testo dell'articolo senza le note - per la versione integrale consultare la versione a stampa



Bilancio canonistico della Quarta Giornata Canonistica Interdisciplinare


Al termine di una riflessione varia ed articolata tra aspetti dottrinali, teoretici, storici e tecnici, tanto differenti come quelli trattati nella “Quarta Giornata Canonistica Interdisciplinare”, si pone –a maggior ragione– la necessità, a vantaggio dei canonisti, di tirare almeno alcune ‘somme’ –di carattere più generale e sistematico– che possano continuare la messa in luce di punti fermi (soprattutto a livello di ‘principi’) ormai conseguiti con ragionevole probabilità dottrinale, oppure l’esplicitazione di reali problemi (soprattutto di adeguata concettualizzazione giuridico-canonistica) …per quanto provenienti anche da istanze e ‘fonti’ extra-canoniche, che la dottrina giuridica ecclesiale non può –ormai– ignorare tanto in sede ‘fondativa’ che ‘tecnica’, proseguendo sul cammino intrapreso dalle precedenti Giornate Canonistiche Interdisciplinari. Non sarà invece possibile tener conto in queste brevi note macro-prospettiche di tante ‘singole’ sollecitazioni contenutistiche di cui tutti gli interventi sono stati fecondi.


1. PRINCIPI E CRITERI

a) Ciò risponde, in primis, ad uno dei cardini dell’iniziativa stessa: condensare in area canonistica –o di sua immediata prossimità– una quantità di ‘fonti’, ‘dati’ e ‘pensieri’, che possano offrire al canonista contemporaneo rinnovati motivi per un corretto ed efficace utilizzo della normativa canonica in vigore, attraverso una più profonda consapevolezza –anche epistemologica– che rifugga dal ‘piegare’ il Diritto vigente alla mentalità ed opinione comune (come avviene, in ambito civile, attraverso la c.d. interpretazione evolutiva), senza perdere tuttavia l’attenzione a ciò che oggi viene concretamente chiesto al complesso e variegato ministero giuridico da parte della più ampia ed articolata missio Ecclesiæ di cui la Chiesa stessa diviene progressivamente più consapevole, non senza il costitutivo apporto della più autorevole riflessione magisteriale.


b) Se, poi, il Diritto canonico può essere considerato –mutuando una feconda immagine teologica– la “grammatica” della vita ecclesiale, per quanto non possa essere messa in discussione la sua strutturale e strutturante ‘stabilità’, non di meno, non va dimenticata la sua –altrettanto strutturale e strutturante– ‘dipendenza’ dalla vita ecclesiale stessa nelle sue forme più autentiche …in ragione di luoghi e tempi, come ben mostrano le evidenti differenze tra i diversi Corpora Iuris canonici: antico, medioevale, tridentino, pio-benedettino, conciliare… oltre alla bi-partizione latino-orientale attualmente codificata, in cui la consapevolezza ecclesiale (norma fidei) e non la norma canonica in sé (norma communionis) assume il ruolo fondante.


c) Sotto un altro profilo epistemologico e metodologico non meno significativo va anche ricordato –non solo al canonista– come sia sempre necessario mantenere la giusta distinzione (e distanza) tra i verba Legis e le rationes Iuris …tra ‘forma’ emergente (Leges) e ‘principi’ portanti (Iura) di quel Diritto che, soprattutto nella Chiesa, rimane senza dubbio una delle espressioni maggioritarie dell’unum/idem credere, unum/idem volere, unum/idem agere, che costituisce la stessa essenza/identità della comunità ecclesiale. Distinzione e distanza che, lungi dal minare l’unitarietà dell’Ordinamento, tanto meno, però, lo ingessano in ciascuna ‘attuale’ sua configurazione. A maggior ragione quando il condensato istituzionale-normativo si presentasse ancora relativamente ‘giovane’ all’interno della prassi e del corpus dispositivo …e, pertanto, bisognoso dei tempi fisiologici per la migliore messa a punto di nuovi Istituti giuridici, com’è senza dubbio per il tempo successivo ad un Concilio della portata del Vaticano II che, proprio per aver innescato molte più tematiche (verso il futuro) di quante ne abbia in realtà risolte (verso il passato), va definito ed accolto come ‘pastorale’.


d) Di specifico valore programmatico è stata anche la scelta di dedicare parte dell’attenzione –soprattutto tecnica– a tematiche ordinariamente ricondotte (o riconducibili) al c.d. Diritto amministrativo canonico (rappresentanza istituzionale e contrattuale, consultazione…), nella convinzione che solo l’approdo concreto e puntuale alle effettive situazioni della vita ecclesiale che richiedano (e giustifichino) l’intervento espressamente giuridico possa davvero esprimere la pienezza della dimensione più propria della giuridicità –come tale ed anche canonica–, riconoscendo all’attività pratica del governo (e giudizio) ecclesiale un valore costitutivo per lo stesso Ordinamento canonico. D’altra parte, solo quando i discorsi sui principi dell’Ordinamento canonico riescono a ‘ricadere’ sulle sue espressioni più tecniche, si può pensare di aver davvero capito cosa sia il Diritto canonico e si può sperare che il grande bagaglio storico, tecnico e dottrinale connesso a tali principi non sia finalizzato –narcisisticamente– a sé soltanto ed ai propri cultori/ammiratori.


e) Programmatica anche l’attenzione (ormai strutturale nelle Giornate Canonistiche ‘doppie’) alle tematiche connesse all’attività giudiziale canonica in campo matrimoniale attraverso le quali –più celermente che in altri campi dell’Ordinamento– giunge all’orizzonte canonistico più generale e teoretico ciò che Giurisprudenza, dottrina e normativa, continuamente sottopongono a riflessione, confronto e crescita …sul campo. È questo un ambito dell’attività giuridica canonica che rischia, spesso, di rimanere ‘isolato’, come a latere del resto della vita ecclesiale non solo ‘ordinaria’ ma anche ‘teoretica’ …come se la ‘straordinarietà’ del suo esercizio (da parte dei singoli) ne comportasse anche una necessaria residualità in termini sistematico-teoretici all’interno della struttura e della Teoria generale dell’Ordinamento canonico. Proprio in quest’ambito, per contro, la maggior dinamica d’azione e, spesso, le profonde problematiche emergenti in capo a singoli fedeli chiedono una vera capacità giuridica (e non solo ‘legale’) nel mettere a fuoco la reale identità e consistenza canonica dei fatti dedotti in Giudizio. Se, secondo il principio, “Iura novit Curia”, è compito precipuo dei giuristi “dare nomen Iuris” a quanto sottoposto al ministero giudiziale della Chiesa stessa, un compito di tale portata ed importanza non può certo attuarsi fuori del tempo o dello spazio …e tanto meno fuori delle conoscenze e consapevolezze che la comunità credente ha maturato circa se stessa e la propria ‘identità’; compito cui la natura sopravveniente (=a posteriori), poietica (=costruttiva) e categoriale (=hic et nunc) della Lex non è ontologicamente in grado di soddisfare …tanto meno in modo ‘auto-deduttivo’.


2. TEMATICA

2.1 I termini della questione

Responsabilità, corresponsabilità e rappresentanza, costituiscono senza dubbio –come ben evidenziato dall’intervento di A. Montan– un approccio all’Ordinamento canonico ed ai suoi fondamenti che potrebbe apparire a prima vista del tutto ‘collaterale’ al punto di vista ‘giuridico’ poiché non-fondato in Lege, evidenziando così problematiche non sottovalutabili dal punto di vista dell’applicazione della Legge cui è tenuto chi esercita un ministero giuridico (pubblico), tanto a livello di governo che di giudizialità ecclesiale. Ciò in modo specifico per la corresponsabilità, di cui né il Vaticano II né il Codice latino evidenziano tracce testuali; responsabilità e rappresentanza risulterebbero, invece, termini presenti e ‘chiari’ in ambito dispositivo canonico, soprattutto in ragione della loro lunga presenza all’interno di vari Istituti giuridici ecclesiali.

Ciò pone, con evidenza, una non capziosa quæstio legitimitatis nel ricorso e nell’adozione non solo del –nuovo– termine ‘corresponsabilità’, ma anche nella sua –possibile o necessaria– ‘combinazione’ con gli altri due. A maggior ragione se, per motivi dottrinali e sistematici –spettanti di per sé alla dottrina (Montan)–, si profilasse una pretesa di subordinazione –ed integrazione– dei due termini ‘legali’ rispetto a quello extra-legale.


Il giurista contemporaneo, tuttavia, dovrebbe ricordare molto bene come l’equilibrio tra Leges et Iura rimanga assolutamente costitutivo dell’intero ambito teoretico ed operativo dell’esperienza giuridica …che –quasi– nessuno mai chiama, invece, ‘legale’… soprattutto dopo la dirompente esperienza positivistica che, da Napoleone a Kelsen, ha martoriato il Diritto europeo continentale riducendo ogni cosa alla –dura– Lex …non senza finire per consegnare –al contrario– (nell’ultimo cinquantennio) l’intera giuridicità in balia di una Giurisprudenza relativistica ed auto-referenziale non meno perniciosa degli autoritarismi legislatori.

Si tratta forse degli estremi dell’eterno pendolo tra Lex e Ius?


Di contro a questa prospettiva legalistica non si può, tuttavia, trascurare come l’esperienza neo-costituzionale europea del dopo-guerra abbia appreso e consolidato qualcosa d’importante in tale campo, ponendo in evidenza la costitutività dei ‘valori’ e ‘principi’ al fine di ‘creare’ il Diritto –e da esso l’Ordinamento– prima che la Legge …per quanto spesso le stesse Carte costituzionali vengano oggi chiamate –ma soprattutto trattate come semplice– “Legge”. Poco pare importare, in questa prospettiva, che i ‘termini’ costituzionali ricorrano anche nelle singole Leggi ordinarie/speciali o che queste si mantengano scrupolosamente ‘fedeli’ al linguaggio delle Carte costituzionali cui sono subordinate; tanto meno risulta limitabile in via di principio l’accrescimento del ‘patrimonio costituzionale’ dovuto alla crescente consapevolezza della sua portata (la c.d. interpretazione adeguatrice), come d’altra parte manifestano i diversi ‘pronunciamenti’ delle varie Consulte costituzionali. Tanto più che proprio a questo crescente ‘patrimonio costituzionale’ devono continuar a rispondere della propria validità/legittimità tutte e singole le Leggi ‘ordinarie’ che i vari Legislatori proseguono a moltiplicare.


2.2 Integrazione di consapevolezza

In questa prospettiva –certamente qualificabile come ‘costituzionale’– l’assenza dei termini tecnici in questione, o il loro uso assolutamente centellinato, a livello normativo è soltanto uno dei ‘parametri’ da considerare …e non necessariamente il primo e maggiore, poiché il Diritto (nella varietà e pluralità delle sue componenti ed espressioni), e non la –sola– Legge, costituisce la struttura degli Ordinamenti ‘giuridici’ …che la storia più recente ha insegnato a non chiamare ‘legali’.

Nessuna preclusione di principio, quindi, che come in ogni Ordinamento ampiamente giuridico –anziché strettamente legale– anche in quello canonico i ‘principi’ ispiratori risiedano fuori dalle Leggi, riconoscendo proprio nei valori ispiratori la vera consistenza e tenuta dell’Ordinamento stesso: è infatti la ‘missione’ costitutiva (intenzionalità) dell’Ordinamento a deciderne le coordinate basilari e portanti, facendo di ogni umana convivenza non un semplice dato di fatto ma una questione di ‘finalità’; fattore che le Costituzioni europee del dopo-guerra esprimono in modo inequivocabile e programmatico. A queste coordinate di tutta giuridicità rispondono –proprio modo et propria parte– anche la comunità ecclesiale, il suo vissuto giuridico, il suo Diritto …e le sue –attuali– norme.


In particolare, la constatazione che il Concilio Vaticano II ed il Codice latino vigente si mostrino privi del termine ‘corresponsabilità’, non ne pregiudica in nulla né la consistenza né la portata dal punto di vista giuridico, poiché la sua presenza nel Magistero pontificio e ‘collegiale’ successivo tanto al Concilio che al Codice non solo è palese, ma finisce per essere addotta quale ratio stessa di quella corretta “Ecclesiologia di comunione” continuamente riproposta come il vero ‘spirito conciliare’, senza che ciò comporti necessariamente un’acritica assunzione di principi ed Istituti giuridici dai contemporanei Ordinamenti civilistici …come qualche autore –soprattutto dall’ambito teologico-pastorale–, invece, parrebbe indotto a pensare.

Ciò che, infatti, va posto in luce in questa prospettiva non è tanto l’origine di tale corresponsabilità –a guisa del moderno ‘potere’ che risiederebbe in modo sovrano ed originario nel popolo– ma piuttosto la sua finalità che, nella Chiesa, coincide con la sua stessa ratio essendi: la missione affidatale dal Cristo di custodire la sua ‘testimonianza’ sulla paternità di Dio e farne partecipi tutti gli uomini di ogni luogo e tempo. Come –conciliarmente– insegnava Paolo VI nella “Evangelii Nuntiandi” del 1975:

«è con gioia e conforto che noi abbiamo inteso, al termine della grande assemblea dell’ottobre 1974, queste parole luminose: “Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa”, compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale non rendono meno urgenti. Evangelizzare, infatti, è la Grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare».


2.3 Il principio di corresponsabilità

Proprio a riguardo della corresponsabilità va osservato come in effetti si tratti di un vero principio portante del Libro II del Codice latino; forse la maggiore in assoluto tra le sue novità. La Chiesa del Vaticano II, infatti, non più identificata con la “sacra gerarchia”, pur confermando la natura personale dell’autorità episcopale –assistita ora anche da una specifica sacramentalità– non lascia soli i singoli Pastori nella sempre più difficile e specialistica cura pastorale ma li spinge ad avvalersi di specifici Organismi di consultazione e collaborazione (tanto stabili che temporanei) attraverso il cui consilium poter meglio procedere alle decisioni irrinunciabili spettanti a chi ricopre il pastorale ministerium. Lo stacco –non solo funzionale– con le Istituzioni ‘consultive’ del passato è palese.


Nel Popolo di Dio, inoltre, tutti i christifideles sono oggi membri attivi per la realizzazione della missione affidata da Cristo alla Chiesa come tale; il Concilio parla infatti di «vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli per l’edificazione del Corpo di Cristo» (LG 32) e di «partecipazione dei laici alla missione della Chiesa», affermando che «la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all’apostolato» (AA 2). Ciò comporta la qualificazione del laicato non più come ‘destinatario’ della missio Ecclesiæ svolta dalla gerarchia sacerdotale quanto piuttosto come vero soggetto pastorale e cultuale, impedendo di ridurre la corresponsabilità alle sole questioni sulla potestas esercitabile o meno da parte dei laici nella Chiesa (cfr. Can. 129 §2).

Una forte istanza di corresponsabilità –seppure su un piano diverso– va riconosciuta anche nel rinnovato esercizio dell’Episcopato che emerge dall’unitarietà ministeriale dell’intero Corpus episcopale cui, in solidum, compete ed incombe il mandatum di Cristo agli Apostoli …per ‘successione’ da Collegio apostolico a Collegio episcopale e non per semplice ‘genealogia episcopale’ da un Apostolo/Vescovo all’altro. Leggere l’attuale configurazione gerarchica della Chiesa come un ‘decentramento’ semplicemente funzionale (sul modello statuale) non potrebbe reggere alla chiara istanza di corresponsabilità che Lumen Gentium, ed il Vaticano II in generale, prospettano per il Collegio episcopale presieduto dal suo Capo. La potestas pastoralis del Vescovo diocesano, ottenuta attraverso la missio canonica affidata alla sua persona dal romano Pontefice, è infatti “propria”, ma va esercitata in comunione con l’intero Collegium, come il recente Magistero sul ministero episcopale palesa con evidenza e l’accresciuta attività delle Conferenze episcopali consolida.


2.4 Impatto ordinamentale

In realtà, poco importa in questa prospettiva che si tratti di ‘partecipazione’, ‘collegialità’ o di ‘sinodalità’ in senso tecnico, o di altre tipologie strutturali e funzionali (democrazia?) cui singoli settori o ‘rami’ delle Discipline ecclesiastiche possano indulgere, quanto piuttosto che si sappia riconoscere e si accolga l’irrinunciabile principio ecclesiologico non-individualistico sollecitato dal Vaticano II; principio che –reiteratamente– porta ad escludere qualsiasi forma e modalità solipsistica di concezione ed attività ‘ecclesiale’. Proprio l’indiscutibilità di tale principio sollecita una radicale revisione della sistematica generale dell’Ordinamento giuridico canonico (e delle dottrine connesse), ben al di là di ciascuna delle diverse teorizzazioni pre e post-conciliari sulla natura, consistenza ed esercizio della c.d. (sacra) potestas.


Pare essere questo, in fondo, il leitmotiv che ha scandito un po’ tutte le relazioni della “Quarta Giornata Canonistica” sulle diverse tematiche, non ultime quelle processual-matrimonialistiche che, pure, hanno saputo rifuggire da ogni ‘isolamento’ tanto del Giudice che delle parti, tanto dei diversi Giudici che delle loro Decisioni… all’interno di una percezione –e presentazione– dell’Ordinamento canonico in una chiave davvero ‘plurale’ in cui l’agire ed operare di ‘ciascuno’ è sempre intermedio, propedeutico o conclusivo dell’agire ed operare di ‘altri’ che lo stesso Ordinamento chiama a cooperare allo stesso fine all’interno di una precisa struttura istituzionale a suo modo ‘corresponsabile’, voluta, attuata e garantita dalla Legge stessa.

…Quasi valesse come principio anche di vita ecclesiale il monito salomonico: [in Ecclesia] “veh soli!” (Pr 4, 10)


3. ACQUISIZIONI ED EVIDENZE

Dai vari contributi espressi nelle diverse sessioni di lavoro emerge un quadro –certamente non definitivo– piuttosto problematico proprio in riferimento alle tre tematiche presentate; un quadro che porta a chiedersi se esista e, nel caso, quale sia una/la consistenza espressamente canonica di categorie/concetti quali, appunto: responsabilità, rappresentanza e corresponsabilità, soprattutto in relazione/rapporto con gli Ordinamenti statuali e l’identità e portata che questi concetti ed Istituti giuridici hanno ormai cristallizzato in essi. Sono in gioco, a ben vedere, la reale autonomia ed indipendenza reciproca degli Ordinamenti giuridici c.d. primari e le loro necessità e/o possibilità di raccordo e ‘transito’ inter-ordinamentale… soprattutto in ambiti delicati come quello penale e risarcitorio in cui gli Ordinamenti, di fatto, ‘concorrono’ ma senza potersi immediatamente sovrapporre.

Le riflessioni che seguono pongono in evidenza la sostanziale irriconducibilità da concetto a concetto e da Istituto ad Istituto di quanto –comunque legittimamente– è chiamato allo stesso modo nei diversi Ordinamenti.


3.1 Responsabilità

Gli apporti, soprattutto, di Begus, Bombin, Eusebi, pongono in risalto l’effettiva difficoltà tanto teoretica che pratica a focalizzare in modo specifico cosa (e come) sia da intendersi dal punto di vista giuridico-canonico per ‘responsabilità’. Ciò soprattutto quando si debba assumere l’evidente portata e valenza ‘negativa’ attribuita in sede giurisprudenziale (soprattutto civilistica) a tale concetto nella sua sostanza di –preteso– controllo previo esercitato sull’agire di altri, più o meno ‘terzi’ a seconda dello specifico punto di vista ordinamentale adottato (canonico o civilistico, codiciale o di common Law).

È chiaro, infatti, che in tale prospettiva –giudiziale– la ‘classica’ corrispondenza deduttiva tra ‘obbligazione’ (a sua volta contrattuale o extra-contrattuale) e ‘responsabilità’ non risulta affatto adeguata e neppure rispondente alla reale natura e consistenza né [a] dei rapporti giuridici in essere tra Autorità ecclesiali/stiche e ‘loro’ subalterni, né [b] ai rapporti intercorrenti tra persone fisiche incaricate di specifici uffici ecclesiastici e commissione di atti del tutto estranei al loro legame istituzionale con l’Ente di cui ricoprano, p.es., la legale rappresentanza o altri ruoli/funzioni istituzionali. Che in questa luce vadano presi in adeguata considerazione i nessi di causalità e consequenzialità dell’azione/omissione personale da cui deriverebbe a posteriori una responsabilità –giudizialmente intesa– appare chiaro; le qualificazioni, modalità, gradazioni e presunzioni, da valutare/computare per individuarla e ‘valutarla’ dal punto di vista canoncio lo risultano molto meno.


a) È il caso della responsabilità –almeno– in vigilando del Vescovo diocesano nei confronti dell’agire dei chierici incardinati alla sua Diocesi o comunque in servizio presso di essa (la quale è e rimane tutt’altro rispetto al Vescovo stesso …tema della rappresentanza!); è il caso, similare quanto a vigilanza, dell’Istituto religioso verso i suoi membri in ambito contrattuale.

Ciò che viene in rilievo nelle due ‘aree’ menzionate è la contestazione a posteriori (in Tribunale –penale statuale–) della mancata –sufficiente/adeguata/necessaria– vigilanza nei confronti del ‘reo’, soprattutto, in ragione del ‘danno’ che qualcuno ne abbia derivato …ciò presupponendo di fatto una sorta di ‘identità’ duale tra Vescovo/Istituto-religioso (da una parte) e chierico/religioso (dall’altra) in modo che risulti un unico ‘terzo’ nella persona/figura del danneggiato. Questo suppone e comporta però, almeno nelle sedi non-canoniche, la presunzione di un rapporto –in qualche modo– di ‘rappresentanza/mandato’ tra Vescovo/Istituto-religioso e chierico/religioso o, comunque, un loro ‘aver-parte’ che crea complicità o favoreggiamento (o ‘corresponsabilità’) …a seconda dei punti di vista. Quasi che il Vescovo/Superiore, p.es., potesse venir chiamato a rispondere ratione potestatis dell’operato dei chierici a lui sottoposti ratione ministerii …senza considerare, p.es., come tali soggetti (chierico/religioso) [a] non siano ‘dipendenti’, [b] né ‘mandatari’ del Vescovo/Superiore, o [c] non agiscano secondo un mansionario… [d] né ‘a ore’ soltanto, distinguendo tra azioni poste ‘in servizio’ o ‘fuori servizio’. Nessun rapporto civilistico, infatti, risulta in grado di ‘assorbire’ adeguatamente la sostanzialità del rapporto canonico.

Che anche lo stesso Vescovo/Istituto-religioso sia sostanziale parte lesa (quindi ‘terzo’, vittima) in tali vicende non sembra neppure ipotizzabile ad oggi in ambito statuale …misconoscendo la portata distruttiva –il ‘danno’ effettivo– che determinati comportamenti assumono verso un Ordinamento di natura espressamente e primariamente ‘spirituale-etica’ come quello ecclesiale.


b) Tutt’altro che chiara anche la questione a riguardo dei membri del Consiglio diocesano per gli affari economici e del Collegio dei Consultori, i quali non realizzano certo la figura di ‘Amministratori’ propriamente detti (si è parlato, infatti, di Co-amministratori), né per l’Ente Diocesi –che li vede maggiormente coinvolti– né per gli altri Enti soggetti alla vigilanza episcopale, ma svolgono funzioni di assessoramento/sindacato …diverse pertanto dal vero controllo.

In tale prospettiva l’assenza dello specifico apporto che il loro intervento avrebbe dovuto offrire –eventualmente attraverso la negazione del ‘consenso’ perché l’Ordinario rilasciasse la Licenza (sostanziale ‘veto’ nei confronti dell’atto da autorizzare)– appare ben difficilmente contestabile come ‘inadempimento obbligazionale’ (con annessa responsabilità) da parte dei singoli (o qualcuno di essi) …palesando così, per l’ambito canonico, un coinvolgimento certamente ‘legale’ ma la cui qualificazione giuridica ‘assoluta’ non pare potersi porre in termini di –semplice– responsabilità (di stampo civilistico/penale).

La ‘natura’ e funzione espressamente consiliare di questi Organi –anziché collegiale come sarebbe un vero Consiglio di amministrazione (civilistico …come, p.es., quello degli “Istituti diocesani per il sostentamento del clero” in Italia)– li rende del tutto anomali sul piano della sistematizzazione istituzionale, ma più ancora giuridica… evidenziando la necessità di avviare una significativa riflessione sulla loro reale consistenza. In fondo si tratta di strutture e ‘logiche’ nuove, introdotte soltanto dal Concilio Vaticano II e formalizzate giuridicamente per la prima volta nel vigente Codice latino in una prospettiva più funzionale/operativa che non sistematica.


c) L’ambito canonico, al contrario, soprattutto per la problematicità del ricondurre il concetto di responsabilità unicamente a quelli [a] di obbligazione o [b] di necessario impedimento previo di un altrui agire, potrebbe trarre significativi vantaggi –innanzitutto teoretici e dottrinali– dal considerare sotto una nuova luce il rapporto persona-responsabilità-Istituzione, in modo tale che attraverso la responsabilità la persona (con le proprie istanze volte al presente) si ponga in relazione alle esigenze di ‘autenticità’ e stabilità dell’Istituzione (che per sua natura guarda al futuro), secondo una concezione ‘pro-attiva’ della responsabilità stessa …sul ‘modello’ di quanto tende a realizzarsi all’interno delle diverse forme e strutture della vita consacrata (Andrés) ed associativa.

La responsabilità potrebbe allora delinearsi come

«quel particolarissimo apporto della persona, libera, razionale, relazionale e dialogante, che si fa elemento di mediazione tra le esigenze dell’universale e le istanze del particolare, offrendo una prospettiva di senso e di bene alle strutture e Istituzioni di giustizia»;


rifuggendo ogni prospettiva unicamente rivendicazionista nei confronti di un passato rivelatosi spesso ormai –purtroppo– insufficiente ed inadeguato. In ciò, però, la dottrina canonistica risulta ancora lontana anche solo dai ‘blocchi di partenza’.


3.2 Rappresentanza

Alcuni degli elementi già indicati in termini di responsabilità (Begus, Bombin, Eusebi) rilevano anche in fatto di rappresentanza, soprattutto dopo che la prospettiva storica (Musselli) e quella teologica (Montan) hanno ben mostrato l’esiguità della consistenza e determinatezza della stessa categoria/concettualizzazione in ambito ecclesiale-canonico. In specifico merita particolare rilievo l’adeguata ‘qualificazione’ giuridica della connessione (in termini di rappresentanza non meno che di responsabilità) tra uffici/incarichi ecclesiastici, Enti/patrimoni canonici e le persone fisiche che li ‘reggono’ (nomine Ecclesiæ) ed amministrano (vi officii).

Per quanto, infatti, l’Ordinamento canonico si sia sempre trovato nella necessità di ‘rappresentare’ tanto uffici ecclesiastici che –loro– patrimoni (accordando loro attività, protezione ed Azione in campo giuridico) contribuendo non poco –soprattutto rispetto alla concezione privatistica germanico-beneficiale– alla stessa concezione e concettualizzazione moderna dell’Istituto della personalità morale/giuridica (sensibilmente cresciuto anche canonicamente dal Codice pio-benedettino a quello vigente) lo status quo attuale non pare offrire risposte adeguate ad alcune problematiche teoretico-sistematiche che emergono in tutta la loro portata anche nella quotidianità. Tre in particolare.


a) Consistenza dei rapporti strutturali e funzionali tra le diverse Circoscrizioni ecclesiali/stiche e tra queste e le loro espressioni giuridico-istituzionali ‘interne’.

È il problema dei rapporti reciproci tra Enti canonici (ed ecclesiastici) soprattutto ‘gerarchici’, tra i quali –in effetti– non esiste alcuna vera gerarchicità ‘strutturale’, in quanto la vera funzione ‘gerarchica’ ecclesiale/stica (che storicamente è stata individuata come ‘potestas’) risulta essere esclusivamente personale della c.d. Autorità (Vescovo ed equiparati) e non degli Enti in quanto tali. Concretamente l’Ente Diocesi (nelle sue strutture e funzioni) e gli Enti Parrocchie (nelle loro strutture e funzioni) risultano –in quanto Enti–, anche canonicamente, sullo stesso piano …non meno che tutte le diverse Circoscrizioni ecclesiali/stiche riconosciute come ‘Chiesa particolare’ (con governo ‘proprio’) rispetto alla Chiesa universale …tanto che il Can. 113 §1 deve differenziarla “ex ipsa ordinatione divina”. La non-corrispondenza ordinamentale di tale concezione-struttura è quella che riverbera in specifiche situazioni inter-ordinamentali di grande portata in termini proprio di rappresentanza-responsabilità nelle quali –come negli U.S.A.– le Parrocchie risultano ‘parte’ dell’Ente Diocesi …trasferendo ad essa le ‘responsabilità’ per danno/colpa/dolo degli Enti Parrocchie e, più ancora, dei loro legali rappresentanti (i Parroci) …come accadrebbe verso l’Azienda ‘capo-fila’ di qualunque gruppo economico/industriale per le questioni connesse alle Aziende consociate, controllate, dipendenti ed i loro Amministratori.

Di fatto, esauritosi col Vaticano II il modello giurisdizionale-imperiale che –dal Sacro Romano Impero carolingio– vedeva le ‘Diocesi/Province’ come semplici circoscrizioni funzionali, parte di un unicum costituito dalla Chiesa –romana– come tale, non esiste oggi un vero modello/concetto istituzionale-giuridico in grado di tematizzare i rapporti reali di gerarchia, subordinazione, rappresentanza e responsabilità tra persone giuridiche e fisiche all’interno della Chiesa cattolica latina. La vera ed effettiva ‘gerarchia’, infatti, non è tra gli Enti, ma tra coloro che li ‘reggono’ (e ‘rappresentano’)… a partire dal romano Pontefice ai Vescovi diocesani ai Parroci, ecc. Tanto più se tale ‘gerarchia’ si esplica ed esercita –ora– principalmente ratione Ordinis anziché –come in precedenza– ratione iurisdictionis.


b) Reale natura e consistenza dell’Istituto canonico della vicarietà.

Per quanto all’interno dell’Ordinamento canonico non sia in discussione la costante esistenza di una strutturale funzione vicaria, questa non pare avere in realtà alcuna rispondenza agli elementi costitutivi della rappresentanza …potendo invece –forse– manifestare elementi istituzionali in riferimento alla responsabilità (canonicamente intesa).

Mentre infatti Legato, Mandatario, Nuntius (ecc.) hanno specifica consistenza in ragione della rappresentanza loro attribuita, al Vicario risulta molto difficoltoso applicare le diverse modulazione teoretico-sistematiche proprie dell’Istituto giuridico della rappresentanza. Ciò a maggior ragione in quanto la sua è sempre una funzione ‘volontaria’ (il Vicario è ‘assunto’ a tale funzione da parte dell’Autorità ecclesiale –persona fisica–) e mai ‘legale’ (attribuita dalla Legge stessa). La completa insignificanza dei Vicari in rapporto alla gestione e rappresentanza degli Enti canonici sopra menzionati è assolutamente emblematica per lo stesso Diritto codiciale!

D’altra parte, come già sollecitato, la maggior parte delle funzioni vicarie canoniche è assolutamente ‘personale’: tanto nella persona del Vicario che dell’Autorità di cui svolge tale funzione. Non senza, tuttavia, una cospicua ‘eccezione’ (sic) rappresentata dalla Curia romana la quale ‘come tale’ svolge funzione vicaria del romano Pontefice (Can. 360: «quæ nomine et auctoritate ipsius munus explet»), senza che nessuno –pur dei suoi alti-Officiali (capi-Dicastero)– possa ritenersi ‘uti singuloVicarius romani Pontificis …mentre ogni altro Vicario è sempre persona fisica. Non di meno il Vicario parrocchiale non è –più– Vicario del Parroco ma della Parrocchia come tale!

Sembra palese in quest’ottica che il problema non riguardi la rappresentanza ma la potestas… e le rispettive attribuzioni autoritative in vista del governo ecclesiale; ciò non di meno, il problema circa la natura e consistenza della vicarietà permane in tutta la sua portata …almeno fino a quando qualcuno potrà esercitare la potestà di un altro senza esserne –anche– rappresentante!


c) Rappresentanza del corpo ecclesiale e governo gerarchico della Chiesa.

Le questioni emergenti circa il rapporto strutturale e funzionale tra Enti canonici (anche gerarchici) e loro autorità di governo –propria e vicaria– mostrano un’altra ‘debolezza’ teoretico-sistematica specifica della giuridicità canonica non più trascurabile né in termini di rappresentanza né di responsabilità; si tratta del rapporto tra fedeli, governo e vita ecclesiale che gli autori –forse– meno ‘provvisti’ sotto il profilo tecnico-istituzionale (e giuridico) tendono spesso a ricondurre –con estrema semplificazione– a formule funzionali (es.: democrazia) o testuali (es.: sinodalità) …come quelle –di scarsissima utilità giuridico-istituzionale– che Montan riferiva presenti in ambito ‘pastorale’.

Si tratta, di fatto, di constatare come all’interno della Chiesa cattolica non esistano forme di rappresentanza istituzionale dei fedeli presso il governo ecclesiale/stico, di specifica natura ministeriale; a cosa questo corrisponda sotto il profilo ecclesiologico –e più genericamente teologico– non appare oggi sufficientemente delineato ed approfondito dalla riflessione teologico-pastorale. Di fatto (al di là delle ‘consultazioni’ anche previste ex-Lege) la maggior parte della vita ecclesiale ‘ordinaria’ si svolge per libera ‘cooptazione’ da parte di ogni Autorità ecclesiale/stica competente a ciascun ‘livello’ (il Papa per i Vescovi, il Vescovo per i Parroci, questi per i Catechisti, ecc.).

Tipologie a parte costituiscono invece sia [a] l’attività associativa dei fedeli, nella quale però l’elemento espressamente rappresentativo non pare realmente sviluppato in quanto tale, che [b] le diverse Istituzioni della vita consacrata (p.es.: i Capitoli) in cui tutti e ciascuno hanno –di principio– diritto almeno di petizione, al di là di ogni ‘delega’ o ‘rappresentanza’; non di meno il Diritto particolare dei diversi Istituti prevede una molteplicità di forme ‘proprie’ di partecipazione, rappresentanza, corresponsabilità… (Andrés).


Dal punto di vista sostanziale va poi considerato come la rappresentanza –giuridicamente intesa– si sostanzi sempre in una qualche forma di ‘alterità’ rispetto all’oggetto ed ai soggetti in questione; si tratta, cioè, di trasferire ad altri un risultato perseguito in modo non-proprio; ciò non accade nella Chiesa dove lo scopo è lo stesso per tutti e tutti agiscono –in modi diversi– per lo stesso fine (Gherri). Di fatto l’assenza di ‘interessi propri’ –in quanto esclusivi/escludenti– da parte di ‘singoli’ non permette che si possano perseguire fini specifici in nome e per conto altrui e/o da trasferire ad altri… come sarebbe in caso di vera rappresentanza (p.es. sindacale o corporativa). Quanto accade nei Capitoli religiosi o nei diversi Organismi consultivi ecclesiali lo mostra chiaramente.

Proprio in quest’ottica va anche osservato come all’interno dell’Ordinamento canonico buona parte di ciò che viene comunemente ritenuto come ‘rappresentanza’ sia, in realtà, utilizzato tendenzialmente in modo strumentale per [a] ‘selezionare’ partecipanti a qualche evento intra-ecclesiale che per sua natura non può convocare tutti i fedeli o per [b] una loro specifica ‘identificazione’: è il caso dei membri delle diverse tipologie di Sinodi (episcopali o diocesani: Cann. 346, 463) nei quali la dimensione dominante è il –solo– discernimento e non il governo potestativo (Gherri). Interessantissima, proprio in quest’ottica, l’espressa previsione di Legge (Can. 501 §3) che permette al Vescovo di sciogliere il Consiglio presbiterale –unico Organismo canonico che potrebbe mostrare qualche forma/pretesa di ‘rappresentanza’– nel caso in cui assumesse –proprio– l’atteggiamento tipico della corporatività (per quanto la norma non lo espliciti in questo modo).

Più che di rappresentanza occorrerebbe pertanto parlare di designazione; di fatto nessuno di tali soggetti ‘raccoglie’ i desiderata dei collegia che li hanno espressi (o di loro ‘correnti’ interne), né mai ad essi specificamente riferisce circa lo stato dell’attività degli Organismi ad quos …come avviene, invece, in ambito sociale, sindacale, politico.


3.3 Corresponsabilità

Quanto sin qui illustrato permette –a questo punto– di approcciare in modo rinnovato la tematica della corresponsabilità ecclesiale, andando ben oltre la soglia iniziale che la vedeva soltanto come –mera– ‘ipotesi’ dottrinale non-emergente.

Di fatto, a Iure –per quanto tecnicamente non ex-Lege– non pare rifiutabile l’osservazione che forse soltanto la corresponsabilità possa costituire la vera anima giuridico-istituzionale della Chiesa strutturata e retta dal Codice latino secondo le direttive conciliari. Specificamente in questa prospettiva un certo numero di relazioni più strettamente canonistiche hanno evidenziato con chiarezza la presenza di precise strutture istituzionali ed Istituti giuridici aventi come presupposto in qualche modo costitutivo proprio una stretta collaborazione ad unum/idem per conseguire un risultato davvero ‘ecclesiale’.


a) Ciò che emerge con una certa chiarezza –per quanto complessiva– dagli interventi di carattere processualistico (Arroba, Izzi, Buselli Mondin, Di Bernardo) pare essere una vera e propria strutturazione istituzionale dell’Ordinamento canonico in chiave multi-articolare: una struttura, cioè, di grande unitarietà riguardo ai ‘fini’, nonostante una puntualissima e consolidata pratica ‘differenziata’ in cui parrebbe emergere un primato della ‘pluralità’ dei soggetti coinvolti rispetto alla loro gerachicità o funzionalità.

Si tratta di evidenziare e valorizzare in modo strutturale da una parte [a1] la ricorsività delle Istanze di giudizio, piuttosto che la loro ‘gerarchia’, [a2] la pluralità del Decisum –attraverso la c.d. doppia [Sentenza] conforme– rispetto alla ‘gerarchia’ dei Tribunali, [a3] la collegialità del Giudice; [b] la finalità ‘unificante’ del Processo di nullità matrimoniale rispetto alla pluralità delle parti in esso intervenienti (litisconsorzio congiunto).

Che il risultato perseguito attraverso la complessa struttura giudiziale canonica tenda sempre alla unitarietà è un dato di fatto istituzionale nell’Ordinamento canonico: quando non si tratti di –mero– bene privato/individuale (causæ Iurium) la Chiesa mostra una specifica consapevolezza e volontà di auto-assicurarsi istituzionalmente circa la qualità effettiva del risultato attraverso la necessaria pluralità dei soggetti che intervengono, affinché solo da una vera valutazione (consilium) e scelta (decretum) condivisa a così diversi ‘titoli’ e ‘livelli’ possa venire un’affermazione circa la verità dei fatti (sententia) ragionevolmente –per quanto ‘solo’ umanamente– certa. Se ne evidenzia una prospettiva –e struttura– ordinamentale che non può passare inosservata, né ignorare un evidente presupposto di ‘diffusione’, moltiplicazione e condivisione di una responsabilità che, di per sé, compete e ricade solo sulla Chiesa come tale …soprattutto nelle Dichiarazioni di ‘nullità’ sacramentale.


b) Nota del tutto autonoma, per quanto assolutamente armonica col resto della panoramica ordinamentale delineata, è la corresponsabilità coniugale (Bonnet) che, proponendo istituzionalmente un unum/idem bonum –per ciascuno ed entrambi i coniugi–, li sottrae preventivamente ad una mera responsabilità (ex obbligatione), proiettandone le forze e gli intenti verso un futuro che, solo se/perché/quanto condiviso, diventa creativo e sempre costitutivo del coniugale con-sortium.


CONGEDO

Nonostante, da una parte, l’innegabile impressione che si tratti di approcci di livello ancora interlocutorio, dall’altra non è meno rilevabile la quantità e qualità delle considerazioni ed ‘idee’ entrate in gioco …e, spesso, la loro novità tanto dottrinale che sistematica.


PAOLO GHERRI


in Apollinaris, LXXXIII (2010), 247-265