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In quest'ottica il primo risultato attiene proprio all'impostazione interdisciplinare e riguarda il 'metodo' stesso, tanto d'indagine che di sistematizzazione, con l'emergere deciso dell'approccio fenomenologico, tanto appropriato e proficuo in sede filosofica (come hanno ben mostrato gli studi su K. Wojtyla e B. Mondin) che in prospettiva tecnica (processuale e psichiatrica) e storica (la giurisprudenza del Card. Roberti). Il risultato è di primaria importanza non solo per le questioni poste alla base del tema affrontato (Antropologia e Personalismo) ma anche per la Scienza canonistica in quanto tale; l'emergere, infatti, ed attestarsi dell'attenzione e considerazione per 'ogni' e 'ciascuna' persona/situazione personale finisce per scardinare dalle fondamenta uno dei presupposti -preconcetti- epistemologici più radicati nella prospettiva gnoseologica pre-moderna (tomistica): "de singulis non est scientia", aprendo invece programmaticamente e strutturalmente alla necessaria volontà di conoscere proprio ogni/ciascuna 'singola' persona tutte le volte che una "imago Dei" entri nella considerazione della conoscenza, valutazione e 'giudizio' tanto della Chiesa come tale (al suo livello istituzionale) che degli uomini-di-Chiesa nell'assolvimento di un munus loro affidato.
Si consegue in questo modo -e con sicurezza- il secondo risultato del lavoro intrapreso, rispondendo ad una delle domande specifiche proposte alla comune riflessione, poiché la considerazione dovuta a ciascuna persona in sé e per sé la 'stacca' immediatamente dallo 'sfondo antropologico' generale ponendola in primo piano, permettendole così di non esser più un4 semplice, anonimo, 'essere umano'... 'una' donna o 'un' uomo qualunque -'un' marito o 'una' moglie come/tra tanti-, ma di 'identificarsi' davanti e rispetto all'umanità intera, non per contrapposizione ma per 'id-entità'. Non più, quindi, 'elemento' di una 'classe' di elementi equivalenti ed equifunzionali, ma specifica, irreversibile, ineguagliabile 'entità': id-entità, la cui conoscenza non può darsi in alcun modo per facti-speciem o per universalia, e neppure secondo il tomistico "ut in pluribus", né tanto meno per semplice deduzione sillogistica dall'idea di uomo o da una sua qualsiasi concezione (Antropologia). Non più semplice 'ens' ma 'id-ens' ...l'"io", il "tu", il "sé" che il Novecento ha finalmente saputo mettere a fuoco, 'id-entificare' ed indicarci quale 'intenzionalità' stessa -diretta ed immediata- di Dio.
Acquisizioni di questo tipo e di questa portata stimolano con immediatezza la necessaria riflessione critica -terzo risultato- sul profondo 'dualismo antropologico' che -nonostante tutto- continua a soggiacere (affliggendole) alla maggior parte delle concezioni canonistiche, tanto dottrinali che sistematiche ...che normative, quasi costringendo tanto l'azione ecclesiale che quella del singolo Christifidelis a 'sdoppiarsi', almeno concettualmente, tra un livello concretamente esistenziale (fisico-psichico-affettivo) ed uno teoreticamente spirituale (l'anima). In questa prospettiva, la profonda unitarietà della persona umana e la sua assoluta singolarità finiscono per mettere in crisi l'efficacia di categorie concettuali quali "cura animarum", "salus animarum" (ed equivalenti) rendendole del tutto inservibili ai nostri giorni e chiedendo alla sistematica ed alla dottrina canonistiche la capacità di 'comprendere' nel vissuto ecclesiale l'integralità della persona del Fedele, del Discepolo di Cristo, dell'uomo chiamato alla salvezza. La Chiesa voluta da Cristo ed affidata agli Apostoli ed al loro ministero non ha negli uomini dei referenti di 'sponda' (indiretti) che rimandano in realtà ad un'anima quale elemento assiologico 'estrinseco' della propria attività5. Il Verbo si è fatto uomo -integrale- per portare agli uomini -integrali- la salvezza escatologica -integrale-; ha agito e patito nel corpo quanto realizzava nello spirito ed ha promesso la risurrezione della carne perché la persona umana permanga 'integra' -anche- nell'eternità.
Destinataria dell'azione ecclesiale in sé medesima (tanto spirituale che istituzionale) non è pertanto la sola 'anima' ma la persona integra ed integrale: è ad essa che deve riferirsi l'Ordinamento giuridico canonico non solo in campo matrimoniale -dov'è più evidente- ma anche, nondimeno, nel campo della Vita consacrata e clericale, così come nella Pastorale sia catechetica che sacramentaria ed in ogni e ciascuna sua espressione, superando anche il limite strettamente 'funzionale' che l'Ordinamento riconduce oggi alla 'capacità giuridica dei battezzati' (Cfr. Can. 96). Al di là, infatti, della necessità -puramente tecnica- di identificare con chiarezza la qualità delle 'relazioni' ecclesiali in base allo status canonico dei Fedeli, non si può ignorare come la Chiesa -costitutivamente missionaria- sia radicalmente strutturata per rivolgersi -e di fatto si rivolga- all'umanità come tale, ad ogni uomo e donna6... che oggi non è più possibile non individuare -anche 'tecnicamente'- come "persone", in senso ontologico ben prima che tecnico-ordinamentale.
Il quarto risultato, per quanto più sfumato ed indiretto -ma altrettanto consequenziale-, riguarda l'effettiva possibilità di concretizzare una prospettiva teoretica generale del Diritto canonico in chiave 'istituzional-personalista', proponendo una visione dell'Ordinamento canonico e della giuridicità del vissuto ecclesiale in cui la preminenza pressoché assoluta delle funzioni ministeriali svolte nella/dalla Chiesa (munera) ed attuate attraverso l'attività dei diversi tipi di 'ministri' costituisca soltanto il 'polo' funzionale di una vita di fede che non può mai prescindere dalle concrete persone dei Fedeli che annunciano ed accolgono il Vangelo, che celebrano i Sacramenti ed attraverso di essi crescono nella propria configurazione a Cristo, modellati dall'azione dello Spirito santo per una piena e definitiva santità.
Il binomio istituzione-persona sarebbe, così, adatto a declinare l'aspetto invariante (istituzionale) della vita secondo il Vangelo (depositum fidei ed apostolicità della Chiesa) in rapporto a quello assolutamente personale concretamente realizzato e perseguito da ogni battezzato, evidenziando nella componente istituzionale non un quid in qualche modo autonomo ed autoreferenziale con cui i Fedeli sarebbero quasi 'costretti' a confrontarsi più o meno conflittualmente9, ma la semplice 'formalizzazione' di 'ruoli' e 'funzioni' (ministeria, munera, officia) che concretizzano l'esercizio articolato ed ordinato del ministeriale sacerdotium che Lumen Gentium presenta come funzionale alla comune condizione di ogni battezzato (commune sacerdotium), in una prospettiva che non necessita per esistere e funzionare di null'altro che della stessa esistenza ecclesiale e della Traditio che la rende possibile.
Il terzo e quarto risultato presentano poi un'apprezzabile convergenza nella possibilità di concepire e 'reggere' l'intero Ordinamento canonico semplicemente su base 'personalistica', senza dover ricorrere a concettualizzazioni che non smettono di apparire totalmente estrinseche rispetto ai principi teologici 'costituzionali' e 'costitutivi' dell'Ordinamento canonico stesso. È infatti di tutta evidenza lo scarto concettuale e prospettico esistente tra la 'dignità' ontologica della persona umana, teologicamente prospettata e compresa quale "immagine di Dio", e la 'formalizzazione' di alcune sue 'attribuzioni', per quanto 'fondamentali', nella categoria -soltanto analogica- di 'diritti', la cui reale fruibilità rimane del tutto problematica a livello 'ordinamentale', non solo canonico.
Non che il ricorso, anche intra-ecclesiale, alla categoria dei "diritti fondamentali" (dei Fedeli) sia stato inutile nella Codificazione canonica post-conciliare, ma certamente circostanziale alla particolare epoca storica. Il forte rimando a tale categoria, infatti, ha contribuito non poco a stabilizzare l'ambiente ecclesiale che stava rinascendo alla luce della Communio e del superamento del dualismo laicale-clericale ormai fossilizzato nella societas inequalium. Tutto questo, però, oggi non è più realmente sostenibile sotto il profilo teoretico e fondativo e chiede la capacità di andare -molto- oltre, rivestendo la persona umana di una reale dignità che vada parecchio al di là di tante, semplici, puntuali, attribuzioni spesso talmente teoretiche da non concretizzarsi in nulla che sia effettivamente esercitabile ed istituzionalmente esigibile, ma non per questo estraneo alla concretezza della vita anche ecclesiale.
Ben diversa risulta, invece, la prospettiva della concreta persona umana che, accogliendo l'annuncio evangelico, s'inserisce vitalmente nella Traditio ecclesiale per godere i frutti di Grazia che in modo pienamente storico la Comunità dei credenti in Cristo continua a rendere disponibili ad ogni uomo di buona volontà (Cfr. Cann. 213 e 107). Proprio la Traditio (nel senso di apostolicità e successione apostolica) infatti, custodisce ed è a sua volta custodita dalla Institutio che garantisce il perdurare del 'carisma' originario al di là di ogni e qualsiasi cambiamento di persone, tempi e luoghi ...fino alla consumazione di questo mondo, secondo la testimonianza -costitutiva- del Nuovo Testamento.
Vale la pena rimarcare, conclusivamente, il grande guadagno teoretico e fondativo che la Canonistica ottiene ogni qual volta si ponga in sintonia con ciò che è più autenticamente 'umano', quasi chiedendo di venir introdotta nelle maglie più profonde di quella storia che è la 'tenda terrena' di ogni uomo ...accanto a cui lo stesso Verbo di Dio ha voluto porre anche la propria.
P. Gherri