testo dell'articolo senza le note - per la versione integrale consultare la versione a stampa



Primi appunti per una storia delle origini della Teologia del Diritto (canonico)



PREMESSA

Le pagine qui proposte (attualmente utilizzate come supporto didattico nel Corso di “Teologia del Diritto canonico”) costituiscono non già uno ‘studio’ né, tanto meno, una valutazione adeguatamente critica dei prodromi della c.d. Rechtstheologie, ma una –ben più– semplice ricognizione previa del campo amplissimo in cui cercare le più profonde radici di uno dei maggiori fenomeni teoretici della Canonistica del Novecento.

La solida, per quanto solo abbozzata, base ricognitiva sottesa a queste ‘note operative’ permette di offrire alla pubblica condivisione una ‘ipotesi di ricerca’ che, proprio perché condivisa già nel suo –modesto– sorgere, potrebbe offrire interessanti sviluppi all’intera comunità scientifica canonistica (e, forse, non solo).

Le tematiche e problematiche evocate, distese su un secolo e mezzo di storia europea, a cavallo tra politica, potere, imperialismi, nazionalismi, storia, Filosofia, Teologia, persecuzioni, religioni, ideologie, dittature, due guerre mondiali, ecc. meritano prolungati tempi di ricerca e riflessione per dare ben altra estensione, organicità e ponderazione ad un ‘evento’ così ampio e coinvolgente.

L’evidente novità della prospettiva d’indagine proposta e l’apprezzamento di autorevoli studiosi (oltre alla non secondaria soddisfazione degli studenti) mi spingono così ad accettare l’esposizione alla critica …nella consapevolezza che scoprire nuove particelle sub-atomiche, nuove proteine o virus è certamente meno problematico che rinvenire aporie e fraintendimenti nel pensiero di maestri e colleghi. Ma anche questa è ‘Scienza’ …né si giudica maggiore l’importanza di chi crea un ‘vaccino’ (pars construens) rispetto a chi scoprì la malattia (pars denstruens).


INTRODUZIONE

Come appare evidente già da una prima consultazione dei ‘testi’ disponibili in Italia per insegnare accademicamente la Disciplina denominata “Teologia del Diritto canonico”, ad oggi non è ancora possibile definire dal punto di vista strettamente epistemologico tale Disciplina, poiché la sua identità continua a coincidere in massima parte con la fase più recente della sua stessa storia e non esiste alcun consenso nel fissarne l’oggetto materiale d’indagine. Soltanto si è molto discusso in tema di ‘metodo’ e solo a questo si riferisce la quasi esclusività della letteratura in materia; mentre di fatto ciascuno tratta poi di quanto ritiene meglio. Non si può tuttavia nascondere o ignorare come questo costituisca in effetti un gravissimo problema proprio sotto il profilo epistemologico, poiché non è possibile trattare scientificamente del ‘metodo’ di una Disciplina senza neppure sapere di che cosa essa si occupi.

Il problema assume una portata tanto maggiore tenendo conto anche del fatto che ad oggi continua a non esistere una ‘Storia’ di questa Disciplina; solo si stagliano sull’orizzonte due personaggi quasi monumentali: Rudolph Sohm (1841-1917) e Klaus Mörsdorf (1909-1989), comunemente indicati quali i veri ‘referenti’ della Disciplina denominata propriamente “Teologia del Diritto”.

Questo stato di cose rende ormai necessaria almeno una sommaria ricognizione storica per sondare le condizioni minime adatte a formulare una proposta fondata e consistente in merito. Tale ricognizione, tuttavia, non costituisce soltanto una semplice ‘premessa’ di carattere circostanziale, ma partecipa a pieno titolo dell’individuazione degli elementi e dei fattori necessari proprio per mettere adeguatamente a fuoco l’oggetto materiale della Disciplina stessa sotto il profilo epistemologico. Senza conoscere, infatti, a quali domande la Disciplina voleva rispondere nel suo sorgere, non pare possibile individuare la Disciplina stessa nella sua specificità.


L’approccio epistemologico che s’intende assecondare richiede, strutturalmente, due livelli di consapevolezza e di conseguente indagine: a) quello formale, b) quello sostanziale, da investigarsi per quanto possibile separatamente per evitare il maggior numero di indebiti ‘versamenti’ da un campo all’altro e, soprattutto, alcuni dei cortocircuiti interpretativi che ancor oggi caratterizzano la materia.


1. APPROCCIO FORMALE

1.1 Settembre 1933

La prima data ‘utile’ dal punto di vista storico è la fine di settembre 1933 quando, nel primo Sinodo nazionale della neo-costituita “Chiesa Evangelica Tedesca” (E.K.D.) –che aveva approvato la propria Costituzione ‘federale’ l’11 luglio 1933– proprio in seguito all’affermazione di Hitler come Cancelliere (a gennaio), la corrente maggioritaria dei “deutschen Christen” (Cristiani tedeschi), ispirandosi alle recentissime Leggi ariane dello Stato, impose l’approvazione del c.d. “paragrafo ariano”, che impediva ai “non-ariani” di diventare ministri di culto o insegnanti di religione.


Ciò che precede questi fatti va letto nelle specifiche circostanze germaniche della Repubblica di Weimar instauratasi dopo la pesantissima sconfitta subita dalla Germania nella prima guerra mondiale; in essa lo spirito di rivalsa germanico, il fondamentalismo nazionalistico, lo spirito di popolo (“Volk”), confluirono nel compattare le forze conservatrici anche in campo religioso. Molti protestanti tedeschi accolsero favorevolmente l’avvento del nazismo, che s’impose alle elezioni d’inizio 1933 proprio nei Lander a maggioranza protestante; in particolare il gruppo dei cosiddetti deutschen Christen si fece portavoce dell’ideologia nazista all’interno della stessa Chiesa protestante, ormai pacificamente ‘unificata’ da circa un secolo. Era stato, infatti, l’Imperatore Federico Guglielmo III di Prussia ad unire per Legge tutte le Chiese riformate germaniche all’interno dell’unica “Unione evangelica” nel 1817, facendo confluire insieme Luterani, Calvinisti, e tutti i Riformati tedeschi, in un’unica Chiesa ‘nazionale’. Nulla era stato possibile invece verso i cattolici che durante tutto il Kulturkampf avevano resistito strenuamente a qualsiasi tentativo giurisdizionalistico imperiale e ‘nazionalista’.


Il nuovo regime affermatosi nel 1933 aveva preso quasi immediatamente importanti provvedimenti giurisdizionali proprio in tema di Diritto ecclesiastico (Kirchenrecht), mirando ad una compattazione delle Chiese protestanti sotto l’unica bandiera politico-culturale del Volk germanico e della sua ‘causa’ ormai polarizzato dalla figura del nuovo Cancelliere del Reich, tentando di conglobare in un unico organismo ecclesiastico –la “Reichskirche”– tutto il protestantesimo tedesco, modellato secondo il Führer-Prinzip (il principio del Führer), con a capo il “vescovo del Reich” (Ludwig Müller) e dominato dal movimento dei deutschen Christen che propugnavano una sintesi tra cristianesimo e germanesimo, ravvisando nella “rivoluzione nazionalsocialista” un luogo in cui Dio si rivelava ed in Hitler un portavoce di questa rivelazione.


L’invadenza degli interventi giurisdizionali nazisti, però, aveva già messo in guardia le menti più lucide della Chiesa evangelica tedesca che ben presto cominciarono a guardare con grande criticità a quanto accadeva.

D. Bonhoeffer col suo saggio dell’aprile 1933, “La chiesa davanti al problema degli ebrei”, fu il primo ad affrontare il tema del rapporto tra la Chiesa e la dittatura nazista, sostenendo con forza che la Chiesa aveva il dovere di opporsi all’ingiustizia politica; a lui si affiancò negli stessi mesi lo scritto “Esistenza teologica oggi” di K. Barth: un primo manifesto teologico contro i cristiano-tedeschi.

Il nuovo scenario socio-politico aveva già portato nei mesi precedenti alcuni Pastori berlinesi (fra i quali –il pur nazionalista– Martin Niemöller ed il giovane Dietrich Bonhoeffer) a costituire d’urgenza un’associazione denominata “Lega d’emergenza dei Pastori” (Pfarrernotbund), la quale da un lato dichiarò l’incompatibilità delle Leggi razziali con la fede cristiana, dall’altro organizzò l’assistenza alle persone colpite dalle misure persecutorie. L’opposizione della “Pfarrernotbund” all’interno della “Chiesa Evangelica Tedesca” fu fortissima e pose le basi di quella che sarebbe poi stata chiamata “bekennende Kirche” (Chiesa confessante), costituitasi ufficialmente con l’Assemblea del 1934 a Wuppertal-Barmen, dopo che nel gennaio 1934 il “vescovo del Reich” aveva emanato il cosiddetto “Atto museruola” con cui si proibiva “l’erroneo utilizzo di funzioni religiose per affari riguardanti questioni politico-religiose, in qualsiasi forma”, inclusi attacchi contro il governo della Chiesa o le sue azioni.


1.2 Barmen 1934

Dopo questi fatti ‘preliminari’, la data d’inizio ‘formale’ della “Teologia del Diritto” è da individuarsi nell’Assemblea di Barmen (29-31 maggio 1934) quando una parte, minoritaria ma qualificatissima, della Chiesa evangelica tedesca si riunì per assumere una decisa posizione contro le Leggi razziali del ’33 e sancire la ‘storica’ frattura tra “Chiesa confessante” e “Chiesa dei cristiani tedeschi”.

Fu in tale occasione che venne formulata la c.d. Dichiarazione teologica di Barmen (“Barmer theologische Erklärung”), il cui principale teoreta fu K. Barth, che avrebbe costituito il fondamento teologico della Chiesa confessante durante il regime nazista; oltre che del protestantesimo mittel-europeo come tale nel dopo-guerra. La dichiarazione ribadiva la centralità di Cristo quale fondamento della fede della Chiesa e respingeva quindi criteri e istanze estranee ai principi cristiani, come le pretese totalitarie del regime nazista, nonché il tentativo di appropriarsi del messaggio evangelico per scopi politici. Dopo l’Assemblea andarono costituendosi molte comunità legate alla Chiesa confessante che rifiutarono di sottomettersi alle gerarchie ufficiali della Chiesa di Stato imposte dal Partito. Questa resistenza non fu inizialmente motivata politicamente, quanto piuttosto fondata sulla volontà di opporsi dall’interno della Chiesa stessa ai deutschen Christen ed al loro asservimento politico, evidentemente fuori strada dal punto di vista teologico.

Si trattò comunque di una vera e propria Chiesa parallela che ebbe un’esistenza autonoma a tutti i livelli (autogoverno, formazione dei Pastori, rappresentanza negli organismi ecumenici) fino a quando cessò praticamente di avere rilevanza pubblica (intorno al 1938) sia per dissensi interni che per la crescente repressione poliziesca; sopravvisse però come Chiesa clandestina, a livello locale e nei campi di concentramento, dove molti pastori furono internati e diversi subirono il martirio.


A parte l’indubbio valore della scelta assiologica, teologica, ecclesiale (e politica) effettuata, cui avrebbe dato seguito lo sviluppo dello stesso protestantesimo della seconda metà del sec. XX, e l’elevazione dei suoi promotori a veri ‘modelli’ per le nuove generazioni di credenti (D. Bonhoeffer per tutti), ciò che però importa per la storia della “Teologia del Diritto” è il nuovo scenario teoretico che si venne inaugurando dal punto di vista dell’autonoma organizzazione intra-ecclesiale.

In effetti la scissione, enfatizzata solitamente dal punto di vista soltanto socio-politico, fu di grande impatto soprattutto dal punto di vista teologico, poiché si trattò di rifiutare in modo espresso uno dei ‘fatti’ più consolidati della Riforma protestante: l’attribuzione del c.d. potere ‘episcopale’ (la vigilanza ecclesiale) allo Stato invece che ad una ‘Gerarchia ecclesiastica’, com’era nel cattolicesimo. Proprio da tale rifiuto era derivata la sostanziale assenza presso le Chiese protestanti di un vero ‘Diritto canonico’ (Kanonischen Recht), poiché le sue funzioni erano sostanzialmente demandate al ‘Principe’ prima, allo Stato poi, attraverso il c.d. Kirchenrecht: il Diritto dello Stato in materia di religione e culti (altrimenti detto: Diritto ecclesiastico). Così, d’altra parte, era stato in Germania –di Diritto– dai tempi di Lutero fino al 1918 e stava ritornando ad essere sotto il “Terzo Reich” con la sua politica pervasiva ed accentratrice di ogni aspetto della vita sociale.


1.3 La questione cruciale circa il governo ecclesiale

A ben vedere, al di là di troppe ‘mistiche’ sino ad oggi propugnate in modo ideologico, il motivo sostanziale del contendere tra i due schieramenti ecclesiali protestanti fu niente di meno che ‘il Diritto’: come tale …e per la Chiesa (protestante, ovviamente). Una questione fondamentale, fondante e radicale! Tanto da giustificare un vero scisma.


La questione era esiziale: la ‘corruptio legis’ –per dirla con Agostino e Tommaso– costituita dai provvedimenti legislativi razziali poneva un problema ‘ontologico’ sul Diritto come tale, cui si contrapponeva un problema ‘teologico’ a riguardo della sua ‘relazione’ con la Chiesa. Portatori ‘teoretici’ della prima istanza erano giovani teologi come K. Barth, D. Bonhoeffer ed altri che non ebbero dubbi nella scelta: il Diritto non poteva più esser delegato allo Stato! Tanto più quello in materia di organizzazione e vigilanza ecclesiale: il Kirchenrecht.

Ciò costituiva però un’evidente rottura rispetto a quanto, partendo dalla c.d. Teologia liberale (protestante), si era propugnato lungo tutto il XIX sec. con l’assunzione di posizioni espressamente razionalistiche e naturalistiche che, più per motivi filosofici che teologici, aveva fermamente rifiutato l’autorità episcopale come governo e giurisdizione intra-ecclesiale, riservandola unicamente allo Stato.

Si pose così una profondissima questione di legittimità e fondatezza della nuova linea… ormai doverosa in capo etico-morale, ma non ancora sufficientemente consistente sotto quello ‘teologico’. La traumatica scissione delle Chiese evangeliche tedesche in “confessanti” e “nazionali” testimonia la gravità della situazione: da una parte si rifiutò il protestantesimo ufficiale-sociale per non accettare il nazismo, dall’altra si accettò –anche– il nazismo pur di rimanere fedeli all’evoluzione moderna della Riforma!


1.4 La nuova istanza pratico-teologica

La situazione creatasi poneva così in seria questione la configurazione assunta dalla Riforma protestante nell’ultimo secolo anche ‘grazie’ all’apporto dei maggiori pensatori (filosofi) tedeschi: proprio l’irrilevanza teologica del Diritto, anzi, la sua completa ed espressa esclusione dall’ambito teologico ed ecclesiale; trattandosi, infatti, di mera quæstio naturæ essa era demandata a priori al regnum terreno (di fatto lo Stato).


La scissione, chiara per i confessanti sotto il profilo teologico e teoretico, richiedeva però una legittimazione profonda e radicale di quello che costituiva a tutti gli effetti uno strappo ‘teologico’ e socio-istituzionale per le Chiese evangeliche tedesche: un vero scisma, col formale rinnegamento delle maggiori ‘conquiste’ teoretiche della ‘ragione’ e dello ‘spirito’ germanici nell’Ottocento razional-liberale, cioè la ir-rilevanza ‘ecclesiale’ del Diritto.

Di fatto, la scelta anti-statale intrapresa a Barmen comportava ora la necessaria collocazione del Diritto all’interno di un orizzonte da tempo incapace di occuparsi di una questione di portata tanto radicale. Occorreva trovarne il punto d’innesto nella Teologia, allora ancora maggioritariamente ‘liberale’: il ‘locus theologicus’, come lo chiameranno –non correttamente– in seguito un certo numero di autori. La questione non era certo banale e solo considerando adeguatamente (da un punto di vista anche emotivo) la nuova situazione pratico-teologica si potrà cogliere la radicalità e la irrinunciabilità per l’ambito cultural-religioso-politico-geografico tedesco della riflessione andata poi sotto il titolo di “Teologia del Diritto” (Rechtstheologie).


Con la Dichiarazione di Barmen era iniziata una vera e propria ‘revisione’ del protestantesimo: una sua ‘nuova edizione’ su basi radicalmente diverse da quelle assunte nella Modernità. Una tale circostanza, indotta forzosamente dall’esterno e non maturata ‘naturalmente’ dall’interno della vita ecclesiale, imponeva pertanto un’immediata auto-giustificazione sotto il profilo teologico tanto più profonda ed intensa quanto maggiore si presentava l’auto-rinnegamento (scisma) ormai messo in opera.


1.5 Il problema fondazionale

L’identità e specificità di questa ‘circostanza’ –esogena– originante è comprovata dalla natura espressamente ‘fondazionale’ della Rechtstheologie cui s’iniziò a lavorare in quel frangente.

La rivendicazione di una ‘giusta’ (perché teologicamente necessaria) autonomia organizzativa, funzionale e gestionale, della Chiesa rispetto ad uno Stato divenuto ormai ‘etico’ (solo come pretesa!) e palesemente anti-evangelico, non trovava precedenti nella storia ecclesiale luterana (e riformata in genere), ponendo così l’evidente problema di –almeno– ‘giustificare’ un nuovo corso teologico espressamente contrario all’ormai assodata comune recezione del protestantesimo. Occorreva una nuova ‘fondazione’. Per quanto ‘parziale’!

Occorreva dare identità e dignità al Diritto per potersene ri-appropriare teologicamente e servirsene in modo adeguato all’interno della vita ecclesiale.


Il problema risaltava tanto maggiormente a causa delle forti istanze che i decenni precedenti avevano espresso proprio in tema di ‘compatibilità’ dell’istanza giuridica con quella ecclesiale: il problema del Kirchenrecht posto cinquant’anni prima da R. Sohm in modo tranciante contro l’autonomismo della Chiesa cattolica: la natura –spirituale– della Chiesa e quella –solo formale– del Diritto sono tra loro incompatibili. Non può esistere nessun Diritto ‘della’ Chiesa (Kirchenrecht) ‘per la’ Chiesa stessa, come pretendono i cattolici col loro kanonischen Recht!

Proprio il ‘principio’ che invece a Barmen si era iniziato a rifiutare!


2. APPROCCIO SOSTANZIALE

2.1 Il Kirchenrecht

La data sostanziale per l’inizio della “Teologia del Diritto” va però anticipata di mezzo secolo: nella seconda metà dell’Ottocento ai tempi del Kulturkampf, la ‘lotta per la cultura’ germanica in primis contro l’estraneo cattolicesimo.

Fu, infatti, in quell’ambito che si pose in modo decisivo per il futuro il tema della rilevanza proprio del Diritto “della(?!)” Chiesa cattolica nei confronti di quello statuale, l’unico ad esser riconosciuto dal punto di vista teoretico come effettivamente e definitivamente vincolante. Paladino di questa dottrina giuridica era stato uno dei maggiori giuristi tedeschi del tempo, stretto collaboratore di Otto von Bismark (1815-1898): Rudolph Sohm, che pretese ‘dimostrare’ l’incompatibilità ‘di principio’ tra –vera– Chiesa e Kirchenrecht.

Secondo l’ardente luterano ‘ortodosso’ R. Sohm, infatti, la natura carismatica, spirituale e sacramentale della Chiesa non ammetteva in essa la ‘possibilità’ di un Diritto ‘proprio’ (endogeno), un Diritto ‘della Chiesa’-‘per la Chiesa’: il kanonischen Recht che i cattolici chiamavano allora “Ius publicum ecclesiasticum (externum)” contrapponendolo alle legislazioni giurisdizionaliste dei singoli Stati nazionali fino a ‘piegare’ quelli ‘cattolici’ alla logica concordataria. Secondo Sohm (come insegnava la Teologia liberale) era solo lo Stato, ultima ed unica istanza non solo normativa ma –molto di più– morale ed etica, ad avere la possibilità ‘di principio’ di dettare Leggi all’interno della società moderna …non certo una ‘corporazione religiosa’, com’erano considerate al tempo le Chiese (nazionali protestanti) e, non di meno, quella cattolica. L’oscura ombra kantiana ed hegeliana che stava per produrre anche le teorie giuridico-fondative di H. Kelsen (1881-1973) aveva già eclissato in ambito germanico le maggiori acquisizioni della cultura cattolica in materia.


Proprio il Kirchenrecht, però(!), era il problema sostanziale impiantatosi a Barmen per la Teologia protestante: ciò che per motivi soteriologici alle origini della Riforma era stato reputato una semplice quæstio facti da gestire al di fuori della Chiesa, nel regnum mondano, (Grazia contro Diritto; fede contro legge; fiducia contro obbedienza), diventava ora oggetto di specifica rivendicazione ecclesiologica di natura dogmatico-teologica, non potendosi più tollerare che nella Chiesa vigessero norme palesemente anti-evangeliche come il “paragrafo ariano”, originate da un legislatore assolutamente diverso da quello pre-moderno, cui lo stesso Lutero aveva demandato funzioni pur irrinunciabili per la vita stessa della Chiesa.

Tale problema, tuttavia, non era semplicemente ‘funzionale’, limitato alla ‘giurisdizione ecclesiastica’ (il solo Kirchenrecht, appunto) ma, come giustamente già Bonhoeffer (1906-1945) e Barth (1886-1968) avevano intravisto e denunciato davanti alle prime Leggi razziali, assolutamente radicale: si trattava della ‘eticità’ dello Stato e della ‘qualità’ del suo Diritto! E ciò rendeva la questione ‘giuridica’ tanto più dirompente quanto più la Teologia riformata se n’era tenuta lontana nei secoli.

L’epocale cambio dell’orizzonte di riferimento culturale e concettuale poneva la necessità di aprire un nuovo filone d’indagine da attuarsi sotto lo stretto ‘controllo’ evangelico e da svolgere in prima persona come teologi, nulla più demandando ad altri, data la catastroficità degli esiti sino ad allora maturati, soprattutto per via ‘filosofica’.


2.2 Il Diritto dello Stato ed il suo ‘fondamento’

Di fatto quanto stava cominciando ad interessare per la prima volta i teologi evangelici tedeschi in prima persona non era per nulla una novità sotto il profilo culturale e ‘scientifico’ dell’epoca, poiché da tempo costituiva l’oggetto di riflessione e studio non tanto della “Filosofia del Diritto” ma, più specificamente, della c.d. “Teologia politica” (laica-filosofica) che tanto peso ebbe in ambito mittel-europeo a cavallo tra Ottocento e Novecento, col delinearsi e consolidarsi delle ‘nuove’ entità statuali successive alla Rivoluzione francese.

Si trattava della riflessione ‘ontologica’ sul necessario rapporto tra religione e Stato (Polis) che fin dai tempi dello Stoicismo pre-aristotelico aveva accompagnato e dato fondamento ad ogni teorizzazione dell’identità dello Stato come tale, costituendo di fatto una vera e propria Metafisica della Polis(–Stato). Una riflessione che si presentava ineludibile per chi volesse/dovesse sostenere il fenomeno neo-imperiale in netta ripresa nell’Europa di metà Ottocento.

È in quest’orizzonte che va collocato il principale interesse di molti autori germanici del tempo, filosofi più ancora che giuristi, soprattutto in riferimento alla ‘eticità’ dello Stato; al tema, cioè, della fondazione e della consistenza della capacità unicamente statuale di fissare quale sia la scala assiologica di identificazione e riferimento per i propri cittadini, ben al di là dei diversi principi gius-naturalistici precedentemente maturati soprattutto nell’ambito dell’Illuminismo e Razionalismo francesi. Le ben note dottrine di I. Kant (1724-1804) e più ancora l’Idealismo di G.W.F. Hegel (1770-1831) costituiscono la base irrinunciabile di tali teorizzazioni filosofico-politico-giuridiche.


Proprio in quest’ambito s’era sviluppato il pensiero giuridico-istituzionale di R. Sohm che fu uno dei padri del mito del Reich: il ‘secondo’ (quello bismarkiano) per cui lavorò e scrisse, soprattutto per quanto concerne il primato etico –esclusivo– dello Stato e la sua relazionalità con le confessioni religiose in cui si riuniscono i sudditi.

Non di meno gli stessi anni prepararono l’affermarsi, sempre in ambito germanico, delle teorie positiviste e formaliste del Diritto di H. Kelsen, basate proprio sul principio autoritario di chi governa (lo Stato): “kein Imperativ ohne Imperator”.


2.3 Sohm ed il Kirchenrecht

R. Sohm fu convinto esponente e teoreta infaticabile della dottrina germanistica, sostenitore del primato etico assoluto dello Stato, revisionista infaticabile della storia europea recente ed antica, strenuo oppositore delle posizioni istituzionali cattoliche, zelante fedele evangelico d’impostazione ‘tradizionalista’.

Non solo egli rappresenta un’efficacissima sintesi dogmatica ed operativa del proprio particolarissimo ‘momento’ storico, ma segnò anche le categorie più profonde del pensiero, della cultura, della politica e della storia germanica a cavallo tra Otto e Novecento, seppure in modo spesso poco appariscente, visto che tali idee si diffusero spesso anche ‘senza’ il loro autore attraverso, sopratutto, lo studio del Diritto privato e romano di cui fu grande ed indiscusso maestro ancora per vari decenni dopo la propria morte. Fu collaboratore della redazione del B.G.B. (“bürgerliches Gesetzbuch”), studioso di Diritto romano antico e medioevale, le sue opere furono rieditate per decenni in Germania, fino alla metà del XX secolo, oltre che essere tradotte –a quei tempi(!)– in inglese, spagnolo ed italiano.

Di fatto l’influenza di Sohm sul pensiero tedesco del Novecento si esercitò indirettamente: più per termini/concetti che per idee propriamente individuate e referenziate; ne è testimonianza il fatto che la sua opera maggiore (“Kirchenrecht”, appunto) fu rieditata, accresciuta, nel 1923, a sei anni alla sua morte, in un contesto solo apparentemente diverso da quello in cui l’opera era stata concepita. E proprio ai principi di quest’opera s’ispirarono nel decennio successivo tanto la politica ecclesiastica nazista che il comune pensare dei fedeli evangelici tedeschi.


L’opera di Sohm in materia ‘ecclesiasticistica’ si muove al livello della “Teoria generale del Diritto”, cercando in una prospettiva kantiana le condizioni di possibilità di un Diritto ‘proprio’ della Chiesa ‘contro’ quella che egli ritiene (hegelianamente) l’unica vera fonte del Diritto: lo Stato; quello Stato che non può non essere profondamente ed originariamente ‘etico’. Per quanto la sua ricerca si spinga alla storia della Chiesa antica e coinvolga elementi ‘teologici’, in realtà la sua ottica è radicalmente diversa tanto dalla teologica che dalla storiografica, poiché di fatto egli ragiona della possibilità ‘teoretica’ del Kirchenrecht all’interno della Teologia politica ottocentesca: con un’impostazione filosofica a cui le forti critiche teologiche e storiografiche già di A. von Harnack non portarono alcun serio detrimento.


3. LA NASCITA DELLA DISCIPLINA

3.1 Il dopo-guerra protestante

3.1.1 La situazione generale

Mentre l’esperienza storica della “Chiesa confessante” non superò neppure l’inizio della seconda guerra mondiale, le profondissime istanze teoretiche postesi a Barmen rimasero tutt’altro che disattese da parte dei suoi membri che, dieci-quindici anni dopo, a guerra terminata, si dedicarono a pieno ritmo al loro studio. Proprio la stessa guerra, d’altra parte, non aveva fatto altro che amplificare le conseguenze già paventate rispetto alle ‘premesse’ poste dal regime nazista, oltre che acutizzare la necessità di una ‘fondazione’ del Diritto differente da quella dello Stato-etico di matrice filosofico-idealista e/o positivista da cui la catastrofe mondiale aveva preso le proprie mosse.


L’analisi della situazione sotto il profilo epistemologico era ben chiara ed inequivocabile: la Filosofia –e la derivata ‘Teologia liberale’– si era mostrata palesemente inadatta ad affrontare e gestire un tema così importante per l’umanità e la sua vita!

Di conseguenza, se, perso Dio e gli apporti della sua Grazia attraverso la fede, rimaneva solo una ragione capace di trarre dalla ‘natura’ gli esiti culminati nel nazi-fascismo e negli altri regimi ‘etici’ come quelli oltre-cortina, una tale ragione non era fruibile, né poteva aver più voce in capitolo per indirizzare, delineare, definire, una realtà importante per la società umana come aveva ormai dimostrato di essere il Diritto!

La bocciatura della Filosofia era totale e senz’appello.


Una tal premessa, forse più emotiva che non correttamente epistemologica, offrì all’infaticabile K. Barth l’occasione propizia per indicare il nuovo indirizzo epistemologico da seguire per la ‘fondazione’ del Diritto (secondo quell’impostazione ‘dialettica’ di cui fu il grande ‘apostolo’): non più la ragione ma la fede, non più la natura ma la Rivelazione, non più la Filosofia ma la Teologia!

«Barth, che si pone in diretta polemica con lo Storicismo e il Positivismo giuridico, ha come orizzonte quello della Teologia dialettica dove il problema centrale è  quello di stabilire la natura del rapporto Dio-uomo a partire non dalla Theologia naturalis, ma dalla constatazione che  Dio è Dio in quanto pone l’uomo di fronte ai propri limiti. Per cogliere questa alterità di Dio l’Ontologia razionale e il Diritto naturale non servono: solo la Rivelazione può formulare affermazioni vincolanti. Nessuna Metafisica umana –quella di Platone come quella di Aristotele o di Hegel– è capace di dire cosa sia lo Stato e il Diritto. La realtà può essere conosciuta solo con la fede e non con la Filosofia per cui l’analogia entis è sostituita con l’analogia fidei».


3.1.2 La Teologia liberale pre-bellica

Non va trascurata in questa prospettiva la consapevolezza, ormai inevitabile(!), che ‘proprio’ la Filosofia protestante tedesca aveva giocato il ruolo principale nell’indirizzare ed accrescere i ‘contenuti’ della Modernità che furono di maggior sostegno, se non addirittura ‘causa’, della netta frattura teoretica tra pensiero medioevale e moderno che/come si manifestò nell’Ottocento: Kant (1724-1804), Schleiermacher (1768-1834), Hegel (1770-1831), Strauss (1808-1874) e delle sue –pesantissime– conseguenze culturali e socio-politiche all’interno del mondo germanico, anche ecclesiale.

Ciò non poteva che accrescere, nel dopo-guerra, il senso di ‘responsabilità’ dei Teologi evangelici tedeschi che già avevano opposto resistenze ai crescenti eccessi di tal genere di ‘pensiero’ ed ora non potevano che cercarne una ferma ‘alternativa’.


In effetti, a far da ponte tra la Filosofia moderna-(protestante)-tedesca e la Kultur germanica –anche religiosa, e quindi ecclesiale– di fine Ottocento aveva contribuito non poco, la c.d. ‘Teologia liberale’ (protestante), con autori come A. Ritschl (1822-1889) e A. von Harnack (1851-1930), con la sua «scelta cosciente a favore della cultura moderna, degli ideali di pensiero, politici ed etici tipici di questo periodo». In tale impostazione (che si pretendeva ‘teologica’) il cristianesimo era in realtà approcciato e compreso non partendo dalla Rivelazione divina, ma dall’uomo e dalla sua realtà, diventando così la ‘religione dell’uomo libero’: la possibilità di realizzare gli ideali della Modernità liberale, portando la maturazione umana verso il suo pieno sviluppo, secondo quanto concepito nella nuova ‘cultura’.

Non a caso, soprattutto nel nuovo secolo, proprio questa Teologia liberale fu accusata di aver rinunciato ai principi della fede, a Dio stesso(!), pur di convenire con la cultura moderna e scientifica, riducendosi ad una specie di ideologia teologica borghese e benpensante che non si rendeva conto della tensione e difficoltà di cui la realtà è, e rimane, portatrice. Non stupisce perciò che le siano stati contestati anche legami alle manovre intellettuali che precedettero la prima guerra mondiale, senza poter escludere neppure una compartecipazione alle premesse almeno ‘culturali’ che permisero l’avvento della seconda.


3.1.3 La nuova Teologia politica

Non di meno l’orizzonte culturale tedesco aveva subito un profondo cambiamento dall’inizio del secolo nelle tematiche relative alla ‘identità’ dello Stato e della sua attività. Il contesto culturale ed il linguaggio dei decenni precedenti erano ormai mutati portando soprattutto al sostanziale abbandono della precedente Teologia politica (a lungo intesa come Metafisica dello Stato), sottraendo così la riflessione circa la ‘natura’ dello Stato e la portata ‘etica’ del suo operare ad un ambito epistemologico plurisecolare ma ormai atrofizzatosi.


Ciò comportò l’inevitabile, ma ormai necessaria, caduta nel vuoto delle precedenti dottrine in materia, soprattutto quelle idealistiche e romantiche su cui si erano costituiti proprio gli Stati etici appena travolti dalla sconfitta bellica. Di contro, la nuova accezione di ‘Teologia politica’, sviluppata ora da teologi in ambito confessionista e non più da filosofi in ambito ‘laico’, stava ormai iniziando ad assumere la valenza di ‘Teologia delle realtà create’, o ‘della speranza’, o ‘del mondo’, con una chiara attenzione al vissuto e vivibile dell’umanità nei tempi futuri. Proprio ciò offriva un naturale e sufficiente contesto teoretico anche alle questioni fondative del Diritto, specificamente in vista e funzione della vita del mondo e della società umana.


Si apriva così, almeno in Germania, una nuova era per la riflessione sulla fondazione del Diritto per l’epoca post-moderna: una riflessione che, pur assunta ed attuata soprattutto da –veri– teologi, riguardava però il Diritto in sé e per sé, senza specifiche attenzioni al ‘giuridico ecclesiale’, cui per altro il mondo protestante non aveva mai dedicato particolare attenzione. Una riflessione che evidenziava senza esitazioni come il vero nocciolo della questione fosse proprio la concezione del Diritto, prima di ogni altra sua ‘qualificazione’: una vera istanza epistemologica che in ambito cattolico andrà poi perduta.


3.1.4 La Rechtstheologie

Proprio a questo livello si posero coloro che, ormai sotto l’indirizzo metodologico impresso da K. Barth, intrapresero il nuovo cammino fondazionale per il Diritto, in una prospettiva che, rifiutando decisamente l’approccio ‘razionale’ e ‘filosofico’, non poteva essere che ‘teologica’, originando quella che –dialetticamente rispetto al passato– non potè chiamarsi che “Rechtstheologie”.


Si trattò di trovare per il Diritto, la cui realtà oggettiva non poteva comunque essere in nessun modo negata almeno nella quotidianità del vivere umano, un fondamento migliore di quanto le Filosofie moderne ed antiche avessero saputo fare; un fondamento che non potesse cedere alla forza del potere e dell’interesse, un fondamento che ne garantisse intrinsecamente la ‘giustizia’ senza rimanere impantanato nelle troppe ambiguità del c.d. Diritto naturale la cui efficacia, dopo la Modernità, non convinceva più i teologi tedeschi.

La via giusnaturalistica moderna, infatti, si presentava come inefficace a ‘fondare’ il Diritto proprio perché l’esito esecrando del ‘legale ingiusto’ era stato frutto di un Diritto ‘tecnico’, calcolato meccanicamente e matematicamente (alla Leibniz) a partire da alcuni principi indiscutibili forniti dalla ragione, ma governati in realtà dalle ‘ragioni’ di Stato ed economiche.


Fu all’interno di questa prospettiva –e partendo da queste inevitabili premesse, anche epistemologiche– che riprese forma in modo ‘indipendente’ ma non ‘autonomo’ anche la questione, di fatto strettamente connessa, dell’Ordinamento (interno) ecclesiale: Kirchenrecht, nuovamente posta dalle necessarie riflessioni sull’assetto del rinato Stato tedesco (occidentale) e dei rapporti, in esso, tra e con le diverse confessioni religiose. Si trattava, infatti, di non demandare più allo Stato, ma assumersi in modo diretto come Chiesa (evangelica), il compito di organizzarsi giuridicamente; «tale necessità pratica ha costretto la Teologia protestante a giustificare teologicamente un nuovo ruolo del Diritto all’interno della Chiesa, superando la tradizionale contrapposizione tra Vangelo e Legge».


Non di meno, a fronte di questa nuova ‘prospettiva’, continuavano ad incombere sull’orizzonte germanico la figura ed il pensiero di R. Sohm, quasi come un’ipoteca concettuale, propugnatore di uno ‘spirito germanico’ domato in politica ma non culturalmente (com’era già accaduto proprio dopo la sconfitta prussiana del 1918), trasmesso anche indirettamente attraverso i più diretti ‘eredi’ (per quanto spesso assolutamente critici) del suo pensiero di fondo: M. Weber (1864-1920), C. Schimitt (1888-1985), H. Barion (1899-1973), soprattutto nell’irrisolta ambiguità tra le due ‘versioni’ della Teologia politica e nell’intricato problema del Kirchenrecht, di cui Sohm continuava a rappresentare la somma istanza teoretica, almeno dal punto di vista giuridico fondazionale.


3.2 Il dopo-guerra cattolico

3.2.1 Lo scenario germanico

La coincidenza tanto del contesto che dell’esperienza socio-politica ed ecclesiale vissuta soprattutto in Germania nella prima metà del XX sec. non potè lasciare indifferenti i cattolici del tempo: la chiara anti-evangelicità di quanto accaduto, ed i suoi evidenti fondamenti nel pensiero filosofico germanico, non permetteva a nessun tedesco di ritenersi estraneo alla vicenda, neppure sotto il profilo semplicemente teoretico; neppure ai cattolici che, resistendo prima contro il Kulturkampf e militando poi nell’antimodernismo, non si erano mai imparentati né con la Teologia liberale, né con la Teologia politica, né con le loro premesse teoretiche, né tanto meno con le loro conseguenze più pratiche.

Fu così che anche una parte dei teologi cattolici tedeschi fu attratta nell’alveo della nuova Teologia politica, partecipando significativamente alla riflessione sui ‘rinnovati’ fondamenti della società umana e delle sue possibilità di ‘resistenza’ verso le conseguenze deteriori di un certo ‘pensiero’ filosofico e della cultura derivatane.


Anche la forte opzione fondazionale giuridica attiva in campo teologico protestante fu ben presto condivisa ed assunta …ma anche ridotta (rispetto alla sua grande tradizione dottrinale cattolica, mai tramontata) alla sola questione del “Diritto ingiusto” o dell’“ingiusto legale” che tanto ripugnava ormai a tutti i teologi cristiani tedeschi. Scrisse in proposito A.M. Rouco Varela:

«mai il Diritto era giunto ad un grado tale di perfezione tecnico-logico-giuridica ed anche politica, come in questi ultimi centocinquant’anni di storia europea, però mai neppure era giunto ad un tal grado di disponibilità venale, di permeabilità all’ingiustizia ed alla tirannia. Per molto paradossale che ciò suoni: lo stesso Diritto –non solamente gli uomini del Diritto, coloro che lo creano, lo pensano, lo applicano–  si converte in struttura d’ingiustizia. […] Col principio che il Diritto è ciò che risulta utile al popolo o ad una classe sociale, si fa Diritto in opposizione cosciente ai postulati della giustizia, negando premeditatamente questo minimum di uguaglianza  nella valutazione e nel rapporto socio giuridico, che è il suo stesso nervo. A maggior perfezione formale, tecnico-logica, cultural-giuridica, [corrisponde] maggior disumanizzazione del Diritto, così potrebbe esser formulata la Legge storica che ha retto di fatto il corso della evoluzione moderna del Diritto».


Solo un così forte impatto emotivo-razionale ancora alla fine degli anni ’60 da parte di un non-tedesco(!), rende pienamente ragione della portata radicale della circostanza e dei punti cardinali del nuovo orizzonte d’ingaggio cui i teologi(-giuristi) cattolici sentirono di dover partecipare.


Per di più, alla nuova sensibilità teologica verso il Diritto non si poteva non accostare, da parte cattolica, anche il problema dell’evidente inadeguatezza ormai conclamata del “kanonischen Recht” del 1917: anche questo esigeva ormai una ‘nuova fondazione’ per protrarne l’efficacia in una Chiesa tanto diversa da quella in cui (e per la quale) era stato concepito! In tal modo l’attenzione al Kirchenrecht finì per unificare varie istanze giuridico-fondative …identificandole però reciprocamente!


3.2.2 K. Mörsdorf a Monaco

Fu in questo preciso e particolarissimo contesto storico-culturale, teoretico ed emozionale che, presso la “Ludwig-Maximilians-Universität” di Monaco di Baviera, K. Mörsdorf intraprese dalla fine degli anni Quaranta un nuovo percorso di approccio al Diritto della Chiesa su base ‘fondazionale’.


Nato nel 1909, laureato in Diritto civile tedesco a Colonia nel 1931, ordinato Presbitero nel 1936 dopo aver studiato Teologia a Fulda, Monaco, Francoforte e Berlino; dal 1938 al 1939 conseguì il Dottorato in Teologia (a Monaco) e la ‘libera docenza in Diritto canonico’ presso la Facoltà di Teologia cattolica dell’Università di Münster dove lo insegnò dal 1943 al 1946, spostandosi poi a Monaco dove l’anno successivo diede vita –sempre all’interno della Facoltà di Teologia– all’Istituto di Diritto canonico (oggi a lui intitolato) in cui insegnerà fino al 1977, il primo in Germania.

Autodidatta quanto al Diritto canonico, poiché non esistevano Facoltà né Istituti giuridici canonici in Germania fino ad allora, aveva svolto durante gli studi teologici varie attività di ricerca in ambito codiciale canonico, prima tra tutte quella che portò al celebre “Die Rechtssprache des Codex Iuris Canonici. Eine kritische Untersuchung” (Paderborn, 1937); seguita dopo poco dal “Rechtsprechung und Verwaltung im kanonisken Recht” (Freiburg i.Br., 1941). Opere di chiara matrice esegetica, rispondenti alla coeva ‘codicistica’, cui lo studio del Diritto canonico era ormai ridotto fuori dei ‘templi storici’ della cultura canonistica classica.

Il Normativismo fatto proprio dalle legislazioni codiciali post-napoleoniche (come il B.G.B.) ed il Positivismo che caratterizzavano dagli studi giuridici civili svolti dall’autore, non meno che la formazione teologica degli anni Trenta, non potevano aver(gli) fornito strumenti epistemologici e metodologici ‘alternativi’. Ben lontano dalla sua formazione si dimostrò anche l’apporto metodologico della “historische Rechtsschule” fondata dal Savigny (1779-1861), in tempi in cui Storiografia, Teologia e Diritto non s’incontravano così facilmente.

Neppure il contesto in cui si collocò la ricerca e la docenza di K. Mörsdorf proprio all’interno delle Facoltà (statali) di Teologia della Germania di metà Novecento fu ininfluente per il suo pensiero e la sua attività, nel clima di grandissima effervescenza della Teologia tedesca che riemergerà con grande ‘prestanza’ durante tutto il periodo conciliare, cui farà spesso da motore in moltissime questioni speculative e dogmatiche, profilando una vera dipendenza dell’intero ambito teologico (cattolico) da quello tedesco (protestante). Le discusse accertate ‘connessioni’ della c.d. nouvelle Théologie o di teologi del calibro di H.U. von Balthasar con K. Barth e colleghi, per esempio, non possono venir qui trascurate quanto a rilievo, contestuale e tematico; così come la debolezza teologica e la subalternità che caratterizzarono per decenni la riflessione cattolica ‘mediterranea’.

In quell’effervescente contesto teologico, inclinato ormai decisamente verso la nuova Teologia politica e la Recht Theologie, che i teologi protestanti portavano avanti nelle aule delle stesse università, il nuovo cattedratico cattolico distolse ben presto l’interesse della propria ricerca dall’esegesi dei testi codiciali canonici (Kanonischenrecht) per dedicarsi ai ‘fondamenti’ del Kirchenrecht ed alla Rechtstheologie, certamente più consoni alla sua preparazione, competenza e sensibilità.


Fu così che divenne inevitabile lo scontro con le dottrine di R. Sohm, conosciute (certamente) a Colonia durante gli studi giuridici civilistici, tanto più che le opere del grande giurista tedesco erano normalmente adottate in sede accademica –e lo furono per altri decenni– sia per la storia del Diritto privato, che per quello romano, oltre che per il Kirchenrecht!

Alla base dello ‘scontro’, pur in differita di oltre mezzo secolo, stava l’affermazione di Sohm secondo cui la Chiesa ed il Kirchenrecht sarebbero ‘ontologicamente’ incompatibili. Contro di essa si concentrarono tutte le risorse intellettuali e morali del canonista bavarese nel tentativo, di chiara impostazione apologetica, di contraddire ogni elemento coinvolto nella tematica. In tal modo la dottrina di R. Sohm divenne quasi-costitutiva per quella di K. Mörsdorf: una sorta di sinopia da cui modellare la propria opera, poi variamente rifinita. Ciò, tuttavia, senza avvedersi che l’oggetto del contendere, lo “Ius publicum ecclesiasticum”, non era affatto lo stesso: per Sohm, infatti, si trattava di quello “externum” (nei rapporti con lo Stato) per Mörsdorf di quello “internum”; “Kirchenrecht” il primo, “Kanonischenrecht” il secondo. Ma ormai tanto il vocabolario che la cultura tedesca non erano più in grado di evidenziare tale differenza!


Ne derivò uno slogan programmatico, rimbalzato a lungo anche nella Teologia oltre Reno: “R. Sohm c’interroga ancora”.


3.2.3 Il Kirchenrecht tra Mörsdorf e Sohm

Due gli elementi sostanziali in gioco: [a] il rapporto tra Diritto e Chiesa, [b] la qualifica di questo Diritto come ‘sacramentale’; l’uno e l’altro apparentemente(!) riconducibili senza troppa fatica nell’alveo già indicato dalla Rechtstheologie evangelica: la ‘fondazione’ del Diritto …anche della Chiesa.

Furono però [a] i cinquant’anni di storia e cultura tedesca ormai trascorsi, assieme [b] ad un certo numero di ‘inconsapevolezze’ metodologiche ed epistemologiche (né scontate, né intuitive, per gli ecclesiastici cattolici del tempo, ancora diffidenti verso le innovazioni della scientificità ‘moderna’ …oltre che ‘non autorizzati’ a fruirne liberamente) a giocare il ruolo primario nel rapporto dottrinale tra i due autori, permettendo il montare di grandi questioni dottrinali, connesse spesso solo dall’assonanza fonetica! Visto che il contenuto semantico e sostanziale degli stessi termini era palesemente diverso.


Quanto già, molto sommariamente, indicato a riguardo delle diverse ‘circostanze’ socio-storico-culturali pare sufficiente per delineare il quadro del problema.

- Per quanto entrambi gli autori utilizzino il termine “Kirchenrecht”, essi parlano in realtà di due cose radicalmente diverse. Per Sohm, protestante, il Kirchenrecht è (inequivocabilmente secondo la Teologia politica ottocentesca) la legislazione in materia religiosa che ogni Stato sovrano deve promulgare ed applicare per la corretta conduzione di quella parte di vita sociale che si esplica nell’azione delle diverse ‘corporazioni religiose’ (tali sono le Chiese, le loro Confessioni o Denominazioni) presenti sul territorio, non meno che per altri settori della vita sociale di pubblico interesse: quanto tecnicamente oggi viene chiamato “Diritto ecclesiastico”. Per Mörsdorf, cattolico, il Kirchenrecht coincide immediatamente col Diritto canonico della Chiesa cattolica (come ad oggi ben dimostra il vocabolario normalmente utilizzato in merito).

Un solo ‘nome’, due realtà, due origini, due presupposti. Il Kirchenrecht di Sohm è Diritto dello Stato sulle Chiese (protestanti), quello di Mörsdorf è Diritto della Chiesa (cattolica) su se stessa. Sohm, giurista e storico, che conosce perfettamente le prospettive e le pretese cattoliche di un “Kirchenrecht” che è in realtà uno “Ius publicum ecclesiasticum externum” con velleità internazionaliste, contrapposto alla sovranità statale, le combatte apertamente (Kulturkampf) dichiarandole incompatibili con la stessa realtà ecclesiale. Così infatti era sempre stato per le Chiese evangeliche …così sarebbe stato (secondo lui) anche per l’unica Chiesa fino alla Riforma gregoriana: prima, cioè, che il Papa romano alzasse la testa contro l’Imperatore germanico pretendendo indipendenza e, soprattutto, potere. Così sarebbe stato anche alle ‘origini’, prima che Graziano (e poi Uguccione), per salvare ‘capra e cavoli’ nella Lotta per le Investiture, escogitasse l’artificio concettuale della doppia potestas: Ordinis et Iurisdictionis.

- Tale Diritto originario, l’unico autenticamente ecclesiale, aveva poi natura ‘sacramentale’ (secondo Sohm) poiché riceveva la propria origine e tutta la propria consistenza dalla celebrazione dei Sacramenti: Battesimo, Ordine, Eucaristia, Matrimonio, in primis. Erano questi, infatti, a stabilire e reggere la ‘struttura’ visibile di quella società spirituale (addirittura “regnum” per Lutero) che è la Chiesa: Ius a Sacramentis, per dirla in modo sintetico. Questa, però, è l’attività –unica– legittima della Chiesa che agisce su se stessa attraverso i Sacramenti per giovare alla salvezza spirituale degli uomini. La contrapposizione giurisdizionale romana, per contro, aveva immesso nella vita ecclesiale un elemento d’inautenticità, ad essa del tutto estraneo: la contrapposizione ecclesiale al Sovrano per esercitare ‘in proprio’ un amplissimo potere mondano, solo terreno. Sarebbe proprio questo il Kirchenrecht incompatibile con l’essenza della Chiesa!

- Proprio la formula “Diritto sacramentale” costituisce però la seconda fonte di totale equivocità del ‘confronto’ tra i due autori. Mörsdorf, infatti, la utilizza attribuendole un significato del tutto differente da Sohm (che, pure, l’aveva ‘proposta’ quale elemento portante della propria visione ‘dogmatica’): il Diritto della Chiesa è ‘sacramentale’ in quanto opera/agisce sacramentalmente: ‘attraverso’, cioè, i Sacramenti che, a loro volta (come anche la Parola di Dio) hanno una intrinseca natura giuridica. Verbum et Sacramentum a Iure. Il Kirchenrecht diventa così costitutivo per la Chiesa stessa, che è tale solo sottomettendosi al Diritto attraverso Parola e Sacramento; un Diritto che è la volontà piena e diretta di Dio stesso che lo ha ‘promulgato’ immediatamente con delega agli Apostoli e ‘sanzionato’ con la dannazione eterna.


3.2.4 La Kirchenrechtstheologie ‘cattolica’

Partendo dall’insegnamento di K. Mörsdorf, che considerava la Canonistica una Disciplina teologica, con metodo giuridico, un certo numero di autori –in parte non-tedeschi(!)– si trovò così impegnato a costruire nell’ambito della Canonistica una Disciplina che si occupasse, da un punto di vista teologico, dell’aspetto fondazionale del Diritto canonico: la “Teologia del Diritto ecclesiale”, ritenendo che solo una sua ‘necessità ontologica’ potesse risolvere la difficile situazione in cui versavano Diritto canonico e Canonistica. 

Sulla base di questi presupposti, del tutto estrinseci tanto alla consistenza storica del Diritto canonico e della sua Scienza, che alla sua stabile percezione all’interno della vita della Chiesa cattolica, gli autori formatisi a Monaco iniziarono a ‘proporre’ un diverso approccio al Diritto della Chiesa:

«il Diritto canonico è primariamente un Diritto kerigmatico, sacramentale, conseguentemente un Diritto che è primariamente al servizio della Parola e del Sacramento. Il Diritto canonico è essenzialmente diverso e indipendente dal Diritto statale e da ogni Diritto secolare, ma ha la capacità e perciò la responsabilità, di essere di fronte a questi un Diritto esemplare. Il Diritto canonico può essere accolto solo nella fede. Si è perciò concordi sull’opinione metodologica che la Scienza del Diritto canonico è primariamente e fondamentalmente una Scienza teologica».


4. CONCLUSIONE

Ciò che fino ad oggi non pare essere stato colto da chi (in ambiente non-germanico) ha studiato ed insegnato la Kirchenrechtstheologie solo come semplice ‘dottrina’, intesa come insieme di contenuti ‘dogmatici’ e non, invece, come ‘fenomeno’ in acto, può essere ‘fissato’ in due problemi sostanziali: [a] uno semantico, [b] uno epistemologico.


4.1 Problema semantico

Il problema terminologico-semantico qui evidenziato riguarda l’individuazione e consistenza del termine stesso d’indagine: il Kirchenrecht cui si riferiscono a diverso titolo i diversi autori lungo il XX secolo non è la stessa realtà.

Non è infatti possibile identificare con continuità e coerenza il Kirchenrecht lungo il sec. XX. Si tratta di un Kirchenrecht che da ‘Diritto ecclesiastico’ (per Sohm) diventa impercettibilmente ‘Diritto canonico’ (per Mörsdorf) senza che nessuno se ne avveda e ponga il problema della ri-semantizzazione del termine, discutendo così per oltre un secolo intorno ad un ‘lemma’ di fatto poli-semico, esprimente realtà storicamente e concettualmente incommensurabili.


Pare, anzi, che man mano ci si allontani da Sohm (+1917) i termini da lui utilizzati con valore ‘tecnico’ in un determinato spazio-tempo (orizzonte ermeneutico) perdano progressivamente la loro specificità e vengano identificati con ‘nuovi’ contenuti tecnici …ma di un altro paradigma culturale ed interpretativo; complici anche i grandi cambiamenti socio-culturali intervenuti nel frattempo.

Di fatto, come appare palesemente negli scritti di Mörsdorf già dagli anni Cinquanta “Kirchenrecht” e “Kanonischenrecht” s’identificano sostanzialmente, impedendo(gli) di cogliere la vera portata delle posizioni ‘protestanti’ di Sohm e trascinando la Canonistica cattolica del dopoguerra in questioni ad essa assolutamente estranee. Tanto più che la sottostante ‘origine’ di tali problemi era solo la concezione protestante-germanica del rapporto normativo Stato-Chiese ormai definitivamente caduto dopo la metà del XX sec.


4.2 Problema epistemologico

La ricostruzione delle vicende storiche proposte, evidenzia anche l’incongruità dal punto di vista epistemologico dell’assimilazione (cattolica) tra “Rechtstheologie” e “Kirchenrechtstheologie”, quasi fossero poco più che semplici varianti testuali.

Di fatto, invece, non si può trascurare, proprio nella ‘definizione’ della Disciplina stessa, come le due formulazioni testuali indichino realtà assolutamente differenti tra loro poiché ‘poste’ su livelli diversi sia quanto ad individuazione dell’oggetto materiale (dominio) d’indagine, che a livello di linguaggio specifico.


L’oggetto materiale, infatti, di una “Teologia del Diritto” è primario, autonomo, originante, di primo livello, poiché tale risulta essere, sia sotto il profilo esperienziale che teoretico, la realtà complessivamente denominabile ‘Diritto’.

Per contro, l’oggetto materiale di una “Teologia del Diritto canonico” appare chiaramente secondario, non-autonomo, subordinato, di secondo livello, poiché la ‘canonicità’ non può sostituirsi alla ‘giuridicità’ come tale, né ‘contenerla’ o ‘affiancarla’. Quanto, cioè, attinente la canonicità deve specificare un (o qualche) ambito già compreso nella giuridicità, senza per altro poter contraddire gli elementi individuanti la giuridicità stessa. Non è infatti possibile trattare il Diritto canonico come se non fosse ad ogni effetto una species generis Iuris, meno che mai pretendendo –addirittura– una sua esemplarità sostanziale (e non contenutistica) per il resto del Diritto come tale.


4.3 L’esito

Se fosse corretta (e non-falsificata) questa lettura-critica dei fatti ‘genetici’ della questione, diventerebbe inevitabile riconoscere che Mörsdorf non aveva potuto cogliere il pensiero sostanziale di Sohm proprio a causa della diversa contestualizzazione di termini e concetti, culture e società, intervenuti nel frattempo. E molto meno di lui l’avrebbero potuto fare i suoi discepoli di cultura non-tedesca che, soprattutto nel dopo-Concilio, lessero come equivalenti (identiche) le due formule testuali …introducendo addirittura –nelle lingue neo-latine– la nuova formula “Diritto ecclesiale” per tradurre “Kirchenrecht”, mostrando così, in qualche modo, di cogliere il ‘disagio’ semantico sotteso, senza sapersene tuttavia difendere sotto il profilo epistemologico.

Dal punto di vista metodologico occorre pertanto riconoscere la presenza di una vera e propria risemantizzazione culturale che aprì ad una tragica “interpretatio multiplex, come l’avrebbe chiamata volentieri E. Betti: una polisemia o “bilinguismo” (T. Jiménez Urresti) che avrebbe generato confusioni ‘epocali’ tanto negli anni del pre-Concilio che nelle sue ricadute a venire …che nell’attuale situazione epistemologica della Canonistica e del suo studio accademico, che ora deve proporre ‘questa’ Disciplina.


Quanto sin qui illustrato a livello poco più che ‘cronologico’, lungi da poter essere considerato una Storia della Teologia del Diritto canonico, rende però evidente come ciò che turbava e sollecitava i canonisti cattolici tedeschi della metà del XX sec. fosse –solo– una questione tipicamente ‘regionale’ …e forse più ancora –semplicemente– ‘socio-culturale’ tipicamente ‘germanica’. Al di fuori di questo contesto non pare infatti possibile collocare né le figure stesse degli autori, né le loro dottrine in ambito canonistico più generale; soprattutto, non è possibile prescindere da questo –unico– fondamento (pre)teoretico se si desideri davvero comprendere il reale contenuto ‘dogmatico’ di molte delle loro affermazioni.



in: IUS CANONICUM, L (2010), 229-261.