Tommaso fonte al concilio Vaticano II. Primo approccio alle sue citazioni



1. SAN TOMMASO AL VATICANO II

1.1 Premessa

La domanda circa la “presenza” non eminentemente testuale di San Tommaso al concilio Vaticano II non è scontata, né in sé (la presenza o meno) né dal punto di vista quantitativo, né – tanto meno – dal punto di vista qualitativo, soprattutto se questo significhi chiedersi se Tommaso possa o debba rientrare tra le fonti del concilio propriamente intese, o sia soltanto una delle tante autorevoli presenze in esso documentate e documentabili sotto il profilo della distinzione tecnica tra fonti e rimandi che può risultare utile dal punto di vista sistematico generale.

Ciò porta necessariamente ad impostare l’indagine su almeno due livelli: quello numerico (cioè quante sono nei documenti conciliari le sue citazioni e, nondimeno, in quale proporzione rispetto agli altri autori citati, sia classici che moderni); quello qualitativo (cioè se sia o no da considerarsi fonte sostanziale – cioè contenutistica e dottrinale – per il concilio). Consapevoli che è principalmente la qualità del citato a decidere tra fonte e semplice rimando.

La prima evidenza per chi affronti queste due domande (e quindi il significato e valore del presente studio) sta nel fatto che si tratta di una tematica praticamente assente nella dottrina dominante degli ultimi decenni, non solo italiana: pochissimi sono infatti i riferimenti che si trovano (anche on line) a S. Tommaso in rapporto al concilio Vaticano II”.

Nondimeno, l’approntamento di un adeguato prospetto delle citazioni nei documenti conciliari soggiace alla difficoltà dei differenti criteri di indicizzazione e computo adottati da parte dei pochi che se ne sono occupati in modo sistematico (non sempre con la precisione del loro padri nella ricerca ed indicizzazione). Per le presenti note, del tutto preliminari ad una tematica tanto impegnativa, si farà riferimento a due strumenti (per quando diversi): l’Indice delle fonti del primo volume dell’Enchiridion vaticanum; l’Indice e concordanza del Vaticano II di Henri Tardif e Gabriel Pelloquin.


L’indagine sul tema inerente a Tommaso quale fonte al concilio Vaticano II sarà svolta su di un doppio binario: in primis, quello della consistenza delle sue citazioni (cioè quante), onde disporre degli elementi circa l’effettiva rilevanza numerica e l’inevitabile confronto con la rilevanza degli autori maggiormente citati; in secundis, quello della “costitutività” degli apporti tommasiani alle trattazioni conciliari che li incorporano; si parlerà di apporti “tommasiani” e non “tomistici” per mantenere in evidenza che è il solo San Tommaso come tale ad essere qui oggetto d’indagine e referenza, ben al di là di quanto il Tomismo (o i Tomismi) come tale abbia progressivamente indotto e significato.

In più, e specificamente, sarà necessario (e lo si vedrà a suo tempo) distinguere tra veri e propri dicta S. Thomæ e semplici citazioni delle sue opere, nella consapevolezza metodologica (non particolarmente diffusa – sic) che la struttura per Auctoritates ed i generi quæstiones, commentaria e summæ delle opere medioevali comportano per loro stessa natura la trascrizione anche copiosa di affermazioni altrui (=“videtur quod”, “dictum est autem”), spesso non condivise (=sed contra) – quando non espressamente contestate – dall’autore!

La prospettiva d’indagine e studio qui proposta, pertanto, sarà squisitamente metodologica, come di mia maggior attitudine e competenza.


1.2 Le ricorrenze

Il prezioso lavoro d’indicizzazione di Tardif e Pelloquin ha posto in evidenza all’interno dei documenti conciliari la presenza di 345 citazioni tra propriamente patristiche e dottorali/scolastiche (per indicare genericamente gli autori medioevali e moderni), dando anche un preciso prospetto di tali ricorrenze. In tale quadro S. Tommaso risulta essere il secondo autore citato (30 ricorrenze) dopo il primato assoluto di S. Agostino (51 ricorrenze), all’interno di una hit di soli nove autori presenti con almeno 10 citazioni che totalizzano da soli ben 185 ricorrenze, pari a circa il 54% di riferimenti “esterni” (non biblici né  magisteriali in senso stretto).

Sotto questo primo punto di vista, in qualche modo assoluto, le cose appaiono tutto sommato piuttosto piane; nessuno, d’altra parte, potrebbe presumere a priori, almeno oggi, che proprio l’Aquinate avrebbe dovuto essere il primo tra gli autori citati…

Le cose, tuttavia, cambiano radicalmente se si adotta un approccio maggiormente analitico/relativo,  volto cioè ad un accorpamento delle tipologie di massima degli autori citati: qui il risultato è di tutto rilievo poiché la distanza tra Patres (Patristica antica) e Doctores (medioevali e moderni) è incolmabile: 296 riferimenti ai Patres e 49 soltanto ai Doctores, ridotti al numero totale di soli 10 nello spazio di quasi mille anni di Teologia. L’analisi cronologica dei 67 autori citati, infatti, ne mostra solo 10 successivi al secolo XII cui va aggiunto, per competenza, Pascasio Radberto (IX sec.: 1 citazione) per quanto riguarda i Doctores, identificando così soltanto 47 riferimenti non-patristici, tra cui svettano i 30 di Tommaso, contro i 7 di S. Bonaventura e i 2 di Sant’Alberto Magno.

Pochi numeri che suggeriscono, però, con chiarezza come il maggior elemento critico da considerare nell’approccio alle fonti del concilio Vaticano II non sia tanto la figura di S. Tommaso in sé e per sé (secondo per numero di ricorrenze: 30/345, e primo assoluto tra i Doctores con 30 riferimenti su 47) quanto piuttosto il mondo scolastico come tale, all’interno di un evidentissimo raffronto tra modelli diversi di Teologie di fatto alternative: quella patristica e quella, genericamente, scolastica, separate (nel mondo latino) dagli oltre cinque secoli centrati sul cosiddetto Alto Medioevo.

Tommaso, quindi, risulta presentissimo al concilio Vaticano II rispetto alle sole 3 ricorrenze di Doctores dei secoli successivi, in un contesto in cui la grande Scolastica (con 39 citazioni su 47 dei Doctores) la fa comunque da padrona rispetto alle varie derivazioni successive.




2. FONTI E CITAZIONI TOMMASIANE AL VATICANO II

2.1 Fonti e citazioni: approccio metodologico

Affrontando uno studio tecnico di fonti e citazioni degli scritti di un autore all’interno di un corpus testuale omogeneo (come sono nonostante tutto i documenti promulgati da uno stesso concilio) è importante distinguere almeno due modalità di approccio: a livello più strettamente metodologico occorre tener presente il diverso criterio di computo dei rimandi rilevati, potendosi scegliere la semplice indicazione in nota nei testi conciliari (contando, quindi, il numero di note che citano un autore), oppure ogni singola ricorrenza come tale (contando anche i due o tre rimandi a passi diversi dello stesso autore posti insieme all’interno della stessa nota).

A livello più strettamente contenutistico sarà invece importante vagliare di volta in volta il tipo di rimando di cui si tratta: se citazione diretta, ciò che unicamente merita la qualifica di fonte vera e propria, cioè inserita espressamente nel testo stesso del documento, come la maggioranza delle citazioni bibliche; se citazione indiretta unica, cioè fonte “attenuata”, per esempio in nota, da sola, preceduta da “cfr.”); se citazione indiretta cumulativa, cioè in nota, insieme ad altri autori, preceduta da “cfr.”; ed infine se citazione indiretta cumulativa e plurima, cioè in nota, insieme ad altri autori e con più passi dello stesso autore, preceduta da “cfr.”.


Per il presente lavoro si è scelto d’indicizzare ciascuna singola ricorrenza in modo da poter poi meglio verificare, caso per caso, il dettato testuale dei singoli rimandi anche all’interno della struttura contenutistica delle singole affermazioni (criterio della rilevanza argomentativa). Per quanto concerne lo strumento testuale di lavoro si è utilizzata (per assoluta praticità) l’edizione dei documenti conciliari dell’Enchiridion vaticanum, dovendone tuttavia rilevare qualche insufficienza: l’elenco riassuntivo delle citazioni (pag. 989) non riporta l’opera De perfectione vitæ spiritualis, censita invece alla nota n. 5 di LG 41. Gravemente insufficiente, invece, è risultata nei fatti la prospettazione sistematica di Tardif-Pelloquin, che non riporta le due ricorrenze tommasiane in Dignitatis Humanæ, e trascura quella in GS 48. Tali approssimazioni sono state rilevate e superate (al di là delle considerazioni statistiche) facendo comunque riferimento alla promulgazione ufficiale dei documenti conciliari negli Acta Apostolicæ Sedis, unica fonte ufficiale e perciò “scientifica”.

In via metodologica generale non si può ignorare neppure la difficoltà ad accedere alle reali fonti documentarie conciliari per comprendere le formulazioni e gli sviluppi di molti testi che restano spesso ancora inaccessibili dai soli verbali ufficiali; per quanto ciò non giovi alla comprensione del come e perché siano state inserite determinate fonti nei testi conciliari (ciò di cui ci si occuperà in queste pagine), non di meno la scienza si fa a partire da quanto esiste, e fino a prova contraria.

Allo stesso tempo gli eventuali dubbi che fondatamente sorgessero circa specifiche questioni potranno ulteriormente essere approfonditi in altre sedi, ricorrendo per esempio alle svariate memorie di padri conciliari e loro collaboratori nella diverse Commissioni, alle quali l’editoria sta continuando a dare rilievo.


2.2 Ricorrenze di S. Tommaso nel Vaticano II

2.2.1 Prospetto generico

Ciò detto circa i diversi criteri adottati per l’indicizzazione ed il computo delle ricorrenze, va osservato che i 39 riferimenti tommasiani nei documenti conciliari promulgati, in ordine di ricorrenza risultano così distribuiti:


Lumen Gentium: 18 rimandi;

Ad Gentes: 7 rimandi;

Presbyterorum Ordinis: 6 rimandi;

Gaudium et Spes: 5 rimandi;

Dignitatis Humanæ: 2 rimandi;

Dei Verbum: 1 rimando.


Se ne rileva come, ad eccezione dei decreti PO e AG (13 rimandi) e della dichiarazione DH (2 rimandi), si tratti di tre delle quattro costituzioni conciliari (24 rimandi; circa 2/3 del totale citato). Tali elementi, tuttavia, non paiono ancora in grado di suggerire particolari chiavi di lettura utili alla presente ricerca, così come non risulteranno esserlo di per sé le opere dell’autore citate con maggiore o minore dovizia.


Per quanto riguarda le opere di S. Tommaso citate nei documenti conciliari e le loro ricorrenze, si tratta di:


Summa Theologiæ: 29 rimandi;

Scriptum super Sententiis (libri I e IV) : 4 rimandi;

Commentarium super Matthæum: 1 rimando;

Expositio super primam et secundam Decretalem: 1 rimando;

Liber de perfectione spiritualis vitæ: 1 rimando;

Quæstiones disputatæ de veritate: 1 rimando;

Sententia libri Ethicorum: 1 rimando;

Super Epistolam B. Pauli ad Colossenses lectura: 1 rimando.



2.2.2 Prospetto specifico

Spingendo, invece, l’analisi alla concreta collocazione dei 39 rimandi rilevati, si evidenzia come essi appaiano quasi tutti in nota (e pertanto sempre in forma “indiretta”), ed una sola volta inseriti testualmente nel documento come tale, così da partecipare della sua struttura e contenuto sostanziale. Non di meno essi appaiono distribuiti (o contenuti) in sole 24 note, di cui ben 9 plurime, cioè con più passi di Tommaso nella stessa nota, e 15 singole, cioè con un solo passo nella stessa nota. Di queste ultime soltanto 7 (6+1*) contengono solo il rimando ad un unico passo dell’autore, mentre 8 vedono Tommaso citato insieme con altri autori/fonti:


rimando indiretto cumulativo e plurimo: 9

rimando indiretto cumulativo: 8;

rimando indiretto unico: 6;

rimando diretto unico*: 1.


È solo quest’ultima ripartizione che, in effetti, permette di ipotizzare, già dal solo punto di vista formale, il peso sostanziale presumibile di tali citazioni dell’autore proprio partendo dalla loro struttura, considerata secondo alcuni criteri formali la cui efficacia andrà verificata di volta in volta.

Non sarà difficile riconoscere, in primo luogo, che la presenza di più rimandi allo stesso autore, operati insieme ad altri autori ed altre fonti, configura una semplice referenza tematica (per nulla esclusiva) offrendo più supporti indifferenziati tra loro (e pertanto equivalenti o cumulativi?), nessuno dei quali tuttavia decisivo in sé e per sé, ad una stessa affermazione del testo così annotato. Nella stessa linea vanno colti i rimandi all’autore operati insieme ad altri autori ed altre fonti, con la variante che l’autore in tal modo non conferma né rafforza se stesso attraverso citazioni plurime.

L’interesse del ricercatore deve, invece, concentrarsi proprio sui rimandi unici per quanto indiretti, nei quali il riferimento dal testo del documento all’autore risulta assoluto, presentandosi così come referenza forte sotto il profilo contenutistico (si è detto più sopra: “quasi fonte”).

Nessun dubbio, per contro, sul fatto che una citazione inserita direttamente nel testo vada considerata quale fonte a tutti gli effetti; per quanto sarà poi necessario verificare puntualmente di che cosa si tratti in realtà.


2.3 S. Tommaso come fonte in “Lumen Gentium” 26

Lo screening delle 39 ricorrenze tommasiane nelle 24 note dei documenti conciliari mette in luce come in un caso soltanto la citazione dell’autore sia stata trattata come fonte vera e propria dal punto di vista formale: inserita, cioè, nel corpo del testo tra virgolette (come le citazioni bibliche) con rimando in nota. Per quanto concerne, invece, l’approccio sostanziale a tale citazione, sarà necessario esaminare in modo approfondito se si tratti dell’assunzione vera e propria di un’affermazione di Tommaso, oppure di una sua semplice enunciazione inserita nel testo.


LG 26

Summa Theologiæ, III, q. 73, a. 3 co.

In quavis altaris communitate, sub Episcopi sacro ministerio, exhibetur symbolum illius caritatis et «unitatis Corporis mystici, sine qua non potest esse salus».

Respondeo dicendum quod in hoc Sacramento duo est considerare, scilicet ipsum Sacramentum, et rem Sacramenti. Dictum est autem quod res Sacramenti est unitas corporis mystici, sine qua non potest esse salus, nulli enim patet aditus salutis extra Ecclesiam, sicut nec in diluvio absque arca Noe, quæ significat Ecclesiam, ut habetur I Petr. III


Oggetto espresso di LG 26 è l’irrinunciabile connessione tra Eucaristia e Chiesa all’interno della prospettiva nota in Teologia come “Ecclesiologia eucaristica”, già di origine patristica (agostiniana), alla quale il Vaticano II si è mostrato piuttosto sensibile.

In questa prospettiva LG 26 presenta la celebrazione eucaristica (cioè la communitas altaris) come simbolo della unità del Corpo mistico, cioè della Chiesa, cui si aggiunge, proprio attraverso la citazione di Tommaso “citante”, la specifica della sua “necessità per la salvezza” ; specifica che appare “terminativa” per il concilio, almeno dal punto di vista sintattico (il periodo termina con la citazione), mentre appariva affatto avversativa per Tommaso (il periodo originario, infatti, continua con l’adduzione di una motivazione, enim, ed il suo fondamento, sicut) che rimandava al principio tradizionale dell’extra Ecclesiam nulla salus.

Secondo Philips il concilio intendeva affermare che «l’effetto dell’Eucaristia è da cercare nell’unità della comunità. […] La Teologia è sempre stata molto sensibile alla concezione secondo cui la Chiesa si costituisce a partire dalla Comunione eucaristica. […] Nessuno metterà in dubbio l’importanza di questa verità per il movimento ecumenico. Fino a quando tra le diverse confessioni non vi sarà una intercomunione eucaristica, non vi sarà neanche l’unità piena».

Un’attenta analisi dei due testi e contesti permette tuttavia di esplicitare alcune evidenze non prive di specifica consistenza ai fini della corretta valorizzazione del testo tommasiano citato.

Nell’affermazione conciliare la communitas altaris indica la celebrazione eucaristica come tale (presieduta dal vescovo), senza specificare se il soggetto vero e proprio dell’affermazione vada individuato nella Chiesa che celebra o nell’Eucaristia celebrata; la celebrazione, a sua volta, è symbolum unitatis del Corpo mistico, cioè della Chiesa stessa. L’evidente soggetto logico (=denotazione) delle varie attribuzioni/predicazioni (=connotazione) è la Chiesa di cui la celebrazione eucaristica è simbolo (in senso, evidentemente, forte-teologico).

Nel testo tommasiano, al contrario, il soggetto logico (=denotazione) delle varie attribuzioni/predicazioni (=connotazione) è l’Eucaristia di cui si sta specificamente parlando (in hoc Sacramento duo est considerare); per Tommaso, poi, la unitas Corporis mystici è la stessa res Sacramenti dell’Eucaristia in sé e per sé, senza alcun riferimento diretto alla Chiesa come tale.

In entrambi i casi, però, la salvezza («sine qua non potest esse salus») dipende dalla unitas Corporis mystici, senza possibili ambiguità circa il reale riferimento dell’affermazione: il «qua», infatti (relativo femminile), non lascia dubbi circa la propria dipendenza da «unitas» (unico sostantivo femminile sintatticamente correlabile nella proposizione).

Di fatto la situazione dottrinale globale che si profila nel testo conciliare, che recupera in chiave ecclesiologica un’affermazione tommasiana invece espressamente eucaristica, risulta più aporetica che paradossale, poiché la dottrina eucaristica tommasiana si muove decisamente in tutt’altra direzione rispetto a LG 26.

A questo proposito, e questo è un elemento di rilevanza assoluta non tanto e solo dal punto di vista metodologico ma prima di tutto contenutistico, va preso atto e sottolineato che il passo citato è “in Tommaso” (lo ha cioè scritto lui in una sua opera), ma non è “di Tommaso” (espressivo cioè del suo pensiero) poiché evoca quello di altri (Berengario, 999-1088 circa, in primis, e Agostino velatamente) contro i quali egli espone la propria idea.

Il Dictum est autem [a. 1, arg. 2; a. 2, s.c.] con cui s’introduce il corpo dell’articolo 3 della Quæstio 73, infatti, vuol proprio rimandare al pensiero, non condiviso dall’Aquinate, di altri autori: il pensiero classico dei teologi precedenti Ugo di San Vittore (1096-1141) che sosteneva, appunto, che la res del Sacramento è l’unità della Chiesa (il Corpo mistico verrà dopo), secondo uno schema bipartito: Sacramentum-res, nel quale la res Sacramenti era proprio l’unità della Chiesa.

Tommaso, per parte sua, utilizzò invece uno schema tripartito: Sacramentum (tantum),  Sacramentum et res, res (tantum). Per Tommaso l’unità del Corpo mistico (è lui che conia il sintagma) è res (tantum) del Sacramentum et res, e non del Sacramentum: la res del Sacramentum è il Corpus verum di Cristo. Per “unità del corpo mistico” (dove “mistico” non ha più il valore antico ma significa ormai “spirituale”) egli intende, poi, l’unione delle membra con il capo e, quindi, l’unione dell’anima (singola) con Cristo nella comunione (eucaristica) e non più l’unità della Chiesa, come nella tradizione patristica ed alto medioevale.

Si consideri, altresì, come oggetto specifico dell’articolo 3 della Quæstio 73 – la vera quæstio tommasiana in casu! – sia l’indispensabilità o meno dell’Eucaristia per la salvezza («Consequenter considerandum est de Sacramento Eucharistiæ. […] Tertio, utrum sit de necessitate salutis»), tema trattato in confronto col Battesimo: quale dei due Sacramenti è davvero necessario per la salvezza? L’esito per Tommaso è chiaro: «et ideo hoc Sacramentum non hoc modo est de necessitate salutis sicut Baptismus» (q. 73, a. 3 co-in fine). L’indispensabilità per la salvezza cui si riferisce Tommaso nel passo citato in LG riguarderebbe pertanto – secondo il suo originario argomentare – non l’Eucaristia, in quanto coronamento della vita spirituale, bensì il Battesimo, in quanto inizio della vita soprannaturale. Non di meno, l’indispensabilità per la salvezza riguarderebbe, secondo Tommaso, l’unione – mistica – dell’anima credente al Cristo: la unitas Corporis mystici intorno a cui gira sia il testo originario che quello conciliare. Ciò che costituisce un ennesimo esempio di citazione pretestuosa, di cui le varie dottrine dell’ultimo millennio abbondano in ogni materia, dalla Teologia al Diritto, nel solo tentativo, il più delle volte, di accaparrarsi qualche Auctoritas che renda più accettabile il proprio discorso, accattivandosi i “devoti” della stessa.

La posizione conciliare, per contro, mostra tutt’altro indirizzo sostanziale avendo portata espressamente ecclesiologica. Si potrebbe così pensare che la citazione tommasiana sia specificamente strumentale al rafforzamento, attraverso la sua “irrinunciabilità per la salvezza”, della unitas Corporis mystici costituita – solo conciliarmente! – dalla altaris communitas, sub Episcopi sacro ministerio, ritrasferendo alla massima espressione della vita ecclesiale (la celebrazione eucaristica!) elementi e fattori che per lunghi secoli erano stati, riduttivamente, attribuiti al solo Sacramento eucaristico in sé e per sé («res tantum»), soprattutto a seguito delle contestazioni dei diversi riformatori del secondo millennio. La differenziazione del soggetto logico dell’affermazione tra celebrazione del Sacramento (com’è per il concilio) e Sacramento in se stesso (com’era per Tommaso), certamente non percepibile a molti dei padri conciliari, non è tuttavia da sottovalutare: nella prima si tratta, infatti, di un’azione ecclesiale, nella seconda di una res (tantum).

In proposito, gli studi sulla storia della redazione di LG 26 evidenziano come l’inserzione della citazione ‘tommasiana’ risalga ai Periti che hanno redatto il “Textus emendatus” della costituzione in cui il precedente n. 20 (ormai divenuto n. 26) fu sostanziosamente integrato quanto alle attribuzioni del Vescovo (diocesano), senza che, tuttavia, l’ambito in cui tale citazione è stata posta (quello eucaristico) sia stato ritenuto necessitare di un’apposita illustrazione, come appare dalla “Relatio” dei singoli numeri del nuovo testo. Nessun motivo, pertanto, dell’inserzione di quell’Auctoritas piuttosto di altre… Nondimeno gli stessi redattori rinviano espressamente alla Méditation sur l’Eglise di H. de Lubac ed anche i testi fondamentali da essi citati erano già stati addotti dallo stesso autore. Probabilmente l’intento dei periti s’era indirizzato soltanto a mostrare che il principio “l’Eucaristia fa la Chiesa” era tradizionale, fondato nei Padri, richiamato anche nella Scolastica, ed ecumenicamente importante; lo stesso de Lubac, da parte sua, non aveva fatto una lettura filologica della massa di testi patristici citati.

Dal punto di vista redazionale la citazione tommasiana è presente nel testo conciliare sin dal suo primo apparire all’interno dell’innovativo schema III, assolutamente nuovo nella sua presenza e stesura rispetto agli schemi precedenti; testo intitolato De communitate eucharistica, præsertim in Ecclesia locali (secundum decisionem Commissionis doctrinalis), e testo che in nota richiama espressamente la prospettiva agostiniana sulla «Ecclesia quæ facit Eucharistiam, deque Eucharistia quæ facit Ecclesiam».

Cosa possa o debba dirsi, pertanto, dell’unica citazione testuale di Tommaso nel Vaticano II non appare immediato, rischiando così di (continuare a) dar ascolto più alle “ragioni del cuore”, sempre che di “ragioni” si tratti, che non alla dura realtà dei fatti!


2.4 Le altre citazioni “forti” di S. Tommaso nel Vaticano II

Esaminata l’unica citazione diretta ed esplicita, si deve ora procedere all’analisi delle citazioni indirette uniche, nel tentativo di coglierne la reale portata fondativa per il testo conciliare cui offrono supporto.

Tale operazione si scontra tuttavia con la difficoltà, del tutto evidente, d’individuare con precisione quali siano i testi tommasiani (=l’affermazione vera e propria) effettivamente richiamati dalle note dei documenti conciliari, apparendo spesso tale rimando più contestuale e generico che non letterale, depontenziandone in tal modo la forza e la portata.


2.4.1 “Lumen Gentium” 7


LG 7

Summa Theologiæ, III, q. 62, a. 5, ad 1

[…] ex omnibus gentibus convocatos, tamquam corpus suum mystice constituit.

In corpore illo vita Christi in credentes diffunditur, qui Christo passo atque glorificato, per Sacramenta arcano ac reali modo uniuntur.

Verbum prout erat in principio apud Deum, vivificat animas sicut agens principale, caro tamen eius, et mysteria in ea perpetrata, operantur instrumentaliter ad animæ vitam. Ad vitam autem corporis non solum instrumentaliter, sed etiam per quandam exemplaritatem, ut supra dictum est.


Anche il primo testo conciliare con rimando tommasiano “unico indiretto” si presenta già piuttosto emblematico del tipo di rimandi operati nei diversi documenti, e della loro sovente strutturale problematicità.

Trattando della «Chiesa, corpo di Cristo», LG 7 afferma che in essa la vita di Cristo si diffonde nei credenti, i quali attraverso i Sacramenti vengono uniti in modo arcano ma reale a Cristo. La lettura proposizionale del testo evidenzia due chiare affermazioni di contenuto: 1) attraverso i Sacramenti la vita di Cristo si diffonde nei credenti; 2) i Sacramenti uniscono a Cristo in modo arcano ma reale.

Il testo tommasiano indicato, non di meno, afferma: Cristo vivifica le anime come agente principale; la sua carne ed i misteri (oggi “Sacramenti”) in essa compiuti operano in modo strumentale alla vita dell’anima; mentre per la vita del corpo essi operano non solo in modo strumentale ma anche come esempio.

La portata del riferimento conciliare a Tommaso appare con ogni evidenza puramente evocativa, non potendosi rilevare alcuna corrispondenza testuale: si tratta di tematiche simili e assimilabili fra loro, ma in campi assolutamente diversi, soprattutto in considerazione del reale discorso sviluppato da Tommaso nell’articolo 5 della Quæstio 62 circa la «provenienza della virtus dei Sacramenti dalla passione di Cristo», al di là del loro riferirsi separatamente al Cristo in quanto Parola di Dio (cioè in sé e per sé) o alla sua corporeità che ha sofferto la Passione. Ne consegue che, mentre Tommaso si riferisce all’azione del Cristo quale unitario Verbo incarnato, non più ulteriormente scindibile nelle due nature, il concilio afferma la realtà dell’unione a Cristo operata dai Sacramenti, anch’esso senza attribuire più importanza alcuna alla componente “cristica” (diverso da “cristologica”) effettivamente operante.

In ciò il riferimento al pensiero reale di Tommaso appare assunto direttamente dalla costituzione conciliare.

Dal punto di vista redazionale la citazione fu introdotta all’interno dell’amplissima integrazione fatta con lo schema III a quello precedente e così mantenutasi sino alla promulgazione finale.


2.4.2 “Lumen Gentium” 11


LG 11

Summa Theologiæ, III q. 63, a. 2

Fideles per baptismum in Ecclesia incorporati, ad cultum religionis christianæ charactere deputantur et, in filios Dei regenerati, fidem quam a Deo per Ecclesiam acceperunt coram hominibus profiteri tenentur.

Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, Sacramenta novæ legis characterem imprimunt inquantum per ea deputamur ad cultum Dei secundum ritum Christianæ religionis.


Il secondo rimando tommasiano “unico indiretto” appare maggiormente lineare, risultando pressoché testuale, per quanto concettualmente piuttosto diverso.

Trattando dell’«esercizio del sacerdozio comune nei Sacramenti», infatti, LG 11 afferma che i fedeli, incorporati nella Chiesa col Battesimo, sono deputati al culto della religione cristiana dal Carattere e, rigenerati quali figli di Dio, sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa. Due le proposizioni contenutistiche principali: 1) deputazione al culto cristiano attraverso il Carattere; 2) obbligo di testimoniare pubblicamente la fede ricevuta.

L’affermazione tommasiana, da parte sua, era meno ampia, riguardando solo il Carattere impresso dai Sacramenti e la deputazione al culto cristiano, mancando invece la testimonianza: i Sacramenti imprimono il Carattere; per mezzo di essi si viene deputati al culto cristiano.

Pur non essendo qui luogo adatto per approfondire le problematiche teologico-dogmatiche connesse al tema, occorre tuttavia segnalare come il rapporto Sacramenti-Carattere-deputazione cultuale sia differente nei due testi. Per Tommaso, infatti, i Sacramenti deputano dapprima al culto cristiano, e imprimono poi il Carattere; per il concilio, invece, è il Carattere che deputa al culto cristiano. A Tommaso, d’altra parte, interessava verificare «utrum Character sit spiritualis potestas», dimostrando che «Character importat quandam potentiam spiritualem ordinatam ad ea quæ sunt divini cultus». Che tuttavia il discorso tommasiano riguardasse in primis il Sacramento dell’Ordine («habere enim Sacramenti Characterem competit ministris Dei») non pone nessuna questione al suo rimando conciliare a riguardo del sacerdozio comune, quindi: non ministeriale!

Dal punto di vista redazionale non si segnala nessuna differenza dal rimando precedente.


2.4.3 “Lumen Gentium” 16


LG 16

Summa Theologiæ, III, q. 8, a. 3, ad 1

Ii tandem qui Evangelium nondum acceperunt ad Populum Dei diversis rationibus ordinantur.

Ad primum ergo dicendum quod illi qui sunt infideles, etsi actu non sint de Ecclesia, sunt tamen in potentia. Quæ quidem potentia in duobus fundatur, primo quidem et principaliter, in virtute Christi, quæ sufficiens est ad salutem totius humani generis; secundario, in arbitrii libertate.


Il terzo rimando “unico indiretto” di Tommaso, in LG 16, appare uno dei maggiormente coerenti dal punto di vista sostanziale in quanto, pur nella differenza testuale, risulta evidente l’idem dictum.

Per il concilio si tratta del tema della Chiesa e i non cristiani, intorno a cui si è espresso evitando di frapporre ulteriori barriere e steccati rispetto a quelli già fissati dalla storia, privilegiando le ricchezze del futuro rispetto alle strettezze del presente e del passato. In fondo: quanto Tommaso stesso aveva permesso di delineare utilizzando la dottrina aristotelica di potenza ed atto.

Chiedendosi, nell’articolo 3 della Quæstio 8, «utrum Christus sit caput omnium hominum», Tommaso aveva affermato «membra corporis mystici non solum accipiuntur secundum quod sunt in actu, sed etiam secundum quod sunt in potentia». In tal modo la conciliare ordinatio ad Populum Dei appare coerente col tommasiano esse de Ecclesia tamen in potentia, per quanto le diversæ rationes evocate dal concilio siano da una parte più ampie di una semplice potenzialità non ancora realizzatasi, dall’altra meno stringenti e probabili del passaggio di una res dalla propria potenza al proprio atto.

Dal punto di vista redazionale il rimando fu introdotto espressamente nello schema III insieme alla nuova formulazione del testo conciliare, dopo essere già stato parte della nota n. 36 del precedente schema II, soppresso, venendo trasposto al nuovo testo approvato. Ciò che impedisce di affermarne una reale pertinenza e sostanzialità, essendo connesso maggiormente alla materia che non alla sua concreta esposizione.


2.4.4 “Presbyterorum Ordinis” 13


PO 13

Summa Theologiæ, II-II, q. 188, a. 7

Quærentes enim quomodo aptius contemplata aliis tradere possint, profundius sapient «investigabiles divitias Christi» (Eph. 3, 8) et multiformem sapientiam Dei.

Manifestum est autem quod maiorem sollicitudinem spiritualium requirit religio quæ est instituta ad contemplandum et contemplata aliis tradendum per doctrinam et prædicationem, quam illa quæ est instituta ad contemplandum tantum.


Il rimando tommasiano di PO 13 non riesce a superare la soglia della semplice assonanza o, se così si vuole, della mera citazione di repertorio: stessa formula (ormai standardizzata) in due contesti quanto meno paralleli come sono quelli della vita e del ministero presbiterale (di per sé diocesano) cui si riferisce il concilio, e quello della vita religiosa attiva di cui parla Tommaso, disquisendo in realtà di povertà degli ordini religiosi. Diverso è, infatti, trattare del ministero della predicazione, proprio dei Presbiteri, che delle differenze interne tra le diverse forme di vita consacrata.

L’intento conciliare è chiaro: la predicazione della Parola di Dio affidata al ministero presbiterale non è un semplice dire o ripetere formule fatte, gli antichi “predicabili” ed i vari moralia, per quanto corrette sia teologicamente che moralmente. Predicare è principalmente condividere la propria esperienza spirituale: trasmettere ciò che ha riempito nel profondo la propria vita.

L’intento tommasiano, per contro, era ben diverso dovendo e volendo affermare quanto meno la grande dignità della nuova forma di vita consacrata da lui stesso abbracciata, quella dei cosiddetti ordini mendicanti, rispetto tanto alla forma classica della vita semplicemente contemplativa, quale era quella monastica, quanto a quella degli istituti ordinati alle opere della vita attiva. Contemplare per trasmettere e predicare richiede infatti maggior sollecitudine per le cose spirituali che contemplare soltanto, quindi: la maggiore povertà perseguita dagli ordini mendicanti! La Quæstio 188, d’altra parte, tratta proprio De differentia religionum.

Per quanto concerne la redazione, l’inserimento del rimando tommasiano si evidenzia dallo schema III in stretta connessione all’inserimento della frase «quærentes enim quomodo aptius contemplata aliis tradere possint»; all’interno di una più ampia operazione di rafforzamento del testo precedente anche con varie citazioni bibliche.


2.4.5 “Gaudium et Spes” 25


GS 25

In I Etich., Lec. 1 [n. 4]

Ex sociali hominis indole apparet humanæ personæ profectum et ipsius societatis incrementum ab invicem pendere. Etenim principium, subiectum et finis omnium institutorum socialium est et esse debet humana persona, quippe quæ, suapte natura, vita sociali omnino indigeat.

Sciendum est autem, quod quia homo naturaliter est animal sociale, utpote qui indiget ad suam vitam multis, quæ sibi ipse solus præparare non potest; consequens est, quod homo naturaliter sit pars alicuius multitudinis, per quam præstetur sibi auxilium ad bene vivendum. […] Alio modo iuvatur homo a multitudine, cuius est pars, ad vitæ sufficientiam perfectam; scilicet ut homo non solum vivat, sed et bene vivat, habens omnia quæ sibi sufficiunt ad vitam: et sic homini auxiliatur multitudo civilis, cuius ipse est pars, non solum quantum ad corporalia, prout scilicet in civitate sunt multa artificia, ad quæ una domus sufficere non potest, sed etiam quantum ad moralia; inquantum scilicet per publicam potestatem coercentur insolentes iuvenes metu pœnæ, quos paterna monitio corrigere non valet.


Il primo dei due rimandi tommasiani in GS si trova all’inizio del n. 25 della costituzione, in tema di interdipendenza della persona e della umana società, con un rimando difficilmente qualificabile come soltanto generico («I Etich., Lec. 1») visto che il testo citato si articola in ben 17 numeri ed ha un’estensione di oltre 2.000 parole… rendendo l’individuazione del passo citato non certo di primissima evidenza.

Difficile ipotizzare, pure in questo caso, qualificazioni diverse dal semplice repertorio, anche in considerazione del fatto che non si tratta di affermazioni prettamente teologiche quanto piuttosto di mera Filosofia sociale o politica: l’affermazione che “principio, soggetto e fine di tutte le Istituzioni sociali è e dev’essere la persona umana” risulta, infatti, più aristotelica che evengelica.

Spremere duemila parole di Tommaso che commenta Aristotele per guadagnare tale meta par essere uno sforzo fondazionale più estetico che plausibile.

Da notarsi, sotto il profilo redazionale, che il rimando tommasiano, apparso solo con l’integrazione dello schema II della stesura, si riferisse originariamente ad altra frase ma sia rimasto connesso, nei testi successivi, alla collocazione attuale, senza che nulla risulti in merito.


2.4.6 “Gaudium et Spes” 69


GS 69

Summa Theologiæ, II-II, q. 66, a. 7

Qui autem in extrema necessitate degit, ius habet ut ex aliorum divitiis necessaria sibi procuret.

Respondeo dicendum quod ea quae sunt iuris humani non possunt derogare iuri naturali vel iuri divino. Secundum autem naturalem ordinem ex divina providentia institutum, res inferiores sunt ordinatæ ad hoc quod ex his subveniatur hominum necessitati. Et ideo per rerum divisionem et appropriationem, de Iure humano procedentem, non impeditur quin hominis necessitati sit subveniendum ex huiusmodi rebus. Et ideo res quas aliqui superabundanter habent, ex naturali Iure debentur pauperum sustentationi. […]. Si tamen adeo sit urgens et evidens necessitas ut manifestum sit instanti necessitati de rebus occurrentibus esse subveniendum, puta cum imminet personæ periculum et aliter subveniri non potest; tunc licite potest aliquis ex rebus alienis suæ necessitati subvenire, sive manifeste sive occulte sublatis.


Anche l’ultimo rimando “unico indiretto” di Tommaso in GS si pone in ambito non espressamente teologico ma filosofico-morale, in materia sociale, sul tema dei beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini.

Tema del n. 69 della costituzione pastorale è il rapporto tra proprietà individuale e necessità comuni o, se si vuole, della comune destinazione dei beni necessari alla sussistenza umana; la citazione tommasiana in questo caso si rivela di assoluta pertinenza illustrando ed argomentando «de peccatis iustitiæ oppositis per quæ infertur nocumentum proximo in rebus, scilicet de furto et rapina» (come inizia la Quæstio 66) ed in particolare «utrum liceat alicui furari propter necessitatem» (l’articolo 7 in specifico); ciò che continua a rappresentare la posizione tradizionale della morale cattolica secondo cui dinanzi alla sopravvivenza della singola persona il mero diritto (di proprietà) cede il posto alla necessità, e rubare non appare più moralmente illecito.

Dal punto di vista redazionale, il riferimento tommasiano appare non pienamente chiaro. Prima di tutto esso fu inserito solo allo schema III a complemento di un testo già presente nello schema II (praticamente invariato) che era però privo di note; la nota n. 11, poi, introdotta nello schema III non rimanda direttamente a Tommaso ma lo introduce a conferma di quanto già asserito per altra via: ciò che non appare irrilevante quanto alla importanza fondamentale del rimando stesso.


Concludendo questa breve indagine, già interessante nei propri risultati, per quanto ancora del tutto preliminare, condotta secondo una metodologia più tipica dell’ambito storiografico e diplomatistico che non teologico o filosofico, si può avere maggiore consapevolezza di alcune, almeno, delle ragioni della già rilevata scarsa considerazione attribuita a questo tema tanto da parte del mondo tomistico quanto da parte di quello teologico: per quanto concerne il rapporto tra concilio Vaticano II e pensiero tomistico non est res de qua!

Ciò non toglie che la domanda in merito permanga sensata e meriti comunque qualche tentativo di risposta, per quanto sotto altri profili.

L’analisi degli altri rimandi (quelli non unici e/o cumulativi) a questo punto risulta evidentemente del tutto inutile nei termini qualitativi di qualche portata intorno all’essere o meno fonte per il Vaticano II.


3. S. TOMMASO COME FONTE FINO AL VATICANO II

3.1 San Tommaso nella dottrina ecclesiastica passata

Circa il passato, le cose che riguardano l’Aquinate non sono né omogenee né univoche, soprattutto quando si tratta di confrontare il suo modo di procedere e di argomentare con quello dei suoi contemporanei: primo tra tutti il Francescano S. Bonaventura († 1274), col quale il disaccordo dottrinale e metodologico è rimasto incolmato a tutt’oggi. Non si può, infatti, dimenticare come Tommaso al suo tempo fosse risultato piuttosto innovatore e distante dalle posizioni classiche giunte fino a lui, e ben testimoniate dal genio francescano. Senza ignorare neppure che proprio con l’animus francescano le differenze (“domenicane”) permasero incolmate, in un parallelismo che, per quanto fattualmente asimmetrico, non permise mai alla Scolastica tomistica d’impossessarsi dell’intero campo teologico: il francescano G. Duns Scoto (1265-1308) docet. Non si può neppure trascurare come la cosiddetta “seconda Scolastica” (ed il gesuita F. Suárez, 1548-1617, in particolare), abbia complicato notevolmente le cose affiancando al pensiero di Tommaso ben altri pensieri ed insegnamenti, divenuti poi tutt’insieme in modo generico e scorretto nell’Ottocento razionalista (e contro di esso), “Scolastica” e conseguentemente (!) “Tomismo”.

Al proposito non risulta chiaro neppure cosa davvero significhi l’appellativo di doctor communis Ecclesiæ dato a Tommaso dal Papa domenicano Giovanni XXII (1316-1334) – mentre divenne “dottore della Chiesa” solo nel 1567, ad opera di Pio V –. Tommaso, infatti, ai suoi tempi non era “il” dottore ed anche al secondo concilio di Lione (1274), al quale non giunse mai (morendo lungo il viaggio), non è certo se sia stato ‘invitato’ come teologo da Gregorio X o se –più semplicemente– ve lo abbia inviato l’Ordine domenicano come proprio ‘perito’, come qualcuno sostiene, mentre è certo che S. Bonaventura ebbe dal Pontefice stesso l’incarico di ‘preparare’ tale concilio oltre che ‘guidarne’ i lavori. 

Ben più recentemente, nella Æterni Patris, non senza l’enfasi del momento, Leone XIII affermò che «nei Concili di Lione [1274], di Vienna [1311-1312], di Firenze [1438-1445] e del Vaticano [1869-1870] si direbbe che Tommaso abbia assistito e quasi presieduto alle deliberazioni ed ai Decreti dei Padri», anche se andrebbe puntualmente verificato ciò nei fatti (v. infra), oltre che specificamente evidenziata, non senza conseguenze, la natura della sua espressa riproposizione in quella sede quale filosofo metafisico ben più che come teologo.

Lo stesso, tuttavia, non è affermato dell’assise conciliare di Trento.


3.2 Tommaso nel Magistero ecclesiale vincolante

Circa l’enfatica affermazione di Leone XIII sulla presenza e “quasi presidenza” di S. Tommaso ai concili da Lione II (anno 1274) al Vaticano I (anno 1870), ed annessa deducibile sua presenza costante e determinante nella dottrina ecclesiastica, se un’indagine meticolosa non è possibile nei limiti di queste note, non pare tuttavia scorretto, seppur in modo assolutamente generico e puramente indicativo, far riferimento ad alcuni strumenti di uso comune per la ricerca in ambito teologico, primo tra tutti l’Enchiridion Symbolorum, Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum, comunemente conosciuto come Denzinger.

Nell’Indice di persone e temi della 37esima edizione (anno 1996 per l’italiano) S. Tommaso appare, sotto differenti referenzialità, 49 volte dal sec. XIV al Vaticano II (escluso), di cui:


14 volte

dal 1302 al 1799

~ 500 anni 

16 volte

dal 1800 al 1899

100 anni

19 volte

dal 1900 al Vaticano II

~ 60 anni


dovendo suscitare un certo apprezzamento critico l’assoluto squilibrio, almeno statistico, tra le sue presenze, concentrate per oltre il 70% nell’arco dei soli ultimi 160 anni: proprio quelli della reazione romana alla modernità filosofica europea, centrata sulla Æterni Patris (1879), verso cui si camminò lungo tutto quel secolo e da cui si ripartì per quello successivo, fino alla soglia del Vaticano II.

Per quanto riguarda poi lo specifico di tali presenze, occorre osservare che la prima ricorrenza tommasiana a livello di Magistero vincolante risulta trovarsi indirettamente (cioè nella introduzione redazionale al documento) nella bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII (1302), anziché nel secondo concilio di Lione, come invece indicato da Leone XIII.

Il mero dato assoluto, per quanto di grande significatività considerando per esempio che i cinque secoli tardo-medievali e proto-moderni (1302-1799) contengono il concilio di Trento e tutta la Controriforma, con un’attenzione assolutamente dominante accordata ai Sacramenti, assume valori e significati (tutti da interpretare!) di grandissimo interesse quando lo si confronti con le presenze, ed il loro andamento, di altri grandi maestri e Dottori: S. Agostino in primis.

I rimandi formali ad Agostino censiti nello stesso Indice del Denzinger risultano in tutto 99, di cui 80 in pari periodo con Tommaso (cioè dalla sua prima citazione); il vantaggio temporale di quasi un millennio del primo sul secondo, altrimenti, falserebbe la comparazione.

Per parte loro i 62 rimandi formali a Tommaso dal 1302 alla chiusura del concilio Vaticano II (presa in esame in queste note) risultano così distribuiti:



Agostino

Tommaso

Tommaso

rimandi pari periodo

80

62

-18

dal 1° rimando a Tommaso al concilio di Trento

3

2

-1

nel concilio di Trento

10

1

-9

dal concilio di Trento al 1799

18

11

-7

XIX secolo

14

16

+2

XX secolo fino al concilio Vaticano II

10

19

+9

nel concilio Vaticano II

25

13

-12



La visualizzazione grafica dell’andamento dei rimandi offre chiarezza assoluta:



Come si osserva (e deve essere attentamente ponderato), esiste un movimento alternativo o compensativo che i numeri, per quanto molto piccoli, evidenziano: mentre, infatti, la dominanaza agostiniana nelle proposizioni dogmatiche cattoliche è totale e stabile sul lungo periodo, con un’evidentissima flessione nella seconda modernità, la presenza tommasiana è molto inferiore, risultando però egemone proprio nello stesso periodo storico-culturale-dottrinale della flessione agostiniana. Quanto già evidenziato delle ricorrenze all’interno dei documenti del Vaticano II conferma tale andamento sancendo la ripresa agostiniana.

Poiché tirare conclusioni partendo soltanto da questi pochissimi (per quanto evidentissimi) dati non è sicuramente possibile, occorre fissare l’attenzione su alcuni altri elementi circostanziali che potrebbero nondimeno illustrare più chiaramente fattori esplicativi dei fatti, sottoponendo così ad iniziale verifica l’ipotesi che emerge quasi prepotente dal grafico comparativo: che S. Tommaso, cioè, al netto di qualunque altro elemento, sia stato soltanto l’antidoto cattolico anti-moderno!


3.3 San Tommaso “teologo pontificio”?

Già si è fatto cenno alla problematicità della partecipazione dell’Aquinate al secondo concilio di Lione: chi, cioè, lo abbia convocato, e in quale veste e funzione. Il fatto non appare oggi chiaro, soprattutto perché il problema non risulta praticamente esistere nella dottrina e letteratura degli ultimi due secoli, quelli appunto anti-modernisti.

Da una parte sta chi lo vede convocato in funzione del lavoro già svolto e, quindi, come perito in materia: «a Tommaso fu ordinato di recarsi al secondo concilio di Lione, convocato da Papa Gregorio X, che avrebbe dovuto cominciare lunedì 7 maggio 1274, a Lione, residenza temporanea del Papa nel sud della Francia. Dato che lo scopo principale di questo quattrordicesimo Concilio ecumenico era la riconciliazione tra i Greci e la Chiesa latina, a Tommaso fu chiesto di portare con sé una copia del suo Contra errores Græcorum, da lui scritto nell’estate del 1263 su richiesta di Urbano IV». La formulazione passiva della frase non permette di mostrarne il soggetto agente: fu il Papa che lo convocò? Oppure fu il Superiore generale dei Domenicani a volerlo con sé?

Dall’altra parte c’è chi lo vede presente comunque, e pertanto convocato dal Pontefice stesso, chi altri? Una presenza corroborata senz’altro dall’opera scritta dieci anni prima: «dalla fine di gennaio o inizio febbraio, essi devono rimettersi in cammino per il Concilio che Gregorio X ha convocato per la data del 1 maggio 1274 a Lione, in vista di un’intesa con i Greci. Tommaso prende dunque con sé il Contra errores Græcorum che aveva scritto su richiesta di Urbano IV».

La soluzione dell’interrogativo ha un rilievo di tutta importanza per confermare o smentire l’affermazione che l’Aquinate potesse essere a quel tempo “teologo pontificio”, pur senza essere il teologo pontificio per eccellenza (che era Bonaventura!). Certo non tutte le circostanze sarebbero favorevoli a tale assunto.

Le condanne parigine e oxfordiane del settimo decennio del XIII secolo contro le tesi degli averroisti, infatti, coinvolsero più o meno direttamente il professore parigino la cui quotazione, al tempo, non godeva certo di favori unanimi. Per quanto le liste di affermazioni tommasiane condannate «è più o meno lungo a seconda che a compilarle siano francescani o domenicani», non è però in dubbio che si tratti di sue affermazioni. A questi fatti, inoltre, un certo numero di studiosi riconducono con plausibilità il repentino trasferimento di Tommaso da Parigi a Napoli.

Si aggiunga un ulteriore elemento interessante dal punto di vista biografico personale e storiografico generale: Tommaso fu solo un professore fino a quando l’ordine domenicano lo adottò come vero e proprio “corifeo” all’interno degli eventi di politica ecclesiastica che segnarono la vita dell’ordine stesso fin dalla fine del secolo XIII, specialmente nel confronto con la galassia francescana, non meno dotata e blasonata intellettualmente (Antonio di Padova, Bonaventura… quest’ultimo, sì, “teologo pontificio” per Gregorio X!).

In modo non dissimile – visto il 10:1 a vantaggio di S. Agostino nelle formulazioni normative tridentine (v. supra) – occorrerebbe verificare in rebus ipsis la reale referenzialità e portata della dottrina tommasiana (anche) nei lavori di tale concilio, ben al di là del mero ricordo della collocazione «sull’altare, nel mezzo dell’aula delle adunanze del concilio tridentino, insieme con i codici della Sacra Scrittura e con i Decreti dei Romani Pontefici, della Somma di Tommaso d’Aquino», riferito da Leone XIII nella Æterni Patris (v. infra). Quanto già detto, infatti, sull’utilizzo del Decretum Gratiani quale miniera Auctoritatum Patrum et Doctorum vale allo stesso identico modo – e lo si è ben dimostrato più sopra per il Vaticano II! – per la Summa Theologiæ.


3.4 San Tommaso e la “Æterni Patris”

L’elemento di verifica che potrebbe risultare, se non decisivo, comunque determinante per verificare l’ipotesi del ricorso strumentalmente tutorio a S. Tommaso in chiave anti-moderna è senza dubbio l’enciclica Æterni Patris che, a dir di dottrina, avrebbe sancito in modo chiaro e definitivo la sostanziale identificazione della dottrina cattolica con quella tomistica (diverso da tommasiana!), eternizzandola.

Ancora una volta sarà la concreta lettura dei testi a dar ragione di sé.

Per delineare e valutare il ruolo di Tommaso all’interno dell’enciclica di Leone XIII non si può prescindere dalla considerazione – previa e circostanziale – dell’obiettivo specifico, immediato e dichiarato, di tale documento: il rinnovamento strumentale degli studi filosofici (ecclesiastici, cattolici). Oggetto dell’enciclica, infatti, era la Filosofia come tale (nominata 40 volte contro le solo 7 della Teologia) e l’obiettivo cui essa mirava era l’irrobustimento di una reale capacità filosofico-argomentativa in prospettiva prevalentemente apologetica, contrappositoria ed anti-ereticale, come ben evidenzia buona parte del testo pontificio stesso.

L’enciclica d’instaurazione della cosiddetta neo-Scolastica (o Neotomismo, secondo altre prospettive) intende «trattare nuovamente del modo di condurre gli studi di Filosofia» in ragione dell’importanza della materia e della condizione dei tempi, contro “prave dottrine” ed “erronee opinioni”, indirizzandosi al “retto uso della Filosofia”. Ciò mette in luce due elementi: il “nuovamente”, dopo la citata prima enciclica (Quod Apostolici Muneris su Socialismo, Comunismo, Nichilismo, anno 1878) ad indicare l’importanza tutta circostanziale, come anche ribadito, dell’intervento magisteriale; il riferimento esplicito e programmatico al modo di condurre gli studi, ad evidenziare come l’intenzionalità (così decisiva per quel modo di pensare!) dell’enciclica stessa fosse principalmente metodologica, prim’ancora che contenutistica: come e cosa fare da parte cattolica contro i disastri del pensiero filosofico moderno già espressamente individuati nel Socialismo, Comunismo, Nichilismo.

Dopo l’incipit si accenna, ripetitivamente, al ricorso alla “Scienza umana” come soluzione usata frequentemente dai più illustri Padri della Chiesa per offrire alla «fede salutare» un «principio, nutrimento, forza e difesa». «È poi assai opportuno rivolgere a bene e a vantaggio della Rivelazione queste verità conosciute dagli stessi filosofi pagani, allo scopo di mostrare concretamente che anche l’umana sapienza e gli stessi avversari rendono favorevole testimonianza alla fede cristiana», secondo un «comportamento antico ed usato spesso dai santi Padri della Chiesa».

Sulla scorta del concilio Vaticano I si evidenzia poi l’apporto della ragione alla conoscenza dell’esistenza di Dio ed a molte delle sue principali attribuzioni espresse (anche) dalla Rivelazione. In questa prospettiva «si chiede ancora un continuo e molteplice uso della Filosofia, affinché la sacra Teologia assuma e vesta natura, forma e carattere di vera Scienza». Emerge così con chiarezza il presupposto più profondo che regge – in modo del tutto nuovo rispetto al Medio Evo – l’intero discorso: infatti in questa disciplina è «sommamente necessario che le molte e diverse parti delle dottrine celesti si colleghino come in un sol corpo, affinché messe ordinatamente al loro posto e derivate ciascuna dai propri principi, stiano fra loro in idonea armonia; ed infine, tutte e singole, siano confermate con propri ed invincibili argomenti», mostrando non solo e di nuovo l’intenzionalità metodologica sottostante ma, molto di più, la ricerca di un vero e proprio sistema cristiano di pensiero da contrapporre a quelli coevi, ormai chiaramente antireligiosi.

«Alla Filosofia compete – infine – difendere con ogni diligenza le divine verità rivelate, e opporsi a coloro che ardiscono contrastarle. Pertanto torna a gran vanto della Filosofia essere considerata baluardo della fede e sicuro bastione della religione». «Né è da ritenere piccolo trionfo per la fede cristiana che le armi nemiche, industriosamente trovate dall’umana ragione per nuocerle, siano dalla stessa ragione respinte con efficacia e agevolmente», al punto che «la stessa Chiesa non solamente consiglia che i maestri cattolici piglino dalla Filosofia codesto aiuto, ma lo ordina apertamente». Per parte sua «il filosofo cattolico sappia che farebbe ingiuria alla fede, e contemporaneamente alla ragione, se abbracciasse una conclusione riconosciuta contraria alla dottrina rivelata».

L’espresso intento apologetico di tanto interessamento alla Filosofia è poi richiamato direttamente con l’elencazione degli antichi apologisti i quali «utilizzarono pure dall’umana sapienza le prove per dimostrare che si deve ammettere ed onorare un solo Dio». Il percorso storico giunge poi al Medio Evo ed alla Scolastica, ritenuta unica ed unitaria e citando Tommaso insieme a Bonaventura (sic!). Essa avrebbe raccolto «con diligenza la feconda ed ubertosa messe di dottrina sparsa nei moltissimi volumi dei santi Padri», per poi «riporla come in un sol luogo, ad uso e vantaggio dei posteri», dopo averla «ottimamente ordinata ed in molti e chiarissimi modi esplicata». Ciò tuttavia, scrive il Pontefice, pur essendo stato affermato da Sisto V in riferimento alla Teologia scolastica «va chiaramente inteso anche per la Filosofia e le sue doti», «giacché quelle chiare doti che rendono la Teologia scolastica tanto terribile per i nemici della verità, vale a dire, come aggiunge lo stesso Pontefice, quella concatenazione delle cose e delle loro cause tra sé, quell’ordine e quella disposizione come di soldati schierati a battaglia, quelle limpide definizioni e distinzioni, quella sodezza di argomenti e quelle sottilissime dispute per le quali la luce è separata dalle tenebre e il vero dal falso, e le menzogne degli eretici, avviluppate da molti inganni ed intrighi, come se fosse loro strappata di dosso la veste, sono rese manifeste e messe a nudo, codeste preclare e mirabili doti, diciamo, si debbono attribuire al retto uso di quella Filosofia, della quale i maestri scolastici si avvalsero assai frequentemente di proposito e con savio intendimento anche nelle dispute di Teologia».

A metà enciclica si passa poi direttamente ed espressamente a S. Tommaso, nominato sin lì una sola volta (insieme a S. Bonaventura), presentandolo come «duce e maestro» che «emerge sopra tutti i dottori scolastici» soprattutto per aver tenuto «in somma venerazione gli antichi sacri dottori» e, specificamente, per aver «composto in un tutto» le loro dottrine «sparse qua e là». Proprio queste dottrine Tommaso avrebbe «disposto con ordine meraviglioso ed accresciute con grandi aggiunte», «così da meritare di essere stimato singolare presidio ed onore della Chiesa cattolica». La sua “prestanza”, poi, deriverebbe dal fatto che «non esiste settore della Filosofia che egli non abbia acutamente e solidamente trattato […] in modo che in lui non rimane da desiderare né una copiosa messe di questioni, né un conveniente ordinamento di parti, né un metodo eccellente di procedere, né una fermezza di principi o una forza di argomenti, né una limpidezza o proprietà del dire, né facilità di spiegare qualunque più astrusa materia».

Proprio «avendo adoperato tale modo di filosofare anche nel confutare gli errori, egli ottenne così di avere debellato da solo tutti gli errori dei tempi passati e di avere fornito potentissime armi per mettere in rotta coloro che con perpetuo avvicendarsi sarebbero sorti dopo di lui», apparendo così come il più efficace e promettente degli apologisti del millennio in corso.

Ciò che tuttavia appare di maggior rilievo nel discorso del Pontefice e nella sua immediata intenzionalità è la messa in luce dell’opera tommasiana come «accurata distinzione – come si conviene – tra fede e ragione»: distinzione e non contrapposizione, «stringendo l’una e l’altra in amichevole consorzio, di ambedue conservò interi i diritti, e intatta la dignità, in modo che la ragione, portata al sommo della sua grandezza sulle ali di San Tommaso, quasi dispera di salire più alto; e la fede difficilmente può ripromettersi dalla ragione aiuti maggiori e più potenti di quelli che ormai ha ottenuto grazie a San Tommaso».

Segue una lunga fila di accreditamenti dell’autorevolezza dell’Angelico fino al ricordo del posto d’onore attribuito alla Somma di Tommaso d’Aquino nell’aula del concilio di Trento «per derivarne consigli, ragioni e sentenze» secondo l’uso – ancora – del tempo di affermare le proprie posizioni non dimostrandole (moderno more) ma citando antiquos et earum sententias tamquam auctotitates. Continuando così a nascondere a se stessi se si citasse l’autore come tale (=Tommaso) o quanti da lui stesso riportati, cioè tutti gli antichi Padri e Dottori.

Il successivo rilancio contro i “Novatori del secolo XVI” mette in evidenza la loro colpa nell’aver «trascurato il patrimonio dell’antica sapienza» preferendo «tentare cose nuove piuttosto che aumentare e perfezionare le antiche con le nuove, e questo certamente con poco saggio consiglio e non senza detrimento delle Scienze».

Non di meno: poco oltre si assiste ad un cambio almeno di modulazione del discorso che, da contrappositorio, diventa più conciliante e quasi complementare, evidenziando che in fondo si tratta di proporzioni: «dicendo ciò non disapproviamo certamente quei dotti e solerti uomini i quali volgono la loro operosità, la loro erudizione e la dovizia dei nuovi ritrovati allo studio della Filosofia, giacché sappiamo bene che questo conduce all’incremento e al progresso della Scienza. Ma conviene evitare con somma cura che in tale erudizione ed operosità s’impieghi tutto l’impegno, o la parte principale di esso».

L’istanza apologetico-contrappositoria riprende poi vigore sulla considerazione che «innanzi tutto in questi nostri tempi, essendo in uso combattere la fede cristiana con le arti e con le astuzie di una Scienza fallace, è necessario che tutti i giovani, e particolarmente quelli che crescono sperando nella Chiesa, siano nutriti di una dottrina sostanziosa e robusta, affinché vigorosi e ben preparati si abituino tempestivamente a trattare valorosamente e sapientemente la causa della religione».

A tale scopo «riteniamo che, dopo il soprannaturale aiuto di Dio, non vi sia mezzo più opportuno della solida dottrina dei Padri e degli Scolastici, i quali dimostrano i saldissimi fondamenti della fede, la sua divina origine, l’inconcussa verità, gli argomenti che la sorreggono, i benefici arrecati al genere umano e la sua perfetta armonia con la ragione, apportando tanta evidenza e tanta forza, quanta è sovrabbondantemente sufficiente a piegare gli animi anche più ritrosi ed ostinati».

È così che quello che Tommaso insegna ha «una forza grandissima e invincibile per rovesciare quei principi del nuovo Diritto, che si conoscono perniciosi alla tranquillità dell’ordine sociale ed alla pubblica salute».

Infine, nel rinnovamento della Filosofia proposto dal Pontefice «la Filosofia scolastica, se saggiamente insegnata, potrà fornire meravigliosamente forza e luce»; proprio a riguardo di questo “uso saggio” non si trascura poi una interessante nota di metodo: «affinché poi non si abbia ad attingere la dottrina supposta invece della genuina, né la corrotta invece della pura, fate in modo che la sapienza di San Tommaso sia prelevata dalle sue proprie fonti, o per lo meno da quei rivi che, usciti dalla stessa fonte, scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti».

Qui giunti, al di là di chiedersi se e quanto (eventualmente) sia chiaro se di S. Tommaso sia da assumere il metodo di relazione, integrazione e reciprocità tra fede e ragione, oppure il sistema dottrinale (cioè i contenuti), pare pressoché conclusiva la constatazione della strumentalità e circostanzialità del riferimento eminentemente filosofico – ben più che teologico – alla figura ed opera di Tommaso in un campo d’interesse magisteriale al momento molto diverso da quelli degli oltre quindici secoli precedenti e da quello di ottant’anni dopo.

 Intervento tenuto nella tavola rotonda S. Tommaso e il Concilio Vaticano II, Pontificia Università Lateranense, Cattedra S. Tommaso e il pensiero contemporaneo, Roma, mercoledì 9 maggio 2012.

 Quale quella in Optatam Totius 16: «inoltre, per illustrare integralmente quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso per mezzo della speculazione, avendo S. Tommaso per maestro».



pubblicato in: CVII, VII (2013), 2, 229-259 [ CV II ]