Logica e Diritto: tra argomentazione e scoperta



PAOLO GHERRI





SOMMARIO. PARTE PRIMA - RAPPORTO TRA ATTIVITÀ GIURIDICA E LOGICA. 1. Attività giuridica e linguaggio. 2. Logica e Diritto in generale. 3. Attività giuridica tra scoperta ed argomentazione. 4. Criteri e specializzazioni funzionali logico-giuridiche.

PARTE SECONDA - LOGICA PER L’ATTIVITÀ GIURIDICA. 5. La Logica. 6. Logica proposizionale e Diritto. 7. Logica predicativa e Diritto. 8. Questioni aperte. 9. Prospettive interdisciplinari.



Il tema della connessione tra Logica e Diritto non è certo una novità di questi anni, costituisce anzi una specie di ricorrenza che periodicamente si riaffaccia all’orizzonte teoretico dei giuristi per interrogarne le menti …oltre che la coscienza, quando –in effetti– non si sia già presentato loro proprio per dirimere la crisi intervenuta tra mente e coscienza nei casi in cui abbiano dovuto –o voluto– capire che cosa davvero fosse in gioco e che cosa si chiedesse loro, o si siano trovati nella necessità di ‘scegliere’ tra differenti valori entrati in ballo nell’esercizio del loro –a volte differente– ruolo giuridico di Autorità amministrativa, Pubblico Ministero, Giudice, Patrono/Avvocato, Consulente, Legislatore, soprattutto canonico.

Una connessione colta spesso istintivamente come una generica inevitabilità, ma difficilmente tematizzata nella sua reale consistenza e portata.

Dove, perché, e come Diritto e Logica si connettono? …O devono connettersi?

Lo sguardo non può certo indirizzarsi ora a tutto questo immenso panorama, né esporlo, né sintetizzarlo compiutamente, quanto soltanto indicare qualche scorcio di specifica utilità per il canonista, tanto a livello teoretico generale che pratico-applicativo. È infatti al canonista che più spesso è risultato difficile l’accesso a questo genere di tematiche, normalmente ricondotte al metodo ed alla Teoria generale propri del Diritto civile e codificato, e solo incidentalmente venuto nella considerazione di chi studia ed applica il Diritto della Chiesa.


PARTE PRIMA - RAPPORTO TRA ATTIVITÀ GIURIDICA E LOGICA


Il problema è tutt’altro che banale se posto in termini teoretici fondativi, quelli cioè della Filosofia e Teoria generale del Diritto. Se, infatti, si esce da ciascun specifico Ordinamento giuridico per cercare una prospettiva più ampia che sappia rendere ragione di un’istanza di per sé così poco tecnica sotto il profilo giuridico ma, non di meno, altamente pregiudiziale sotto quello metodologico, ci si rende immediatamente conto che le posizioni e soluzioni eventualmente adatte e sufficienti per un Ordinamento –o una sua parte– non lo sono affatto per gli altri… e, forse addirittura, persino all’interno di uno stesso Ordinamento possono sussistere veri e propri conflitti operativi e di ruolo tra diverse funzioni anche istituzionali, com’è –con evidenza, secondo qualcuno– tra Giudice e Patrono canonici o –statualmente– tra Pubblici Ministeri e Giudici. La ‘tipicità’ dell’Ordinamento canonico non lo sottrae a questa problematica del tutto generale.


Poche semplici –e generali– suggestioni sembrano tuttavia sufficienti ad illustrare il ventaglio variegato che interessa questa tematica ai livelli più profondi.

- Secondo quale ‘logica’ nei sistemi c.d. di civil Law vengono redatti i testi di Legge in modo che coprano la maggior generalità possibile di casi e situazioni? Secondo quale ‘logica’, per contro, nei sistemi di common Law si evidenziano e dichiarano i principi del Diritto a cui le singole situazioni andranno ricondotte?

- Non di meno: quale ‘logica’ segue il Pubblico Ministero che articola un’accusa in campo penale, quale l’Avvocato difensore, quale il Giudice …tanto più se collegiale? Ed in campo privatistico? Nel Diritto di famiglia?

- Ancora: quale ‘logica’ segue l’Avvocato che sa di sostenere la parte di un innocente oppure quella di un colpevole? Come cambia la cosa tra l’ambito ‘civile’ e quello penale?

- Secondo quale ‘logica’ il Giudice giunge a convincersi di una determinata ricostruzione di fatti e con quale ‘logica’ motiva la Sentenza che ne deriva?

- Fin dove lo stesso Giudice può ritenersi soddisfatto e convinto dagli apporti di parte e quando, invece, deve rendersi attivo per giungere ad una personalissima convinzione circa i fatti e la loro portata?

- Secondo quale ‘logica’ la dottrina contrasta così spesso la Giurisprudenza? E questa a sua volta ‘interpreta’ la Legge, finendo spesso per contraddirla nei fatti?

In ogni ruolo e funzione –è risaputo che– ciascun tecnico o studioso del Diritto potrà invocare a proprio supporto e vantaggio la Logica (giuridica), sebbene con presupposti ed esiti spesso evidentemente contraddittori.


Non va ulteriormente illustrato come il rapporto tra Logica e Diritto costituisca di fatto una tematica di grande rilievo teoretico e metodologico che, tuttavia, continua a riscuotere un’attenzione molto parziale in ambito giuridico generale e molto meno in quello espressamente canonistico, ancora spesso fissato a concettualizzazioni e convinzioni plurisecolari la cui efficacia perde continuamente di credibilità e rilievo –tanto giuridico che pratico–, senza che tuttavia si tenda ad interrogarsi sull’effettivo ‘valore’ e fondatezza di convinzioni che rimangono tali solo perché semplicemente inveterate. Proprio per la Logica, d’altra parte, è già stato osservato come:

«viene un momento, in ogni settore della conoscenza, in cui non si producono più idee davvero nuove, e le ricerche continuano ad andare avanti per una certa via solo per forza di inerzia, perché qualcuno l’ha già intrapresa, e non perché essa abbia, o abbia ancora, uno scopo chiaramente visibile e importante. Quando arriva quel momento, c’è solo da augurarsi che venga introdotta al più presto qualche nuova idea brillante, che mandi in soffitta il paradigma corrente e ne instauri un altro. Ma non ci si deve illudere che le nuove idee vengano accolte a braccia aperte. Le resistenze al cambiamento sono fortissime in tutti i campi, ivi compresa la Logica».


Ancor oggi per molti giuristi ‘pratici’ –canonisti in particolare– la Logica coincide di diritto e di fatto col puro sillogismo formale deduttivo… sino a teorizzare –e propugnare– un vero e proprio “sillogismo giudiziale”… che restituirebbe, a fronte di un adeguato inserimento di ‘premesse’ maggiori e minori, una semplice conclusione indubitabile poiché logicamente ricavata ex Actis et probatis da quanto venuto nelle conoscenze –non solo processuali– del Giudice (canonico): il “calculemus” di leibniziana memoria.


Non che nell’ultimo secolo sia mancato del tutto uno specifico interesse per la “Logica del Diritto”, pur tuttavia questa è stata spesso affrontata come Disciplina autonoma da parte di non-giuristi che hanno finito per identificarla troppo facilmente con la –sola– Logica delle norme o del solo “linguaggio normativo/prescrittivo”, con privilegio d’interesse da parte degli indirizzi più ‘analitici’ della Filosofia o ‘formalisti’ del Diritto, non ignorando neppure l’evidente maggior sensibilità degli ambienti anglo-sassoni rispetto a quelli continentali.


Qualche filone dottrinale critico negli ultimi decenni sta tentando di richiamare l’attenzione sulla ‘pluriformità’ ed ambiguità della Logica come tale, sia ponendo in rilievo le c.d. Logiche deontiche, che cercando di differenziare la Logica secondo –almeno– due linee affatto differenti: quella argomentativa e quella investigativa; si profila –altresì– per lo specifico ambito giuridico la necessaria ulteriore distinzione tra Logica normativa, Logica investigativa, Logica decisionale e Logica motivazionale (argomentativa), quali aspetti differenti ma complementari di una stessa “Logica giuridica”.


1. ATTIVITÀ GIURIDICA E LINGUAGGIO

1.1 Le parole nel Diritto

Alla base dell’intera tematica si pone la necessaria consapevolezza epistemologica circa la natura imprescindibilmente verbale dell’attività giuridica: il mondo giuridico è un mondo ‘fatto’ di parole… non tanto/solo –però– quelle della ‘Legge’, ma molto maggiormente quelle dell’intera e complessa vita giuridica: affermazioni e negazioni, pretese e rifiuti, istanze e verdetti, accuse e testimonianze, condanne ed assoluzioni; un mondo in cui esistono –anche– ‘dei’ fatti concreti, ma quasi sempre irripetibili e/o confinati nel passato… quel passato che può riemergere (forse o ‘come se’) solo a parole.

Parole sono i testi di Legge del civil Law (Leges) e le proclamazioni dei principi giuridici del common Law (Iura), parole sono le accuse o le pretese di chi si rivolge ad una qualche Magistratura, parole sono i Contratti, gli Accordi, i Trattati, parole sono gli strumenti operativi di Pubblici Ministeri, Giudici, Avvocati, Periti, Corti giudicanti, parole sono la Giurisprudenza, la dottrina e la didattica giuridica.

Sintomatica al proposito la difesa di sé proposta dall’Avv. A. Bernardini de Pace, sospesa per tre mesi a marzo 2009 dall’Ordine degli Avvocati di Milano per tariffe troppo onerose: «noi vendiamo parole, un bene immateriale: perché non si deve considerare il loro valore?».


Ciò, però, non è ancora sufficiente, poiché il Diritto non solo si serve di parole ma le prende anche sul serio dal punto di vista ‘ontologico’ riconoscendo o attribuendo loro specifici e precisi contenuti in base ai quali si fanno poi discendere tutta una serie di conseguenze; il Diritto ‘definisce’… non solo le posizioni giuridiche di singoli soggetti/oggetti, ma gli stessi Istituti giuridici, le fattispecie, i diritti ed i doveri, i reati, le sanzioni, ecc. È ciò di cui Giavoleno (I sec. d.C.) era già consapevole, al punto di tirarne la ben nota conclusione: «in Iure civili omnis definitio periculosa est», una chiara osservazione di metodo che, in uno Ius soltanto ‘pretorio’, poteva avere qualche effetto benefico, ma che non è più possibile ‘rispettare’ da quando la Lex ha sorpassato l’Actio… divenendone addirittura ‘il’ presupposto, invece del ‘fatto’ stesso.

Quanto spesso, d’altra parte, i giornalisti scuotono (o turbano) la pubblica opinione estrapolando le formalizzazioni e definizioni giuridiche cui qualche Corte di Cassazione –o quella Costituzionale– è giunta al fine di poter affrontare con maggior consapevolezza la soluzione di qualche caso… spesso divenuto emblematico. Quante nuove fattispecie ed Istituti giuridici, d’altra parte, sono sorti proprio dalla formalizzazione e ‘definizione’ giudiziale, come –p.es. in Italia– il c.d. danno esistenziale.


1.2 Le parole del Diritto

Nessuno potrebbe così negare come un tal mondo, fatto –quasi solo– di parole, sia completamente immerso nelle dinamiche del linguaggio e continuamente esposto tanto alle lusinghe della Retorica che alle promesse della Dialettica. Anche sotto il profilo fenomenico, la primordiale funzione giudiziale, che comporta strutturalmente l’intervento di un ‘terzo’ (Arbitro o Giudice che sia) il quale ‘conosca’ e ‘decida’ la questione, è sempre rimasta in bilico tra la persuasione e la convinzione, obiettivo/frutto prevalente della Retorica la prima, della Logica la seconda; la stessa distinzione (rifiutata in Diritto canonico) tra una ‘verità processuale’ ed una ‘verità sostanziale’ trova qui il suo fondamento.


Nessuno potrebbe, però, negare come le ‘parole’ utilizzate dal Diritto tendano a (e pretendano di) non essere ‘vuote’, ma cerchino costantemente un’efficace penetrazione della realtà e della vita umana, oltre ad una ‘stabilità’ di interpretazioni e significati di cui il ‘giudizio’ ha necessità costitutiva.

È quanto si esprime e realizza attraverso l’alta tecnicità proprio del linguaggio giuridico che tende a mantenere lungo i secoli la propria stabilità ed efficacia. La quantità di formule e definizioni latine ancor oggi in uso nella dottrina giuridica ne è la prova più evidente, costituendo –forse prima della stessa Logica– un efficacissimo esempio di quella formalizzazione del linguaggio che tanti vantaggi sta offrendo proprio alla Logica stessa.

Dogmatica giuridica, prassi e Legislatori ne sono tributari attraverso gli Istituti giuridici, le Regulæ Iuris, le presunzioni di Diritto, attraverso cui il linguaggio ha formalizzato e trasmesso un’esperienza –prudenziale– che ancora guida molta parte dell’attività giuridica. Un linguaggio ‘rigido’, di parole non-vuote che tracciano spesso percorsi di discernimento e valutazione, che suggeriscono vie di soluzione, che sconsigliano pericolose latenze…

Non di meno l’aspirazione universalista del Diritto richiede proprio un’incontestabilità del linguaggio giuridico per assicurarsi, quasi intrinsecamente, la comunicabilità più piena e la condivisibilità più ampia possibile di quanto richiesto, esigito e deciso, per quanto ciò non possa prescindere dalle problematiche naturalmente connesse col linguaggio stesso.


Si aggiunga pure come il Diritto sia uno dei maggiori ambiti del c.d. linguaggio performativo: quello, cioè, che ‘crea’ e ‘modella’ la realtà attraverso la parola… quello che condanna, creando un colpevole, ed assolve, riconoscendo (costituendo) un innocente; quello che assegna un patrimonio o dichiara un fallimento, quello che sancisce un patto o lo invalida.

Pare, dunque, essere questo il preciso e specifico punto d’inserzione della Disciplina logica nell’attività giuridica: gestire le potenzialità dello strumento linguistico affinché il decisum –anche normativamente– corrisponda sempre più fedelmente al cognitum (Acta et probata) e non alla semplice utilitas di qualcuno –soltanto–; tanto più nel Diritto canonico che vede la quasi totalità dei suoi Processi come ‘cognizione’ (circa la nullità) e riduce al minimo l’attività normativa.

In ciò è palese come l’apporto della Logica al Diritto sia assolutamente strumentale.


2. LOGICA E DIRITTO IN GENERALE

Pur trovandosi nella dottrina anche ‘continentale’ del secolo scorso varie ‘trattazioni’ di “Logica giuridica” (soprattutto nel primo dopo-guerra) si constata però sovente nei giuristi una difficoltà di rapporto critico col mondo della Scienza logica come tale e le sue istanze epistemologiche. Al di là, infatti, delle tematiche più espressamente ‘interpretative’ (preferite dai giuristi), spesso ci si è accontentati semplicemente di utilizzare schemi e terminologie ormai standardizzati, rifacendosi a modelli e convinzioni inveterati, introdottisi nell’ambito giuridico anche senza nessuna verifica né del fondamento (come i molti brocardi di medioevale memoria) né, tanto meno, delle implicanze espressamente metodologiche che ricadono sulla pluriformità dell’attività giuridica così come viene concretamente svolta nei diversi Ordinamenti.


Della complessità e problematicità del tema ci si è resi conto progressivamente, non solo accorgendosi di dover adeguatamente distinguere tra “Logica dei giuristi” e “Logica del Diritto”, ma anche prendendo atto delle diversissime risposte offerte dagli autori: da chi ritiene che la Logica [a] sopperisca ad una generica esigenza di rigore cui la Giurisprudenza non può sottrarsi (Loevinger), a chi [b] restringe il momento logico all’ambito del solo ragionamento deduttivo –per quanto questo esaurisca soltanto una parte della metodologia giuridica– (Brusiin, Miró Quesada, Kalinowski), a chi [c] ne ritiene la funzione affatto trascurabile (Calogero), o [d] la esclude del tutto dal ragionamento dei giuristi, che non avrebbe natura dimostrativa, ma persuasiva, retorica (Perelman). Ad esse non di meno si sono affiancate idee secondo cui la Giurisprudenza potrebbe utilmente impiegare la Logica simbolica (Klug nel 1951) che, offrendo una rigorosa formalizzazione del lavoro dei giuristi, permetterebbe l’estensione del momento logico oltre i limiti nei quali lo avrebbe confinato il sillogismo (Magni), verso “una più profonda penetrazione razionale dell’esperienza giuridica” (Tammelo).


2.1 Limiti di una relazione formale

In questo contesto problematico, segnato da forti parzialità ed assolutizzazioni, la relazione tra Logica e Diritto ha spesso generato riflessioni ‘specialistiche’ poco più che ‘formali’, indicate troppo genericamente come “Logica giuridica”, e lasciate (quasi naturalmente) alla prevalente attività dei ‘logici’, facilmente attratti da un campo d’indagine così ampio e promettente, soprattutto a livello di formalizzazioni e procedimenti.


Di conseguenza uno sguardo attento proprio alle trattazioni ‘logiche’ del tema negli ultimi due secoli pone immediatamente in risalto come si tratti, per la maggior parte dei casi, di una vera e propria riduzione della potenzialità di tale rapporto, costretto ad ‘essere’ all’incirca

«l’insieme dei criteri (e lo studio degli stessi) per i quali le proposizioni giuridiche a) assumono un significato univoco; b) possono porsi tra loro in rapporto di identità, esclusione, inclusione, estraneità; c) possono funzionare come premesse per una derivazione necessaria».


Lo studio, d’altra parte, dedicato alle sole “proposizioni giuridiche” anziché all’attività giuridica in se stessa, non poteva condurre ad altri esiti.

Da tal genere di premesse era nato, già durante l’epopea codificatoria (G. Filangeri, C. Beccaria), il c.d. sillogismo pratico (o giuridico) la cui inapplicabilità di principio continua a non essere patrimonio comune dei giuristi, soprattutto canonici. Successivamente le aspirazioni della “Logica giuridica” si erano indirizzate verso una costruzione sistematica, completa e ‘pura’ …assolutamente fondata e strutturata (Kelsen), senza tuttavia conseguire neppure questo traguardo.

L’apparire degli studi sulle Logiche deontiche a metà Novecento stimolò nuove attese verso un’integrale assiomatizzazione del linguaggio giuridico (E. García Máynez, L. Ferrajoli), senza comunque risultati significativi per la pratica forense –la maggioritaria in ambito giuridico–. Gli ultimi decenni, infine, paiono maggiormente indirizzati verso la Retorica (C. Perelman) che non la Logica come tale, risospingendo le riflessioni verso la “lezione del pensiero classico” e la sua teorizzazione dei mezzi retorici, più che verso una vera collaborazione tra gli addetti alla tematica logico-giuridica.


2.2 Plurivalenza della Logica nell’attività giuridica

Quanto sin qui premesso evidenzia come, per introdursi alla trattazione di una tematica così specifica e di così ampio respiro, sia necessario preliminarmente riconoscere come il nesso Logica-Diritto non indichi di per sé ‘una’ specifica tipologia logica: una species all’interno del genus …quasi esistesse una Logica chimica, una Logica meccanica, una Logica poetica, ecc., più o meno come per l’analoga questione del ‘metodo giuridico’.

Una realistica –e fondata– ‘Logica giuridica’ in realtà non può essere altro che la fruizione delle diverse tipologie, metodologie, concezioni logiche, all’interno della complessa attività giuridica, la quale, proprio perché espressamente valutativa, non può prescindere dall’utilizzo del primo strumento umano di ricerca, definizione, organizzazione, proporzionamento, sistematizzazione, dei diversi ‘dati’ del ragionamento qual è, appunto, la Logica, attraverso la quale la conoscenza ‘reale’ prende corpo per mezzo del linguaggio e di un corretto pensiero.

Un tale appello, pertanto, non potrà mai essere monolitico, univoco, standardizzabile. La Logica con cui si rapporta il giurista è sempre polivalente come, d’altra parte, la sua stessa attività.


2.3 Componenti logiche dell’attività giuridica

Poiché, come detto, non è corretto parlare di una ‘Logica giuridica’ in sé, che contenga de suis tutto quanto necessario o specifico –o almeno utile– all’attività dei giuristi –né tanto meno prendere dai ragionamenti dei giuristi quella che secondo loro è ‘logica’, più o meno giuridica–, occorre gettare uno sguardo almeno sommario proprio a questa attività per scorgerne le diverse componenti ed articolazioni. Sarà solo in seguito che diverrà possibile esplicitare quali tipologie e ‘specializzazioni funzionalilogico-giuridiche siano adatte alle differenti espressioni della complessa attività giuridica, laddove per ‘specializzazioni funzionali’ logico-giuridiche s’intendono raggruppamenti di ‘modelli’, ‘operazioni’ e ‘procedimenti’ –anche disomogenei dal punto di vista metodologico– idealmente associabili all’adempimento di una specifica attività tipica del mondo giuridico.

In questa prospettiva pare sostenibile come –data la natura ‘pratica’ del Diritto e del suo ‘esercizio’– i campi fondamentali del ricorso alla Logica nel Diritto (le specializzazioni funzionali) siano espressamente riconducibili alle specializzazioni dell’attività giuridica stessa: nomogenetica, governo/amministrazione, giurisdizione, dottrina.

Ciascuna di queste ‘specializzazioni’ dell’attività giuridica ricorrerà con prevalenza ad alcune specializzazioni funzionali logico-giuridiche, lasciandone in ombra –o anche escludendone– altre, sollecitando essenzialmente gli ambiti della Logica [a] normativa, [b] investigativa, [c] argomentativa, [d] decisionale, [e] verificativa, [f] sistematica.


Di fatto il Legislatore, l’Amministratore pubblico, il Giudice, lo studioso, nella loro attività fanno larghissimo uso di strumenti logici: non tuttavia dei medesimi, né allo stesso modo o per lo stesso fine.

- La Logica normativa è il cardine dell’attività del Legislatore, chiamato a definire, correlare, sanzionare normativamente fattispecie ed Istituti nei quali, concretamente, si articola e dei quali si occupa la norma giuridica come tale. Si tratta di un’attività che, nonostante esprima un fortissimo carattere definitorio (formalizzazione), non può tuttavia prescindere dalla costitutiva connessione coi campi –almeno– dell’Etica, della Morale, della Politica (dell’Economia), dai quali trarre i propri contenuti sostanziali e le finalità da conseguire.

- L’applicazione delle norme giuridiche che compete al pubblico Amministratore fruisce più spesso degli apporti della Logica decisionale e di quella argomentativa o verificativa, dato che il fine da conseguire è già specifico ed espresso (l’applicazione della Legge) e chiede soltanto di essere correttamente posto in luce e come tale fatto valere …meglio non per sola autorità o forza di costrizione …il cui impiego richiede spesso eccessivo dispendio di forze e risorse collettive. Non di meno, chi governa deve spesso vigilare sull’operato altrui, tanto individuale che istituzionale o collettivo.

- Venendo, poi, al campo giudiziario (quello maggioritario dell’attività giuridica più espressamente ‘tecnica’ –almeno in ambito canonico–), ciò che si chiede al Giudice è la capacità di ricostruire organicamente il quadro degli eventi a lui sottoposti perché ne deliberi le necessarie conseguenze sostanziali e giuridiche, attraverso un’attività che si svolge per gradi volti a conseguire differenti risultati: [a] Logica investigativa nella fase istruttoria, [b] Logica verificativa nell’ammissione e valutazione delle prove, [c] Logica decisionale in quella decisoria, [d] Logica argomentativa nella fase conclusiva di pubblicazione della motivazione del decisum. Non di meno, anche Patroni/Avvocati e Periti partecipano attivando specifiche attività logiche: [a] argomentativa, l’Avvocato che deve sostenere l’interesse di parte, [b] investigativa e [c] verificativa, il Perito chiamato a leggere e ‘classificare’ differenti tipologie di fatti o a controllarne la rispondenza tecnica.

- Anche lo studioso e teorico del Diritto utilizza più tipologie logiche a seconda delle diverse istanze di ricerca ed attività: dal controllo della corretta applicazione dei principi logici [a] normativi in sede nomogenetica, alla [b] Logica investigativa necessaria a ‘filtrare’ Giurisprudenza ed apparati normativi ed istituzionali, alla [c] Logica argomentativa per diffondere tali risultati attraverso editoria ed attività didattica.


3. ATTIVITÀ GIURIDICA TRA SCOPERTA ED ARGOMENTAZIONE

3.1 Una tensione insolubile

Le specializzazioni funzionali logico-giuridiche già indicate non possono però essere adeguatamente comprese e fruite da un punto di vista metodologico –e prim’ancora concettuale– senza venir previamente ricondotte a schemi più ampi di qualificazione sotto il profilo epistemologico. Si tratta –in modo specifico– della bipolarità (espressamente logica) tra scoperta e argomentazione: ad essa spetta il prezioso compito di ‘fissare’ con precisione qualità, presupposti, caratteristiche e metodi dei diversi ricorsi alla Logica in ambito giuridico, sottraendosi ai rischi sia di una ‘Logica particolare’ con caratteristiche proprie e peculiari in ragione del suo metodo e del suo oggetto, sia della sua diretta identificazione con la Logica formale applicata tout-court al Diritto, come sua unica referente.


Alla polarità ‘scoperta-argomentazione’ ha dedicato interesse negli ultimi anni il prof. C. Cellucci, convinto sostenitore dell’impossibilità di ‘ridurre’ –tutta– la Logica alla sola funzione argomentativa propugnata anche lungo il secolo scorso da vigorose correnti scientifiche, matematiche e filosofiche: la c.d. Logica matematica. Ne è derivata una preziosa consapevolezza della irrinunciabile ed inesausta dimensione di ‘scoperta’ propria dell’impiego della Logica, aprendo anche al ricupero del presupposto ‘aletico’ e ‘realistico’ cui la Logica stessa deve ispirarsi e riferirsi –specialmente– quando tratti di quella realtà molto specifica che è il vivere umano, in tutte le sue componenti.


Fuori da queste irrinunciabili consapevolezze –previe– un unico destino ha già accomunato da tempo sotto il profilo logico gli estrinsecisti del Diritto, laici o ecclesiastici, statuali o canonisti che siano, gettandoli nelle braccia di un nefasto formalismo deduttivo indirizzato a ‘ricavare’ dal proprio presupposto (tanto una qualche grundnorm, che un Diritto trascendente) ogni possibile risposta e conseguenza per l’attualità esistenziale.

La questione è di grande importanza metodologica ed applicativa poiché, ignorando che il sillogismo formale parte in realtà da una conclusione già posseduta (raggiunta per altra via) per cercare un efficace medio attraverso cui giungere alla giusta premessa maggiore atta a sostenere tale esito già pre-determinato, ci si continua a muovere in modo assiomatico (a-prioristico e disincarnato) ponendo come premessa maggiore la norma giuridica –letta come assioma–, vagando alla ricerca di qualche medio –atti, fatti o circostanze–, per giungere ad una soluzione ritenuta formalmente ‘adatta/adeguata’ al problema concreto …in realtà una delle –tante– possibili già contenute nella premessa –legale– maggiore ed ‘estratta’ tra le innumerevoli potenziali che le diverse premesse minori possibili (atti, fatti, circostanze, aggravanti, attenuanti, caso fortuito, ecc.) consentono.

Il procedimento si manifesta, poi, tanto più fallace in quanto, sulla scorta dei sistemi assiomatici puri (quelli matematici), si presume che gli assiomi (in realtà pochi in tali sistemi) siano sufficienti ad individuare e definire ‘tutti’ gli elementi necessari a delimitare il ‘dominio’ d’interesse ed azione …cosa che non succede certo in ambito legale, il cui ‘dominio’ concerne teoricamente l’intero vissuto sociale umano, né tanto meno potrebbe attuarsi attraverso la sconfinata fissazione normativa cui è approdata la maggior parte dei sistemi giuridici di civil Law.

Tale percorso ‘logico’, per di più, stravolge completamente la stessa natura del sillogismo formale, che non è mai euristico, ma semplicemente argomentativo. Come ‘perdonare’ un tale errore, visto che già lo stesso Aristotele aveva fissato con chiarezza questi termini del problema quando indicò la natura e funzione prettamente ‘didattica’ del sillogismo formale?


3.2 Scoperta ed argomentazione

Il problema evidenziato da Cellucci a proposito delle ‘funzioni’ proprie della Logica (euristica o ermeneutica) risulta, a questo modo, assolutamente primario e decisivo soprattutto in ambito giuridico, finendo per coincidere con quello che il linguaggio naturale chiama “dimostrazione” …ed a cui buona parte della c.d. Logica giuridica appare orientata.


L’utilizzo ordinario del termine “dimostrazione”, infatti, rimanda ad un qualunque percorso intellettuale che connetta tra loro elementi già conosciuti con altri che appaiano in qualche modo ‘ulteriori’… dando l’idea di un progresso della conoscenza. La generalità, tuttavia, di questa concettualizzazione cela una duplicità di significati nascosti nella definizione stessa: [a] un conto, infatti, è ‘dimostrare’ il teorema di Pitagora, [b] ben altro conto è ‘dimostrare’ che un tale –e proprio lui– è l’autore di un determinato atto delittuoso. Nel primo caso la ‘dimostrazione’ non è altro che la esplicitazione di un –possibile– percorso che partendo dai principi assiomatici della Geometria euclidea (già dati e rigidamente fissi) renda ragione di quanto asserito dall’enunciato del teorema; nel secondo caso, invece, la ‘dimostrazione’ è la lettura sistematica ed integrata di tutti i dati –disponibili e raccolti– che portano a rendere motivatamente plausibile una determinata ragionevole (perché almeno non contraddittoria) ricostruzione di fatti in capo all’accusato. L’infruibilità tecnica di un termine così ambiguo è palese; per questo si dovrebbe evitarlo, usando una differente terminologia: argomentazione –la prima–, scoperta –la seconda–, ad indicare due differenti ‘percorsi logici’ reciprocamente irriducibili …e dei quali solo il secondo ha espresse attinenze all’attività più specifica dello Ius dicere.


Scoperta ed argomentazione, euristica ed ermeneutica, sono comunque procedimenti logici, ma spesso incomunicanti ed anche incompatibili. La complessità della questione, inoltre, pur contenendo connessioni significative con induzione e deduzione, non è comunque riducibile ad esse soltanto.

Per quanto negli ultimi decenni la tematica abbia assunto una certa consistenza e consapevolezza con la riflessione dedicatale da Perelman proprio in tema di Logica dell’argomentazione, ciò nonostante la funzione espressamente euristica della Logica resta a tutt’oggi gravemente marginale, rimanendo misteriosa per i più e mantenendo la ricerca nell’ambito del ‘divinatorio’, più che della metodologia e della Logica scientifica.


Sullo sfondo è del tutto intatta, anzi rafforzata, la millenaria contrapposizione tra analisi e sintesi, tra procedimenti ‘dal basso’ e ‘dall’alto’, tra induzione e deduzione, già esplicitata dai tempi di Platone ed Aristotele e puntualmente ribadita e rafforzata lungo i secoli da decine di autori che hanno posto la propria incontestata autorevolezza a favore dell’una o dell’altra funzione fondamentale –e sufficiente– della Logica come tale. L’amplissimo ed articolatissimo scenario ricostruito da Cellucci ne è prova incontrovertibile ed efficace, mostrando –imprevedibilmente (?)– schierati da una parte e dall’altra autori che la Storiografia, la Filosofia –la Teologia stessa (e il Magistero)– hanno già ‘qualificato’ secondo precisi schemi e modelli, ma che in fatto di Logica mostrano innegabili specificità di vedute: da una parte, Aristotele, Leibniz, Kant, Pascal, Boole, Frege, Hilbert, dall’altra: Platone, Bacone, Galileo, Cartesio, Newton.


Il semplice quadro così delineato a partire dalle espresse e necessarie relazioni tra attività giuridica e Logica spinge decisamente a sottolineare la necessità espressamente giuridica di riconoscere e valorizzare –e sviluppare– la funzione primariamente euristica della Logica.

La maggior parte dell’attività giuridica, d’altra parte, –quella giudiziaria– si trova assolutamente vincolata alla necessità di ‘scoprire’ e ricostruire con la massima certezza –umanamente– possibile i fatti in base ai quali si dovrà Ius dicere, intervenendo così sulla vita delle persone e dell’intera società. Quale altro ‘collante’, d’altra parte, si offre a soccorrere tale attività d’indagine se non la –sola– Logica? Dove, come e soprattutto quali elementi occorre cercare per essere certi di poter ricostruire quanto accaduto? Come valutare e gestire, non di meno, tutta l’abbondante componente emotiva, psicologica, morale, etica, culturale, ecc. che emerge –ed a volte sostiene addirittura e motiva– i brandelli di realtà processualmente ricostruibile e ricostruita? Che cosa, oltre la Logica, può assistere il Magistrato ed il Giudice nella loro necessaria quanto –spesso– improbabile attività inquisitoria e ricostruttiva?

Le corali attese nei confronti della Logica tout-court non sono sufficienti…

Logica sì, certo, ma quale?


4. CRITERI E SPECIALIZZAZIONI FUNZIONALI LOGICO-GIURIDICHE

Le specificità dei ricorsi alla Logica nell’esercizio dell’attività giuridica generano inevitabilmente una varietà di ‘situazioni’ metodologiche ed epistemiche non sempre facilmente individuabili né agevolmente riconducibili ai propri presupposti… ed alle connesse conseguenze. Ciò rende utile il tracciare una –seppure sommaria– panoramica che, permettendo di cogliere sinteticamente la complessità della materia, possa giovare anche ad individuare la corretta direzione nella quale indirizzare i propri sforzi, una volta che il giurista abbia colto l’importanza di una specifica consapevolezza sul tema, liberandosi in tal modo di una serie di pre-supposti, quanto meno inconsapevoli, non sempre adatti a supportare convenientemente la sua attività –soprattutto ecclesiale–.


4.1 I criteri

Tra le numerose visioni generali della c.d. Logica giuridica prospettate in dottrina e genericamente proposte come riferimenti in materia, mostra una certa efficacia, soprattutto per la vastità del fenomeno considerato, l’approccio che potrebbe esser definito ricognitivo, improntato ai tre ‘criteri’ di lettura dei ricorsi logici sino ad oggi attuati in campo giuridico: tematico, metodologico e funzionale.


- Criterio tematico.

Risultano essere tre gli ambiti in cui si è ricorsi alla Logica in campo giuridico: 1) il linguaggio giuridico; 2) il ragionamento giuridico; 3) le aree di espressione del fenomeno giuridico: il Diritto, la sua applicazione, la sua Scienza; ciascuna di queste aree è poi analizzabile al proprio interno secondo svariate articolazioni che ben esprimono la pluralità di forme che la Logica giuridica ha assunto ed espresso in ciascuna di esse, coprendo in realtà una grande maggioranza dell’intera ricognizione.


- Criterio metodologico.

La ricognizione s’impernia sui sensi attribuiti al termine ‘logica’ da parte della dottrina giuridica; in tal modo si deve distinguere tra [a] un uso a-tecnico del termine stesso ed [b] un suo uso propriamente tecnico, che rimanda alla Logica trascendentale, alla Teoria dell’argomentazione, alla Logica formale. L’utilizzo a-tecnico del termine ‘logica’ (non, pertanto, della sua nozione epistemica) si evidenzia in riferimento alla tematizzazione ed elaborazione di procedimenti che consentano modalità di ‘controllo razionale’ di attività diverse attuate da operatori giuridici differenti: una concezione di ‘logica’ a cavallo tra i procedimenti di standardizzazione operativa e le tecniche di loro corretta fruizione …qualcosa sul tipo della ratio procedendi.


- Criterio funzionale.

Fa riferimento all’opera di Wróblewski che distingue diverse forme di ‘Logica giuridica’ in relazione alle diverse attività giuridiche da svolgere: Logica sistemica, propria dello studio dei rapporti tra elementi costitutivi delle norme e tra le norme stesse; Logica euristica, come individuazione delle ‘premesse’ e delle ‘conseguenze’ attuata dai vari operatori del Diritto (Legislatore, Amministratore, Giudice); Logica giustificativa, adottata da coloro che devono ‘giustificare’ le proprie scelte giudiziali.


Un tal genere di approccio, tuttavia, a causa della sua sostanziale formalità, se fornisce una buona idea della ‘complessità’ del tema, d’altro canto si mostra però di scarsa portata pratica nel suggerire ed offrire ai giuristi –canonisti in particolare– apporti concreti per un’attività professionale metodologicamente avvertita e criticamente fondata su presupposti epistemici all’altezza dei tempi in cui stanno operando …non senza interrogarne anche l’aspetto ‘deontologico’.


4.2 Le specializzazioni funzionali

La prospettiva delle specializzazioni funzionali logico-giuridiche già presentata appare maggiormente concreta e propositiva, più adatta a stimolare il giurista ad un procedere attento, critico, consapevole e responsabile che tocchi effettivamente la sua attività professionale e lo guidi –anche– a risultati di maggior efficacia tecnica, superando finalmente –perché no?– strettoie e scolia fino ad oggi irrisolti tanto dalla Giurisprudenza che dalla dottrina, soprattutto canoniche.


Alle specializzazioni funzionali logico-giuridiche si è già accennato: normativa, investigativa, argomentativa, decisionale, verificativa e sistematica.


- Specializzazione normativa

Appartiene a questa specializzazione funzionale logico-giuridica l’operato dei diversi Legislatori e di tutti coloro che, più in generale, sono chiamati a dare o esprimere norme comportamentali di portata generale –tanto giuridica, che morale, che etica– inevitabilmente all’interno di precisi contesti spazio-temporali e per specifici gruppi umani. In quest’ottica si è collocata gran parte della riflessione e letteratura logico-giuridica del XX sec. allo scopo di «stabilire una sintassi, di validità assoluta e necessaria, delle proposizioni normative», con una semplificazione non facilmente accettabile che presuppone «che il fenomeno giuridico si riduca al fenomeno normativo, ed in particolare legislativo».

Prescindendo in questa sede dalle c.d. fonti ontologiche o funzionali delle norme (Diritto divino, Diritto naturale, Autorità, ecc.) e con buona pace di D. Hume ed I. Kant sull’origine del dover-essere, è necessario osservare come gli strumenti logici adottati ed appropriati per quest’attività siano –e debbano essere– del tutto specifici, dovendo rispondere ad alcuni presupposti strutturali.


a) Per quanto agere sequitur esse, tuttavia agere non est esse!

Come dire che, almeno per il Diritto, l’oggetto proprio d’interesse è sempre e solo un agere o, almeno, un facere o un’astensione da essi; ciò pone le deduzioni ontologiche –la c.d. necessità ontica– al di fuori del dominio normativo giuridico. Siccome per un valido sillogismo formale premesse e conseguenze devono essere ‘omogenee’ (appartenere cioè allo stesso ‘ambito’ ontologico) da un semplice esse non si può dedurre formalmente uno specifico agere.

b) I dettati normativi giuridici sono generali, non universali.

Valgono, cioè, secondo S. Tommaso “ut in pluribus”: per la maggior parte dei soggetti, per coloro –soltanto– cioè che si trovano nelle condizioni specificate dalla norma …la necessità ontica, per contro, vale immancabilmente e strutturalmente per tutti gli enti che rispondano ad una data essenza. Di più: alle norme giuridiche spesso si è tenuti non per ‘essenza’ (status) ma semplicemente per circostanze o funzionalità che possono verificarsi per soggetti appartenenti a status assolutamente diversi; non per nulla il Diritto utilizza spesso la formula “–tutti– coloro che” (quis).

c) I dettati normativi giuridici sono generali, non individuali.

Di fatto l’attività normativa, individua e regolamenta non –singoli– soggetti ma ‘fattispecie’, considerando la realtà per ‘classi’ omogenee: le ‘species(facti)’, accomunate –ed individuate– dal nesso di equivalenza (estensione) tra tutti i loro membri. Non diversamente accade per i c.d. Istituti giuridici in quanto individuazioni –più o meno– organiche di soggetti, atti, fatti, norme, trattati dal Diritto in una certa forma unitaria e tipologica. Tanto le fattispecie che gli Istituti giuridici, inoltre, non sono propriamente ‘enti’ e neppure ‘cose’, ma semplici concettualizzazioni teoretiche; ad essi non si possono applicare le stesse inferenze logiche utilizzate per soggetti e fatti.

d) Le norme giuridiche non dispongono della realtà concreta ma di futuribili.

Le norme giuridiche, anche se si tratta dei principi del Diritto dei sistemi di common Law, non hanno per oggetto l’intera realtà, ma solo una certa quantità di fattispecie …solo potenzialmente verificantesi: futuribili, appunto.

e) Le norme giuridiche non sono mai isolateautonome.

Esse dipendono sempre da interi impianti assiologici dati a-priori, come avviene attraverso le Costituzioni; tale portata assiologica tuttavia, per quanto costitutiva, non è mai assiomatica poiché le norme nascono sempre dal basso: dall’agito o agibile umano; il dato assiologico ha funzione di ‘verifica’ della congruità della singola norma con l’intero sistema, partendo dai suoi fondamenti; sono pochissime, solitamente, le Leggi ‘dedotte’ direttamente da una Costituzione …generalmente ci si accontenta della semplice ‘compatibilità’.


- Specializzazione investigativa

L’individuazione di una funzione investigativa specifica della Logica in ambito giuridico non appare –ancor oggi– scontata, tanto in conseguenza del meccanicismo leibniziano (il “calculemus”) che della concezione puramente formale della verità processuale comunemente accolta in ambito civilistico. La forte componente morale sottesa all’Ordinamento canonico, tuttavia, non permette altro risultato che quello veritativo sostanziale, unico esito ammesso dell’attività giudiziale canonica …e deontologicamente auspicabile da parte di qualunque Magistratura.

Le stesse visioni ‘logiche’ che sanno di non potersi ridurre al solo studio della Logica normativa, tuttavia, trascurano spesso questa prospettiva, spostando la gran parte dell’attenzione al solo dibattito giudiziario.


a) Funzione euristica della Logica.

Si tratta di affidarle il delicato compito di verificare la correttezza delle inferenze, spesso induttive, o anche soltanto intuitive o esperienziali, che permettano di connettere in modo plausibile e verisimile i vari ‘dati’ emergenti dalle indagini ed istruttorie. Non possedendo che frammenti della realtà, intuizione, fantasia ed esperienza offrono spesso ausili maggiori a qualunque sillogistica teoretica.

b) Prevalenza dell’analisi sulla sintesi.

La Logica della scoperta non ha –già– qualcosa da ‘dimostrare’ (la conclusione) all’interno di un ambito ormai definito (la premessa maggiore); il medio che va cercato nell’indagine non è quello tra ambito e risultato (una premessa minore), ma quello tra i diversi indizi, fatti e circostanze: una sorta di ‘Massimo Comun Divisore’ che connetta tra loro tutti gli elementi, permettendo di ‘scomporli’ nella loro portata causale fino a formulare una ipotesi da verificare nel rapporto con ciascuno degli elementi esaminati.

c) Assiomaticità funzionale.

Chi intenda capire ‘che cosa’ e ‘come’ sia successo in una determinata situazione divenuta oggetto di contesa non può utilizzare meccanismi logici deduttivi di stampo assiomatico e formale, poiché i fatti non sono della stessa qualità delle norme –rimanendone indeducibili–. Una volta, tuttavia, che si sia formulata una vera ipotesi causale tra fatti sarà possibile assumerla –funzionalmente e temporaneamente– come assioma (premessa maggiore) da cui dedurre possibili conseguenze (conclusione) a seconda delle diverse ‘variabili’ riscontrate durante l’indagine (premessa minore); la possibilità di ottenere poi –a ritroso– un flusso logico corretto conferirà robustezza all’ipotesi.

d) Singolarità ed irripetibilità dell’evento.

A differenza della portata generale della Logica normativa, la Logica investigativa ha sempre portata singolare: ogni elemento che entra in considerazione nell’indagine è ‘singolare’ e non senza fatica lo si potrà ricondurre a qualche ‘classe’ di elementi funzionalmente equivalenti; allo stesso modo l’evento contestato rimane sempre ‘unico’ ed ‘irripetibile’, resistendo –a suo modo– ad ogni affrettata standardizzazione. Solo la concreta messa a fuoco dell’ipotesi permetterà di beneficiare di un confronto per ‘classi’ (le fattispecie giuridiche) che offrirà il proprio efficace aiuto alla ricostruzione della verità dell’accaduto.


- Specializzazione argomentativa

Si tratta della funzione più generalmente (e lungamente) attribuita/riconosciuta alla Logica in ambito giuridico: ‘dimostrare’ agli altri le ‘proprie’ ragioni …convincerli che i ‘dati’ disponibili dopo l’indagine e l’istruttoria portano –più o meno– direttamente ad una versione dei fatti –e relativa ricostruzione della verità– favorevole alla propria posizione (Imputato, Avvocato, parte, Patrono) o alla propria convinzione (Pubblico Ministero, Giudice) …e ciò attraverso il confronto, il dibattimento giudiziale. Se ne occuparono i Sofisti, Aristotele, Cicerone, Vico… e le schiere dei loro adepti e discepoli di scuola; ne nacquero Dialettica e Retorica …intorno all’unico ‘centro’ costituito dalla ‘prova’ la quale «ha prevalentemente appunto il carattere della probabilità e dell’opinabilità, non della verità indiscutibile».


a) Bivalenza dell’argomentazione.

Il ruolo giocato dall’argomentazione all’interno dell’ambito giudiziario è almeno duplice: quello delle parti (tra cui lo stesso Pubblico Ministero) di natura dibattimentale, e quello del Giudice; due funzioni e due prospettive metodologiche affatto differenti ed irriducibili, poiché un conto è cercare di ‘convincere’, un conto –ben diverso– è convincersi. Sembra palese che l’attività razionale (logica) richiesta ad una parte per ‘provare’ la propria o altrui innocenza o colpevolezza, risulti del tutto differente da quella richiesta al Giudice (e o alla –eventuale– Corte dei Giurati) di conseguire una propria personale convinzione rispetto ai fatti …convinzione in base alla quale dovrà poi assumere una decisione circa l’identificazione giuridica dei fatti stessi e la loro conseguente valutazione.

b) Convincimento e persuasione.

L’assunzione di un punto di vista circa fatti e vicende di cui –in gran parte– non si è stati protagonisti presenta aspetti di complessità di tutta considerazione: è la differenza –spesso segnalata– tra persuasione e convinzione, di carattere razionale la seconda, anche emotivo e psicologico la prima …obiettivo della Retorica la prima, della Logica la seconda. In rapporto a chi dovrà assumere decisioni importanti –come il Giudice– la differenza non può essere sottovalutata, soprattutto a livello metodologico: le ragioni della Logica sono del tutto specifiche …non meno, tuttavia, di quelle del sentimento, della suggestione, della politica o dell’interesse.

c) Procedimento sillogistico.

Una volta giunti alla fase dibattimentale ci si trova in presenza di ‘convinzioni’ o comunque di ‘posizioni’ di parte chiare ed in qualche modo già conseguite. Si può –finalmente– applicare la sillogistica formale nella ricerca di un efficace medio –o di un’adeguata premessa maggiore– che permetta di guidare la conoscenza degli altri partecipanti ad accettare di buon grado la –propria– conclusione prestabilita. La presenza di fatti, circostanze e conclusione permette spesso di giocare tra le due ‘premesse’ in modo da formulare il ‘ragionamento’ maggiormente efficace alla propria finalità. Pur utilizzando un vero sillogismo formale (deduttivo) non si procede però in modo assiomatico ‘puro’, ma ipotetico-strumentale: si pone, cioè, la propria ‘conclusione’ (innocenza o colpevolezza) come ‘assioma’ temporaneamente costituente la premessa maggiore, si sceglie poi qualche atto, fatto o circostanza quale medio per correre ad una conclusione che scalzi una delle tesi della controparte.

d) Ragioni e verità.

È il dilemma che si pone, tipicamente, a chi deve decidere di fatti altrui: bastano ‘ragioni’ o serve la verità? Il gioco dei ruoli in sede argomentativa la fa spesso da padrone: è, infatti, del tutto normale che alle parti non interessi altro che addurre e confermare ‘ragioni’ (le proprie!) il cui cumulo, a volte, finisce per proporsi come alternativo alla verità oggettiva dei fatti. Al di là della potenza ed efficacia della Retorica, ciò che conta nel Giudice è la lucida capacità di perseguire un ‘unico’ quadro davvero sintetico dell’intera vicenda …unico –possibilmente– quanto la realtà oggettiva dei fatti, al di là della tentazione di accettare che molte ‘ragioni’ disorganiche e disconnesse, ma specifiche e meticolosamente puntuali, possano comunque offrire un quadro ‘plausibile’ ritenuto sufficiente per sentenziare.

e) Motivazione della decisione.

Del tutto specifica è l’argomentazione con cui il Giudice deve esprimere e comunicare le ‘motivazioni’ della propria decisione: si tratta –idealmente– di una serie di sillogismi formali molto ‘stretti’ che, partendo dall’assunzione –unica– della decisione già presa (la conclusione), basandosi sulle fattispecie giuridiche previste dalla legislazione vigente (assunte come premessa maggiore) ricerca tra atti, fatti e circostanze una serie più ampia possibile di medi (premesse minori) che rendano indubitabile la correttezza della decisone assunta. Un carico di ‘dimostrazioni’ stringenti cui non sia possibile sottrarsi se non con altrettanto cipiglio individuando –solitamente– medi diversi per ‘spostare’ almeno parte dei supporti logici dalla conclusione assunta.


- Specializzazione decisionale

Si tratta dell’espressione ritenuta più stringente dal punto di vista tecnico dell’applicazione logica all’attività giuridica, facilmente indirizzata –riduttivamente– verso una sorta di ‘puro’ calcolo –il c.d. sillogismo probatorio/giudiziale– che permetta, sotto l’auspicio leibniziano, di ottenere con buona precisione il corretto risultato delle questioni sottoposte a giudizio …non senza sottovalutare, tuttavia, alcuni elementi specificamente logici di primaria importanza che continuano a mantenere l’attività decisionale giuridica nell’ambito della prudentia (problematicità) e non della Scientia (sistematicità), governata non tanto –a monte– da una ‘pura ragione’ ma –a valle– dalla ragionevolezza delle conclusioni raggiunte …e da far assumere.


a) Insufficienza dell’assiomatizzazione.

A differenza della posizione argomentativa delle parti –già in possesso della ‘loro’ conclusione– la posizione di chi deve decidere è priva del proprio terminus ad quem (a-priori) che permetta di ‘selezionare’ le giuste premesse attraverso cui articolare il percorso razionale. Di più: l’attività decisoria ha una fortissima componente ‘creativa’ poiché la conclusione dev’essere –ancora– creata …proprio attraverso quel processo razionale, che ha come principale referente la verità ricostruita dei fatti.

b) Assiomaticità delle fattispecie giuridiche.

Chi deve esercitare il giudizio dal punto di vista giuridico si trova ad operare all’interno di un sistema assiomatico –sostanzialmente– ‘chiuso’: limitato alle previsioni di Legge ed alle decisioni giurisprudenziali (Leges et Iura); è questo l’unico dominio d’azione ammesso. Ogni elemento emerso durante l’indagine e l’istruttoria dev’essere accuratamente ‘classificato’ secondo le differenti fattispecie previste (sussunzione) e –comunque– ad esse ricondotto e commisurato attraverso un procedimento logico fortemente induttivo in cui risulta decisiva la correttezza della ‘descrizione’ dei diversi elementi e la loro concettualizzazione giuridica. In assenza di ciò (detto: fumus boni Iuris) non si potrebbe neppure prendere in esame la causa, profilandosi infondatezza o temerarietà.

c) Dal già agito al già prescritto.

A differenza di quanto si verifica nella Logica normativa, che agisce su futuribili (nessuna effettività), la decisione giudiziaria agisce invece su ‘fatti passati’, commisurandoli alla vigente prescrizione giuridica per fissarne e quantificarne lo scarto effettivo. L’assiomatizzazione degli innumerevoli e generali dover-agire/astenersi lascia qui il posto all’unico e specifico ‘agito’ effettivamente che, per di più, rileva solo in quanto ‘difforme’ dalle previsioni (in campo ‘ordinario’) oppure in quanto ad esse ‘conforme’ (in campo penale). Il legame tra ‘agito/effettuato’ e ‘prescritto’ non è però gestibile in termini di omogeneità ontologica, precludendo così troppo facili deduzioni ed utilizzo di procedimenti formali.

d) Singolarità della decisione.

Ponendo sotto esame e decisione non la persona in quanto tale, ma solo un suo –pur sempre parziale– ‘agito’, i procedimenti logici su presupposto essenzialistico non risultano utilizzabili in sede decisoria poiché ciascun soggetto, soprattutto in questo genere di questioni, non è assimilabile a nessun altro: non è ‘membro’ di una ‘classe’ equi-funzionale cui ricondurlo per sottometterlo agli assiomi previsti dal sistema.


- Specializzazione verificativa

Di non poco conto sotto il profilo funzionale appare anche la necessità e possibilità concreta di poter verificare la ‘correttezza’ di quanto effettivamente operato dai diversi ‘agenti giuridici’ nei vari ambiti del loro esercizio. Una ‘correttezza’, tuttavia, ancora una volta non-univoca né immediata, trattandosi di sottoporre a valutazione-verifica elementi tanto disparati e –soprattutto– disomogenei quali sono sia le norme in sé e per sé, che la loro applicazione, che le singole azioni umane. Almeno due sono gli ‘elementi’ verificativi da porre qui in evidenza: la conformità e la congruità. Quando s’intenda, infatti, [a] verificare i diversi iter (percorsi, procedimenti, Processi) che hanno portato alle ‘conclusioni’ assunte in ambito giuridico dai diversi tipi di Autorità (amministrative, giudiziarie e –perché no?– anche normative) sarà in oggetto la loro conformità a quanto previsto e normato dall’Ordinamento (secondo il principio di legalità); quando invece sarà necessario [b] verificare le decisioni assunte dal punto di vista giuridico a riguardo delle concrete ‘attività’ umane esaminate, sarà in oggetto la loro congruità rispetto alle esigenze più profonde e radicali dell’Ordinamento giuridico come tale, ma anche alla concreta assumibilità di tali decisioni sia per i loro destinatari che per l’intera società coinvolta.

Quali strumenti logici e procedimenti, tuttavia, si prestino con maggior efficacia al conseguimento di tali finalità non solo non appare ad oggi ancora sufficientemente condiviso ma neppure ipotizzato.


a) Sindacato di costituzionalità.

È la ‘verifica’, spesso a posteriori, cui sono soggette, in linea di principio, tutte le norme ordinarie, tanto negli Ordinamenti a Costituzione rigida che in quelli a Costituzione flessibile o anche non-scritta (come il canonico). Il problema non è solo ‘politico’ ma concretamente strutturale per gli stessi Ordinamenti: norme, infatti, che siano contrarie o assolutamente estranee ai ‘principi’ stessi dell’Ordinamento ne possono anche minare irreparabilmente la struttura e la conseguente tenuta. Ciò, purtroppo, si constata spesso solo a ‘cose fatte’, quando l’applicazione intensiva ed estensiva della norma ne palesa un’effettiva incompatibilità ordinamentale, sfuggita in prima istanza allo stesso Legislatore.

b) Ricorsi amministrativi.

Ambito in qualche modo privilegiato di applicazione della specializzazione funzionale verificativa è l’attività dei c.d. Tribunali amministrativi (anche canonico) in cui l’attenzione giuridica viene fissata quasi esclusivamente sulle condotte della Pubblica Amministrazione e sulla corretta applicazione delle ‘procedure’, soprattutto per le conseguenze da esse generate nella vita di qualche singolo soggetto. Non di meno, tuttavia, entrano in considerazione a questo livello anche fattispecie di carattere non puramente procedurale quali, p.es., l’abuso, l’eccesso, la deviazione di potere.

c) Appello e Cassazione.

Quanta parte dell’attività giudiziale di qualunque Ordinamento giuridico sia occupata dai Processi di Appello contro le Decisioni assunte in prima Istanza dai Tribunali competenti, non è ignorato da nessuno. Allo stesso tempo esistono Ordinamenti giuridici (in primis il canonico) che prevedono una seconda Istanza della Causa senza attivazione dell’esame ordinario che conclude con una Sentenza, ma semplicemente con un esame documentale degli Atti che porta all’emanazione di un –eventuale– Decreto di conformità. Al di là, poi, degli Appelli previsti dai diversi Ordinamenti sul merito della Causa, esiste anche, normalmente, la possibilità di ricorso alle Corti di Cassazione (o con funzione equivalente) proprio per ‘verificare’ la correttezza dell’iter processuale seguito dei Tribunali ordinari.


- Specializzazione sistematica

Sesta ed ultima specializzazione funzionale della Logica in campo giuridico è quella che si occupa della ‘sistematizzazione’ scientifica di un’esperienza così ampia e variegata; esperienza che, per quanto tendenzialmente tassativa (Leges, Iura, decisa, iudicata, ecc.), sembra resistere strenuamente a qualunque tentativo di sistematizzazione, soprattutto di stampo assiomatico, preferendo l’ordinamento al sistema. Le difficoltà di articolazione della c.d. Teoria generale del Diritto, soprattutto nelle sue versioni ‘pure’, ne danno prova evidente.


a) Categorialità del Diritto.

Non essendo il Diritto che un’astrazione rispetto all’esperienza antropologica universale del vivere giuridicamente, non è possibile attribuirgli alcuna forma ‘a-priori’ (in fieri) capace in qualche modo d’informare di sé tale vivere, né tanto meno capace di pretendere una sua ‘realizzazione’ nel vissuto umano (in facto esse). La ‘realtà’ del Diritto non è differente da quella della Medicina, della Chimica, della Fisica… che possono sorgere solo ex-post rispetto al consolidarsi e consapevolizzarsi dell’esperienza umana in ambiti –solo in seguito– individuati come ‘di competenza’.

b) Attività costante.

Poiché il Diritto non è qualcosa in sé (una res), ma identifica sinteticamente –e simbolicamente– l’immenso ambito del vissuto giuridico umano, la sua consistenza ontologica non è mai stabile né definibile una volta per tutte; il suo essere “ordinamento osservato” gli conferisce la dinamicità propria dell’agire sociale …quella stessa della cultura. L’altissima dinamica dell’attività giurisprudenziale, che genera ed elimina fattispecie ed Istituti giuridici in modo ben maggiore e più celere di qualunque Legislatore, ne fornisce in qualche modo il ‘ritmo’ che continua a dar ragione a Giavoleno: «parum est enim ut non subverti possit», impedendo nei fatti qualunque ‘fissazione’ e ‘fissità’ anche degli stessi concetti più basilari.

c) Precarietà del Diritto.

Il Diritto in quanto risultanza (esito) di specifici vissuti sociali dipendenti da contesti spazio-temporali e relazionali anche molto differenti, nonostante le sue aspirazioni (ed a volte pretese) di stabilità attraverso i secoli e di portata ‘universale’, come voleva il razionalismo rinascimentale ed illuministico, si trova spesso in balia di repentini mutamenti –soprattutto normativi– che ne stravolgono anche in modo radicale gli equilibri interni; basti pensare agli Istituti giuridici basati sull’idea di famiglia naturale e quelli derivanti, invece, dall’idea di famiglia funzionale. Ciò non meno delle disomogeneità progressivamente introdotte negli Ordinamenti giuridici dalle contrapposte alternanze politiche, o da strumenti quali i referendum abrogativi, coi quali si ‘perforano’ le stesse Leggi prim’ancora che rendere vacillante l’intero Ordinamento giuridico.

d) Sistema aperto.

Caduti gli ultimi retaggi idealistici che hanno adombrato ancora la prima metà del secolo scorso, è ormai chiaro per tutti come non possa esistere un ‘sistema’ giuridico nel senso ‘puro’ del termine: totalmente assiomatico e meccanicamente deduttivo, assolutamente conchiuso in se stesso e perfettamente implementabile in modo endogeno. Il miraggio è svanito anche per la stessa Logica dopo le ‘antinomie’ di Russell ed i Teoremi di incompletezza di Gödel e Tarski… La prospettiva giuridica potrà rimanere ‘ordinamentale’ ma dovrà essere trattata come sistemica e non sistematica, dovendo continuamente (ri)‘definirsi’ sulla base di quanto effettivamente in-corso a livello socio-politico-economico e non su dati ormai storicizzati pretesamente permanenti, quand’anche di altissimo ed incontestato valore etico.


Ciò detto sommariamente delle specializzazioni funzionali logico-giuridiche, risulta di tutta evidenza non solo la difficile sostenibilità della nozione stessa di ‘Logica giuridica’, ma ancora maggiormente la necessità di procedere ben più in profondità nelle strutture stesse della Logica per cogliere quali ed in che modo possano essere di autentico giovamento all’attività giuridica.


È per questo che, preso atto di quanto l’attività giuridica tragga dall’utilizzo della Logica, diventa importante, non di meno, rendersi conto di che cosa concretamente la Logica possa offrire oggi ad un’attività giuridica metodologicamente avvertita.


PARTE SECONDA - LOGICA PER L’ATTIVITÀ GIURIDICA


5. LA LOGICA

Contrariamente all’opinione diffusa che identifica genericamente la Logica con l’arte del ragionamento (intellettuale) –facendone di fatto una branca della Gnoseologia–, occorre prendere atto di come essa, invece, si occupi dei ragionamenti –solo– dopo che siano stati espressi nel linguaggio, proponendosi così quale ‘verifica’ della correttezza delle loro espressioni, concentrando la propria attenzione principalmente sui nessi di conseguenza (logica e non causale), sulla correttezza delle inferenze logiche, sulla verità delle conclusioni conseguenti dalla verità delle –sole–premesse …sull’aspetto «strutturale (formale) della verità, ovvero prescindendo dai particolari contenuti informativi veicolati dalle proposizioni».

Gli scopi dell’indagine logica sono sostanzialmente due: a) rendere totalmente esplicito il linguaggio attraverso cui s’intende parlare di qualcosa, b) individuare delle regole che consentano di stabilire rapporti di conseguenza logica tra le proposizioni di tale linguaggio.

Una Disciplina, dunque, connessa al linguaggio …quel linguaggio da cui l’esercizio giuridico –fatto essenzialmente di ‘parole’– non può costitutivamente prescindere e che, anche giuridicamente, rileva proprio perché –e quando– ‘esterno’: come le ‘parole’ …e come tutte le espressioni della giuridicità, visto che: de internis non iudicat Prætor (o anche: in foro externo nihil est quod non apparet).


5.1 Scenari logici

La Logica si sta mostrando, tuttavia, negli ultimi decenni una Disciplina in grande fermento ed in espansione ad una notevole quantità di campi del conoscere e dell’operare, o forse maggiormente di tipologie e modalità espressive ed operative: Filosofia della Logica, Storia della Logica, Logica aletica, Logica classica, Logica dei predicati con identità, Logica del discorso etico, Logica della rilevanza, Logica del secondo ordine (e di ordini superiori), Logica deontica, Logica dialogica, Logica epistemica, Logica formale, Logica giuridica, Logica indiana, Logica induttiva, Logica infinitaria, Logica intensionale, Logica intuizionistica, Logica libera, Logica lineare, Logica minimale, Logica minor, Logica modale predicativa, Logica modale proposizionale, Logica multimodale, Logica naturale, Logica non monotona, Logica polivalente, Logica proposizionale, Logica pura, Logica quantistica, Logica sociale, Logica temporale, Logica trascendentale, Logiche fuzzy, Logiche paraconsistenti, Logiche sottostrutturali, Logiche subminimali.

Che un tale panorama non sia né compiuto né stabile è evidente, come dovrebbe esserlo anche il fatto –già indicato– della difficile ‘riduzione’ unitaria o sistematica di tutto questo ambito ad un insieme di elementi e fattori facilmente fruibili da parte dell’ambito giuridico; proprio ciò rende maggiormente plausibile la proposta delle specializzazioni funzionali logico-giuridiche, più di una –pretesa– “Logica giuridica” tout-court …concretamente non-identificabile.


5.2 L’attività logica

Nonostante l’enorme specializzazione evidenziata delle Discipline logiche, rimane pur sempre vero che per analizzare un’inferenza dal punto di vista logico occorre –quanto meno– individuare sempre la ‘forma logica’ delle proposizioni che intervengono in essa per sottoporle poi con gradualità e proprietà ai necessari approcci specialistici.

I primi livelli di tale analisi sono abbastanza generali e polivalenti mirando a verificare se la conclusione addotta sia o meno una qualche conseguenza logica delle premesse esplicitate.

Operativamente l’individuazione della forma logica viene condotta per livelli successivi di approfondimento di quanto detto (e/o scritto): il primo è quello della c.d. Logica proposizionale (detta anche enunciativa), il secondo quello della Logica dei predicati (o predicativa).

Da notare come, trattandosi esclusivamente di espressioni linguistiche, l’apporto ‘logico’ riguardi –di per sé– soltanto le affermazioni come tali e la correttezza delle loro connessioni; per contro, la verità –ontologica– delle singole affermazioni (il loro ‘contenuto’), ma soprattutto i nessi di causalità sottostanti –così importanti per la conoscenza–, sono del tutto estranei agli apporti ed alle stesse possibilità della Logica.

In questa prospettiva occorre anche non dare per scontato un altro presupposto che riguarda la ‘portata’ dello strumento logico: la sua intrinseca limitatezza derivante dalla generale assenza di caratteri ontologici, di modo che non sia possibile attribuirgli –né richiedergli(!)– esiti di natura necessitante quali quelli tipici della Metafisica.

In quest’ottica, poi, è necessario anche distinguere il generale dall’universale, in quanto solo questo potrebbe pretendere di godere di una certa ‘necessarietà’, mentre il generale non gode delle stesse caratteristiche …e tanto meno di ‘necessità’ metafisica.


Ne conseguono alcuni elementi sostanziali di portata epistemologica irrinunciabile:

a) rilevanza della sola funzione assertiva del linguaggio (sintattica e semantica) connessa alla natura conoscitiva circa ciò di cui si parla: contano, cioè, solo le espressioni linguistiche ‘vere’ o ‘false’, evitando ogni funzione pragmatica che il linguaggio riveste in rapporto ai suoi vari utenti, quali domande, esclamazioni, valutazioni, ecc.;

b) carattere solo ‘formale’ della Logica, che si occupa soltanto delle inferenze tra le varie proposizioni per valutarne la correttezza e non entra nel merito dei loro contenuti; proprio i contenuti, anzi, devono essere espressamente ‘eliminati’ per lasciare spazio alle ‘sole’ proposizioni: «nelle regole del modus ponens e del modus tollens la verità si trasmette dalle premesse alla conclusione qualsiasi siano le proposizioni denotate da A e da B»;

c) artificialità del linguaggio logico, che richiede l’eliminazione di tutte le possibili ambiguità del linguaggio c.d. naturale in modo che il flusso inferenziale possa scorrere senza inutili intralci né possibilità di ‘distrazione’ o sviamenti;

d) invarianza/unicità semantica, che mantiene fisso il dominio oggettuale di riferimento conferendo costanza di significato ai termini e sottraendoli alla c.d. varianza contestuale, tipica della Semiotica.


Ciò basti a suggerire criticamente come un corretto utilizzo della Logica all’interno della normale attività giuridica si presenti spesso assai difficoltoso –ed in qualche modo innaturale–…vista la primaria attenzione che i giuristi tendono a dedicare ai contenuti ed ai nessi di causalità (reale) e la scarsa importanza attribuita invece alla struttura del linguaggio, pur altamente ‘tecnico’ …ma non per questo altrettanto strutturato. Non di meno, buona parte dei ricorsi giuridici pretesamente ‘logici’ si rifanno, in realtà, soltanto alla c.d. Logica classica: [a] quella che interviene nelle ‘dimostrazioni matematiche’ elementari ed è modellata su di un mondo diverso da quello della vita quotidiana nel quale, invece, l’attività inferenziale è fortemente influenzata da contenuti e conoscenze implicite, spesso inconsapevoli; [b] la stessa “Logica” ancor oggi abusata in vari ambiti esistenziali ed improvvidamente identificata con la Logica tout-court, in quella prospettiva concreta che portò B. Russell ad affermare che: «in tutta l’epoca moderna praticamente ogni progresso nella Scienza, nella Logica o nella Filosofia ha dovuto compiersi contro i discepoli di Aristotele», fino all’affermazione –ardita e radicale– secondo cui: «Aristotele […] fu una delle grandi sventure dell’umanità. Ancora oggi l’insegnamento della Logica nel maggior numero delle Università è pieno di stupidaggini delle quali egli è responsabile» …quella stessa pretesa Logica, espressa nella ‘percezione comune’, cui B. Lonergan guardava con grande diffidenza attribuendole «una ragguardevole somiglianza con alcuni aspetti della barbarie».


6. LOGICA PROPOSIZIONALE E DIRITTO

«Il fulcro di ogni moderna trattazione logica è costituito da quella sua parte che si prefigge lo scopo di determinare la correttezza di argomentazioni complesse, in dipendenza alla verità (o falsità) degli enunciati che concorrono a costituirle assumendoli quali entità non ulteriormente analizzabili. Va osservato che con il termine “enunciati” ci si riferisce qui solo a espressioni per le quali sia sensato chiedersi se siano vere o false».


La connessione alla pratica giuridica è palese, in quanto la maggior parte delle proposizioni linguistiche giuridiche tendono ad esprimere ‘enunciati’ (affermazioni o negazioni, definizioni, condizioni); ciò non permette, tuttavia, l’adozione immediata in Diritto della Logica enunciativa come ‘la’ Logica-madre, né la sua coestensione all’intero ambito giuridico …nulla di strano, considerando anche il naufragio dell’avventura ‘logicista’ per la stessa Matematica.


Ne dovrebbe derivare, invece, una costante attenzione metodologica alla [a] capacità dei giuristi di formulare enunciati corretti senza accontentarsi di semplici discorsi, così come alla [b] correttezza delle connessioni di tali enunciati per averne reale aiuto e non semplici suggestioni (retoriche), soprattutto nelle situazioni più complesse ed articolate. Di fatto

«attraverso il perseguimento della totale esplicitezza si persegue l’ideale del rigore nella costruzione delle Teorie, assicurando al linguaggio la necessaria univocità dei significati trasmessi, che altrimenti non potrebbe mai essere completamente garantita».


Ciò, tuttavia, non costituisce l’unico apporto logico ad oggi ipotizzabile per l’ambito giuridico poiché, molto maggiormente, la Logica proposizionale contemporanea, nonostante grandi fatiche e resistenze ‘interne’, ha ormai ammesso una propria articolazione ‘plurale’, accettando l’evidente insufficienza di una enunciatività che abbia soltanto portata formale.


6.1 Estensione ed intensione

Di fatto l’analisi proposizionale contemporanea distingue ormai con sicurezza tra Logiche estensionali e Logiche intensionali: basate sul nesso vero-funzionale tra proposizioni, le prime, su quelli di possibilità, doverosità, conoscenza, credenza, intenzionalità… le seconde.


Per Logica estensionale s’intende oggi quella dedita al ‘calcolo’ proposizionale (connessioni inferenziali) prescindendo dal contenuto semantico delle proposizioni implicate, ma soprattutto identificando l’estensione di un enunciato col suo valore di verità, ritenendo di fatto ‘equivalenti’ (sotto il solo profilo funzionale) tutti gli elementi che corrispondano alle caratteristiche ‘affermate’ nell’enunciato stesso, in un procedere per ‘membri’ e ‘classi di membri’ dei quali rilevano solo le caratteristiche predicate –e al momento considerate– …in una prospettiva tendenzialmente ‘essenzialista’.

Però, non tutte le congiunzioni proposizionali del linguaggio naturale hanno una struttura vero-funzionale, come accade, p. es., con le connessioni temporali e tutte le altre il cui ‘valore’ dipende dal ‘contenuto’ invece che dalla estensione/dominio.


La Logica intensionale, allora, è quella

«parte della Logica delle proposizioni in cui il valore di verità delle proposizioni composte non dipende unicamente dal valore di verità delle proposizioni componenti, ma anche da considerazioni che riguardano anche il significato o intensione delle proposizioni componenti e/o, all’interno delle proposizioni elementari, il significato o intensione dei termini componenti. […] Esistono molte logiche intensionali: temporali, modali, deontiche, epistemiche etc. tutte accomunate dal fatto che in esse non vale l’assioma di estensionalità».


In essa, più che veri ‘connettivi’ (et, vel, non, ecc.) s’incontrano degli ‘operatori’ «dato che servono a costruire, come i quantificatori (uno, qualche, tutti), proposizioni a partire da un’unica proposizione». Alla Logica intensionale sarebbero riconducibili cinque tipologie: «la Logica modale (in senso stretto), la Logica temporale, la Logica deontica, la Logica epistemica e la Logica dell’inferenza pratica. Ciascuna di tali Logiche studia il complesso dei principi che presiedono al comportamento degli operatori che rientrano nel rispettivo ambito».


Da questa, ormai essenziale, distinzione risulta come la c.d. Logica classica, cui ricorrono soprattutto le Scienze umanistiche (filosofiche in particolare), abbia sempre utilizzato la sola referenza estensionale-formale centrata sulla ‘necessità’ ontica, ignorando programmaticamente ogni singolarità in nome di un approccio ‘essenzialistico’ al reale. D’altra parte il procedere per ‘essenze’ può essere solo un procedere per ‘classi’, un muoversi in base alla ‘estensione’ dell’essenza stessa e, pertanto, unicamente e puramente ‘formale’. In tal modo i ‘membri’ di una stessa ‘classe’ sono tutti ‘equivalenti’ poiché rispondono allo ‘stesso’ modo agli ‘stessi’ requisiti, fissati –teoreticamente– a-priori proprio per individuare quella ‘classe’: gli umani, gli uomini maschi, gli uomini maschi giovani o vecchi, sani o malati, istruiti o ignoranti, ecc. senza distinzione alcuna tra Giovanni e Guido …tra Giulio Cesare e Ghandi.

Quando però si perde il concetto –essenziale in Logica– di equivalenza (che in sé potrebbe ancora salvare il singolo soggetto tutelandone ancora la ‘distinzione’ rispetto agli altri) si scade nell’uguaglianza, concetto sfuggente ed indefinito –acritico–, non ammesso in Logica, che parla invece di equivalenza, congruenza, identità. Proprio l’uguaglianza, però, cancella il singolo, rendendo il ‘sistema’ indifferente a tutto quanto non le corrisponda; la persona in tal modo sparisce poiché, se è pur vero che la Legge possa/debba essere uguale per tutti (Logica estensionale), non è altrettanto vero che tutti siano (o possano/debbano essere) uguali davanti alla Legge (Logica intensionale)… pena, non solo l’ingiustizia che fa del summum Ius la summa iniuria, ma la stessa sopravvivenza umana: fiat Ius et pereat mundus!


Si consideri nella stessa linea come, se il procedere in modo formale si attagli facilmente, ed anzi risulti altamente adeguato, alle attività sistematiche quali la Teologia –che rimane una delle maggiori forme di assiomaticità oggi praticate, oltre la Matematica–, non di meno, non può dirsi altrettanto per altri campi, anche delle stesse Scienze e Discipline ‘sacre’ o comunque ecclesiali, nelle quali –pur sotto forme differenti– prevalga l’aspetto ‘analitico’. Tra queste senza dubbio il Diritto canonico, nella sua costitutiva componente fattuale, esperienziale e storica, ben prima che teoretica e ‘sistematica’.


6.2 Intensione e persona

Proprio a questo livello si pone una fondamentale questione sull’identità della Logica da sviluppare ed applicare in ambito giuridico: quanto concerne direttamente –e deriva da– la componente espressamente ‘personale’ del soggetto, cui l’esercizio del Diritto s’indirizza per sua stessa natura.

Che la Logica di cui ci si occupa nell’attività giuridica riguardi gli uomini ed il loro vissuto, le persone e le loro relazioni, non è, né potrebbe essere, indifferente né irrilevante… diventa invece del tutto costitutivo: la Logica che riguarda il vivere umano come tale, infatti, può anche non aver nulla in comune con quella che concerne qualunque insieme di oggetti o relazioni presi in esame dalle più differenti Scienze e Discipline, tanto naturalistiche che teoretiche.

In quest’ottica, la persona –ciascuna persona– posta di fronte ad una Corte giudicante, accusata da un Magistrato e difesa da un Avvocato, non è mai –né potrebbe, o potrà essere– semplicemente ‘un’ membro di una ‘classe’ formalmente definita a-priori (dominio o ‘estensione’), in cui tutti e ciascuno godono delle stesse caratteristiche e peculiarità o –almeno– sono considerati esclusivamente per esse soltanto: ‘un’ ladro, ‘un’ rapinatore, ‘un’ omicida, ‘un’ truffatore!

La ‘irripetibilità’ di ciascuna persona non riguarda, poi, essa soltanto in quanto tale, ma esige la più radicale irriducibilità di ciascuno, tanto a tutti gli altri che a ciascun altro: non soltanto le persone non sono ‘uguali’… ma tanto meno possono essere considerate ‘equivalenti’.


Com’è evidente, l’affermazione consapevole e decisa di un principio personalistico di questa portata –irrinunciabile in ambito canonico– pone in crisi profonda –se non scardina addirittura– non solo la [quasi] totalità delle impostazioni logiche comunemente professate e recepite, soprattutto in ambito scientifico, dove ci si muove tendenzialmente per domini/estensioni, ma anche tutte le concezioni ‘metafisiche’ (ed anche ‘teologiche’) incapaci di considerare altro che essenze e/o enti.

Ne deriva, dunque, che l’aiuto più sopra indicato, ragionevolmente sperabile per i giuristi da parte della Logica, rimarrebbe precluso? O assolutamente impraticabile? Come conciliare [a] attività giuridica, [b] Logica e [c] principio personalista?

Il problema –che esiste realmente– è tuttavia mal posto in questi termini poiché, nonostante la Logica classica (estensionale, essenzialista e vero-funzionale) continui ad essere quella maggiormente referenziata in campo umanistico, poiché ritenuta –in fondo– una corretta interpretazione dei nostri processi di ragionamento (filosofico e teologico), non di meno emergono oggi le c.d. Logiche intensionali. Esse risultano senza dubbio più efficaci dal punto di vista giuridico ed ‘esistenziale’ laddove conoscenza, credenza, volontà, obbligo, liceità, ecc. caratterizzano l’azione dei singoli soggetti, assoggettandola o meno alle attese/pretese del Diritto.


6.3 Intensione ed attività giuridica

Il quadro già delineato a proposito delle specializzazioni funzionali logico-giuridiche ha mostrato con chiarezza quella che –ora– è facilmente recepibile come ragionevole (e non contraddittoria) bivalenza dell’attività logica in Diritto: il fatto, cioè, che i giuristi utilizzino tanto l’indirizzo logico estensionale che quello intensionale, a seconda della specifica attività in oggetto.

Come, infatti, l’attività normativa in generale e –spesso– quella di governo si giovano di ricorsi a Logiche estensionali (assiomatiche, deduttive, essenzialiste, generali, ecc.), l’attività giurisdizionale, per contro, trattando di –singole– persone, si regge precipuamente sulle logiche intensionali, che distinguono tra soggetto e soggetto, elemento ed elemento.


Non di meno, la stessa struttura sillogistica, quando fruibile in Diritto, utilizza ‘componenti’ ben diverse tra il sillogismo formale e quello deontico, in modo che nel primo si giustifichi come una certa azione ricada all’interno di una determinata fattispecie e, pertanto, vada sottoposta ad una tal norma anziché ad altra; nel secondo, invece, le circostanze di luoghi, tempi, persone, ecc. fanno sì che quanto generalmente prescritto dalla norma non possa essere applicato meccanicamente a qualunque soggetto, equivalentemente a tutti gli altri in qualunque circostanza. Fattispecie e persone non possono essere trattate nello stesso modo… secondo la ‘stessa’ Logica!

Fino ad oggi, però, tutto questo non è stato sufficientemente né chiaro né chiarito a causa della non consapevole differenziazione tra i due ‘modelli’ logici giunti sino a noi, mercè soprattutto un’insufficiente recezione del pensiero di S. Tommaso –che aveva già intravisto la necessità di operare tale distinzione– in seguito andata perduta tra i meandri della tarda Scolastica e, tosto, sopraffatta dal dominio pressoché assoluto della –sola– Logica formale consegnataci dal Razionalismo rinascimentale (non senza l’infelice apporto di F. Suarez) e completamente assente nella revivescenza neo-scolastica.

Di fatto, come rilevava T. Jiménez Urresti (ormai alla fine del XX sec.) i futuri chierici nella loro formazione filosofica –e da varie generazioni–

«studiano la Disciplina della Logica, ma solo quella enunciativa o formale; e nulla, e nessuna sua menzione, della Logica normativa, pur considerando che tutte le Scienze pratiche di condotta o deontiche che tuttavia studiano –Etica, Morale, Diritto– ed anche le decisioni di ciascuno ogni giorno, procedano per Logica normativa».


6.4 La questione logica secondo T.I. Jiménez Urresti

La Logica deontica è una delle chiavi di volta della riflessione canonistica di T. Jiménez Urresti (1924-1997) che le dedica decine di pagine in vari dei suoi scritti più speculativi; Logica deontica segnata ab imis fundamentis proprio dalla irrinunciabile categorialità dell’agire umano.

Come alla base delle Scienze/Discipline formali sta il c.d. sillogismo formale, così alla base delle Scienze/Discipline normative sta il c.d. sillogismo deontico quello, cioè, necessario affinché le statuizioni ‘generali’ (“ut in pluribus”, secondo la formulazione di S. Tommaso – generali e non universali) tipiche della ‘norma comportamentale’ possano essere convenientemente tradotte in concrete scelte operative da parte di ciascun singolo soggetto agente:

«la Logica normativa o delle Scienze normative, o Logica deontica (da “deos” – “deontos”: dovere) o delle Scienze del dovere, formula le leggi della “recta ratio agendi” o “recta ratio agibilium”. Essa riguarda il modo concreto di formulare gli imperativi o norme di condotta futura, portandoli fino all’imperativo concreto del suo compimento.

Le leggi di condotta non si occupano di descrivere o enunciare qualcosa che è […]; tantomeno di descrivere o enunciare il futuro della condotta […].

Le Leggi non descrivono ma prescrivono una condotta de futuro. Per questo, il modo verbale con cui si esprimono è l’imperativo (o suo equivalente). La conclusione del suo sillogismo, come vedremo, è di semplice “probabilitas conjecturalis”, non di certezza».


Anche se sotto il profilo strutturale e funzionale il sillogismo deontico, come il sillogismo formale, si compone di tre elementi strutturali denominati premessa maggiore, premessa minore e conclusione, ciò che tuttavia questi elementi ‘sono’ e ‘significano’ è –e rimane– assolutamente peculiare. Proprio in questa linea l’autore illustra le specifiche più proprie del sillogismo normativo o deontico in continua dialettica con la Logica formale tipica della Teologia speculativa dalla quale mette ogni impegno per differenziarlo:

«per attuare rettamente si richiede una duplice conoscenza: quella del generale e quella del concreto previsto. Il difetto di una delle due è sufficiente perché risulti impedita la correttezza dell’attuazione. Non è tuttavia la conoscenza dell’universale o norma generale a ricoprire la funzione principale nell’attuazione, quanto piuttosto la conoscenza del concreto, poiché le attuazioni avvengono nel concreto».


È questo l’apporto tutto specifico della premessa minore del sillogismo normativo: essa, infatti,

«non è visibile o constatabile in anticipo, non solo perché la condotta futura appartiene all’ambito della libertà umana di contraddizione (adempiere o non adempiere il precetto), ma anche perché, essendo il principio generico, astratto e generale, implica dei margini di libertà di specificazione o di libera decisione sul suo contenuto, cioè, di libertà morale».


Proprio la premessa minore contiene di fatto il ‘concreto previsto’ in base a cui valutare dapprima le possibili attuazioni del principio generale ed in base a cui decidere, conclusivamente, quale concreta opzione seguire per l’azione –spesso unica– da porre in atto. Proprio il ‘concreto previsto’ tuttavia è assolutamente ‘relativo’ e ‘circostanziale’ ad ogni soggetto e ad ogni situazione concreta: gli esempi tipici addotti dalla Morale in tema di ‘legittima difesa’ o di ‘obiezione di coscienza’ non lasciano dubbi in merito. Inutile ricordare che tutto ciò appartiene concretamente alla ‘storicità’ del vivere umano.

«La conclusione di questo sillogismo, pertanto, non è di “certezza infallibile”, “come nelle Scienze dimostrative” o della Logica enunciativa. Né tanto meno è di “certezza storica” o morale, come nelle Scienze storiche. Né di certezza fisica, come nelle Scienze positive o della natura. Così ci dà solo la “congettura”: “conjectura” o “probabilitas conjecturalis” secondo la previsione fatta, secondo ciò che “ut in pluribus accidere solet”. Questa congettura tuttavia è sufficiente per agire ragionevolmente, prudenzialmente, “poiché non è possibile altra forma di attuazione”».


Ne derivano per il Diritto (comunque considerato) conseguenze difficilmente considerate, non solo p. es. dai teologi o altri studiosi, ma dagli stessi canonisti:

«in un processo continuato di sillogismi di Logica deontica la conclusione del primo sillogismo, che è valida solo “ut in pluribus”, è assunta come proposizione maggiore per uno seguente o secondo sillogismo; la conclusione di questo secondo sillogismo trasporterà il valore di “ut in pluribus” anteriore ed inoltre vi cumulerà il valore proprio della sua nuova minore, formulata anch’essa per previsione e valida solo “ut in (suis) pluribus”: la conclusione del secondo sillogismo sarà, di conseguenza, meno “ut in pluribus” di quanto lo fu quella del primo sillogismo. […] Attuando così successivamente, si giunge ad un momento in cui la conclusione è indifferente: in cui non c’è più “ut in pluribus”».


T. Jiménez Urresti, tuttavia, da buon figlio del suo tempo –e della sua formazione neo-scolastica– non avrebbe potuto procedere oltre, limitandosi così –soltanto (!)– a considerare in sé e per sé la Logica deontica rintracciata in S. Tommaso, senza forse poter dedicare appropriata attenzione a quanto la moderna Scienza logica aveva già apprestato nell’ambito intesionale.


6.5 Logiche intensionali e Diritto

Nonostante le attese, e fin anche le convinzioni, di molti giuristi (canonici) s’indirizzino ancor oggi alla c.d. Logica classica senza soluzione di continuità tra il sillogismo formale aristotelico e la –millantata– ‘promessa’ leibniziana di un ‘calcolo giudiziale’ (sillogismo giuridico) che fornisca una Sentenza ‘giusta’ (perché ‘corretta’?), non è più possibile ai nostri giorni attuare efficaci ricorsi giuridici alla Disciplina logica che non siano primariamente intensionali.

Il problema, per di più, non s’identifica affatto con le sole Logiche deontiche ma ne abbraccia altre significative espressioni quali le Logiche epistemiche e quelle intenzionali, a seconda della specializzazione funzionale logico-giuridica cui si faccia riferimento.


- Prima di tutto, le Logiche deontiche vanno accostate nella loro complessità, non riducibile ad una generica ‘necessità’ ma inquadrata nella più ampia prospettiva etica che premette agli operatori deontici (dovere, permesso, divieto…) quelli assiologici (bontà/positività, preferibilità, ottimalità…) dai quali, unicamente, possono sorgere (veri) ‘doveri’ per la persona.

La Logica deontica, dal canto proprio, studia soltanto «il linguaggio delle proposizioni caratterizzate dagli operatori deontici e le leggi che regolano i rapporti tra di esse» inquadrando linguaggio e leggi in «parecchi sistemi di Logica deontica, che si possono distinguere in tre categorie: i sistemi deontici puri, i sistemi aletici e i sistemi misti di Logica deontica», senza però andare oltre il linguaggio stesso …verso i contenuti deontici.


- La Logica epistemica, dal canto proprio, riguarda gli enunciati circa il credere ed il sapere, con le loro differenti modulazioni: probabilità o certezza per il credere, verità e fondatezza per il sapere; tenendo presente come non esista un solo concetto preformale di credenza, ma due: la convinzione e la verosimiglianza. Scopo della Logica epistemica

«non è quello di descrivere i nessi che sussistono tra le credenze (o le forme di sapere) dei soggetti empirici […] ma di fornire una esplicazione dei concetti epistemici tale da consentire di affrontare in maniera precisa problemi come quello del valore delle convinzioni, il loro grado di fondazione e quello del sapere, il nesso tra convinzioni e forme di sapere e così via».


- Le Logiche intenzionali (o dell’inferenza pratica) si riferiscono a volontà, desiderio e intendimento; in esse

«piano della normatività, piano aletico e piano epistemico sono vicendevolmente interrelati, dal momento che […] l’azione intenzionale è il risultato di una particolare forma di riconoscimento da parte del soggetto della normatività implicita nel fine intenzionato e del nesso, di natura aletica, che lo lega ai mezzi necessari per realizzarlo».


7. LOGICA PREDICATIVA E DIRITTO

7.1 Proposizioni e contenuti

Per individuare adeguatamente la ‘forma logica’ delle singole proposizioni, tanto del linguaggio naturale che scientifico, una volta che siano state rese ‘semplici’, è necessario accedere ad un secondo livello analitico (oltre quello enunciativo) costituito dalla Logica dei predicati, volta a cogliere la portata logica interna delle proposizioni oltre la semplice struttura “soggetto + predicato”, com’è, p. es., per le ‘relazioni’ (maggiore o minore di…), coinvolgendo tutte le proposizioni –e sono molte!– che di per sé sfuggirebbero alla semplice Logica enunciativa.

«La Logica dei predicati incrementa il potere descrittivo della Logica proposizionale, mediante l’introduzione di termini predicativi, che consentono di descrivere la struttura interna di uno stato di cose, e di quantificatori che consentono di indicare il modo in cui un predicato, elementare o complesso, determina il dominio di oggetti preso in considerazione».


È –in fondo– il tema del ‘contenuto’ che, per quanto la Logica proposizionale ne prescinda, non si può comunque trascurare …visto che il c.d. calcolo proposizionale dipende proprio dalla verità/falsità delle proposizioni stesse, che la Logica proposizionale tuttavia non verifica.

Di tale formalizzazione si sono occupati Gödel e Tarski attraverso l’introduzione di ‘quantificatori’, ‘variabili predicative’ e ‘nominali’, ed un massiccio ricorso all’insiemistica.

Non di meno «non è possibile estendere all’ambito predicativo il metodo algoritmico applicato per stabilire la validità delle formule enunciative; si dimostra anzi che non esiste alcuna procedura generale siffatta».


La questione non è priva di risalto dal punto di vista della fruizione della Logica in Diritto, visto che una parte considerevole dell’attività giuridica non si limita alle ‘definizioni’ ma deve stabilire (e ‘misurare’) relazioni, correlazioni, legami, rapporti, precedenze e susseguenze, causalità… ecc.

Ne seguono alcune specifiche conseguenze.

- La prima riguarda senza dubbio la necessità di ‘semplificare’ il linguaggio fino all’estrema stringatezza della proposizione semplice che ‘fissi’ con rigore gli ‘assunti’ che sarà poi necessario correlare, sia in modo vero-funzionale (connettori) che intensionale (operatori), per costruire nuove proposizioni di maggior complessità la cui veritatività –o almeno ragionevolezza– possa darsi e mantenersi con sufficienti probabilità logiche e morali per la maggior parte dei soggetti che intervengano nella vicenda …nella prospettiva –tanto agognata– della certezza del Diritto.

- La portata ‘funzionale’ degli operatori intensionali, tendenzialmente incapaci di restituire alle connessioni tra proposizioni un risultato in termini di vero-falso, allontana il miraggio logico-computazionale dalle reali prospettive giuridiche, offrendo –sì– strumenti per una maggior qualità del lavoro giuridico, ma non potendo surrogarsi in alcun modo alla persona dell’operatore giuridico come tale: il Giudice deve essere una –specifica– persona, non un semplice –qualunque– processore …anche –se– ‘semantico’.


7.2 Proposizioni e Logica aletica

Poiché nel campo giuridico le questioni connesse ai contenuti delle proposizioni rilevano in modo del tutto primario (trattandosi di un’attività concretamente necessaria e non teoretica soltanto), si rende indispensabile una reale portata gnoseologica per la maggior parte possibile del linguaggio utilizzato e delle sue strutture, primariamente quelle logiche. L’affermazione del valore di verità di una proposizione giuridicamente significativa richiede infatti –almeno– «la corrispondenza tra una determinata asserzione e i dati di conoscenza che il soggetto possiede in un determinato momento riguardo a un determinato oggetto», ponendosi «sul piano del singolo (determinato, “empirico”, storico) soggetto della conoscenza», qual è di solito un Giudice e, non di meno, chi gli sta di fronte.

Tale tipologia logica assume pertanto un valore fondamentale per l’attività giuridica, dovendosi porre proprio il tema della qualità del giudizio, della sua ‘perfezione’, della sua rettitudine… e finendo per identificarsi con la conoscenza in quanto realizzata:

«essendo, dunque, la conoscenza l’apprensione di qualche cosa di determinato da parte di un determinato soggetto, la verità del giudizio è da rilevarsi nel concreto rapporto tra un determinato soggetto e un determinato oggetto, nelle concrete circostanze di tempo e di luogo nelle quali si verifica l’incontro».


Tutta l’amplissima tradizione giuridica sul tema equitativo pone proprio in evidenza questa tematica: laddove la semplice formalità (giuridica, ma non di meno logica) conduca palesemente all’ingiustizia, si chiede al Giudice di decidere in modo equitativo: secundum iustitiam et veritatem.

L’attenzione, poi, della Logica aletica per la conoscenza e la sua fondatezza ne enfatizzano l’importanza a riguardo della specializzazione funzionale investigativa, primaria nella pratica forense. 


8. QUESTIONI APERTE

8.1 Corretto e/o giusto

La tematica logica, con la sua specifica attenzione alla correttezza delle inferenze e connessioni tra proposizioni, soprattutto assertive, pone in luce, dopo il concetto di ‘dimostrazione’, un’altra ambiguità plurisecolare in ambito ‘giuridico’ che continua a non essere percepita in troppe circostanze, spesso anche giudiziali: il rapporto tra giusto e sbagliato.

Proprio la Logica predicativa evidenzia il problema, innescando un normale processo di disambiguazione di termini: cosa significa “giusto”? Senza una semantizzazione univoca ogni asserto contenente tale termine rimarrebbe quantomeno ambiguo …per non risultare addirittura falso in alcune affermazioni.

Il problema si pone a vasto raggio coinvolgendo più lingue europee nelle quali la radice “rct” (o “rgt”) –come già in latino– indica non solo il “retto”, ma anche il “giusto” …o forse meglio: il “giusto” in quanto “cor-retto”. Che si tratti di un’indebita riduzione semantica è evidente, poiché: il “giusto” non si contrappone allo “sbagliato”, ma all’“ingiusto”, mentre lo “sbagliato” si contrappone al “corretto”. L’essere corretto e/o giusto non è questione di bene o di male… poiché ci si riferisce a significati del tutto diversi, anche se facilmente assimilati nel linguaggio ordinario che tuttavia –circostanzialmente– riesce spesso a distinguerne il valore semantico. Capita, però, in ambito enunciativo giuridico che i contenuti (intensioni) dei due termini vengano sovrapposti, confusi e scambiati… al punto che quanto appare solo logicamente ‘corretto’, poiché derivante da un’adeguata concatenazione vero-funzionale di un certo numero di proposizioni assertive (verità processuale), diventi anche ‘giusto’ dal punto di vista decisorio dando corpo a sentenze potenzialmente ‘corrette’ sotto il profilo –soltanto– logico, ma ‘ingiuste’ secondo le concezioni non-formalistiche del Diritto stesso: summum Ius, summa iniuria. Tanto più che chi si rivolge ad una Magistratura –solitamente– non cerca tanto ‘correttezza legale’ quanto ‘giustizia’.

Il fenomeno si consolida quando, all’interno di procedimenti sillogistici, il corretto/giusto assume una funzione ‘qualificatrice’ del c.d. medio (premessa minore), generando conclusioni la cui ‘consistenza’ merita facilmente il beneficio del dubbio, non essendo esplicita la ratio dell’inferenza adottata.


8.2 Logica deontica normativa e giudiziale

La pur necessaria (ed innovativa) applicazione delle peculiarità proprie delle Logiche deontiche al campo giuridico (oltre che a quello etico e morale) non è scevra da elementi problematici in quanto, come già evidenziato sia a riguardo di T. Jiménez Urresti che del ‘principio personalista’, l’attività giuridica ‘deontica’ non si limita soltanto a quella normativa.

Il problema è già emerso con sufficiente chiarezza: il dover agere/facere (in dipendenza dall’esse, proprio o delle realtà coinvolte) non si pone solo “ut in pluribus” come prevede il Legislatore, ma si pone anche “in singulis”… come deve considerare il Giudice.

Non solo, infatti, c’è un salto ontologico –ben prima che logico– tra essere e dover agire, ma anche tra il dover agire in generale e l’agire specifico di ogni singolo soggetto, o anche il solo fare. Come infatti si relaziona e –più ancora– si commisura e proporziona quanto previsto in generale, ipoteticamente, dal Legislatore per una –pur specifica– fattispecie giuridica e quanto la singola persona ‘dovrebbe’ attuare concretamente nel proprio vivere? Come, poi, commisurare questo ‘dovere’ teoretico (futuribile) con quanto effettivamente ‘possibile’ al soggetto e concretamente da lui operato?

Che valore e peso assegnare, inoltre, alle altre componenti intensionali quali le epistemiche ed intenzionali? Conoscenza-errore, volontà-violenza, colpa-dolo, intervengono senza dubbio in modo determinante nell’ambito giudiziale …come ‘calcolarne’ la portata sotto il profilo logico per offrire al Giudice un valido strumento decisorio?


9. PROSPETTIVE INTERDISCIPLINARI

9.1 Logica dialogica e giudizialità canonica

Un ambito, certo nuovo quanto a tematizzazione, ma non altrettanto per la prassi giudiziale canonica (e non solo) è quello connesso alla c.d. Logica dialogica, in particolare sviluppo negli ultimi decenni.

«Nella Logica dialogica, l’eventuale validità di una formula viene esaminata da due interlocutori che pronunciano alternativamente delle affermazioni, avendo entrambi una informazione completa della situazione […]. La persona che inizia il dialogo, il proponente (P), ha l’obiettivo di giustificare la validità della formula, mentre l’opponente (Q) cerca di contrastare le affermazioni di P. […] La validità o meno della formula dipende dalla vittoria nel dialogo di P o di Q»


…proprio quanto accade nel dibattimento processuale (canonico) dopo la pubblicazione degli Atti, quando cioè Giudice, Pubblico Ministero e Patrono, possedendo le ‘stesse’ informazioni (acta et probata) emerse dall’indagine e dall’istruttoria, si confrontano nella loro ‘interpretazione’ al fine di ricostruire la verità dei fatti.

Tale ‘tecnica probatoria’, la cui portata investigativa o argomentativa non è definibile di principio, possiede in realtà nobili precedenti già nei –fittizi– ‘dialoghi’ platonici, per passare poi all’amplissimo uso fattone nel Medioevo attraverso la struttura stessa delle Quæstiones scolastiche col loro “videtur quod”, fino al “…sed contra” ed al finale “respondeo dicendum quod” …fino alla stessa istituzione in alcune situazioni e circostanze specifiche del ruolo di “avvocato del diavolo” incaricato proprio di contestare puntualmente tutte le affermazioni proposte. Chi, d’altra parte, potrebbe corroborare meglio le inferenze tra più affermazioni se non chi, pur avendone interesse (reale o fittizio) contrario, in realtà non riesca a sconfessarle?


Proprio alla dialogicità s’ispirano –ormai con certezza– molti dei principi processuali del Codice canonico rinnovato, anche per l’ambito amministrativo. Al di là, infatti, che gli addetti ai lavori continuino ad utilizzare la formula standardizzata “diritto di difesa”, ciò che si deve cogliere sotto il profilo metodologico (e logico) è che l’obiettivo irrinunciabile della verità reale-oggettiva cui tendono le Procedure canoniche di cognizione non può essere conseguito senza l’apporto –ragionevole– di tutti gli aventi (anche avuta) questione/parte nella vicenda da ‘conoscere’. Trattandosi, infatti, di ricostruire la verità oggettiva di quanto accaduto, ciò non può darsi –proprio in linea di principio– senza l’apporto di ‘tutti’ coloro che ne hanno in qualche modo partecipato; apporto che andrà attentamente valutato dal Giudice quanto alle sue conseguenze, più o meno espresse, ma che si rivela costitutivo di principio per chi debba (voglia) conseguire una certezza morale sui fatti in discussione/accertamento. Ciò anche in ambito c.d. amministrativo, dove le decisioni di governo ecclesiale non possono esser ritenute (e perciò trattate) come ‘esterne/estranee’ alla vita concreta degli interessati/destinatari.


9.2 Attese e possibilità

Dopo quanto sin qui sinteticamente illustrato, spesso in modo problematico, risulta chiaro come un efficace apporto della Logica al Diritto –anche specificamente canonico– dovrebbe differenziarsi in alcuni ‘filoni’ preferenziali già in qualche modo emersi attraverso le specializzazioni funzionali logico-giuridiche qui proposte.

Certamente occorre escludere fin dall’inizio qualunque possibile ‘esito’ e –fin anche aspirazione– calcolatorio, non solo semplicistica come il “calculemus” di Leibniz, ma anche del tipo dei c.d. calcoli proposizionali della Logica contemporanea. La questione –come detto– ha portata epistemologica …pertanto invalicabile, poiché il Diritto non è –e non può essere– assimilabile ad una Scienza esatta: si serve di svariate formalizzazioni, ma non è una Disciplina formale, quanto piuttosto una prudentia! Il maggior apporto ipotizzabile sarà pertanto di carattere metodologico: come ‘controllo’ inferenziale e formalizzatorio, con funzione euristica dopo una corretta semantizzazione.


Ciò non esclude affatto che l’ambito giuridico, [a] con le sue molteplici espressioni anche ‘logiche’, [b] con la sua mole amplissima di ‘dati’ facilmente raggiungibili in quanto ‘scritti’ e già sostanzialmente organizzati, [c] con la sua specificità semantica, [d] con l’importanza attribuita al linguaggio, possa risultare di particolarissimo interesse ed efficacia per teorizzare, sperimentare e verificare –anche– specifiche tipologie di formalizzazione (semantica) utili al progredire della Disciplina logica come tale.

Parimenti una tale attività di formalizzazione –non solo semantica ma anche concettuale– può certamente risultare utile anche alla pratica giuridica in se stessa, guidando i giuristi alla corretta lettura sintattica e logica delle questioni e dei dati loro sottoposti (Logica predicativa) in una prospettiva anche ‘tecnica’ che, pur escludendo improbabili possibilità calcolatorie, possa tuttavia predisporre qualche sorta di ‘matrice’ cui affidare la ‘verifica’ quanto meno della completezza dei dati, della loro non contraddittorietà, della qualità delle loro connessioni… ecc. tutti strumenti di assoluta preziosità per l’attività giuridica che, proprio per essere davvero ‘prudente’, necessita di adeguati ed affidabili strumenti di verifica.





in: APOLLINARIS, LXXXIII (2010), 487-549