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1. Differenza tra "Teologia del Diritto" e "Teologia del Diritto canonico"
Parlare oggi di "Teologia del Diritto canonico" in modo scientifico non è
per nulla semplice in quanto si tratta di una Disciplina 'nuova', appena 'nata'
sotto il profilo accademico e, quindi, per buona parte ancora in via di
definizione.
Proprio questo primo 'fatto' risulta tuttavia già decisivo per poter
trattare correttamente il tema della "identità, missione e statuto
epistemologico" di questa Disciplina voluta nel 2002 dal Decreto di riforma
degli studi canonistici in sostituzione dei precedenti "Elementa Theologiæ
et Philosophiæ Iuris", previsti dalla Cost. Ap. Sapientia Christiana del
1979.
Nonostante la sua 'giovinezza', la Disciplina trova però alle sue spalle
una lunga 'gestazione' di circa mezzo secolo, almeno sotto il profilo
terminologico. E proprio al profilo terminologico è necessario far
riferimento per comprendere che cosa in effetti 'sia' o possa/debba essere
questa nuova Disciplina accademica la quale, tanto a parole che sotto il profilo
culturale, sembra ormai presentarsi con una certa portata storica, mentre in
realtà non è ancora stata svezzata.
La questione terminologica, che in questo caso coincide quasi completamente con
quella storica, riguarda essenzialmente la differenza tra "Teologia del Diritto"
tout-court e "Teologia del Diritto canonico" che, a dispetto della presenza di
un solo 'aggettivo' in più, si presentano e sono ambiti del tutto
diversi.
I quindici anni tra la fine della II guerra mondiale ed il Concilio Vaticano II
furono senza dubbio per la Chiesa cattolica, soprattutto europea, tra i
più floridi in assoluto nella sua storia ed attività sotto ogni
profilo, tanto pastorale che culturale, segnando la soglia di un trapasso
irreversibile tra due 'ere', con esiti e prospettive molto maggiori di quanto
già non fosse stato per la Riforma gregoriana o la Riforma tridentina
(Controriforma). Solo per avere un'idea generale del cambiamento che la Chiesa
cattolica (europea) si trovò a vivere dagli anni Cinquanta del secolo XX
basti confrontare la Cost. pastorale(!) Gaudium et Spes con buona parte del
Magistero precedente.
Fu all'interno di questa situazione socio-culturale radicalmente diversa dal
trentennio che l'aveva preceduta che tutte le Discipline teologiche cattoliche
intrapresero quasi spontaneamente (dopo tanti decenni di 'compressione' ed
autoreferenzialità antimodernista) nuovi itinerari di sviluppo volti a
conseguire una più profonda e motivata percezione di sé e del
proprio fondamento originario, oltre che una reale funzione a servizio della
Chiesa e -per quanto legittimo- dell'umanità intera.
La Modernità razionalista e materialista -scientista ed idealista allo
stesso tempo- che aveva raggiunto il proprio esito letale nello Stato etico,
portatore di morte e distruzione nel mondo intero, era ormai entrata in profonda
crisi ed anche la Chiesa cattolica, sopravvissuta nonostante tutto a quell'onda
distruttrice, era ormai priva degli 'ormeggi' che alla fine del XIX sec.
parevano garantirne ancora l'incolumità e la 'sopravvivenza' anche nello
scontro serrato con la Modernità.
La Germania, che fino ad allora tanto aveva contribuito allo sviluppo del
pensiero moderno ed alla sua catastrofe, continuò a palesarsi come il
cuore -o comunque uno dei centri propulsori- di questo movimento intellettuale e
ad offrire stimoli per il rinnovamento in corso attraverso, soprattutto, le
posizioni filosofiche e teologiche c.d. dialettiche che con le loro prese di
posizione 'contro' la nuda ragione, continuarono ad ispirare -non senza
radicalismo- il nuovo corso del pensiero continentale, anche cattolico.
Teologi cattolici come K. Rahner, H.U. von Balthasar (in ambito germanico), H.
De Lubac e la Nouvelle Theologie (in Francia) e tanti altri, abbandonarono con
decisione le posizioni neo-scolastiche (ed antimoderniste) pre-belliche alla
ricerca di un vero confronto con la cultura e le problematiche del loro tempo,
incrociando -e/o 'rincorrendo'- spesso sulla propria strada i 'colleghi'
protestanti tedeschi intenti al difficile ricupero del cammino teologico e
filosofico già percorso nella prima metà del secolo e, non di
meno, allo smaltimento della 'sbornia' hegheliana e nietzschiana che aveva
travolto l'intera cultura mittel-europea dell'ultimo secolo. La portata di
questo 'movimento' fu così radicale che nessun ambito delle c.d. Scienze
sacre fu in grado si sottrarsi alla sua attrazione, finendo ben presto per
entrare nella sua 'orbita': così fu anche per la Canonistica (cattolica)
tedesca che inaugurò in quegli anni -e su questi presupposti- una vera e
propria 'nuova fase' dello studio del Diritto canonico.
Base sostanziale di questa nuova 'fase' era divenuta ormai inevitabilmente la
necessaria riflessione sulla giuridicità anche solo 'umana' cui lo stesso
Protestantesimo fu costretto nel dopo-guerra. La terribile esperienza infatti
dello Stato-etico nazista aveva convinto vari teologi protestanti ad
interrompere l'embargo teologico che aveva caratterizzato fin dalla sue origini
i rapporti strutturali del Protestantesimo col Diritto (non solo canonico), per
non lasciare più nessuno Stato 'solo' davanti ad un compito così
importante e decisivo per l'intera umanità.
La pietra di scandalo era la constatazione del fenomeno del "Diritto ingiusto" o
dell'"ingiusto legale" di cui era tanto tristemente ricca la vita giuridica del
passato europeo più recente:
‚mai il Diritto era giunto ad un grado tale di perfezione tecnico-logico-
giuridica ed anche politica, come in questi ultimi centocinquant'anni di storia
europea, però mai neppure era giunto ad un tal grado di
disponibilità venale, di permeabilità all'ingiustizia ed alla
tirannia. Per molto paradossale che ciò suoni: lo stesso Diritto -non
solamente gli uomini del Diritto, coloro che lo creano, lo pensano, lo
applicano- si converte in struttura d'ingiustizia. [...] Col principio che il
Diritto è ciò che risulta utile al popolo o ad una classe sociale,
si fa Diritto in opposizione cosciente ai postulati della giustizia, negando
premeditatamente questo minimum di uguaglianza nella valutazione e nel rapporto
socio giuridico, che è il suo stesso nervo. A maggior perfezione formale,
tecnico-logica, cultural-giuridica, [corrisponde] maggior disumanizzazione del
Diritto, così potrebbe esser formulata la Legge storica che ha retto di
fatto il corso della evoluzione moderna del Dirittoé.
Un così forte impatto emotivo-razionale ancora alla fine degli anni '60 -
da parte di un non-tedesco- rende ragione della portata radicale della
circostanza e dei punti cardinali del nuovo orizzonte verso cui la Canonistica
tendeva ad indirizzarsi nel consolidare un nuovo baricentro che, dall'Italia
degli anni '30, iniziava a traslarsi nella Germania del dopo-guerra, all'interno
dell'indistinto 'codazzo' di teologi, filosofi, ed altri che ormai migravano in
schiere sempre più numerose verso il cuore del pensiero (teologico)
mittel-europeo cercando nuove dimore lungo le sponde del Reno.
Sotto il profilo teoretico è nota la posizione luterana in merito alla
giuridicità come quæstio mere humana -civilis- che riguarda lo
Stato nella sua essenza di societas visibilis; anche il governo ecclesiale
'esterno', di conseguenza, era affidato allo Stato (Diritto ecclesiastico invece
di canonico).
Legge e Diritto, grandi incomodi per la Teologia protestante, sono questioni
puramente umane che riguardano lo Stato e non la Chiesa (societas abscondita,
spiritalis) e vanno affrontati per via filosofica, come aveva fatto U. Grozio
(sulle tracce di F. Suarez) su base giusnaturalistica, lasciando al legislatore
statuale il compito di provvedere al funzionamento della società umana.
Chiusa però l'avventura nazista (mentre per una buona parte della stessa
Germania continuava quella social-comunista) i teologi protestanti si rendevano
ormai conto che questa posizione, per quanto 'originaria' e teologicamente
decisiva -in realtà solo ideologica-, andava radicalmente rivista
prendendo atto della progressiva separazione e contrapposizione tra Stato e
Chiesa che aveva caratterizzato il periodo hitleriano e continuava 'oltre
cortina'... al di là del 'muro'.
Fu proprio questa nuova ed inevitabile consapevolezza 'pratica' a sollecitare e
spingere le Chiese protestanti
‚a non demandare più allo Stato, e quindi ad assumersi in modo diretto,
il compito di organizzarsi giuridicamente. Tale necessità pratica ha
costretto la Teologia protestante a giustificare teologicamente un nuovo ruolo
del Diritto all'interno della Chiesa, superando la tradizionale contrapposizione
tra Vangelo e Leggeé.
In quest'ottica ormai irrinunciabile al di là di ogni teoresi ideologica,
un apprezzabile numero di teologi protestanti (K. Barth, J. Ellul, Ernst Wolf,
J. Heckel, Erik Wolf, H. Dombois ed altri) si dedicò con zelo in quegli
anni al nuovo compito, cercando di trovare per il Diritto -la cui realtà
oggettiva non poteva comunque essere in nessun modo negata almeno nella
quotidianità del vivere umano- un fondamento migliore di quanto le
Filosofie moderne ed antiche avessero saputo fare; un fondamento che non potesse
cedere alla forza del potere e dell'interesse, un fondamento che ne garantisse
intrinsecamente la 'giustizia' senza rimanere impantanato nelle troppe
ambiguità del c.d. Diritto naturale la cui efficacia, dopo la
Modernità, non convinceva più i teologi.
La via giusnaturalistica moderna, infatti, si presentava come doppiamente
inefficace a risolvere la questione 'fondativa' del Diritto: da una parte
proprio perché l'esito esecrando del 'legale ingiusto' era stato frutto
di un Diritto 'tecnico', calcolato meccanicamente e matematicamente (Leibniz) a
partire da alcuni principi indiscutibili forniti dalla ragione ma governati in
realtà dalle 'ragioni' di Stato ed economiche, dall'altra parte a causa
dell'ormai dilagante Relativismo che aveva sequestrato a sé la Filosofia
del XX sec. rendendo qualunque 'principio' del tutto individuale e, pertanto,
incomunicabile e soggettivo.
Nasceva così in ambito originariamente protestante -e per motivi
tipicamente 'endogeni' al Protestantesimo stesso- la "Teologia del Diritto" come
sforzo di riappropriarsi teologicamente di una componente ormai non più
solo meramente 'funzionale' del vivere umano-sociale: il Diritto, appunto.
‚Barth, che si pone in diretta polemica con lo Storicismo e il Positivismo
giuridico, al cui prestigio il nazismo aveva inferto un durissimo colpo, ha come
orizzonte quello della Teologia dialettica, dove il problema centrale è
quello di stabilire la natura del rapporto Dio-uomo a partire non dalla
Theologia naturalis, ma dalla constatazione che Dio è Dio in quanto pone
l'uomo di fronte ai propri limiti. Per cogliere questa alterità di Dio
l'Ontologia razionale e il Diritto naturale non servono: solo la Rivelazione
può formulare affermazioni vincolanti. [...]
La giustificazione avviene attraverso Cristo che oltre ad essere il fondamento
ontologico è anche il principio gnoseologico di tutta la realtà
creata. [...]
All'analogia entis Barth sostituisce di conseguenza l'analogia fidei. Ciò
significa che tutta la realtà -non solo la Chiesa, ma anche lo Stato e il
Diritto in quanto regolano i rapporti intersoggettivi degli uomini- può
essere capita solo all'interno del rapporto di giustificazione stabilito da Dio
con l'uomo. Quest'unica realtà può essere conosciuta solo con la
fede e non con la Filosofia. Nessuna Metafisica umana -quella di Platone come
quella di Aristotele o di Hegel- è capace di dire cosa sia lo Statoé.
Fu in questo preciso e particolarissimo contesto storico-culturale e teoretico
che alcuni canonisti cattolici, raccolti intorno a K. Mörsdorf presso la
"Ludwig-Maximilians-Universität" a Monaco di Baviera, iniziarono un nuovo
percorso di approccio al Diritto -anche canonico- su base 'fondazionale' dando
origine alla c.d. Scuola canonistica di Monaco.
Ciò che tuttavia non può essere ignorato alla fonte di questo
'evento', che si mostrerà davvero cruciale per la Canonistica degli
ultimi cinquant'anni, è la referenzialità pressoché
assoluta che vennero ad assumere al suo interno alcuni 'assiomi' specifici della
neo-nata Teologia protestante del Diritto (barthiana in particolare).
2. La "Teologia del Diritto" cattolica tedesca
Alla nuova sensibilità teologica verso il Diritto come tale non si poteva
non accostare, per i cattolici, anche l'effettivo problema tecnico e teoretico
dell'evidente inadeguatezza ormai conclamata del Diritto canonico codificato nel
1917: anche questo pareva richiedere ormai una 'nuova fondazione' per poter
continuare ad 'essere' nella Chiesa!
Si ritenne pertanto che la 'fondazione teologica' del Diritto intrapresa dai
teologi protestanti a riguardo del giuridico statuale potesse e dovesse trovare
spazio ed impegno anche in riferimento al Diritto canonico, in una sorta di
parallelismo più 'effettivo' che epistemologicamente fondato.
Sulla base di questi presupposti dunque, del tutto estrinseci tanto alla
consistenza storica del Diritto canonico che alla sua stabile percezione
all'interno della vita della Chiesa cattolica e della Scienza canonistica, gli
autori della Scuola di Monaco iniziarono a 'proporre' un diverso approccio al
Diritto della Chiesa attraverso una comprensione che partisse dalla fede:
‚il Diritto canonico è primariamente un Diritto kerigmatico,
sacramentale, conseguentemente un Diritto che è primariamente al servizio
della Parola e del Sacramento. Il Diritto canonico è essenzialmente
diverso e indipendente dal Diritto statale e da ogni Diritto secolare, ma ha la
capacità e perciò la responsabilità, di essere di fronte a
questi un Diritto esemplare. Il Diritto canonico può essere accolto solo
nella fede. Si è perciò concordi sull'opinione metodologica che la
Scienza del Diritto canonico è primariamente e fondamentalmente una
Scienza teologicaé.
In quest'ottica a Monaco s'intraprese una duplice azione: a) costruire
nell'ambito della Canonistica una Disciplina -nuova- che si occupasse, sempre da
un punto di vista teologico, dell'aspetto fondazionale del Diritto canonico: la
'Teologia del Diritto (canonico)', b) considerare la Canonistica una Disciplina
teologica, con metodo giuridico, o meglio teologico.
Una buona sintesi delle idee chiave di questo grande sforzo pluridecennale che
vide in E. Corecco uno dei suoi più accesi esponenti viene proposta con
lucidità dal milanese F. Coccopalmerio:
‚il problema per la Teologia cattolica non è quello di produrre una prova
teologica dell'esistenza del Diritto canonico [...] quanto piuttosto di saper
dare una giustificazione teologicamente corretta di una realtà che
appartiene già al contenuto della fede. [...] "Fondare" teologicamente il
Diritto ecclesiale è significato per la dottrina ricercare e fornire la
prova teologica, e teologicamente corretta, del dover esistere del Diritto nella
Chiesaé.
Si tratta cioè, in altri termini, di ‚stabilire se il Diritto stesso
è una realtà così essenzialmente insita nella struttura
propria della Chiesa, che senza il Diritto la Chiesa non sarebbe quello che
è, secondo l'istituzione di Cristoé.
Di fatto la proposta bavarese, nata su principi ed esigenze epistemologiche
diverse dalla Canonistica (cattolica) come tale, finì ben presto per
basarsi non tanto sulla ricerca di una risposta alla domanda fondamentale circa
la natura, la funzione, i presupposti del giuridico nella sua caratterizzazione
'ecclesiale', ma su quale avrebbe dovuto/potuto essere la domanda giusta da
porsi sul giuridico come tale per poi offrile la risposta già
precedentemente confezionata a partire da una sua visione 'teologica':
‚sembra al riguardo ovvio che, se tale è il problema, ci si senta
immediatamente e previamente interpellati da un altro quesito: qual è il
concetto di Diritto ecclesiale? La domanda appare fondamentale, per l'ovvio
fatto che, solo stabilito l'oggetto se ne può fondare l'esistenza. In
particolare è necessario che ci chiediamo: si vuole aver a che fare con
un generico Diritto nella Chiesa o con lo specifico Diritto della Chiesa? Se
infatti non si parte da una giusta nozione di Diritto ecclesiale per poi
fondarne teologicamente l'esistenza, si finisce col cercare il fondamento
dell'esistenza di una realtà ignota oppure di una realtà diversa
da quella che si deve fondareé.
In questa linea di sviluppo si è però giunti inevitabilmente ad
una ridefinizione 'proprietaria' del Diritto canonico che, per non volerne
sapere di Sociologia ('giusnaturalistica'), nega ogni evidenza scientifica
derivata dallo studio della relazionalità interpersonale:
‚il nostro modo di ricercare e statuire il concetto di Diritto presuppone
soltanto che il Diritto stesso sia una realtà che si colloca nell'ambito
di una pluralità di persone e quindi così ne enuncia la
definizione assolutamente formale: "Diritto" sarebbe tutto ciò che causa
o permette il nascere, il permanere, lo svilupparsi di una data aggregazione
interpersonale. "Diritto" sarebbe pertanto una serie di elementi che,
presupposta una pluralità di persone, ne fanno un "unum", una
aggregazione interpersonale, una Comunità o socialitàé.
La 'fondazione teologica' del Diritto canonico, ritenendo che solo una sua 'necessità ontologica' potesse risolvere la difficile situazione in cui versavano Diritto canonico e Canonistica, divenne così il fondamento epistemologico per la nascita di una vera e propria nuova Disciplina ecclesiastica: la "Teologia del Diritto"... a volte 'canonico' a volte no! Poiché questo, in realtà, non è mai univocamente espresso dagli autori della Scuola che usano -pare indifferentemente- le due formule generando non poca confusione, forse più a se stessi che ai loro lettori.
Secondo Corecco, che si propone come portavoce delle principali intuizioni di
Mörsdorf:
‚il problema dell'esistenza del "Ius canonicum" è un problema
essenzialmente teologico: appartiene al contenuto centrale della Teologia,
perché appartiene al contenuto essenziale della fede. Non può
essere risolto al di fuori di questa. Sarebbe di conseguenza scorretto
affrontarlo partendo con presupposti metodologici di ispirazione filosofica, sia
di tipo giusnaturalistico, come ha fatto la scuola del "Ius Publicum
Ecclesiasticum" sia di tipo filosofico sociale. Il "locus theologicus" del
Diritto canonico è il mistero dell'Incarnazione che si ripropone nella
storia attraverso il mistero della Chiesa. In forza della successione apostolica
la Chiesa dà la garanzia che la sua Parola e il suo Sacramento conservano
la stessa pretesa giuridicamente vincolante della Parola e del Sacramento di
Cristo. Il Diritto è una realtà teologico-soprannaturale, ma come
tale è anche una realtà che deve incarnarsi nella storia,
assumendo forme giuridiche anche umaneé.
‚Il merito di detta impostazione sotto il profilo metodologico consiste indubbiamente nel fatto che la prova dell'esistenza del Diritto ecclesiale viene offerta operando su un fondamento nettamente teologico, che vuol rompere con ogni precomprensione di tipo filosofico-sociologico di marca giusnaturalistaé.
Il Diritto è così identificato tout court con la "relazione
interpersonale doverosa". In essa si pretende d'individuare l'essenza del
rapporto giuridico che da questa stessa tipologia relazionale viene dedotto
nelle sue caratteristiche in quanto 'Diritto', e prima ancora di diventare
'Diritto ecclesiale/canonico'!
Questo presupposto, sviluppato in seguito da G. Ghirlanda che accoglie il
pensiero di base della Scuola di Monaco pur ridimensionandone vari aspetti,
viene poi ricondotto ad un fondamento antropo-teologico per cui il Diritto (ogni
Diritto) è in realtà quæstio theologia; scrive in merito M.
Visioli, teoreta emergente di questa linea:
‚una riflessione sulla fondazione del Diritto della Chiesa dovrà
depositare le sue radici sulla riflessione dogmatica senza cadere nella
tentazione di isolarne un aspetto per escluderne altri. In particolare tale
riflessione dovrà porre in relazione dinamica il mistero della Chiesa, il
mistero dell'uomo, e il mistero di Cristo in quanto Verbo incarnato. Ogni
fenomeno giuridico trova la sua radice di senso nel mistero di rivelazione che
si esprime attraverso la riflessione su Cristo, sull'uomo, e sulla Chiesa. E
dall'altra parte ogni riflessione teologica che indaghi il mistero di Dio nella
direzione sopra descritta dà luogo a considerazioni che investono il
piano giuridico [...] L'esistenza di diritti e obblighi nella Chiesa, in
riferimento ad una prospettiva antropologica ed ecclesiologica che scaturisce
nella Cristologia, si fonda in ultima analisi proprio in questa sede: nella
persona di Gesù, la cui identità singolare nella dimensione
dell'unità e in quella della differenza permette l'esistenza del diverso
da sé senza mai separarsi dall'altro. Anche i rapporti giuridici nella
Chiesa, come fondamentalmente tutto il fenomeno giuridico teologicamente
compreso, sono custoditi, protetti e rivelati nell'unità e differenza
cristologicaé.
Da un punto di vista scientifico non si può oggi non dare accoglienza e
plaudere al parere espresso già quindici anni fa da Marie Zimmermann
circa una tale "Teologia del Diritto canonico":
‚questa Scienza nuova secondo la propria stessa rivendicazione, si caratterizza
precisamente per una disaffezione del Diritto in quanto forza sociale in favore
di un Diritto "opera" di Dio. Come si dispiega questa perversione del Diritto?
[...]
Per certi teologi critici delle istituzioni ecclesiali la Teologia sola è
in grado di apportare rimedio alla crisi del Diritto attuale, letta come crisi
del Diritto canonico. Non è affatto l'ordine giuridico ad essere in crisi
ma l'ordine giuridico ecclesiale considerato non come strutturalmente ma come
ontologicamente diverso, un ordine giuridico che ha perso in qualche modo il suo
luogo d'inserimento in questo mondo, il mondo dell'uomo.
Qualche volta come in Corecco, sembra che Teologia/Rivelazione/fede/Diritto
divino si confondano.
Per di più la volontà di teologizzare può giungere fino al
metodo. Il Diritto canonico non è dunque più una Scienza giuridica
fornita d'un metodo giuridico conseguente. Il metodo preconizzato da Corecco e
Rouco Varela deve svilupparsi nel rifiuto di "tutte le precomprensioni
filosofiche formali del Diritto". Liberata da questo rifiuto preliminare e
ponendosi nella pura fede svincolata del "sociale umano (biologico)", la
Teologia del Diritto canonico può cogliere la società ecclesiale
come "socialità generata unicamente nella grazia e conosciuta solamente
nella fede".
Un Diritto sacralizzato [...] che si risolve teoricamente nell'equivalenza
Diritto divino/salvezza/legislazione e praticamente nell'affermazione del potere
del Vescovo di cui il Diritto non è, alla fine, che l'ornamento della
sacralitàé.
E' perciò necessario, qui giunti, che i canonisti cattolici prendano atto
in modo assolutamente inequivocabile di due fatti:
a) l'origine e la legittimazione epistemologica della "Teologia del Diritto"
sono del tutto estranee tanto alla Teologia cattolica che alla Canonistica:
‚la Teologia del Diritto -intesa nel senso, divenuto tecnico nella Teologia
protestante, di riflessione sul fondamento teologico del Diritto- è una
Disciplina che non ha alcuna corrispondenza nella Teologia cattolicaé;
b) non esiste all'interno della Teologia cattolica alcuna collocabilità
per tale Disciplina, poiché come ben rilevava già quarant'anni fa
W. Steinmüller:
‚una Teologia cattolica del Diritto che abbia un proprio statuto non solo non
esiste praticamente nei fatti, ma la sua legittimità è contestata
per principio [...] il Diritto appartiene alla natura umana; esso rileva
pertanto nella Filosofia e non nella Teologiaé.
Cosa ben diversa sarebbe, ed è stata in effetti, una "Teologia del sociale" o "Teologia politica", come la chiamò J.B. Metz, che sappia stimolare la fede dei cristiani a farsi concretamente prassi nella storia e nella società; una linea, tra l'altro, imboccata con decisione dallo stesso Magistero pontificio già dal 1891 con l'Enciclica "Rerum novarum" di Leone XIII, ed ora organicamente fissata nella c.d. Dottrina sociale della Chiesa.
3. Il grande equivoco terminologico-concettuale
Alle considerazioni epistemologiche ne vanno aggiunte altre di carattere
sostanziale -per quanto già le prime non fossero esclusivamente formali-
che riguardano non solo la 'legittimità' della meta perseguita e del
percorso attuato, quanto piuttosto il reale 'contenuto' della "Teologia del
Diritto (canonico)" elaborata dagli autori della Scuola di Monaco e dai loro
seguaci.
Come, infatti, P. Erdö -con grande precisione- ha fatto osservare
già da tempo:
‚la scuola di Monaco di Baviera (fondata da Klaus Mörsdorf) [...] cercava
di dedurre l'esistenza e la legittimità di tutto il Diritto canonico da
principi teologici, soprattutto dalla nozione di Comunione, e di utilizzare la
Teologia del Diritto canonico invece della Teoria generale del Dirittoé,
adottata in ambito civilistico, ma giudicata ormai incapace, negli ambienti
teologici tedeschi del dopo-guerra, di sostenere e soprattutto 'fondare' in modo
efficace la realtà giuridica come tale, e non solo quella canonica.
In questo modo il canonista ungherese evidenziava quello che può e
dev'essere riconosciuto e considerato il 'grande equivoco' di quel movimento
dottrinale: l'aver denominato 'Teologia' ciò che consapevolmente non era
tale, né potrebbe esserlo!
Un grave errore metodologico che, come tutti gli errori di 'definizione' (e
'misura'), si ripercuote sistematicamente sull'attività, rendendola ogni
volta maggiormente 'erronea' proprio a causa del ricorsivo consolidarsi
dell'incongruenza di base.
Proprio E. Corecco aveva lasciato intravedere in modo chiaro questa direzione di
sviluppo, quando manifestava la sua incapacità di vedere come, in
realtà, il "sistema giuridico ecclesiale" da "elaborarsi" esistesse
già, pienamente legittimato sotto il profilo sostanziale (contenuti e
storia) e 'codificato' sotto quello formale (Codex pio-benedettino):
‚all'interno di questa ripresa comincia a delinearsi -sia pure su binari
diversi- il formarsi di una nuova Scienza del Diritto canonico che potrebbe far
entrare la Canonistica nella terza fase della sua storia, dopo quella classica
medioevale e quella post-tridentina del "Ius Publicum Ecclesiasticum". [...]
Al di là delle diverse metodologie seguite, la tendenza di fondo della
Canonistica post-conciliare è invece quella di ridare alla Scienza del
Diritto canonico un'identità teologica più precisa, che non
può non sfociare nell'elaborazione di un sistema giuridico concepito
esclusivamente come Ordinamento giuridico ecclesiale, cioè come Diritto
interno alla Chiesa cattolica. In questa prospettiva la funzione culturale
esercitata direttamente dal Diritto canonico medioevale sullo sviluppo della
Filosofia e della Teoria generale del Diritto come del resto il compito
apologetico svolto dall'IPE vengono ricuperati indirettamente dalla forza
profetica del dato teologico enunciato dal Diritto ecclesiale stessoé.
Nonostante però l'altisonanza delle parole la nuova prospettiva non solo
non portava a compimento l'indirizzo programmatico più volte enunciato
dalla Scuola ma, ben più gravemente sotto il profilo sostanziale, non
riusciva neppure ad estromettere definitivamente dalla Canonistica la
necessità di una vera e propria "Teoria generale del Diritto canonico"
com'era già stata lo Ius Publicum Ecclesisticum (che tale era) e come si
era prospettato -con buona attendibilità- tanto da parte della c.d.
Scuola canonistica laica italiana che da parte della Scuola di pensiero guidata
a Pamplona da P. Lombardia. In fondo anche la Scuola di Monaco avrebbe
continuato a produrre/proporre una "Teoria generale del Diritto canonico",
seppur svuotata della propria essenza, poiché trasferita ad un livello
più 'profondo': la "Teologia del Diritto (canonico)", da cui non avrebbe
saputo differenziarsi.
L'equivoco diventava così addirittura contraddizione in termini, non
riuscendo più a tener fisso il significato delle formule testuali (ed i
concetti sottesi) e perdendo completamente di vista la propria ragion d'essere.
Infatti, se lo scopo della "Teologia del Diritto canonico" consisteva nel "dare
una giustificazione teologica all'esistenza del Diritto canonico" -a livello,
pare, ontologico o fondazionale-, non si capisce come e perché la stessa
avrebbe dovuto anche "elaborare una vera e propria Teoria generale del Diritto
canonico". Non di meno rimane problematico -anzi, del tutto confusionale- il
fatto che la Teologia come tale debba "informare il metodo stesso della Teoria
generale", nascondendo del tutto in tal modo l'identità, necessità
e finalità proprio della stessa "Teologia del Diritto (canonico)" che
parrebbe dissolversi all'interno della stessa Teoria generale quale -
semplice(?)- questione di metodo.
‚L'elemento decisivo non è comunque quello della qualità teologica
o ecclesiologica del prodotto finale, ma il cambiamento del principio
epistemologico. E' di questo che la Scienza canonistica dovrà tener conto
per la riformulazione della sua metodologia. Dovrà imparare a elaborare
una Teoria generale del Diritto canonico tenendo conto della
coessenzialità del principio teologicoé
...come se questo non fosse mai successo nella Canonistica classica!
Il vero problema, in realtà, era ben più profondo e riguardava il
rapporto fede-ragione che il tramonto 'fisico' dell'Anti-modernismo aveva
lasciato del tutto irrisolto, in particolare per chi non aveva ancora saputo
cogliere i grandi benefici metodologici della Modernità, né
dimostrava di aver accolto e compreso il dato dogmatico fissato dal Vaticano I
proprio sul tema.
Fu così che il profondo disagio verso la ragione 'moderna' da parte degli
ambienti 'clericali' si trovò in quegli anni quasi costretto a sposare
l'impostazione 'dialettica' -in realtà fideista- che il Protestantesimo
da lunghi decenni stava sostenendo: dove la Neo-scolastica non aveva avuto
successo (riproponendo una ragione d'altri tempi) si sperava ora potesse
trionfare la fede attraverso il 'teologismo', quale pretesa di universale
competenza fondativa dell'essere e del conoscere da parte del 'teologico'
(quando non anche 'fideistico'), usurpando sotto il profilo epistemologico lo
spazio proprio della Metafisica.
Era la linea di passaggio/confusione tra "Teologia del Diritto (canonico?)" e
"Teoria generale del Diritto", tra Fenomenologia ed Ontologia giuridica, su cui
si era mosso alla fine degli anni '60 A.M. Rouco Varela, che proprio a questa
tematica aveva dedicato una fase importante del suo studio e della sua
riflessione partendo dallo studio dei teologi tedeschi (protestanti)
maggiormente attivi sul tema. Per l'autore, che pare ragionare principalmente al
di fuori del Diritto canonico,
‚quando si pensa al problema del Diritto fino al fondo del "che (cosa)" e il
"come" della sua "praticità" come giustizia storicamente vissuta, si
termina nel constatare la sua insolubilità, umano-naturale-relazionale,
in quanto "si tratta del problema della vita stessa: della vita come ordine" [E.
Wolf]. Conseguentemente, se non si vuol cadere in un atteggiamento di
scetticismo e disperazione giuridica, o di cinismo machiavellico, bisogna
ammettere la necessità teorico-pratica di un trattamento teologico dello
stesso [Diritto]. E' in questo momento, che sorge inevitabilmente la domanda per
la Teologia del Dirittoé
con la funzione di orientare tanto la dottrina che la vita giuridica, non
però secondo un nuovo Giusnaturalismo appoggiato ai testi della
Rivelazione cristiana -che non si differenzierebbe da un'esposizione filosofica
del Diritto naturale- ma attraverso la "prospettiva totale di un'Antropologia
teologica" che riconosca all'uomo una 'naturale' apertura spirituale-personale
al soprannaturale (indicata dall'autore sulla linea 'trascendentale' di K.
Rahner). Se quest'apertura infatti
‚si può affermare primariamente ed esplicitamente dell'uomo in quanto
situato nel piano religioso, non meno lo si può affermare -anche se
secondariamente ed implicitamente- negli altri piani della sua esistenza.
Cioè, quest'apertura dev'essere affermata in principio di "tutto
l'antropologico", anche se la sua manifestazione esistenziale, graduale e
differenziata secondo i piani della vita umana, culmina nel piano del religioso.
Pertanto, va affermata anche del "giuridico": l'uomo è anche aperto al
"soprannaturale" nel piano della sua vita socio-giuridica. [...]
Di qui il fatto che il fine ultimo di una Teologia del Diritto oggi, sarebbe
l'estrarre da quest'ordine soprannaturale della Salvezza un ideale-valore di
giustizia "soprannaturale" ed elaborare di conseguenza una categoria
"soprannaturale" di Diritto. [...]
Per presentare un ideale esemplare di giustizia che illumini definitivamente ed
insuperabilmente la struttura della giustizia e il Diritto naturale e allo
stesso tempo serva da obiettivo-modello, mai adeguatamente raggiungibile alla
realizzazione della giustizia umana, soprattutto nell'attuale fase definitivo-
escatologica della Salvezzaé.
In tal modo il Diritto canonico, costituendo ‚l'unica versione storicamente e
categorialmente disponibile del Diritto soprannaturaleé costituirà,
l'analogatum princeps perché, attraverso un processo di analogia fidei
simul et entis anche il Diritto naturale e, conseguentemente quello civile,
ricevano finalmente la propria definitiva 'fondazione' e consistenza.
La "Teologia fondamentale del Diritto canonico" assorbirebbe quindi ratione
æminentiæ la "Teologia del Diritto" la quale -sola- potrebbe
comunque supportare adeguatamente quanto di solito richiesto alla "Filosofia del
Diritto" e "Teoria generale del Diritto", alle quali rimarrebbe il ruolo -
ancillare- di concettualizzazione ermeneutica e sistematizzazione
dell'Ordinamento giuridico, sempre però, all'interno della stessa
"Teologia del Diritto canonico".
A questo punto però, 'chi' faccia 'cosa' tra: "Teologia del Diritto"
(canonico o no), "Teoria generale del Diritto" (canonico o no), "Teologia
fondamentale del Diritto canonico", Metodologia, Canonistica, ecc. diventa
questione neppure da porsi, poiché appare assolutamente chiaro che si
tratta sempre ed esclusivamente di puri verbalismi privi di qualsiasi forza
concettuale!
L'approccio più lucido all'equivoco, ed insieme la sua maggior
'denuncia', proviene dall'elaborazione dottrinale del polacco R. Sobanski che,
pur ispirandosi alla Scuola di Monaco, non si nasconde però dietro
l'equivocità suindicata ma, anzi, l'affronta direttamente criticando la
non chiarezza terminologica della formulazione testuale normalmente adottata.
Sobanski propone in modo esplicito la formula "Teoria del Diritto canonico"
affermando di prediligerla poiché essa (positivamente) chiarisce subito
la funzione di questa Disciplina mettendone in evidenza l'analogia con la
"Teoria generale del Diritto", mentre l'altra (negativamente) risulta abbastanza
confusa, potendo suscitare la falsa impressione che esistano due Scienze del
Diritto ecclesiale, una teologica e l'altra canonistica;
‚proprio il carattere teologico dell'intera Canonistica verrebbe meno se noi
distinguessimo nel suo ambito tra una Disciplina teologica, che si dedica ai
problemi fondamentali del Diritto ecclesiale, e altre Discipline canonistiche,
ma non teologiche, il cui compito consisterebbe nell'interpretazione del Diritto
vigente. Per evitare l'impressione che all'interno delle Discipline ecclesiali
trovino collocazione due Scienze del Diritto ecclesiale, cioè una di tipo
teologico (Teologia del Diritto ecclesiale) e una di tipo giuridico canonistico
(Canonistica), optiamo per la denominazione 'Teoria del Diritto'. Questa
terminologia corrisponde all'oggetto e ai compiti della Disciplina e non lascia
spazio a dubbi sul suo ruolo all'interno di una Canonistica concepita come
Scienza teologica. Con la rinuncia alla denominazione 'Teologia del Diritto
ecclesiale' crediamo di avvicinarci di più agli obiettivi che avevano in
mente i corifei di tale Disciplina, e cioè di chiarire la concezione del
Diritto ecclesiale in nexu mysteriorumé.
4. Il problema sostanziale
Quanto sin qui illustrato circa le premesse della "Teologia del Diritto
(canonico)" delineatasi all'interno della Scuola di Monaco, non è
tuttavia in grado di evidenziare, se non in modo molto velato, la consistenza
reale del 'presupposto' fondamentale di questa 'nuova' Disciplina canonistica,
presupposto che diventa tuttavia palese -in tutte le sue conseguenze più
tragiche- solo quando se ne proiettino in avanti le linee di sviluppo giungendo
alle logiche conclusioni delle premesse così enunciate.
Come facilmente rilevabile da chi abbia una sufficiente consapevolezza e
preparazione teologica, la 'nuova costruzione' non riesce a distaccarsi dai
presupposti che le derivano dalla sua origine più remota nella Teologia
protestante presa incautamente a riferimento e guida non solo dal punto di vista
'metodologico': il rapporto, cioè, Legge-Giustificazione o Diritto-
Salvezza. Ne deriva in modo immediato lo spostamento della tematica giuridico-
ecclesiale dall'ambito (comunitario) dell'Ecclesiologia, sua sede naturale per
la Teologia cattolica, a quello (individuale) della Soteriologia, sua sede
naturale per il Protestantesimo.
La questione non è certo senza un rilievo di primissimo ordine davanti al
fatto che lo stesso Concilio Vaticano II aveva indicato con chiarezza
cristallina la 'sede' adeguata della componente giuridico-istituzionale della
Chiesa proprio nella Ecclesiologia, come unanimemente riconosciuto dagli autori
nel rimando ad Optatam Totius 16:
‚nella esposizione del Diritto canonico e nell'insegnamento della Storia
ecclesiastica si tenga presente il mistero della Chiesa, secondo la costituzione
dogmatica "De Ecclesia" promulgata da questo Concilioé.
Con tutta evidenza, tale cambio di collocazione del giuridico ecclesiale -o canonico che dir si voglia- dall'ambito ecclesiologico a quello soteriologico non solo sconfessa apertamente il Magistero cattolico, anche recente, ma forza le prospettive stesse della materia portandola ad assumere connotati e, soprattutto, contenuti del tutto inaccettabili sia sotto il profilo teologico generale che anche soltanto 'logico', col sostenere che il Diritto canonico riguarda -quando anche non 'condizioni'- la stessa salvezza eterna dei Christifideles! ‚[L'unità del Diritto e il valore della norma disciplinare canonica in rapporto alla salvezza] deve essere cercata, collocandola, come ha fatto Lutero, all'interno della tematica più ampia della giustificazione. Ma, mentre Lutero ha creduto di dovere constatare un'antinomia tra la "Legge" e il "Vangelo", e perciò tra la salvezza proveniente dal Vangelo, cioè da Cristo, e le opere richieste dalla Legge, la Teologia cattolica è riuscita a stabilire un'unità tra il Vangelo e la Legge e tra la Grazia e le opere, avvalendosi di una più coerente valutazione del mistero dell'Incarnazione. [...] Il Diritto della Chiesa, a differenza di quello secolare, derivante dallo "ius divinum naturale", non ha la pretesa di esigere un'obbedienza a livello etico solo intramondano ma anche a livello del destino ultimo e soprannaturale dell'uomo. [...] In linea di principio, l'Ordinamento canonico considera la singola norma disciplinare come vincolante per la salvezzaé.
Gli esiti svianti di tale impostazione sono evidenti a vari livelli anche in autori che non abbiano avuto contatto diretto con le fonti originarie di tale pensiero ma che, tuttavia, ne hanno accolto il presupposto: ‚il Diritto ecclesiale positivo, allora, è una manifestazione della reintegrazione dell'uomo e della vittoria sul peccato, perché non solo fa sì che sia superata la sfiducia nei rapporti tra gli uomini, sia vinta la divisione e siano attuate le possibilità di convivenza, sulla base del rispetto della dignità di ogni uomo e dei suoi diritti inalienabili, ma promuove la comunione con Dio e fra gli uomini in ordine alla salvezza dei membri della comunità ecclesialeé.
La valutazione globale che deriva a questa "Teologia del Diritto (canonico)" non può che essere di assoluta insufficienza, poiché palesemente estranea tanto nella sostanza, che nel 'metodo', che nelle ragioni epistemologiche, al Magistero cattolico, alla Teologia cattolica più autorevole ed alla Canonistica più solida lungo i secoli.
II Parte
5. Identità della (nuova) "Teologia del Diritto canonico".
5.1 Nascita della nuova Disciplina
Dopo quanto sin qui illustrato sulla nascita e concettualizzazione di ciò
cui -storicamente- fa riferimento la formula "Teologia del Diritto (canonico)"
è necessario procedere ora a delineare e definire la nuova Disciplina
accademica denominata "Teologia del Diritto canonico" che il Decreto di riforma
del 2002 ha introdotto nel Secondo Ciclo di studi per la Licenza in Diritto
canonico, al di là dei corsi di Teologia vera e propria che costituiscono
il Primo Ciclo.
Il Decreto del settembre 2002, oltre a riformare l'ordine degli studi
canonistici, assume anche un valore epistemologico di primaria importanza
esplicitando come il vero "tema" da affrontare non sia il rapporto tra Teologia
(Scienza) e Diritto canonico (fenomeno), bensì quello tra "Scienza
teologica" e "Scienza canonistica"; essendo infatti il Diritto canonico non una
"Scienza" ma un "fatto", non lo si può rapportare alla pari con una
Scienza (la Teologia) che lo possa avere (eventualmente) come oggetto
d'indagine.
Le Scienze da rapportare reciprocamente sono invece la Teologia e la
Canonistica. Meglio ancora sarebbe parlare di "ambiti scientifici",
poiché tanto la Teologia che la Canonistica sono in realtà
articolate al proprio interno in diverse Discipline scientifiche, com'è
ben visibile dalla struttura che la riforma del 2002 assegna al Primo ed al
Secondo Ciclo di studi, e come già correttamente esplicitato da T.
Jiménez Urresti oltre 10 anni fa:
‚il canonista comprende che il suo studio del Diritto canonico è Scienza
propria, i cui dati giunge a sistematizzare in teoria in ogni epoca storica del
medesimo; e al contempo è cosciente che, in quanto canonista, non
è competente per dare la ragione radicale del fenomeno canonico, ma la
riserva al teologo, o la realizza lui stesso ma teologizzando, agendo da
teologo, formulando i dati rivelati, pre-canonici, così come i dati di
finalità ulteriore ai quali serve e presta la propria funzione il Diritto
canonico, i dati meta-canonicié.
In tal modo la componente prettamente "teologica" sottesa al Diritto canonico
risulta congruamente espressa dall'Ecclesiologia, per ciò che concerne la
ragione radicale del fenomeno canonico, mentre per gli altri "ambiti", sia
generali che specifici, rimanda alla riflessione teologica (fondamentale e
dogmatica) su ciò che risulta irrinunciabile per la vita quotidiana della
Comunità credente e/o del singolo Fedele:
‚questo carattere che informa il Diritto canonico è un dato teologico. E'
la Teologia del Diritto. Esiste così una Teologia nel Diritto canonico e
una Teologia del Diritto canonico. Il Diritto canonico non esiste né
può concepirsi senza un contenuto teologico, che è parte
dell'Ecclesiologia.
Il canonista riceve ed assume questi dati teologici come postulati provenienti
da un altro campo e da una Scienza superiore alla sua. [...] Il canonista,
cioè, sa dalla Teologia che questa "struttura fondamentale" o "sostanza"
di Diritto divino fu istituita da Cristo in maniera generica, lasciando le sue
forme concrete e il suo funzionamento pratico al potere della stessa Gerarchia
da lui fondataé.
Avventurarsi in quest'analisi comporta non solo l'attenersi ad una corretta
metodologia teologica, elaborando il messaggio delle fonti della Rivelazione (S.
Scrittura, Tradizione, Magistero) deducendone conseguenze logiche vincolanti per
la fede, ma anche la competente analisi del fenomeno giuridico ecclesiale,
distinguendone i contenuti più sostanziali dagli elementi formali e
strumentali che si sono articolati lungo la storia ormai bimillenaria di questa
particolarissima esperienza giuridica, storica e vivente al tempo stesso.
Parimenti tuttavia occorre non scivolare in un radicale cambio di prospettiva
che, salvando le forme, perda però i contenuti:
‚la Teologia del Diritto ecclesiale non può essere sostituita dalla mera
analisi storica. Sarebbe questa un'interpretazione superficiale, propria
dell'istituzionalismo giuridico, che verrebbe in tal modo ad escludere la
questione del fondamento ontologico del Diritto, avendola separata nettamente
dal problema storico. L'analisi concentrata sulla storia delle istituzioni e
delle idee filosofiche nel campo della Teologia del Diritto canonico deve invece
mirare a scoprire l'essenza vera del Diritto ecclesiale, nonché la
tradizione normativa del pensiero teologico su di essoé.
5.2 Prospettiva sovradisciplinare
Ci troviamo a questo punto non più davanti alla Teologia vera e propria,
né alla semplice Scienza canonistica, quanto piuttosto ad un vero ambito
"sovra-disciplinare".
Fa propendere in questa direzione interpretativa anche il fatto che la nuova
"Teologia del Diritto canonico" è affiancata da una "Filosofia del
Diritto", anch'essa preceduta da corsi di ben altra specificità
(Antropologia filosofica, Metafisica ed Etica), in un contesto che contribuisce
ancor maggiormente a suggerire di queste due materie un profilo di "mediazione"
tra le Discipline "pure" (Teologie e Filosofie) ed il cuore dell'ambito tecnico-
giuridico (la Canonistica).
‚Secondo la concezione cattolica il Diritto canonico non può essere
interpretato e gestito come un sistema di regole positive esclusivamente umane,
nemmeno per favorirne la chiarezza metodologica. Ne consegue che sia i canonisti
che tutti i pratici del Diritto ecclesiale necessitano della conoscenza
filosofica, teologica e storica. Nell'usarle, la loro domanda rimarrà
però sempre di ordine canonico: che cos'è canonicamente legittimo
nella Chiesa (quid juris canonici)é.
La scelta, dunque, operata con fermezza dal sommo Legislatore attraverso lo strumento normativo più alto a sua disposizione, la Costituzione Apostolica, supera senz'appello l'esito dell'opera dei discepoli di K. Mörsdorf giunti a creare una loro "Teologia del Diritto (canonico)" rispondente alle istanze parziali e contingenti già più sopra delineate.
Alle caratteristiche -e pretese- di questa "Teologia del Diritto (canonico)" non risponde in nulla la nuova Disciplina omonima posta dal Legislatore all'interno di un quadro caratterizzato senza esitazioni dalla piena giuridicità del Diritto canonico; d'altra parte già il Sinodo dei Vescovi del 1967 aveva stabilito con chiarezza, quale primo principio per la Revisione del CIC '17, che il Codice di Diritto canonico dovesse avere natura "giuridica" a tutti gli effetti. Proprio quanto la nuova decisione pontificia circa le modalità di studio superiore del Diritto canonico sancisce definitivamente, distinguendo con chiarezza tra la previa formazione teologica di base -da attuarsi nel Primo Ciclo di studi (irrinunciabile per tutti i canonisti)- e la vera formazione "giuridica" dei successivi due Cicli di studio.
La nuova Disciplina accademica viene così a presentarsi come un "crinale"
tra i due "versanti" della Scienza teologica e della Scienza giuridico-
canonistica; un "crinale" da cui scorgere le precise specificità dell'uno
e dell'altro "sapere", individuando i migliori "valichi" per la loro
interconnessione, evitando accuratamente fondamentalismi e corto-circuiti
metodologici: non si fa Diritto in modo teologico né Teologia in modo
giuridico, ma ogni Scienza dev'essere conosciuta e sviluppata secondo la propria
identità più specifica nel rispetto di un vero statuto
epistemologico. Scriveva in merito T. Jiménez Urresti:
‚Si può studiare il Diritto canonico su due piani distinti: sul piano
teologico, che studia l'aspetto sociale della Chiesa nel suo intimo, nel suo
valore interiore e trascendente, nel mistero; e su quello canonico, che studia
il suo aspetto umano, fenomenologico e positivo.
La Teologia studia i dati rivelati; il suo intento è di formulare la
verità rivelata, muovendosi sul piano della propria adeguazione a questa
verità, la definisce con giudizi dottrinali.
Il Diritto canonico, invece, ricevendo questi dati teologici che riguardano, in
maniera generica, la struttura sociale della Chiesa, li positivizza nelle sue
leggi; suo fine è il bene politico della Chiesa; muovendosi sul piano
della strumentalità e della positivizzazione, ordina i suoi mezzi sociali
strumentali (leggi) al suo fine e prescrive una condotta sociale con giudizi
pratici, di modo che la "verità canonica" consiste in questa adeguazione
dei suoi mezzi al fine inteso dal legislatore, cioè nella sua efficacia.
Solo la Teologia può emettere un giudizio dottrinale, quello
dell'adeguazione alla verità oggettiva rivelata, e formularlo in varie
lingue, prospettive e con diversi gradi di profondità. Il Diritto
canonico, invece, può formulare tanti giudizi quante sono le
concretizzazioni o positivizzazioni, che gli permette la "sostanza teologica", e
secondo la prudenza del legislatore.
In altre parole: la Teologia studia la volontà del Cristo, mentre il
Diritto canonico prescrive come compiere, nell'ambito sociale della Chiesa,
questa volontà di Cristo, cioè studia la volontà della
Chiesa, che deve mantenersi conforme alla volontà di Cristo. [...]
Da tutto ciò si deduce che la Teologia e il Diritto canonico hanno fini
immediati, campi e piani distinti, e possono tenere, e di fatto tengono,
linguaggio e logica distinti. Sono due Scienze diverse. Però soprattutto
le note della strumentalità e della positivizzazione, che entrano nel
Diritto canonico, lo differenziano essenzialmente dalla Scienza teologicaé.
‚Diremmo, con un'analogia che ci dà luce, che la Teologia e il Diritto
canonico stanno fra loro come la Filosofia e il Diritto. Esiste una Filosofia
del Diritto, però lo studio del Diritto non costituisce una Disciplina
filosofica, ma la cosidetta "Scienza del Diritto". Il filosofo non fa Diritto,
quando studia la Filosofia del fenomeno umano chiamato Diritto; il giurista non
fa Filosofia quando deve accettare da essa i principi di cui ha bisogno.
Così tanto meno il teologo fa Diritto canonico o il canonista Teologia.
Come v'è distinzione tra le Scienze umane sul piano naturale, così
v'è anche tra le Scienze ecclesiali sul piano della fedeé.
Nella stessa linea si è posto anche l'insegnamento dell'attuale Cardinale
P. Erdö:
‚Il Diritto canonico è un sistema normativo che può essere
affrontato sotto ogni aspetto con un metodo giuridico se questo metodo giuridico
non viene ridotto al modo dei Diritti desacralizzati, moderni e razionali. Allo
stesso modo possiamo naturalmente affermare che il suo studio, e anzi la sua
stessa realizzazione, richiedono a volte una riflessione di tipo teologicoé.
[In esso] ‚le Scienze puramente umane, come la Filosofia, la Sociologia o anche
la Scienza giuridica secolare che forniscono al Diritto canonico numerosi
concetti e modelli istituzionali, non possono costituire un orizzonte
interpretativo superiore, tale da poter servire come principio più alto o
ultimo, organizzativo dei fenomeni della vita ecclesiale. Tale principio
organizzativo superiore è dato per l'insieme del sistema ma anche per la
definizione dei singoli concetti e istituzioni di Diritto ecclesiale dalla
realtà della Chiesa che si conosce col metodo teologico. I cultori del
Diritto canonico positivo, nell'ambito della conoscenza unitaria giuridico-
canonica, devono pertanto ordinare tra loro i fondamenti filosofici
(scientifico-profani) e teologici delle loro concezioni sulla realtà
giuridica della Chiesa in un sistema dove il principio ultimo normativo risulti
la verità rivelata. Come sottolinea fortemente la Congregazione per la
Dottrina della Fede, quest'ultima deve fornire i criteri per giudicare i mezzi e
gli elementi concettuali provenienti aliunde, e non viceversaé.
Lo stesso Giovanni Paolo II si era mosso nello stimolare a seguire questa strada di ‚un'autentica interdisciplinarità tra la Scienza canonistica e le altre Scienze sacre. Un dialogo davvero proficuo deve partire da quella realtà comune che è la vita stessa della Chiesa. Pur studiata da angolature diverse nelle varie Discipline scientifiche, la realtà ecclesiale rimane identica a se stessa e, come tale, può consentire un interscambio reciproco fra le Scienze sicuramente utile a ciascunaé.
Proprio in ragione di questa distinzione sostanziale e formale tra le due Scienze spetta ad un ulteriore livello, quello "sovra-disciplinare", fissare le modalità corrette per l'incontro, lo scambio e l'eventuale sintesi tra le diverse Discipline. Il tentativo di proporre qualcosa di simile dall'interno (o peggio, all'interno) di una singola Disciplina porterebbe non solo a delegittimare la "sintesi" proposta ma, più ancora, l'intero impianto "sistematico" di chi volesse prefiggersi una tal meta.
La nuova "Teologia del Diritto canonico" dovrà quindi costituire il primo livello sovra-disciplinare tra le Scienze canonistiche e quelle teologiche, aprendosi progressivamente al dialogo col resto del sapere ecclesiastico; quanto, in fondo, già alla metà degli anni '60 aveva proposto la Rivista Concilium tentando di spingere reciprocamente teologi e canonisti verso una "sintonia comune" sul piano operativo: ‚in tal modo questi potrebbero in definitiva collaborare coi teologi della Pastorale e dell'Ecumenismo, così come coi legislatori, per presentare la Chiesa e le sue funzioni con un aspetto canonico che la renda progressivamente più attraente e munita di un apparato legislativo sempre più adeguato ai segni di ciascun tempo, come la voleva Giovanni XXIIIé.
6. Statuto epistemologico della "Teologia del Diritto canonico"
La "Teologia del Diritto canonico" cui si fa dunque riferimento non potrà
avere un'impostazione retro-spettiva (fondazione epistemologica del Diritto
canonico o della Scienza canonistica) quanto, molto maggiormente, pro-spettiva
nell'individuare le corrette modalità di relazione, incontro, dialogo e
collaborazione tra Teologia e Canonistica.
Tale approccio si caratterizza radicalmente per una spiccata sensibilità
metodologica finalizzata all'individuazione delle 'logiche' e delle 'regole'
secondo cui Canonistica e Teologia si sono reciprocamente relazionate in passato
e devono relazionarsi in futuro all'interno di una dimensione interdisciplinare
capace di creare non solo "ponti" estemporanei tra le due Scienze ma una vera
forma mentis che sappia integrare il dato di fede (norma fidei) e quello
giuridico (norma communionis).
L'attenzione soprattutto ai "principi" su cui articolare questa relazione
impedirà alla nuova prospettiva di chiudersi nella sola dimensione
storica (il passato), stimolando invece prospettive future per una proficua
collaborazione tra le due Discipline perché
‚come il teologo offre al canonista alcuni dati, così il canonista offre
al teologo i risultati pratici del Diritto, che, per essere espressione concreta
e socializzata del Diritto divino della Chiesa, sono non solo fatti canonici, ma
anche fatti teologici, fatti con contenuto teologico, che dovranno essere
conformi alla costituzione generica del Diritto divino della Chiesa e pertanto
anche alle spiegazioni e sistematizzazioni teologiche. [...]
Per questo il canonista, familiarizzato con la relatività canonica delle
molteplici e diverse Discipline esistenti legittimamente nella storia,
aiuterà il teologo a prendere coscienza del carattere generico dei
principi teologici che informano il Diritto canonico, e ad aprire di conseguenza
i suoi orizzonti teologici senza restringerli all'apparenza dei fatti canonici.
Se il teologo dimentica questa lezione, correrà il grave rischio,
accusato già da alcuni, di teologizzare i fatti consumati, cioè
elevare, senz'altro, a categoria teologica i concreti comportamenti canonici
storici, senza spogliarli della loro corteccia di positivizzazione canonica per
estrarne il contenuto teologico.
Con ciò il teologo soffocherebbe il Diritto canonico per immobilizzarlo
col rigore assoluto della verità teologica che attribuisce al fenomeno
canonico. E siccome sembra che questo peccato sia stato commesso più di
una volta, non è strano che in questo senso di parli di "de-
teologizzazione" del Diritto canonico, non per privarlo del suo nucleo
teologico, ma per estrarne il suo contenuto teologico senza aggiunte. Per di
più, il teologo che commette questo peccato restringe l'ampiezza che, per
quanto generici, tengono i principi teologici, identificandoli con una delle
loro possibili realizzazioni concreteé.
La novità non è assolutamente sostanziale, né imprevedibile, poiché corrisponde perfettamente all'indirizzo stabilito già a suo tempo dal Concilio stesso per il rinnovamento di tutte le Scienza e Discipline ecclesiastiche: ‚tutte le Discipline teologiche vengano rinnovate per mezzo di un contatto più vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza. Si ponga speciale cura nel perfezionare la Teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla sacra Scrittura, illustri l'altezza della vocazione dei Fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo. Così pure nella esposizione del Diritto canonico e nell'insegnamento della Storia ecclesiastica si tenga presente il mistero della Chiesa, secondo la Costituzione dogmatica "De Ecclesia" promulgata da questo Concilioé.
Da quanto sin qui delineato pare possibile individuare la Teologia del Diritto canonico come Disciplina metodologica, avente per oggetto il rapporto tra Teologia e Canonistica, secondo il metodo più generale adottato dalla Teologia fondamentale.
Tale metodo infatti, applicandosi all'investigazione delle modalità attraverso cui la Rivelazione divina raggiunga efficacemente la persona umana nella storia offrendo all'uomo la possibilità di relazionarsi in modo personale, libero e responsabile con Dio che lo chiama alla salvezza escatologica, cerca, in fondo, di dare risposta alle domande circa il perché ed il come Dio utilizzi certi strumenti/modi di comunicare tipicamente 'umani', tra cui anche il Diritto che, anzi, diventa pure -nella sua forma canonica- strumento attivo per il conservarsi ed il diffondersi della salvezza attraverso la storia stessa.
6.1 L'oggetto materiale
Un'osservazione decisiva merita l'oggetto materiale di questa Disciplina: il
rapporto tra Teologia e Canonistica; rapporto tra due distinti ed assolutamente
specifici ambiti disciplinari presi in esame non dal punto di vista
'fondazionale' o 'giustificativo' (che senso/legittimità ha il Diritto
canonico come tale all'interno della vita della Chiesa?) ma da quello
concretamente 'funzionale' della 'traduzione' in linguaggio canonistico
dell'autocoscienza di Chiesa prospettata dal Vaticano II.
Precisamente quanto espresso da Giovanni Paolo II nella Sacræ
Disciplinæ Leges a proposito del Codice canonico latino:
‚in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande
sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè
la Ecclesiologia conciliare. Se poi è impossibile tradurre perfettamente
in linguaggio "canonistico" l'immagine della Chiesa, tuttavia a questa immagine
il Codice deve sempre riferirsi, come a esempio primario, i cui lineamenti esso
deve esprimere in se stesso, per quanto è possibile, per sua naturaé.
Oggetto materiale della "Teologia del Diritto canonico" è proprio la
'cura' di questa 'traduzione istituzionalizzante', nel suo intento di offrire e
tutelare la giusta corrispondenza dell'ortoprassi comunitaria (norma
communionis) rispetto all'ortodossia dottrinale (norma fidei) perché fede
e vita si motivino e sostengano reciprocamente nell'esperienza di ciascun
Christifidelis.
Questo comporta -concretamente- la corretta determinazione della Teologia di
riferimento per questo genere di operatività: la Teologia con cui si
relaziona la Canonistica dev'essere infatti la c.d. Teologia positiva (auditus
fidei) e non, erroneamente, quella sistematica (intellectus fidei) attraverso
cui 'ogni' autore cerca e ritiene di poter offrire una lettura complessiva
(originale, stimolante ed, anche, efficace) dell'intero mistero cristiano. In
quest'ottica la deriva 'sistematicista' denuncia un chiaro errore metodologico:
la rinuncia ai 'dati positivi' della Rivelazione/fede per affidarsi alla
suggestività di qualche proposta teoretica non difficilmente del tutto
estrinseca rispetto all'ambito giuridico.
Ciò che, invece, non risulta mai rinunciabile per una Canonistica
rigorosa è proprio il confronto diretto con la Teologia positiva attuato
attraverso la corretta 'lettura' della Tradizione della Chiesa nelle sue diverse
forme: Scrittura e Magistero in primis; sono questi i fondamentali loci
theologici, le 'fonti', da cui trarre la reale consistenza del depositum fidei
che la Chiesa si sforza di mantenere e tutelare nel proprio vivere la fede anche
attraverso la normativa canonica.
Proprio la comunanza delle "fonti" -storiche, bibliche, patristiche e della
Tradizione- porta a sottolineare come l'attuale consapevolezza teologica
permetta alla Teologia di utilizzare i "dati" che provengono dalla storia come
concreti elementi di riflessione, senza teologizzare i fatti storico-giuridici,
ma nella consapevolezza che la Scienza teologica non accede al reale solo
deduttivamente, attraverso la riflessione intellettuale.
La congruità di questo modo di procedere a partire dalla inoppugnabilità del datum teologico-istituzionale (la c.d. norma teologica nella sua genericità) raffrontata con la varietà delle sue concretizzazioni teoricamente e storicamente "possibili" (la relatività della norma canonica), assumendo la storia quale contesto di salvezza e l'humanum come referente cui rapportarsi, si pone come "promessa" di efficacia operativa anche per la nuova Disciplina accademica che si va progressivamente delineando in queste riflessioni.
6.2 Il metodo
Riferire alla Teologia fondamentale il metodo della "Teologia del Diritto
canonico" pare appropriato a causa della "singolarità" del suo oggetto
(il rapporto tra Teologia e Canonistica) che chiede una continua legittimazione
di passaggi e riferimenti da un ambito (Teologia) all'altro (Canonistica), come
la Teologia fondamentale fa tra il 'fatto' della Rivelazione nella sua
oggettività (ordo cognitionis misterii) e le circostanze storico-antropo-
culturali (ordo cognitionis naturæ) in cui essa è avvenuta ed
ancora si attualizza.
Proprio questo riferimento metodologico apre alla "Teologia del Diritto
canonico" prospettive di portata sino ad oggi mai sondate né immaginate
da chi aveva e trasmetteva della Teologia una concezione autoritaria,
dogmatistica e sacralizzante come quella che configurava il pensiero
'tradizionalista' della Scuola di Monaco. Non a caso la Teologia fondamentale
nel senso più specifico (di non semplice Apologetica) trova proprio nel
Vaticano II la sua 'fonte' più autentica:
‚è di fatto a partire dal Vaticano II, con la Teologia che l'ha preceduto
e preparato e quella che lo ha seguito, che si esprime un vero e proprio modo
teologico-fondamentale di pensare la fede e di strutturare questo ambito del
sapere che le è proprioé.
Non che questo rimando semplifichi le cose, vista anche la grande confusione che
pare regnare tra i teologi fondamentali, intenti ciascuno a disegnare per suo
conto e quasi partendo da zero le coordinate epistemologiche del proprio ambito
disciplinare, evidenziando mancanza di consenso intorno all'argomento fino ai
limiti e toni di una vera e propria "disperazione epistemologica". Tale
'vivacità' mette tuttavia in luce la consapevolezza del necessario
confronto con una realtà articolata, complessa e -soprattutto-
estremamente vitale tipica di una Teologia che voglia davvero incontrare la
'vita' degli uomini e dei credenti, proprio come dev'essere un'efficace
"Teologia del Diritto canonico", poiché il Diritto -anche canonico-
è prima di tutto vita.
E' in questa prospettiva non-statica che si possono raccogliere e mettere a
frutto i diversi 'modelli' che, prima come scuole di pensiero ed oggi -forse-
come autentiche acquisizioni metodologiche complementari, hanno caratterizzato
il progresso della Teologia fondamentale: dal modello antropologico-
trascendentale di K. Rahner attraverso il metodo dell'immanenza, al modello
epistemologico di B. Lonergan, al modello ermeneutico di P. Ricoeur, C.
Geffré, R. Marlé, F. Schüssler Fiorenza, al modello
kerygmatico-fondativo di H.U von Balthasar, al modello contestuale di H.
Waldenfels.
Tanto più che pare esserci una certa somiglianza anche funzionale tra la
"Teologia del Diritto canonico" e la Teologia fondamentale, la quale:
‚dovendo fondare in maniera critico-teoretica il cristianesimo -e la Teologia
come Scienza della fede-, deve muoversi nei campi materiali di tutte le
Discipline per perseguire l'interesse specifico della legittimazione della fede
alla luce dei suoi contenuti. In questo senso la Teologia fondamentale è
"sentinella" che vigila su quanto avviene all'interno della dinamica teologicaé;
in modo non diverso da quanto attribuibile alla "Teologia del Diritto canonico"
cui specificamente spetta 'vigilare' sulle corrette relazioni tra Teologia e
Canonistica.
Tutto ciò si traduce concretamente nell'adozione -mutatis mutandis- di
alcune linee metodologiche ormai abbastanza assodate: immanenza, ermeneutica,
contestualità, all'interno di una prospettiva più ampia che non
rinunci ad una certa unitarietà tanto dell'indagine critica che del suo
risultato: l'integrazione.
a) Immanenza: sfuggendo ad un approccio sostanzialmente estrinsecistico (tanto
d'orientamento protestantico che di volontarismo pietistico tradizionalista)
alla volontà divina e, più ancora, al Diritto divino, è
necessario riconoscere nella Comunità credente -più che nel
singolo uomo/battezzato- una sorta di 'a priori' che la inclina alla
giuridicità quale forma 'originaria' di strutturazione della vita
comunitaria: le logiche istituzionalizzanti che guidano -almeno di fatto-
l'evolvere del vivere umano associato. Una considerazione del 'divino' o del
'carismatico' come non contrapponibile -in linea di principio- all'humanum ma ad
esso riconducibile. 'Principio di istituzionalità'.
b) Ermeneutica: la necessaria consapevolezza che la comprensione, non solo
[della norma] testuale, non può prescindere dai soggetti che si
relazionano con le varie espressioni della realtà e della vita nelle
diverse circostanze spazio-temporali. La norma canonica in quanto espressione
nel tempo di uno specifico contenuto teologico (o concezione teologica)
dev'essere accostata prima di tutto secondo la mens auctoris oggettivamente
fissata e 'contenuta' nella formalizzazione del dettato normativo originario.
Anche la traditio che lungo il tempo continua a dar vita e vigenza alla norma,
tuttavia, stratifica in essa ulteriori 'comprensioni' e contenuti che
appartengono autenticamente alla norma attualmente in vigore e che debbono
essere considerati per ottenere una vera conoscenza ed applicazione della norma
stessa all'interno di contesti (orizzonti di significato) teologici
(sacramentali ed ecclesiali) anche radicalmente differenti da quelli originari.
'Principio di relatività'.
c) Contestualità: ciò che viene chiamato auditus temporis (ossia
la capacità di leggere ed interpretare il proprio e l'altrui tempo) quale
riflessione sui rapporti con le altre forme del sapere, in ascolto delle
risultanze contenutistiche provenienti da altri mondi epistemici, in particolare
le c.d. Scienze umane, quando si occupano di tematiche di comune interesse. E'
l'attenzione al contesto culturale e sociale cui appartengono tanto il
legislatore/canonista 'attuale' che quello 'originario', insieme alle loro
concezioni della fede, della vita cristiana, del vivere comunitario e sociale,
della struttura e funzione ecclesiale, tanto teologiche che istituzional-
giuridiche, per una comprensione della reale natura e portata delle concrete
scelte attuate sia in ambito teologico che canonico, con particolare e specifica
attenzione ai reciproci influssi tra l'ambito 'fondativo' e quello 'dispositivo'
su cui ricadono, spesso anche in modo irriflesso, concezioni,
concettualizzazioni e formalizzazioni culturalmente specifiche. 'Principio
d'inculturazione'.
d) Integrazione: un approccio al concreto vissuto della Chiesa in grado di
assumere in sé, tutelare e promuovere la dimensione di 'mistero'
caratterizzante la realtà ecclesiale sotto il profilo teologico, senza
trascurare tuttavia la dimensione storica che rivela questo stesso mistero alla
Comunità e nella Comunità di fede che lo accoglie e che da esso
viene creata e sostenuta;
‚l'integrazione nel mistero non umilia l'evento storico, in quanto il mistero -
anche se in forza di un atto kenotico- si è reso conoscibile
nell'espressione storica e non può prescindere dalla stessa struttura
storica se vuole rivolgersi all'umanità e da questa essere capito e
accolto. L'oggetto peculiare, pertanto, rimane espressione della fede, ma in
un'intelligenza che sa assumere a partire dalla fede, la totalità degli
strumenti criticié;
tanto più che l'oggetto d'indagine non è il contenuto della fede
(norma fidei) ma la corretta relazione tra questo e la sua concreta espressione
'istituzionale' (norma communionis). 'Principio di complessità'.
7. Missione della "Teologia del Diritto canonico" 7.1 La questione 'fondazionale' La corretta individuazione della 'missione' della Teologia del Diritto canonico non può prescindere dal definitivo superamento dell'istanza 'fondazionale' che ne ha caratterizzato in modo così radicale le origini, soprattutto in ambito tedesco.
A ben vedere, infatti, il vero problema epistemologico non sta tanto nella
riconduzione della Disciplina all'area teologica o canonistica:
‚la Teologia del Diritto canonico non fa parte della Scienza del Diritto
canonico, poiché non considera il Diritto della Chiesa dal punto di vista
della qualificazione giuridica (quid juris) ma cerca di definire, dal punto di
vista della Teologia cattolica, il fondamento e il valore delle singole
istituzioni [...]é;
quanto piuttosto nell'individuazione della sua finalità, poiché
se:
‚la Teologia del Diritto canonico non è una Disciplina che riguarda
specificamente il Diritto ecclesiale, ma è una parte della Ecclesiologia
che studia il volto giuridico della Chiesa in quanto comunità, segno e
realizzatrice della salvezza -allora- il suo argomento principale è la
ricerca del posto, delle caratteristiche e del contenuto centrale del Diritto
all'interno del mistero della Chiesa e anche la qualifica teologica dei doveri e
dei diritti ecclesiali dei Cristianié;
questo però non fa altro che riproporre -seppure per via differente-
l'approccio bavarese della 'fondazione teologica del Diritto canonico'.
In tal modo l'indirizzo, pur equilibrato, suggerito da P. Erdö non rende
però ragione della legittima individuazione ed autonomia della Teologia
del Diritto canonico in quanto si tratterebbe solo della trattazione
dell'aspetto istituzionale della Chiesa, mentre il Diritto canonico -esteso come
la vita dei Fedeli- non si limita alla sola istituzionalità ecclesiale ma
offre norme -più o meno- precise per la concreta condotta quotidiana del
Fedeli e, soprattutto, dell'istituzione gerarchica ecclesiastica: una semplice
'tesi' ecclesiologica contro un'intera vita ecclesiale! La proposta di Erdö
pur costituendo un sensibile ridimensionamento della portata dilagante della
prospettiva bavarese non attua però un suo sostanziale superamento
epistemologico.
Al contrario, una Teologia del Diritto canonico di natura 'metodologica' permetterebbe di gestire con cognizione di causa -teologicamente parlando- il concreto giuridico della Chiesa, mentre la specificità e la concretezza del Diritto canonico offrirebbero alla riflessione teologica stimoli e richieste veramente 'pratici' ai quali trovare una risposta corretta sul piano teologico sostanziale: non tanto perché la Chiesa sia giuridica, non tanto dove si fondi il giuridico ecclesiale, ma come dev'essere fondato teologicamente ciò che si propone ai Fedeli come concreta modalità operativa intraecclesiale.
7.2 Compiti della nuova Disciplina Data la novità sostanziale di questa Disciplina rispetto alle riflessioni già articolate lungo il secolo scorso, dati gli elementi storici e sostanziali sin qui evidenziati, data l'innovatività della prospettiva proposta, è senza dubbio necessario prendere atto che il primo compito col quale deve cimentarsi chi si occupi oggi della "Teologia del Diritto canonico" sia quello, ormai irrinunciabile, della strutturazione epistemologica della Disciplina stessa, individuandone ed elaborandone in modo sufficientemente ampio -e plausibile- il 'dominio' d'indagine ed il 'linguaggio formale' in modo coerente alle indicazioni già date.
Ciò non pare tuttavia possibile procedendo in modo semplicemente
teoretico, rimbalzando tra presupposti, idee e loro conseguenze più o
meno immediate ed evidenti, ma solo affrontando le tematiche e problematiche
ritenute -a torto o a ragione- ormai 'classiche' o necessarie per quest'ambito
disciplinare.
Lo statuto epistemologico della nuova Disciplina si puntualizzerà
così più efficacemente -e realisticamente- strada facendo,
coordinando tra loro i risultati dell'esame concreto dei rapporti esistiti
storicamente e di quelli esistenti oggi, in generale ed in specifico, tra
Teologia e Canonistica, viste come approcci specifici ed autonomi alla stessa
realtà: il vissuto "comunitario" della Chiesa.
I tempi necessari per conseguire questo risultato in modo sufficiente non sono
ad oggi preventivabili poiché un tale lavoro non ha la propria variabile
fondamentale nel 'tempo' quanto piuttosto nel 'volume' dell'elaborazione dei
'dati' di riferimento e nella pregnanza dei suoi risultati.
Per quanto concerne il dominio d'indagine della "Teologia del Diritto canonico"
il primo passo determinante è già stato compiuto con
l'individuazione dell'oggetto materiale della Disciplina nel rapporto tra
Teologia e Canonistica; ben più difficoltoso ed articolato appare,
invece, il lavoro di definizione del linguaggio formale che non potrà
sottrarsi ad alcune 'tappe' previe necessarie ad una sorta di 'bonifica' dei
presupposti concettuali di riferimento. Tra essi prima di tutto:
acquisire e 'tradurre' in adeguate categorie giuridiche le autentiche componenti
teologiche soggiacenti al Diritto canonico: sacramentalità, communio,
missio, ecc.
verificare i presupposti metodologici, operativi e strumentali effettivamente
disponibili ed adottati da coloro (legislatori, pratici e studiosi) che col
loro agire hanno partecipato alla storia teologica e giuridica della Chiesa;
ricercare ed esplicitare gli elementi contestuali soggiacenti all'articolazione
delle diverse 'materie' oggetto di normazione canonica: Teologia sottesa, ambito
culturale di riferimento, varianti disciplinari;
esaminare sotto il profilo metodologico le principali questioni biblico-
teologiche di argomento o interesse istituzionale relative, soprattutto, al
Nuovo testamento;
illustrare, circostanziare e ricollocare le tematiche di pertinenza giuridica
del testo biblico: i concetti di Diritto, giustizia, giudizio, legge,
comandamento, precetto, ecc.
purificare il vocabolario tecnico della Canonistica e della Teologia dall'uso
improprio e non circostanziato di formule che non hanno più il valore
tecnico del momento della loro introduzione e che oggi causano ambiguità
ed incomprensioni in chi si è formato partendo da altri presupposti
concettuali e gnoseologici (es.: Diritto divino);
superare i luoghi comuni strumentali di cui tanti autori hanno riempito la
Canonistica: jus divinum, salus animarum, æquitas, epikeia ecc.
7.3 Requisiti di studio
Questo lavoro dovrà essere svolto -non tanto in linea di principio- da
studiosi competenti nell'uno e nell'altro sapere (teologico e canonistico),
effettivamente in grado di approcciare con proprietà le specifiche, anche
tecniche, dei due ambiti disciplinari, sorretti -anche- da una consapevolezza
storico-istituzionale senza esitazioni.
A questo riguardo pare ragionevole chieder loro di disporre della formazione
teologica istituzionale e della necessaria formazione giuridico-canonistica. La
particolare configurazione, infatti, di questo genere di studio sovra-
disciplinare richiede tutta l'ampiezza dell'approccio teologico, nella sua
generalità, non meno della specifica tecnicità di quello
giuridico. Di fatto un approccio teologico inconsapevole delle dinamiche e
logiche tipicamente giuridiche non potrebbe evitare la teologizzazione del
Diritto canonico (attribuendo, p. es., significati e portata teologica a
semplici elementi strumentali); d'altra parte un approccio soltanto giuridico si
troverebbe costretto a riferirsi a componenti pre-giuridiche e meta-giuridiche
semplicisticamente funzionali (scegliendo alla bisogna i concetti necessari:
salus animarum, bonum commune, æquitas, ecc.), senza coglierne la
sostanzialità, cadendo -nuovamente- in una ingiustificata teologizzazione
del Diritto canonico.
Completerebbero opportunamente il quadro conoscenze di Teologia fondamentale e
sacramentaria, Ecclesiologia, Storia e Filosofia della Scienza, Filosofia della
conoscenza, Metodologia della ricerca.
Meno rilevanti paiono essere le preoccupazioni (preclusioni) di chi invoca una
solida formazione teologica dei canonisti per evitare che si continui a partire
da principi della Filosofia del Diritto o della Filosofia politica finendo per
giustapporre estrinsecamente la ratio theologica alla ratio philosophica senza
che la natura e la funzione del Diritto ecclesiale siano comprese
intrinsecamente; proprio la corretta adozione del metodo della Teologia
fondamentale saprà infatti garantire il giusto equilibrio e la giusta
integrazione tra le diverse "risorse" intellettuali e teoretiche, tanto di
natura teologica che filosofica che scientifica.
Allo stesso tempo la portata trasversale e basilare di un'impostazione
metodologica come quella suggerita eviterà il perdurare dello sforzo -
dimostratosi già da tempo inefficace- di applicare in tutte le branche
del Diritto canonico sia un metodo teologico che un metodo giuridico.
Solo in questo modo, per di più, si potrà accostare l'intero
Ordinamento canonico e le sue norme giuridiche secondo una visione globale
corrispondente all'autocoscienza ecclesiale e rispettosa dei dati dogmatici
immutabili che Tradizione, Scrittura e Magistero continuano a riproporre ad ogni
oggi della Chiesa.
Una Disciplina accademica che pretendesse di ottenere questi risultati
semplicemente stralciando contenuti da altre Discipline teologiche
(Ecclesiologia ed Antropologia teologica) non potrebbe che rimanere inefficace.
Un'adeguata proposta metodologica potrebbe, al contrario, conseguire tali
risultati proprio in ragione del basso profilo direttamente contenutistico ma
dell'alta pervasività strutturale e sistematica tipica degli approcci
metodologici.
7.4 Sviluppi contenutistici
Dopo quanto sin qui illustrato e proposto si pone come inevitabile una domanda a
riguardo dei 'contenuti' della nuova Disciplina: si tratteranno sempre e solo
questioni metodologiche, storiche e filosofiche, oppure sarà possibile
anche individuare e sviluppare specifici 'contenuti' disciplinari?
La risposta è certamente positiva: la nuova Disciplina, dopo la messa a
punto iniziale di linguaggio e metodologie, dovrà occuparsi del contenuto
teologico delle norme del Diritto canonico.
In tal senso la formula "Teologia del Diritto canonico" potrebbe correttamente
intendersi come 'Teologia delle -singole- norme di Diritto canonico', indicando
con chiarezza come l'obiectum (materiale) non sia il 'Diritto canonico' come
tale (ciò che costituisce la c.d. questione fondazionale, che però
ha nell'Ecclesiologia la propria legittima ed adeguata sede) ma 'solo' le
singole norme di Diritto canonico o, meglio ancora, il solo 'contenuto'
teologico di tali norme.
Si giustificherebbe pienamente in tal modo la evidente prevalenza dell'elemento
teologico (Teologia) rispetto a quello canonistico (Diritto canonico),
restituendo proprio alla Teologia un evidente primato fino ad ora di fatto
negatole da un approccio canonistico sostanzialmente 'normativista' ed
autoritario come quello derivante dalla prospettiva esegetica (Ius quia iussum).
La via da seguire diventa così la ricerca, l'accertamento, la verifica ed
autenticazione dei necessari 'contenuti' teologici delle norme canoniche; se
infatti è la norma fidei che deve reggere l'intero 'sistema' ecclesiale
(concepito come norma communionis), è allora corretto saper individuare
'quali' contenuti 'di fede' devono essere 'tutelati' nella quotidianità
della vita credente; questo è anche in linea con lo statuto
epistemologico della Canonistica che, secondo l'insegnamento di T.
Jiménez Urresti, è Disciplina deontica con oggetto e metodo
giuridico ma 'presupposto' teologico.
Esemplificazioni chiare possono essere prese con una certa immediatezza tanto
dalle norme canoniche sui Sacramenti, la loro celebrazione, i loro presupposti,
come da qualsiasi altra norma codiciale o no. Un esempio in merito che appare
non scontato ma non certo banale sotto il profilo teologico, è quello che
riguarda il c.d. domicilio canonico (Cann. 102-107): che legame 'teologico'
esiste, infatti, tra il singolo Christifidelis e la Chiesa particolare
d'appartenenza? Concretamente: chi è il 'suo' testimone e garante
dell'annunzio del Vangelo? Oppure: quale dovrà essere il Vescovo che lo
accoglierà in Seminario e gli imporrà le mani per ordinarlo
Presbitero? All'interno della Chiesa universale esistono veri 'legami'
teologico-spirituali con una 'propria' Comunità di fede, oppure è
theologically-correct che ciascuno chieda e riceva i Sacramenti laddove gli
torna più comodo?
Cambiando completamente di orizzonte: quali i limiti di Diritto divino alla
prescrizione canonica del Can. 197? Quale influsso, cioè, può o
deve avere la specifica 'qualità' teologica della materia in questione
per decidere se è possibile o no che il semplice trascorrere del tempo
possa fare qualche differenza? Il Can. 199 infatti indica alcuni casi in cui non
si dà prescrizione: è una problema de Iure oppure de fide?
8. Il problema terminologico Tra i problemi legati all'individuazione (dominio) e messa a punto (statuto epistemologico) della nuova Disciplina accademica non è senza rilievo quello della correttezza, o almeno opportunità, o anche solo legittimità, della sua 'denominazione': perché chiamarla proprio "Teologia del Diritto canonico"? La questione non appare sterile in quanto i travagliati precedenti contenutistici (illustrati nella prima parte di queste note) ne evidenziano la non perspicuità dell'identificazione e non ne favoriranno certo né la crescita, né la trattazione, né l'insegnamento, lasciando adito ad inerzie, riflussi ed ambiguità che continueranno a darne una percezione incoerente quando non anche contraddittoria.
8.1 Approccio formale Va evidenziata innanzitutto la difficoltà di attuare una corretta indagine linguistica sulla formula testuale "Teologia del Diritto canonico" a causa della sua 'giovinezza' e della non specificità della sua origine; la formula infatti sorse originariamente in ambito tedesco (Rechtstheologie) ma ben presto passò sia in quello italiano (Teologia del Diritto) che latino (Theologia Iuris) che spagnolo (Teologia del Derecho) ed altri, a seconda dello sviluppo dottrinale della materia. Pare pertanto piuttosto improbabile riuscire a studiarla alla luce delle strutture e regole grammaticali più proprie di ogni singola lingua, anche se questo non pregiudica l'utilità di un tentativo -per quanto generico- in tal senso. La formulazione ufficiale in latino proposta dal Decreto "Novo Codice" del 2002 non pare sufficientemente significativa per restringere l'analisi a quella sola lingua, trattandosi soltanto di un punto d'arrivo.
Il primo livello del problema 'denominativo' riguarda la concreta
possibilità linguistico-espressiva di mettere in adeguata relazione due
'ambiti' semantici distinti ed autonomi come 'Teologia' e 'Diritto canonico':
come, cioè, connettere tra loro in modo significativo i due 'lemmi' in
una formulazione sensata e sufficientemente espressiva del reale contenuto che
si vorrebbe trasmettere?
Le lingue di derivazione greco-latina non sembrano offrire che due
possibilità: 1) l'utilizzo del genitivo tra i due sostantivi (sostantivo
+ "di/del" + sostantivo), 2) la conversione di uno dei due 'lemmi' in aggettivo
(attributo) con cui specificare il restante sostantivo (sostantivo + attributo).
Le due soluzioni non paiono, però, equivalenti -non solo sotto il profilo
fonetico e linguistico- in quanto un aggettivo ed un sostantivo, pur derivanti
dallo stesso lemma, non apportano all'espressione linguistica la stessa
intensità di contenuto; la varietà, inoltre, di possibili
costruzioni dell'aggettivo interviene ulteriormente nel sottolineare diverse
gradazioni, sensibilità e referenzialità in grado di condizionare
anche pesantemente il significato dell'espressione finale sulla scorta di
presupposti spesso molto parziali, fino a rendere la formula anche solo
'evocativa'. Più stabile si presenta la possibilità offerta
dall'uso del 'genitivo' che pare prospettare una minore ambiguità della
formulazione linguistica, oltre che assicurare un più saldo equilibrio
tra i due ambiti semantici, suggerendo o tutelando rapporti di pertinenza o
comunque di relazionalità; e proprio alla 'relazione' occorre
probabilmente far riferimento nell'interpretazione di questa forma genitiva un
po' sui generis: un genitivo di relazione.
Va considerato, inoltre, come il sostantivo enunciato per primo (o rimasto
l'unico) assuma comunque un ruolo guida nella concettualizzazione proposta,
imponendo la propria preminenza 'sostanziale' quasi come il 'soggetto'
protagonista, lasciando al genitivo o all'aggettivo un ruolo più
subordinato, di specificazione.
Ne deriva concretamente, per il caso in questione, la necessità di
scegliere se attribuire il ruolo di 'soggetto' alla Teologia oppure al Diritto
canonico o, forse più propriamente, alla Canonistica; il resto
verrà necessariamente di conseguenza.
L'istanza non è tuttavia 'indeterminata' né si presenta come
qualcosa di liberamente opinabile poiché, quanto già illustrato e
'fissato' circa il dominio, il metodo, ed i contenuti della Disciplina, non
ammette esitazioni sulla prevalenza dell'elemento teologico, su cui per altro
dopo il Vaticano II non esistono -né lo potrebbero- ragionevoli critiche;
il 'soggetto' è senza dubbio la "Teologia".
Il panorama delle formulazioni testuali possibili si specifica così in
modo abbastanza netto: Teologia giuridica, Teologia canonica, Teologia
canonistica, Teologia del Diritto, Teologia del Diritto canonico, Teologia delle
norme di Diritto canonico...
La 'natura' sovradisciplinare della Disciplina, già illustrata, porta a
scegliere con decisione per l'utilizzo del genitivo: "Teologia di...", in modo
da offrire maggior equilibrio al rapporto tra i due 'versanti' tematici tra i
quali la Disciplina si pone ed opera.
In tal modo la scelta operata dal Legislatore canonico di utilizzare una
formulazione 'genitiva' ("Teologia di...") pare ragionevole e legittima sotto il
profilo formale, anche se non priva di problematicità del tutto
specifiche per l'ambito teologico: il problema delle c.d. Teologie del genitivo
(o 'aggettivate') il cui statuto epistemologico risulta tutt'altro che
univocamente chiarito. La questione riguarda la loro effettiva 'natura'
teologica poiché esse sono in realtà Teologie di secondo grado,
costituiscono cioè un'altra realtà teologica, non ex æquo
con la Teologia propriamente detta, la quale ha per oggetto (obiectum formale
quod) la Rivelazione divina, occupandosi principaliter de Deo, principalius de
rebus divinis, come "Fides et ratio" ha recentemente dovuto ricordare. Queste
'nuove Discipline teologiche' sono in realtà un 'secondo livello'
teologico, concernente le cose umane e le creature (obiectum formale quod) in
quanto riferite a Dio come proprio principio e fine (obiectum formale quo) in
una costante -e regressiva- prospettiva 'fondazionale', all'interno di un
orizzonte ampio quanto le realtà terrene ed umane, che parrebbero poter
così diventare -tutte- 'oggetto' indiscriminato di Teologia, non senza
conseguenze deleterie sulla concezione della Scienza teologica che ne deriva.
Sotto il profilo grammaticale più che di una 'specificazione' della
Teologia parrebbe trattarsi di un 'argomento' cui la Teologia stessa rivolge la
propria attenzione ...tanto più che la Teologia di per sé è
proprio Scienza (di...).
8.2 Approccio sostanziale
Riconosciuta la legittimità linguistico-formale della formulazione
"Teologia di...", l'esame della stessa deve spostarsi ora sul piano sostanziale
mettendo a tema la 'correttezza' sotto il profilo concettuale-contenutistico
dell'individuazione del suo secondo elemento: il Diritto canonico; si tratta,
cioè, di valutare se sia proprio il "Diritto canonico" il vero secondo
'referente' della formulazione testuale.
Va innanzitutto riconosciuta la grande svolta rispetto all'ambiguità
della formulazione primigenia: "Teologia del Diritto" utilizzata a lungo in modo
spesso equivoco dagli autori dell'ambito tedesco (protestanti in primis e
cattolici, poi): individuare con certezza nel Diritto canonico il 'referente' di
questa Disciplina è senza dubbio un notevole passo avanti,
un'acquisizione epistemologicamente irreversibile che dovrà aiutare a
superare definitivamente tutte le prospettive extra-canoniche mutuate
dall'origine protestantica dell'approccio bavarese.
E' assolutamente appropriato dirigere e fissare l'attenzione sul solo Diritto
canonico e non sul Diritto in generale!
La seconda istanza di merito riguarda la 'prospettiva' secondo cui intendere la
"Teologia del Diritto canonico"; la semplice formula testuale, infatti, non
è in grado -di per sé- di decidere tra 1) l'indirizzo
'fondazionale' delle 'Teologie genitive', come di fatto proposto dalla Scuola di
Monaco e dai suoi seguaci e simpatizzanti, e 2) l'indirizzo metodologico
proposto nelle riflessioni sin qui articolate.
Ancora una volta il rigore terminologico e, più ancora, quello
concettuale vengono in aiuto permettendo d'individuare con chiarezza che cosa
sia, in realtà, 'Diritto canonico'. Se, infatti, si sa sfuggire alle
semplificazioni di cui certa Canonistica del Novecento trabocca si sarà
in grado d'individuare la differenza tra 'struttura giuridico-istituzionale
della Chiesa', 'norme giuridiche vigenti nella Chiesa', 'Scienza che studia
l'esperienza giuridica della Chiesa'; solo le norme giuridiche vigenti nella
Chiesa, infatti, possono essere chiamate con proprietà 'Diritto
canonico', poiché il primo ambito è a tutti gli effetti una
questione ecclesiologica, mentre il terzo costituisce la Scienza canonistica
vera e propria.
Anche sotto il profilo sostanziale, dunque, la formulazione testuale "Teologia
del Diritto canonico" risulta pienamente legittima, indicando espressamente lo
studio del contenuto teologico delle norme giuridiche canoniche, come più
sopra illustrato.
Una terza istanza di carattere puramente circostanziale -ma non per questo trascurabile nella pratica- va individuata nella presenza ed utilizzo all'interno del panorama dottrinale del XX sec. della formula "Teologia del Diritto canonico" che, per quanto non priva di difficoltà, costituiva già una sorta di acquisizione cui difficilmente si sarebbe potuto rinunciare, almeno per l'altisonanza assunta di fatto dalla formula.
P. Gherri