dottrinale della c.d. Scuola di Monaco (K. Mörsdorf,
W. Aymans, A. Rouco Varela, E. Corecco et alii) oppure in modo del tutto
autonomo (come il Salesiano D. Composta che si spinse a teorizzare e caldeggiare
la creazione di una ‘Teologia del Diritto divino positivo’ o F. D’Agostino che approcciò
il tema in chiave filosofico-metafisica ) come se la formula in quanto tale si autoimponesse
per evidenza (contenutistica) propria.
A conferma dello stato di confusione che regnava sul tema sta il fatto che la disposizione
di Sapientia Christiana non fu sostanzialmente osservata dai destinatari:
molte Facoltà canonistiche, infatti, si contentarono semplicemente dell’inserimento
tra le materie accademiche di un non meglio determinato corso di “Philosophia
et Theologia juris” che ogni Facoltà vide insegnare nei modo più diversi,
senza tuttavia dar corso al contenuto innovativo sancito da Sapientia Christiana.
Di fatto il nuovo Art. 76a) dell’aggiornata C.A. Sapientia Christiana introduce
materie esclusivamente teologiche per una durata di ben due anni, facendone l’ossatura
di tutto il ‘Primo Ciclo’, restituendo in tal modo alla ‘Licenza’ ed al ‘Dottorato’
la specifica, ed assodata, natura di ‘specializzazioni’ rispetto alla formazione
teologica già conseguita, come già per le altre ‘Scienze sacre’, secondo
lo schema: Baccalaureato in Filosofia, Baccalaureato in S. Teologia, Licenza, Dottorato,
come organicamente previsto dagli Artt. 47, 72, 81 della stessa Costituzione apostolica
.
La scelta posta alla base della Riforma del 2002 appare evidente: prima di iniziare
gli studi canonistici occorre conoscere la Teologia vera e propria, poiché ciò
che caratterizza come proprium il Diritto canonico ab imis fundamentis
non è la Teologia che di volta in volta risulta ‘interna’ allo stesso Diritto
canonico ma quella che —comunque— lo precede, confermando il principio che la specializzazione
in Diritto canonico presuppone un’autentica —per quanto generale— formazione teologica
.
2. Collocazione della Disciplina Va notato innanzitutto come la nuova Disciplina, a dispetto della denominazione
assegnatale, non sia stata collocata tra le ‘Teologie’ del Primo ciclo di studi per
formare con esse un tutt’uno anche sotto il profilo contenutistico e sistematico,
‘ancorando’ specificamente il Diritto canonico alla radice più saldamente teologica
di quest’ambito di studio e conoscenza, né tanto meno facendone il ‘ponte’ tra
la Teologia ed il Diritto canonico secondo le aspirazioni della Scuola di Monaco
intenta a costruire nell’ambito della Canonistica una disciplina che si occupi dell’aspetto
fondazionale, sempre da un punto di vista teologico, del Diritto canonico ed a considerare
la Canonistica una disciplina teologica, con metodo giuridico, o meglio teologico
.
La collocazione assegnata alla nuova Disciplina è, invece, tra le Materie tipicamente
canonistiche del Secondo ciclo, inducendo così a pensare che non si tratti di
‘Teologia’ propriamente detta quanto, piuttosto, di un elemento trasversale all’intera
scienza canonistica della quale costituirebbe una Disciplina complementare.
Per quanto infatti riguarda i ‘contenuti’ teologici del Diritto canonico (ed il suo
corretto studio) di fatto in varie sedi e da parecchio tempo è stato evidenziato
come la componente prettamente ‘teologica’ sottesa al Diritto canonico risulti congruamente
espressa dall’Ecclesiologia, per ciò che concerne la ragione radicale del fenomeno
canonico, mentre per gli altri ‘ambiti’, sia generali che specifici, rimandi alla
riflessione teologica (fondamentale e dogmatica) su ciò che risulta irrinunciabile
per la vita quotidiana della Comunità credente e/o del singolo Fedele.
Già T. Jiménez Urresti affermava che
l’elemento strutturale e sociale della Chiesa esprimendo il mistero (in quanto è
possibile, ‘per umbras’) e ordinandosi ad esso, è ‘sacramentale’. Questo
carattere che informa il Diritto canonico è un dato teologico. E’ la Teologia
del Diritto. Esiste così una Teologia nel Diritto canonico e una Teologia del
Diritto canonico. Il Diritto canonico non esiste né può concepirsi senza
un contenuto teologico, che è parte dell’Ecclesiologia. Il canonista riceve ed assume questi dati teologici come postulati provenienti
da un altro campo e da una Scienza superiore alla sua. […] Il canonista, cioè,
sa dalla Teologia che questa ‘struttura fondamentale’ o ‘sostanza’ di Diritto divino
fu istituita da Cristo in maniera generica, lasciando le sue forme concrete e il
suo funzionamento pratico al potere della stessa Gerarchia da lui fondata .
Più recentemente P. Erdö confermava: La Teologia del Diritto canonico non fa parte della Scienza del Diritto canonico,
poiché non considera il Diritto della Chiesa dal punto di vista della qualificazione
giuridica (quid juris) ma cerca di definire, dal punto di vista della Teologia
cattolica, il fondamento e il valore delle singole istituzioni e del fenomeno stesso
del Diritto nella vita della Chiesa. In questo senso la Teologia del Diritto canonico
non è una Disciplina che riguarda specificamente il Diritto ecclesiale, ma è
una parte della Ecclesiologia che studia il volto giuridico della Chiesa in quanto
comunità, segno e realizzatrice della salvezza […] Il suo argomento principale
è la ricerca del posto, delle caratteristiche e del contenuto centrale del Diritto
all’interno del mistero della Chiesa e anche la qualifica teologica dei doveri e
dei diritti ecclesiali dei Cristiani .
Avventurarsi in quest’ambito comporta non solo l’attenersi ad una corretta metodologia
teologica, elaborando il messaggio delle fonti della Rivelazione (S. Scrittura, Tradizione,
Magistero) deducendone conseguenze logiche vincolanti per la fede, ma anche la competente
analisi del fenomeno giuridico ecclesiale, distinguendone i contenuti più sostanziali
dagli elementi formali e strumentali che si sono articolati lungo la storia ormai
bimillenaria di questa particolarissima esperienza giuridica. Allo stesso tempo
la Teologia del Diritto ecclesiale non può essere sostituita dalla mera analisi
storica. Sarebbe questa un’interpretazione superficiale, propria dell’istituzionalismo
giuridico, che verrebbe in tal modo ad escludere la questione del fondamento ontologico
del Diritto, avendola separata nettamente dal problema storico. L’analisi concentrata
sulla storia delle istituzioni e delle idee filosofiche nel campo della Teologia
del Diritto canonico deve invece mirare a scoprire l’essenza vera del Diritto ecclesiale,
nonché la tradizione normativa del pensiero teologico su di esso .
Ci troviamo a questo punto non più davanti alla Teologia vera e propria, né
alla semplice Scienza canonistica, quanto piuttosto davanti ad un vero ambito ‘sovra-disciplinare’
.
Fa propendere in questa direzione interpretativa anche il fatto che la nuova “Teologia
del Diritto canonico” è affiancata da una “Filosofia del Diritto”, anch’essa
preceduta da corsi di ben altra specificità (Antropologia filosofica, Metafisica
ed Etica), in un contesto che contribuisce ancor maggiormente a suggerire di queste
due materie un profilo di ‘mediazione’ tra le Discipline ‘pure’ (Teologie e Filosofie)
ed il cuore dell’ambito tecnico-giuridico (la Canonistica).
Secondo la concezione cattolica il Diritto canonico non può essere interpretato
e gestito come un sistema di regole positive esclusivamente umane, nemmeno per favorirne
la chiarezza metodologica. Ne consegue che sia i canonisti che tutti i pratici del
Diritto ecclesiale necessitano della conoscenza filosofica, teologica e storica.
Nell’usarle, la loro domanda rimarrà però sempre di ordine canonico: che
cos’è canonicamente legittimo nella Chiesa (quid juris canonici) .
La scelta, dunque, operata con fermezza dal sommo Legislatore supera senz’appello
l’esito dell’opera dei discepoli di K. Mörsdorf giunti a creare una ‘loro’ “Teologia
del Diritto (canonico)” di tutt’altra natura:
il problema dell’esistenza del “ius canonicum” è un problema essenzialmente
teologico: appartiene al contenuto centrale della Teologia, perché appartiene
al contenuto essenziale della fede. Non può essere risolto al di fuori di questa.
Sarebbe di conseguenza scorretto affrontarlo partendo con presupposti metodologici
di ispirazione filosofica, sia di tipo giusnaturalistico, come ha fatto la scuola
del “ius publicum ecclesiasticum” sia di tipo filosofico sociale. Il “locus
theologicus” del Diritto canonico è il mistero dell’Incarnazione che si
ripropone nella storia attraverso il mistero della Chiesa. […] Il Diritto è
una realtà teologico-soprannaturale, ma come tale è anche una realtà
che deve incarnarsi nella storia, assumendo forme giuridiche anche umane ;
il merito di detta impostazione sotto il profilo metodologico consiste indubbiamente
nel fatto che la prova dell’esistenza del Diritto ecclesiale viene offerta operando
su un fondamento nettamente teologico, che vuol rompere con ogni precomprensione
di tipo filosofico-sociologico di marca giusnaturalista .
Alle caratteristiche —e pretese— di ‘questa’ “Teologia del Diritto (canonico)” non
risponde in nulla la nuova Disciplina ‘omonima’ posta dal Legislatore all’interno
di un quadro caratterizzato senza esitazioni dalla piena giuridicità del Diritto
canonico; d’altra parte già il Sinodo dei Vescovi del 1967 aveva stabilito con
chiarezza, quale primo principio per la Revisione del CIC ’17, che il Codice di Diritto
canonico dovesse avere natura ‘giuridica’ a tutti gli effetti. Proprio quanto la
nuova decisione pontificia circa le modalità di studio superiore del Diritto
canonico sancisce definitivamente, distinguendo con chiarezza tra la previa formazione
teologica di base —da attuarsi nel ‘primo Ciclo’ di studi (irrinunciabile per tutti
i canonisti)— e la vera formazione ‘giuridica’ dei successivi due Cicli di studio.
3. Natura della Disciplina La nuova Disciplina accademica viene così a presentarsi come un ‘crinale’
tra i due ‘versanti’ della Scienza teologica e della Scienza giuridico-canonistica;
un ‘crinale’ da cui scorgere le precise specificità dell’uno e dell’altro ‘sapere’,
individuando i migliori ‘valichi’ per la loro interconnessione, evitando accuratamente
fondamentalismi e corto-circuiti metodologici: non si fa Diritto in modo teologico
né Teologia in modo giuridico, ma ogni Scienza dev’essere conosciuta e sviluppata
secondo la propria natura più specifica.
Si può studiare il Diritto canonico su due piani distinti: sul piano teologico,
che studia l’aspetto sociale della Chiesa nel suo intimo, nel suo valore interiore
e trascendente, nel mistero; e su quello canonico, che studia il suo aspetto umano,
fenomenologico e positivo. La Teologia studia i dati rivelati; il suo intento è di formulare la
verità rivelata, muovendosi sul piano della propria adeguazione a questa verità,
la definisce con giudizi dottrinali. Il Diritto canonico, invece, ricevendo questi dati teologici che riguardano,
in maniera generica, la struttura sociale della Chiesa, li positivizza nelle sue
leggi; suo fine è il bene politico della Chiesa; muovendosi sul piano della
strumentalità e della positivizzazione, ordina i suoi mezzi sociali strumentali
(leggi) al suo fine e prescrive una condotta sociale con giudizi pratici,
di modo che la ‘verità canonica’ consiste in questa adeguazione dei suoi mezzi
al fine inteso dal legislatore, cioè nella sua efficacia. Solo la Teologia
può emettere un giudizio dottrinale, quello dell’adeguazione alla verità
oggettiva rivelata, e formularlo in varie lingue, prospettive e con diversi gradi
di profondità. Il Diritto canonico, invece, può formulare tanti giudizi
quante sono le concretizzazioni o positivizzazioni, che gli permette la ‘sostanza
teologica’, e secondo la prudenza del legislatore. In altre parole: la Teologia studia la volontà del Cristo, mentre il Diritto
canonico prescrive come compiere, nell’ambito sociale della Chiesa, questa
volontà di Cristo, cioè studia la volontà della Chiesa, che deve mantenersi
conforme alla volontà di Cristo. […]
Da tutto ciò si deduce che la Teologia e il Diritto canonico hanno fini immediati,
campi e piani distinti, e possono tenere, e di fatto tengono, linguaggio e logica
distinti. Sono due Scienze diverse. Però soprattutto le note della strumentalità
e della positivizzazione, che entrano nel Diritto canonico, lo differenziano essenzialmente
dalla Scienza teologica .
Diremmo, con un’analogia che ci dà luce, che la Teologia e il Diritto canonico
stanno fra loro come la Filosofia e il Diritto. Esiste una Filosofia del Diritto,
però lo studio del Diritto non costituisce una Disciplina filosofica, ma la
cosidetta ‘Scienza del Diritto’. Il filosofo non fa Diritto, quando studia la Filosofia
del fenomeno umano chiamato Diritto; il giurista non fa Filosofia quando deve accettare
da essa i principi di cui ha bisogno. Così tanto meno il teologo fa Diritto
canonico o il canonista Teologia. Come v’è distinzione tra le Scienze umane
sul piano naturale, così v’è anche tra le Scienze ecclesiali sul piano
della fede .
Il Diritto canonico è un sistema normativo che può essere affrontato sotto
ogni aspetto con un metodo giuridico se questo metodo giuridico non viene ridotto
al modo dei Diritti desacralizzati , moderni e razionali. Allo stesso modo possiamo
naturalmente affermare che il suo studio, e anzi la sua stessa realizzazione, richiedono
a volte una riflessione di tipo teologico .
[In esso] le Scienze puramente umane, come la Filosofia, la Sociologia o anche la
Scienza giuridica secolare che forniscono al Diritto canonico numerosi concetti e
modelli istituzionali, non possono costituire un orizzonte interpretativo superiore,
tale da poter servire come principio più alto o ultimo, organizzativo dei fenomeni
della vita ecclesiale . Tale principio organizzativo superiore è dato per l’insieme
del sistema ma anche per la definizione dei singoli concetti e istituzioni di Diritto
ecclesiale dalla realtà della Chiesa che si conosce col metodo teologico. I
cultori del Diritto canonico positivo, nell’ambito della conoscenza unitaria giuridico-canonica,
devono pertanto ordinare tra loro i fondamenti filosofici (scientifico-profani) e
teologici delle loro concezioni sulla realtà giuridica della Chiesa in un sistema
dove il principio ultimo normativo risulti la verità rivelata. Come sottolinea
fortemente la Congregazione per la Dottrina della Fede , quest’ultima deve fornire
i criteri per giudicare i mezzi e gli elementi concettuali provenienti aliunde,
e non viceversa .
E’ lo stesso Giovanni Paolo II che stimola a seguire questa strada di
un’autentica interdisciplinarità tra la Scienza canonistica e le altre Scienze
sacre. Un dialogo davvero proficuo deve partire da quella realtà comune che
è la vita stessa della Chiesa. Pur studiata da angolature diverse nelle varie
Discipline scientifiche, la realtà ecclesiale rimane identica a se stessa e,
come tale, può consentire un interscambio reciproco fra le Scienze sicuramente
utile a ciascuna .
Proprio in ragione di questa distinzione sostanziale e formale tra le due Scienze
spetta ad un ulteriore livello, quello ‘sovra-disciplinare’, fissare le modalità
migliori per l’incontro, lo scambio e l’eventuale sintesi tra le diverse Discipline.
Il tentativo di proporre qualcosa di simile dall’interno (o peggio, all’interno)
di una singola Disciplina porterebbe non solo a delegittimare la ‘sintesi’ proposta
ma, più ancora, l’intero impianto ‘sistematico’ di chi volesse prefiggersi una
tal meta.
La ‘nuova’ “Teologia del Diritto canonico” dovrà quindi costituire il primo
livello sovra-disciplinare tra le Scienze canonistiche e quelle teologiche, aprendosi
progressivamente al dialogo col resto del ‘sapere’ ecclesiastico; quanto, in fondo,
già alla metà degli anni ’60 aveva proposto la Rivista Concilium
tentando di spingere reciprocamente teologi e canonisti verso una ‘sintonia comune’
sul piano operativo:
in tal modo questi potrebbero in definitiva collaborare coi teologi della Pastorale
e dell’Ecumenismo, così come coi legislatori, per presentare la Chiesa e le
sue funzioni con un aspetto canonico che la renda progressivamente più attraente
e munita di un apparato legislativo sempre più adeguato ai segni di ciascun
tempo, come la voleva Giovanni XXIII .
4. Individuazione della Disciplina La “Teologia del Diritto canonico” non avrà pertanto un’impostazione retro-spettiva
(fondazione epistemologica del Diritto canonico o della Scienza canonistica) quanto,
molto maggiormente, pro-spettiva nell’individuare le corrette modalità di
relazione, incontro, dialogo e collaborazione tra Teologia e Canonistica.
L’animus della nuova Disciplina si caratterizza così per una spiccata
sensibilità metodologica finalizzata all’individuazione delle ‘logiche’ secondo
cui Canonistica e Teologia si sono relazionate e devono relazionarsi reciprocamente
in una dimensione d’interdisciplinarità capace di creare non solo ‘ponti’ estemporanei
tra le due Scienze ma una vera forma mentis che sappia integrare il dato di
fede e quello giuridico (comportamentale sociale).
L’attenzione soprattutto ai ‘principi’ su cui articolare questa relazione impedirà
alla prospettiva interdisciplinare di chiudersi nella sola dimensione storica (il
passato), stimolando invece prospettive future per una proficua collaborazione tra
le due Discipline perché
come il teologo offre al canonista alcuni dati, così il canonista offre al teologo
i risultati pratici del Diritto, che, per essere espressione concreta e socializzata
del Diritto divino della Chiesa, sono non solo fatti canonici, ma anche fatti teologici,
fatti con contenuto teologico, che dovranno essere conformi alla costituzione generica
del Diritto divino della Chiesa e pertanto anche alle spiegazioni e sistematizzazioni
teologiche. […]
Per questo il canonista, familiarizzato con la relatività canonica delle molteplici
e diverse Discipline esistenti legittimamente nella storia, aiuterà il teologo
a prendere coscienza del carattere generico dei principi teologici che informano
il Diritto canonico, e ad aprire di conseguenza i suoi orizzonti teologici senza
restringerli all’apparenza dei fatti canonici.
Se il teologo dimentica questa lezione, correrà il grave rischio, accusato già
da alcuni, di teologizzare i fatti consumati, cioè elevare, senz’altro, a categoria
teologica i concreti comportamenti canonici storici, senza spogliarli della loro
corteccia di positivizzazione canonica per estrarne il contenuto teologico.
Con ciò il teologo soffocherebbe il Diritto canonico per immobilizzarlo col
rigore assoluto della verità teologica che attribuisce al fenomeno canonico.
E siccome sembra che questo peccato sia stato commesso più di una volta, non
è strano che in questo senso di parli di ‘de-teologizzazione’ del Diritto
canonico, non per privarlo del suo nucleo teologico, ma per estrarne il suo contenuto
teologico senza aggiunte. Per di più, il teologo che commette questo peccato
restringe l’ampiezza che, per quanto generici, tengono i principi teologici, identificandoli
con una delle loro possibili realizzazioni concrete .
La ‘novità’ non pare sostanziale in quanto corrisponde perfettamente all’indirizzo
stabilito già a suo tempo dal Concilio stesso in Optatam Totius 16:
tutte le Discipline teologiche vengano rinnovate per mezzo di un contatto più
vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza. Si ponga speciale cura
nel perfezionare la Teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente
fondata sulla sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei Fedeli in Cristo
e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo. Così
pure nella esposizione del Diritto canonico e nell’insegnamento della Storia ecclesiastica
si tenga presente il mistero della Chiesa, secondo la Costituzione dogmatica “De
Ecclesia” promulgata da questo Concilio .
E’ anche l’indirizzo che Giovanni Paolo II ha indicato con chiarezza nella C.A. “Sacræ
Disciplinæ Leges” con cui promulgava il primo dei Codici di Diritto canonico
revisionati a seguito del Vaticano II:
lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa,
specialmente come vien proposta dal Magistero del Concilio Vaticano II in genere,
e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso,
questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio
canonistico questa stessa dottrina, cioè la Ecclesiologia conciliare. Se poi
è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio “canonistico” l’immagine
della Chiesa, tuttavia a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi, come a
esempio primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto è
possibile, per sua natura.
Da qui derivano alcuni criteri fondamentali, che reggono tutto il nuovo Codice, nell’ambito
della sua specifica materia, come pure nel linguaggio collegato con essa.
Si potrebbe anzi affermare che da qui proviene anche quel carattere di complementarità
che il Codice presenta in relazione all’insegnamento del Concilio Vaticano II, con
particolare riguardo alle due costituzioni, dogmatica Lumen gentium e pastorale
Gaudium et spes .
Oggetto della trattazione sarà pertanto l’esplicitazione degli elementi salienti
e peculiari a partire dai quali dev’essere articolato ogni percorso teologico-canonistico
soprattutto in riferimento all’utilizzo delle fonti comuni e dei metodi legittimi
per una loro elaborazione in vista di risultati operativamente significativi.
Proprio la comunanza delle ‘fonti’ —storiche, bibliche, patristiche e della Tradizione—
porta a sottolineare come l’attuale consapevolezza teologica permetta alla Teologia
stessa d’intrattenere un rapporto ‘diretto’ col reale: ciò che viene chiamato
‘Teologia positiva’ e che permette al teologo di utilizzare i ‘dati’ che provengono
dalla storia come concreti elementi di riflessione, senza ‘teologizzare’ i fatti
storico-giuridici ma nella consapevolezza che la Scienza teologica non accede al
reale solo deduttivamente, attraverso la riflessione filosofica .
Da quanto sin qui delineato pare possibile individuare la Teologia del Diritto
canonico come Disciplina metodologica, avente per oggetto il rapporto tra
Teologia e Canonistica, secondo il metodo adottato dalla Teologia fondamentale
.
Riferire alla Teologia fondamentale il metodo della Teologia del Diritto canonico
pare appropriato a causa della ‘singolarità’ del suo oggetto (il rapporto tra
Teologia e Canonistica) che chiede una continua ‘legittimazione’ di passaggi e riferimenti
da un ambito (Teologia) all’altro (Canonistica), come la Teologia fondamentale fa
tra il ‘fatto’ della Rivelazione nella sua oggettività e le circostanze storico-antropo-culturali
in cui essa è avvenuta ed ancora si attualizza. La radice di questo ‘metodo’
viene individuata nella ‘integrazione’ come
la possibilità di rendere intero ciò che ancora non lo è, mediante
l’apporto di elementi necessari e utili. Con il metodo di integrazione, la [Teologia]
fondamentale è in grado di assumere nel mistero, che è già teologicamente
indagato, l’evento storico che lo rivela e che una comunità trasmette mediando
e che necessita pertanto di essere studiato con il metodo suo proprio.
L’integrazione nel mistero non umilia l’evento storico, in quanto il mistero -anche
se in forza di un atto kenotico- si è reso conoscibile nell’espressione storica
e non può prescindere dalla stessa struttura storica se vuole rivolgersi all’umanità
e da questa essere capito e accolto.
L’oggetto peculiare, pertanto, rimane espressione della fede, ma in un’intelligenza
che sa assumere a partire dalla fede, la totalità degli strumenti critici .
La congruità di questo modo di procedere a partire dalla inoppugnabilità
del datum teologico-istituzionale (la c.d. ‘norma teologica’ nella sua genericità
) raffrontata con la varietà delle sue concretizzazioni teoricamente e storicamente
‘possibili’ (la relatività della norma canonica), assumendo la ‘storia’ quale
contesto di salvezza e l’humanum come referente cui rapportarsi, si pone come
‘promessa’ di efficacia operativa anche per la nuova Disciplina accademica.
5. Compiti della nuova Disciplina Sotto il profilo contenutistico è necessario esplicitare come la “Teologia
del Diritto canonico” non possa presentarsi come ‘trattato’ organico e conclusivo
al pari delle Discipline sistematiche ; trattandosi infatti di una Disciplina sostanzialmente
metodologica sarà necessario individuarne ed assodarne gli elementi strutturali
di fondo, rimandando le tematiche specifiche e puntuali ad apposite trattazioni,
che potranno essere numerose quanto le questioni concretamente possibili nella quotidianità
della vita ecclesiale.
La ‘novità’ sostanziale di questa Disciplina rispetto alle riflessioni già
articolate soprattutto lungo il secolo scorso, rende necessario prendere atto che
il primo compito col quale cimentarsi sia proprio la messa a punto dello statuto
epistemologico della Disciplina stessa, mettendo progressivamente a fuoco gli elementi
della ‘definizione’ proposta, puntualizzandone ed approfondendone significati, valenze
ed implicazioni.
Ciò non pare tuttavia possibile procedendo in modo semplicemente teoretico,
rimbalzando tra presupposti, idee e loro conseguenze (più o meno immediate),
ma solo affrontando con rinnovata consapevolezza metodologica le tematiche e problematiche
ritenute ormai ‘classiche’ o necessarie per quest’ambito disciplinare.
Gli elementi della definizione si puntualizzeranno più efficacemente —e realisticamente—
strada facendo, coordinando tra loro i risultati dell’esame concreto dei rapporti
esistiti ed esistenti, in generale ed in specifico, tra Teologia e Canonistica, viste
come approcci specifici ed autonomi alla stessa realtà: il vissuto ‘comunitario’
della Chiesa.
I tempi necessari per conseguire questo risultato in modo sufficiente non sono ad
oggi preventivabili poiché un tale lavoro non ha la propria variabile fondamentale
nel ‘tempo’ quanto piuttosto nel ‘volume’ dell’elaborazione dei ‘dati’ di riferimento
e nella pregnanza dei suoi risultati.
In questa sede è soltanto possibile, e necessario, indicare le prime ‘tappe’
del cammino:
1. acquisire e ‘tradurre’ in corrette categorie giuridico-canonistiche le autentiche
componenti teologiche soggiacenti al Diritto canonico: sacramentalità, communio,
missio, ecc.
2. verificare e ‘purificare’ i ‘presupposti’ metodologici, operativi e strumentali,
effettivamente disponibili ed adottati da coloro (legislatori, pratici e studiosi)
che col loro agire hanno partecipato alla ‘storia’ teologica e giuridica della Chiesa;
3. ricercare ed esplicitare gli elementi ‘contestuali’ soggiacenti all’articolazione
delle diverse ‘materie’ oggetto di normazione canonica: Teologia sottesa, ambito
culturale di riferimento, varianti disciplinari ;
4. esaminare sotto il profilo metodologico le principali questioni biblico-teologiche
di argomento o interesse istituzionale relative, soprattutto, al Nuovo testamento;
5. illustrare, circostanziare e ricollocare le tematiche di pertinenza giuridica
del testo biblico: i concetti di Diritto, giustizia, giudizio, legge, comandamento,
precetto ecc.
6. purificare il vocabolario tecnico della Canonistica e della Teologia dall’uso
improprio e non circostanziato di formule che non hanno più il valore ‘tecnico’
del momento della loro introduzione e che oggi causano ambiguità ed incomprensioni
in chi si è formato partendo da altri presupposti concettuali e gnoseologici
(Diritto naturale, Diritto divino ecc.);
7. superare i luoghi comuni strumentali di cui tanti autori hanno riempito la Canonistica:
jus divinum, salus animarum, æquitas, epikeia ecc. riscoprendone l’originale
portata teologica e giuridica per restituire ad ogni concettualizzazione la reale
valenza interpretativa, verificandone il permanere attuale dell’effettiva fruibilità.
Questo lavoro, inoltre, dovrà essere svolto —non tanto in linea di principio—
da studiosi competenti nell’uno e nell’altro sapere (teologico e canonistico), effettivamente
in grado di approcciare con proprietà le specifiche, anche tecniche, dei due
ambiti disciplinari, sorretti —anche— da una consapevolezza storico-istituzionale
senza esitazioni.
A questo riguardo pare ragionevole chieder loro di disporre della formazione teologica
istituzionale e della necessaria formazione giuridico-canonistica . La particolare
configurazione, infatti, di questo genere di studio sovra-disciplinare richiede tutta
l’ampiezza dell’approccio teologico, nella sua generalità, non meno della specifica
tecnicità di quello giuridico. Di fatto un approccio teologico inconsapevole
delle dinamiche e logiche tipicamente giuridiche non potrebbe evitare la teologizzazione
del Diritto canonico (attribuendo, p. es., significati e portata teologica a semplici
elementi strumentali); d’altra parte un approccio soltanto giuridico si troverebbe
costretto a riferirsi a componenti pre-giuridiche e meta-giuridiche semplicisticamente
funzionali (scegliendo alla bisogna i concetti necessari: salus animarum, bonum
commune, æquitas, ecc.), senza coglierne la sostanzialità, cadendo
—nuovamente— in una ingiustificata teologizzazione del Diritto canonico.
Completerebbero opportunamente il quadro conoscenze di Storia e Filosofia della scienza,
Filosofia della conoscenza, Metodologia della ricerca.
Meno rilevanti paiono essere le preoccupazioni (preclusioni) di chi invoca una solida
formazione teologica dei canonisti per evitare che si continui a partire da principi
della Filosofia del Diritto o della Filosofia politica finendo per giustapporre estrinsecamente
la ratio theologica alla ratio philosophica senza che la natura e la
funzione del Diritto ecclesiale siano comprese intrinsecamente ; proprio la corretta
adozione del metodo della Teologia fondamentale saprà infatti garantire il giusto
equilibrio e la giusta integrazione tra le diverse ‘risorse’ intellettuali e teoretiche,
tanto di natura teologica, che filosofica, che scientifica.
Allo stesso tempo la portata ‘trasversale’ e ‘strutturale’ dell’impostazione metodologica
suggerita eviterà il perdurare dello sforzo —dimostratosi già da tempo
inefficace— di applicare in tutte le branche del Diritto canonico sia un metodo teologico
che un metodo giuridico .
Solo in questo modo, per di più, si potrà accostare l’intero Ordinamento
canonico e le sue norme giuridiche secondo una visione globale corrispondente all’autocoscienza
ecclesiale e rispettosa dei dati dogmatici immutabili che Tradizione, Scrittura e
Magistero continuano a riproporre ad ogni ‘oggi’ della Chiesa.
Una Disciplina accademica che pretendesse di ottenere questi risultati semplicemente
stralciando contenuti da altre Discipline teologiche (Ecclesiologia ed Antropologia
teologica) non potrebbe che rimanere inefficace.
Un’adeguata proposta metodologica potrebbe, al contrario, conseguire tali risultati
proprio in ragione del ‘basso profilo’ contenutistico ma dell’alta pervasività
strutturale e sistematica tipica degli approcci metodologici.
Paolo Gherri, Docente Incaricato Teologia del Diritto canonico, Pontif. Università
Lateranense.
pubblicato in: APOLLINARIS, LXXVII (2004), 679-696