Discernere e scegliere nella Chiesa


Sommario

1. Una linea di continuit. 2. Scegliere, optare e decidere. 3. Discernimento e scelta. 4. Chiesa e discernimento. 5. Discernimento ed intenzionalit. 6. Conoscenza e discernimento.

 

 

1. Una linea di continuit

 

La riflessione sul discernere e lo scegliere si propone come un passo avanti rispetto a quanto gi posto in evidenza nella VI Giornata canonistica interdisciplinare sul tema decidere e giudicare nella Chiesa; un passo avanti che spinge a scendere pi in profondit rispetto a decidere e giudicare, mettendone in luce presupposti e fondamenti che spesso sfuggono anche ad avvedute consapevolezze. Proprio in questa prospettiva lungo lo stesso percorso pluriennale si gi dedicato spazio anche allimportanza del linguaggio e dei concetti attraverso cui si articola il ragionamento ed alla Logica che lo struttura e lo guida.

Le riflessioni proposte nella VI Giornata canonistica interdisciplinare sul giudicare come attivit personalissima di ciascuno attraverso cui cresce il rapporto con la realt che giunge al soggetto (= comprendere) e quella che da lui riparte (= decidere), hanno messo in risalto come lelemento pi debole e difficilmente surrogabile dellintera catena che porta fino al decidere sia proprio la componente valutativa e discretiva del giudicare. Il considerare, cio, ogni cosa ed elemento e fattore e poi scegliere che cosa debba fare la differenza: la scelta vera e propria. Il linguaggio canonistico utilizza la formula omnibus perpensis (cfr. CIC, Cann. 114 3; 354; 524; 1029; 1296; 1537) in tale accezione, anche e specificamente connessa proprio a decernere (cfr. Can. 1296).

In questo modo discernere e scegliere si presentano come le due componenti interne del giudicare vero e proprio: la sua struttura dinamica; non a caso delle undici volte in cui il CIC usa decernere sei ricorrono nel Libro VII - De Processibus (cfr. Cann. 1434; 1546; 1598; 1647; 1665; 1736).

 

La questione non meramente intellettuale e teoretica, ma assume un profilo di spiccata concretezza per gli operatori del Diritto i quali – spesso senza avvedersene – hanno proprio nellattivit di discernere e scegliere la maggior loro occupazione. Non di meno: il risultato di tale attivit campeggia espressamente nel loro vocabolario e nel loro lavoro, canonisti in primis. Nel CIC vigente la radice decret ricorre 168 volte in 109 Canoni, 48 dei quali nel De Processibus.

 

Decretum – infatti – stato per secoli uno dei termini simbolo della Canonistica: da Ivo di Chartres a Graziano, fino alle Decretali... e dopo di loro decretisti e decretalisti sono stati i nomi attribuiti ai canonisti. Tutto il Diritto canonico del secondo millennio stato segnato da questo termine, tanto che il Diritto canonico classico dipende completamente, almeno dal punto di vista semantico, da questa radice, comՏ per Decretale fino allavvento dello Ius novum: la Lex generalis del Codice pio-benedettino che, trasformando lOrdinamento canonico in Ordinamento – tendenzialmente – codiciale (= di civil Law), ne ha messo parzialmente in ombra la strutturale e costante natura discretiva pi prossima – in realt – al common Law.

 

Decretum per il participio passato di decerno, che significa discernere, selezionare, scegliere: valutare tutti gli elementi, soppesarli, confrontarli e poi scegliere che cosa si tiene e che cosa si lascia. Prendere uno e lasciare tutto il resto: la parte migliore (o pi importante) rispetto al tutto.

 Decreto quanto deriva/risulta da un processo di discernimento che diventa il simbolo stesso della decisione giuridica: la decisione assunta decernendo/discernendo. Ed questo il significato maggioritario del verbo decernere gi nelluso latino classico in Curia ed in guerra. Chi decreta sceglie e da quella scelta derivano conseguenze sia attive (= il da farsi) che passive (= le conseguenze).

E proprio sul decernendo si concentrano sempre pi lungo i secoli le attenzioni giuridiche generali, sia canoniche che civili, soprattutto in sede giudiziaria, quando un Tribunale sia chiamato a verificare ex post la qualit e fondatezza di un decretum (in senso reale, non tecnico) che non risulti recepibile da parte di uno almeno dei soggetti coinvolti. Un decernendo che assume caratteri sempre pi significativi nel riproporre gli elementi ed i fattori davvero sostanziali della materia in oggetto. Un decernendo che ormai limperativo della strutturazione di qualunque Procedimento in sede amministrativa (= di governo) anche canonica, come ben mostra lArt. 93 4 della vigente Lex propria della Segnatura Apostolica secondo cui si autem Actus illegitimitas declarata fuerit in decernendo, Auctoritas de re denuo videre potest tantummodo ad normam Iuris atque iuxta modum et terminos in Sententia forte determinatos.

 

 

2. Scegliere, optare e decidere

2.1 Discernimento e decisione

 

Discernere e decidere, come maggiormente visibile per discernimento e decisione, indicano attivit assolutamente diverse che raggiungono una equifunzionalit di fatto solo nellesito operativo finale: una – ed una soltanto – specifica operativit/condotta.

Discernere e decidere comportano entrambi una partizione (= scartare qualcosa) operativa, ma attraverso percorsi che possono per risultare sia [a] complementari, che [b] alternativi. Se discernere e decidere si collocano in complementariet il primo fonda il secondo, motivandolo positivamente ed offrendogli consistenza e – probabilmente– stabilit. Se, invece, discernere e decidere si collocano in alternativa la specifica operativit/condotta cui si approda potrebbe manifestare (soprattutto nel tempo) problemi di tenuta.

Ci accade poich discernere e decidere indicano attivit diverse, in qualche modo contrarie: positiva il primo, negativa il secondo, elettiva il primo escludente il secondo. Ci fa s che spesso lattenzione al solo esito comportamentale finale (= il faciendum/factum) tolga attenzione al suo delinearsi e definirsi e, pertanto, al suo fondamento. Cosa diversa , infatti, costruire progressivamente una eccellenza (= eleggere), rispetto a scartare pi o meno immediatamente, molte inadeguatezze o inconvenienti (= escludere).

 

Anche dal punto di vista semantico: se il decretum – positivamente ed elettivamente – lestrazione di qualcosa rispetto alla molteplicit, il decisum – negativamente ed in modo escludente – ci che stato ritagliato, rescisso, distaccato, da qualcosa di pi ampio e complesso che viene abbandonato. In entrambi i casi: ex multis unum ma non allo stesso modo.

Ci pone in risalto, per altro verso, la differenza tra scelta ed opzione. Giudicare e decidere, infatti, come fasi di uno stesso processo chiedono che si giunga ad una vera e propria scelta e non ad una semplice opzione.

 

Il decisum, la decisione, lunum faciendum, infatti linterruttore – lo start – di unoperativit che, una volta attivata, proceder secondo le proprie strutture, risorse e dinamiche. Come la chiave nel cruscotto dellautomobile: non importa nulla chi la giri, n perch lo faccia. Comunque lautomobile si avvier, con tutte le conseguenze proprie di ogni singola specifica situazione: dal pilota agonistico, al bambino incauto.

Le decisioni, per, non sono tutte uguali, soprattutto in riferimento alle modalit con cui si giunti ad esse: scelta ed opzione decidono entrambe, ma con qualit differenti. La scelta comporta aver prima valutato, cio fatto discernimento e giudicato, lopzione – al contrario – si accontenta del semplice risultato operativo da porre in atto: uno soltanto rispetto a due... come nellordalia o nel sorteggio che – non inutilmente – costituirono le prime forme di iuris-dictio da parte della divinit. Il decisum divino costituiva lo ius che doveva essere accolto ed applicato senza ulteriori Istanze.

In questa prospettiva bene ricordare e considerare che il Diritto – per parte sua – funziona proprio su base alternativa dovendo sempre rispondere (e finendo comunque per farlo sempre) circa ununica vera domanda: an constet de in casu, che ammette ununica risposta – alternativa –: affirmative o negative. Una di due: come la sorte, come lopzione. Una di due: come le parti in Causa, o le loro posizioni processuali. Il Diritto, infatti, non spiega n motiva: decide!

Daltra parte: se ci che conta soltanto lunum faciendum, poco importa il suo perch.

Per quanto cinica possa sembrare questa prospettiva, non di meno, la concreta efficacia che ne deriva appare oggi segnare una grande quantit anche di eventi processuali, soprattutto in campo economico (quindi: privatistico). Se ci, infatti, che deve prevalere lesito (= certezza del – proprio – diritto) ci che conta la sua realizzazione: al minor costo possibile. In campo economico infatti pesa molto pi lincertezza che non la reale perdita; lincertezza, infatti, influisce sulla fiducia e stabilit delle relazioni ed attivit future, la perdita, invece, solo sulla situazione patrimoniale consolidata. Allo stesso tempo i costi di una condanna sono sempre maggiori di quelli di un accordo; anche perch in questo campo si tende a ragionare in termini di (rischio di) perdita e non di (probabilit di) guadagno.

In tal modo il decisum, soprattutto processuale, rischia di valere in s e per s, indipendentemente dal proprio fondamento: da qui una delle buone ragioni a sostegno del pragmatico realismo giuridico e del Diritto come mera Retorica argomentativa alla Perelman o della struttura competitiva del Processo di adversary System.

Fenomeni emergenti di giurisdizione volontaria del tutto strumentale, come il ricorso in Europa alle Corti islamiche, confermano proprio tali presupposti, ormai socialmente acquisiti: il Diritto (= le Norme) di cui si chiede lapplicazione quello che meglio supporta e consegue il risultato perseguito.

 

2.2 Decisione ed opzione

 

Anche se a primo acchito la differenza tra scelta ed opzione potrebbe apparire artificiosa (o pure ideologica), in realt essa risulta solida e costante a livello sia semantico che giuridico.

 

- Optare/opzione dato dai vocabolari come scelta ma sempre tra possibilit concrete e reciprocamente escludenti: alternativa tra due. Non certa lequivalenza, neppure romanistica, con electio. Optare esprime unattivit della volont, prima che dellintelletto: una preferenza.

- Scegliere/scelta appare invece pi ampio, propendendo per la ponderazione, la valutazione, il considerare molte possibilit finalizzandosi al meglio. La prospettiva non principalmente volitiva ma razionale: dellintelletto.

 

Mantenendo una dialettica euristica, il rapporto tra optare e scegliere (opzione e scelta) appare parallelo a quello tra fare ed agire: quanto, cio, basta ed sufficiente per operare/fare (= lopzione) spesso non basta affatto per agire (= la scelta).

 

Lopzione opera ma non costruisce. Pur quando esente da cieche irrazionalit e ben circostanziata in s e per s, rischia spesso di mancare di un adeguato fondamento oggettivo capace di sorreggere il futuro. Pu leggersi in questo modo quanto gi riferito da Alessandro Manenti nella IV Giornata canonistica interdisciplinare (nellanno 2009) sui diversi approcci alla decisione ed in particolare il decidersi del secondo tipo: un decidersi attuale ma senza il futuro le cui ricadute vocazionali non possono essere trascurate dal punto di vista canonico (p.es.: Matrimonio, Ordinazione, Professione religiosa).

Mentre infatti lopzione pu anchessere emotiva, e parzialmente irrazionale la scelta, invece, tale solo se ragionevole e realistica, per quanto spesso sostenuta anche da un certo numero di motivazioni spurie, che comunque non la infirmano. Di pi: mentre lopzione – in s – non ha bisogno di conoscenza previa, la scelta – al contrario – non potrebbe esistere in sua assenza. Allopzione basta la volont, alla scelta occorre lintelletto con le sue conoscenze; come e quanto ci possa ricadere, p.es., sulla concezione del Consenso matrimoniale principalmente come espressione di volont sarebbe ormai questione da verificare con adeguate cognizioni di causa, essendo palese che le concettualizzazioni medioevali (e derivatamente scolastiche) hanno perduto molti dei loro presupposti fondativi.

 

Daltra parte cos in campo giuridico: lopzione attivit finale ed operativa; quanto sia frutto di adeguato discernimento non rileva in alcun modo. Linsegnante vincitore di Concorso che opta per una sede anzich unaltra, lazionista che sfrutta il diritto di opzione acquistando nuove azioni in base a quelle gi possedute, il lavoratore che opta per il pre-pensionamento anzich terminare la carriera lavorativa, il costruttore che non acquista il terreno per il quale aveva pagato una opzione concretamente decidono per uno specifico corso di eventi.

Se abbiano anche scelto non appare e non rileva in alcun modo; non di meno, lavventatezza del procedere presenter nel tempo il proprio conto.

 

2.3 La Decisione giudiziale

 

Nellattivit giuridica, per, non basta decidere: il Diritto – e deve essere (sic) – condivisione non di esiti soltanto (= la Sentenza) ma di presupposti (= valori e motivazioni), anche se questo oggi a livello normativo generale (civile) non pare valere ormai pi. La sola opzione – spesso sufficiente per la Norma – non basta per al Diritto come tale poich in se stessa non pu essere comunicata e condivisa a livello contenutistico: si deciso e basta. Lo start premuto! Rien ne va plus!

Non per nulla lo studio della Giurisprudenza, cio delle Decisioni giudiziali (= Sentenze, Decreti, ecc.), non si fonda sullesito delle Cause esaminate ma sulle loro motivazioni: il come e perch si sia giunti a decidere la Causa in un modo anzich in un altro. Allo stesso modo – in vari Ordinamenti giuridici – il momento della pronuncia della Decisione e quello della comunicazione (= deposito) delle sue motivazioni sono anche tecnicamente distinti e disgiunti e il Verdetto non pu essere appellato se non dopo la pubblicazione delle sue motivazioni. Canonicamente la Sentenza immotivata (sanabilmente) nulla (cfr. Can. 1622, 2).

 

In ambito processuale, dal punto di vista meramente operativo, il decisum pu venire tanto da una semplice volont (come opzione) che da una ben pi complessa ragione (come scelta), potendosi anche limitare proprio alla mera formalit del deciso in s e per s. Si pensi in merito agli interventi dei Giudici in molte questioni di Diritto privato, soprattutto commerciale, quando – a scopo di mera garanzia (o almeno di legittimit) della propria posizione – si utilizza un Decreto del Giudice per fissare una posizione creditoria o debitoria o per quantificarla ai fini della certificazione di un Bilancio aziendale e annesse ricadute tributarie. La questione tanto maggiore in Diritto amministrativo, laddove i motivi per i quali non si possiedano i requisiti di accesso al Procedimento non contano nulla: conta il solo fatto di tale assenza.

Quando, per, il decisum dovr guidare lattivit e vita umana future, ed questa una componente essenziale del Diritto – soprattutto canonico –, le cose assumono presupposti ed esiti affatto diversi che non si possono ignorare poich, in realt, quel decisum non risulta essere altro che il risultato finale di un determinatissimo e peculiarissimo percorso non tanto decisionale (= quanto stato complesso e difficile il Processo) ma valutativo (= le motivazioni della decisione assunta) e, quindi, esistenziale.

Si pensi, canonicamente, alla Causa in cui sia lattore che il convenuto concordino nella loro richiesta al Tribunale di riconoscere la nullit del loro Matrimonio (= stesso Petitum) tuttavia per motivazioni (= Caus petendi) diverse, soprattutto a livello di coinvolgimento della persona come tale. ben diverso fondare la Causa su un vizio del proprio Consenso oppure su unincapacit del coniuge. Diverso sar, non di meno, il recepimento dello stesso esito del Processo: affirmative in casu come richiesto da entrambi quando se ne enunceranno le motivazioni: ob: ex parte . Che, infatti, il Matrimonio fosse nullo e pertanto non esista al presente alcun vincolo che impedisca il Matrimonio o la Professione religiosa o lOrdinazione delle parti un/il fatto accertato e condiviso; che, invece, tale nullit derivasse da una incapacit (casomai non risolta/superata) di una delle parti potrebbe risultare anche fortemente ostativo verso nuovi sviluppi vocazionali della persona stessa. Tanto pi che allo stesso esito (= lassenza di vincolo) si potrebbe giungere anche con un Matrimonio valido ma non consumato (e dispensato) e per volere della Legge anzich per originaria richiesta delle parti (cfr. Can. 1681), essendo proprio la Legge a preferire la Dispensa alla Sentenza.

Il fatto che il decisum non possa valere in se stesso ma principalmente per le motivazioni – e pi ancora per la comprensione – che lo sostengono non aggirabile.

 

 

3. Discernimento e scelta

 

Proprio lintrinseca fragilit della dinamica opzione-decisione motiva la necessit che in campo giuridico si rifletta in modo pi consapevole sul processo – ben pi virtuoso – del discernere-scegliere, sia quando si tratti della vita delle persone, comՏ canonicamente con laccertamento giudiziale dellesistenza dellImpedimento di vincolo matrimoniale o dellOrdinazione sacra, sia quando si tratti delle vita istituzionale, comՏ canonicamente per le decisioni di governo nella Chiesa.

 

Discernere e scegliere in vista del decidere si presentano come fasi successive di uno stesso percorso volto a conseguire risultati permanenti – poich questo meritano/esigono sia le persone che le Istituzioni – in quanto fondati nella realt stabile della conoscenza e ragione e non nella sola effettivit del posso quindi faccio volitivo/ottativo.

Due fasi di un percorso che – in campo giuridico – si presenta sempre come cognitivo ed epistemico, divenendo in determinati casi anche volitivo e deontico. Cognitivo ed epistemico principalmente in ambito giudiziale ed esecutivo, nei quali le decisioni singolari riguardano sempre singoli destinatari; anche volitivo e deontico in ambito normativo, nel quale le decisioni generali riguardano intere collettivit.

Cognitivo e volitivo, epistemico e deontico, per, aprono la strada a considerazioni di altro livello rispetto a quelle generalmente poste in essere da parte degli operatori del Diritto. Considerazioni che non possono rimanere a lungo confinate nella sola Filosofia (anche o forse) del Diritto ma devono raggiungere almeno la Teoria generale del Diritto (anche canonico) per offrire alla dogmatica giuridica strumenti investigativi ed elaborativi di rinnovata efficacia.

 

La decisione giuridica, come ogni decisione, un atto presente che condiziona – spesso vincolandolo rigidamente – il futuro. Un atto presente che, per non rimanere vittima del Normativismo – pi o meno positivistico –, deve per radicarsi non nella hybris onnipotente del volere (divino, romantico o idealistico che sia: Surez, Nietzsche, Kelsen, ecc.) ma nel sapere e non si sa che il passato. Non di meno: mentre la volont pu giungere facilmente anche a contraddirsi, la conoscenza non lo potrebbe allo stesso modo n con la stessa radicalit. Lo sanno bene i Giudici nel loro compito di far emergere la verit dei fatti ben prima delle aspirazioni e richieste delle parti in Causa Anche se – forse – non tutti allo stesso modo, poich spesso ci rischia di dipendere molto/troppo dalla materia pubblica o privata del contendere: un conto il Processo penale, un conto il Processo canonico sullo stato delle persone, altra cosa – spesso diventa – il Processo civile

In ogni caso: nel Processo giudiziario ci sono fatti del passato che devono essere attinti e diventare certi in modo da costituire la base concreta da cui giungere alla decisione che riguarda il futuro. Sono tuttavia molto pochi, nella realt, gli eventi e le condotte assolutamente certi al di l di ogni possibile e differente interpretazione; per tutto il resto occorre affidarsi allapporto spesso solo mnemonico di parti e Testimoni, cui si aggiungono i Periti per la loro parte. Ne sgorga la complessa vicenda processuale che, attraverso soprattutto la formalizzazione di specifiche dinamiche, cerca di conoscere la realt [a] da discutere, [b] in discussione e [c] discussa.

 

Discernere e scegliere in vista del decidere giuridico, e della stabilit che costituisce una delle mete strutturanti del Diritto stesso, non pu per mai essere unattivit solitaria: n per il Giudice monocratico n per lAutorit unipersonale di governo. Per quanto, infatti, la decisione finale ed operativa sia la loro – e nessun altro la possa supplire – non di meno il modo con cui debbono giungere ad essa non potr mai essere solipsistico, monadico carismatico. Tanto meno in nome dellautorit o potere di cui sono investiti, i quali non costituiscono mai in s il motivo, la ragione della decisione come tale ma solo della legittima esecuzione. Infatti lUfficio e le sue attribuzioni nei confronti dei destinatari della sua attivit (= potere, autorit, potest, ecc. che dir si voglia) indica soltanto quale sia il soggetto che deve/pu decidere, e come tale gode del favore del Diritto imponendo lesecuzione della decisione stessa, senza che questo – tuttavia – gli conferisca alcunch a sostegno del valore intrinseco delle sue decisioni, le quali dovranno sostenersi per altra via. Ci in modo specifico per la Sentenza canonica: pronunciata post divini Nominis invocationem (Can. 1612 1) ma non in Suo nome n per la Sua autorit che renderebbe inappellabile ogni Sentenza!

in questa prospettiva che il decidere giuridico richiede strutturalmente lintervento di pi soggetti per poter godere di un ragionevole discernimento che sostenga la decisione nel vero senso del termine: tener su, sorreggere. La ricaduta sui Sistemi processuali evidente nella sua necessit di aver sempre un terzo che valuti e decida. Un tale discernimento, daltra parte, necessario dal punto di vista cognitivo ed epistemico proprio per raggiungere la verit delle cose o, almeno, la certezza morale su di essa. Proprio per risolvere (= sciogliere una volta per tutte) il nodo che si era creato nella relazione tra soggetti e che con le normali modalit relazionali (= spiegazione, rinegoziazione, accordo, mediazione) non era stato possibile sciogliere.

La questione non si colloca per a livello statistico o semplicemente numerico, come se bastassero tanti apporti a creare conoscenza e la conoscenza specificamente necessaria alla decisione giuridica. Si tratta, invece, di una questione strutturale della stessa conoscenza umana nella sua inevitabile natura interpretativa del rapporto di ciascuno col reale che devessere conosciuto proprio per decidere. Per capire: si pensi ad una Causa di nullit matrimoniale in cui sia necessario verificare la c.d. simulazione (cio lesclusione di una delle propriet fondamentali del Matrimonio) da parte della sposa. Uno degli elementi di prova addotto a favore di tale linea potrebbe essere il notevole ritardo con cui la sposa giunta in chiesa. Il fatto fu evidente poich tutti i presenti videro e potrebbero testimoniarlo uno ad uno. Tutti: quel fatto. Si pensi – tuttavia – anche alla nonna della sposa, anziana e non in grado di partecipare alla celebrazione in chiesa (e pertanto rimasta a casa), che dichiari che la nipote rest chiusa in bagno per oltre unora e la si dovette pregare a lungo perch uscisse per recarsi in chiesa. Uscendo, poi, erano talmente evidenti i segni del pianto che si dovette intervenire di nuovo sul trucco, profondamente compromesso dalle lacrime. La nonna non potrebbe testimoniare lo stesso fatto di tutti i presenti alla celebrazione. Allo stesso tempo il suo apporto sullo stesso fatto del ritardo diventerebbe per decisivo: non perch si tratti di un altro fatto, n perch si aggiunga un ulteriore Testimone (non presente!), ma per il diverso punto di vista (= interpretazione) sullo stesso fatto. questo che va riconosciuto in termini di pluralismo (qualitativo) e non di semplice pluralit (quantitativa).

Lintervento umano, specie sulla ricostruzione del passato, ha caratteristiche del tutto singolari poich il passato ormai consegnato solo allesperienza dei suoi protagonisti (diretti o indiretti) e questa non si differenzia pi dalla sua stessa interpretazione. TantՏ che spesso di un fatto lontano nel tempo non si ricordano n le dinamiche precise n i particolari ma solo le sensazioni e leventuale giudizio che se nera dato: la sua interpretazione, appunto! Diversa per ciascuno, sullo stesso fatto. Non si tratta qui di cedere al Relativismo dei semplici plurali: tot capita, tot sententi, ma di riconoscere che la conoscenza antropologica radicalmente diversa da quella scientifico-naturalistica, la quale – pure – , e rimane, comunque frutto di un accordo interpretativo tanto dei dati sperimentali – sempre statistici – che delle loro modellizzazioni.

 

Lambito teologico chiarissimo in questa prospettiva. Si pensi al fenomeno dei Vangeli: quattro versioni diverse dellunica realt Vangelo di Ges Cristo, figlio di Dio (Mc 1,1). Qual il Vangelo vero? Chi dei quattro Evangelisti ha scritto tutta la verit e solo la verit? La Chiesa stata e si mantiene chiara in merito: il Vangelo – solo – quello di Ges Cristo (con la doppia valenza logica del genitivo: soggettivo ed oggettivo), giunto a noi nella sua presentazione fatta secondo (e ci costitutivo) ciascuno dei quattro Evangelisti.

 

Come ha insegnato la Scuola ermeneutica – nata per fondare la realt e non per dissolverla – il vivere stesso fondamentalmente interpretare ed ogni conoscenza fondata non altro che interpretazione condivisa (o almeno non radicalmente contraddetta), per quanto ci non possa realizzarsi in modo elettorale cos che la condivisione riguardi il (e consista nel) numero di preferenze/voti ricevuti da un Partito o da un esponente politico. In tale circostanza, infatti, non si tratta di condivisione interpretativa (= conoscenza) ma soltanto di volont condivisa rispetto ad un suo specifico esito o risultato.

 

In tale prospettiva, la ricerca veritativa di un accordo sullinterpretazione della realt vissuta non ha bisogno soltanto di pi apporti (= pluralit) ma di pi interpretazioni (= pluralismo) cos da poter considerare un orizzonte pi ampio e proporzionare meglio gli esiti della ricerca, andando oltre la semplice interpretazione individuale/soggettiva, soprattutto quando si tratti del valore di condotte o accadimenti che coinvolgono persone e gruppi, condizionandone o modificandone i rapporti reciproci, come avviene di solito nellambito giuridico, tanto giudiziale che costitutivo o normativo.

, infatti, una prospettiva pluralistica quella che prende corpo in Tribunale attraverso il contraddittorio in cui le parti, dialetticamente, ma anche complementariamente, offrono al Giudice gli elementi cognitivi che dovranno poi alimentare la sua scelta e la successiva decisione.

Pluralistica, daltra parte, anche lattivit politica ed istituzionale di governo quando sia necessario fissare posizioni, equilibri, strutture, che permettano una pacifica – poich condivisa o almeno condivisibile – convivenza tra soggettivit anche molto diverse o contrapposte.

 

 

4. Chiesa e discernimento

 

Lattenzione al discernimento, ed alla correlata scelta che ne deriva, fondante ed irrinunciabile per il Diritto canonico e la Canonistica pi in generale. Sta qui la peculiarit di discernere e scegliere nella Chiesa: una peculiarit ad oggi ancora difficilmente tematizzata, tanto meno in ambito giuridico. Non di meno il significato ed il valore di decidere e giudicare nella Chiesa avevano gi alzato quel sipario nella VI Giornata canonistica interdisciplinare (dellanno 2012), quando la dimensione e portata costitutivamente epistemica e razionale del decidere canonico erano opportunamente state evidenziate da Manuel Arroba Conde e Patrick Valdrini.

 

Per la Ekklesia (= assemblea degli uomini liberi per i Greci, assemblea radunata da Dio per il suo culto per Ebrei e cristiani) il discernimento costituisce una questione costituzionale, identitaria, in senso proprio: qualcosa a cui non ci si pu sottrarre senza perdere la propria verit e consistenza. Inoltre, la natura istitutiva della Chiesa, cio il suo esser nata da una volont ad essa esterna che lha chiamata/convocata e posta in essere, anzich da una qualche forma di contratto sociale tra coloro che hanno la stessa credenza/convinzione (= belief), porta con s due conseguenze inderogabili: a) la non autoreferenzialit della Chiesa e del suo operare, b) la soggezione (identitaria) ad un mandato istitutivo che esige desser realizzato. Luno e laltro elemento dicono cosa la Chiesa e come deve comportarsi. Questo, se da una parte sottrae alla Chiesa la piena decidibilit circa un certo numero di questioni che ne riguardano lessenza e lidentit, dallaltra le lascia la piena libert nellindividuare le concrete modalit di adempimento efficace del proprio mandato istitutivo (= mission) allinterno della storia umana di tempo in tempo, di luogo in luogo, secondo le circostanze e le necessit da cogliere, leggere e valutare. Nella storia, per la storia, attraverso la storia, come insegnava Teodoro Jimnez Urresti (1924-1997).

 

Percezione, lettura e valutazione che, nella prospettiva sollecitata dal Concilio Vaticano II, non sono pi affare/questione della Ecclesia docens/regnans ma dellintero Popolo di Dio: non pi dominio riservato della (sacra) Gerarchia e del genus princeps, ma attivit e responsabilit condivisa tra tutti i Christifideles per quanto concretamente attuata secondo modalit anche ontologicamente differenti (sacerdotium commune/ministeriale; cfr. LG 10). Sono questa comunione (= cum munus) e corresponsabilit nei confronti del depositum ricevuto, vissuto, condiviso e trasmesso che esigono unazione corale da parte di tutti i membri della Chiesa. Unazione che, ben prima di strutturarsi istituzionalmente e giuridicamente in Consigli, Collegi, Sinodi, Concili, ecc., sappia riconoscere la necessit irrinunciabile dindividuare e perseguire solo il meglio per la vita ecclesiale.

In tal modo il tema del discernimento nella Chiesa diventa uno dei temi pi importanti a causa della necessit di giungere insieme alle soluzioni delle vicende che coinvolgono pi soggetti nella stessa situazione allinterno di una prospettiva – di fatto costituzionale – che vede ogni fedele co-implicato, co-involto, co-responsabile, nella realizzazione della missione ecclesiale di annuncio ed accoglienza della salvezza evangelica (cfr. AG 35-36), senza che ci nulla tolga alla struttura – naturaliter – gerarchica ecclesiale (= la nota della apostolicit professata nel Credo). Il discernimento, infatti, come chiave del cum-munus non comporta nessuno dei caveat di cui lIstruzione Communionis Notio si era dovuta far espressione e portatrice rispetto a concezioni dellessere Chiesa-comunione, derivate in modo semplicistico e parziale dalla ri-lettura ecclesiologica del Vaticano II effettuata dal Sinodo dei Vescovi del 1985. La presenza di una Gerarchia e la sua referenza costitutiva (= apostolicit), infatti, sono la garanzia strutturale della istitutivit della Chiesa, della sua eterofondazione ed eteroreferenzialit, del suo irrinunciabile riferirsi a Cristo come pietra angolare della costruzione ecclesiale (cfr. Ef 2, 20).

Queste considerazioni si accordano con la prospettiva del governo ecclesiale come discernimento, anzich potere o autorit: il gubernum, daltra parte, il timone ed il gubernator non il dux che lancia le schiere alla pugna ma colui che mantiene la rotta, nonostante la tempesta.

 

Nella Canonistica del secolo scorso era stata individuata lidea di spirito del Diritto canonico come elemento differenziante attorno a cui addensare le peculiari caratteristiche, soprattutto operative, della giuridicit ecclesiale. Caratteristiche operative riguardanti essenzialmente il modus operandi pi tipico della Chiesa nei confronti delle condotte personali: la Dispensa, lquitas, lepikeia, la dissimulatio, il tolerari potest, a mitigazione circostanziale di una struttura ordinamentale rigidamente gerarchica ed autoritaria qual era prospettata dallo Ius publicum ecclesiasticum per una Chiesa societas inqualium (= clerici et laici) in cui la Gerarchia – letteralmente e praticamente(!) – regnava.

Rispetto a tale approccio, di per s soltanto operativo – in realt a-posteriori dal punto di vista ecclesiologico –, il discernimento si pone invece a-priori come caratteristica ontologica di un essere Chiesa che emerge e prende corpo nella paritariet dei Christifideles come tali davanti alla Parola di Dio ad essi rivolta senza differenza alcuna, al depositum fidei ad essi unitariamente affidato ed a quanto di per s pre-costituisce la Chiesa prima delladesione di ogni e ciascun fedele.

 

la questione – radicale – della legittimazione delle decisioni (singolari o generali) che nella Chiesa – da sempre – vengono assunte: decisioni che trovano la loro base sostanzialmente sul binario costituito [a] dalla messa in opera della missione e [b] dalla realt concreta delle cose/circostanze e delle condotte, come risulta con chiarezza dalla testimonianza neotestamentaria cos come riportataci dallEvangelista Luca, soprattutto negli Atti degli Apostoli, ma anche dallintero epistolario paolino. Loriginaria struttura, infatti, di quanto progressivamente articolato e modellato lungo i secoli fino a giungere allOrdinamento canonico oggi vigente va individuata nelle scelte della stessa Comunit apostolica e nelle rationes sottostanti (= criteri di discernimento) in vista di un efficace annuncio evangelico.

 

 

5. Discernimento ed intenzionalit

5.1 Volont ed intelletto nella dottrina tradizionale

 

La tematica riguardante discernimento e decisione nella Chiesa non si limita per ai livelli pi generali dellOrdinamento canonico, ma permette – e chiede – di aprirsi in modo espresso ad una prospettiva del tutto specifica per lattivit canonistica comՏ quella matrimoniale, la cui portata ecclesiale sta conoscendo una problematicit crescente, approcciando il delicato tema della validit/nullit del Sacramento del Matrimonio cristiano da un ulteriore punto di vista rispetto a quelli – ad oggi – maggiormente illustrati in dottrina.

 

La dialettica su esposta tra scelta ed opzione risulta stimolante in merito: il Matrimonio [a1] scelta oppure [b1] opzione? Anche la differenza tra [a2] electio e [b2] decisio indirizza nella stessa direzione. Questo, tuttavia, conduce ad una possibile – o necessaria – ri-comprensione di uno dei pilastri portanti dellintera Teoria del Matrimonio canonico: la differenza tra [a3] Matrimonium in fieri e [b3] Matrimonium in facto esse tra il [a4] sorgere del Matrimonio ed il suo [b4] essere (avvenuto). Ancora: [a5] Matrimonio atto/condotta o [b5] Matrimonio fatto?

 

Se pu apparire ingiustificato affermare in linea di principio che la visione tradizionale del Matrimonio canonico – ed il conseguente giudizio sulla sua validit – si attestava nella linea del (mere) decisum [= b], non di meno la maggior parte degli strumenti, soprattutto processuali, storicamente impiegati in sede giudiziale andava proprio in tale direzione. Che il Processo di nullit matrimoniale fissato nel CIC pio-benedettino riguardasse una res (= il Sacramento in s), per quanto sacra, non dubitabile come non lo il fatto che molti Giudici continuino ancor oggi la loro attivit esattamente secondo quellapproccio, chiedendosi [a] se quel Matrimonio sia valido (= il fatto) e non [b] se quelle due persone si siano davvero sposate (= gli atti/le condotte).

Non di meno una parte significativa del problema di fondo circa lesistenza di un Matrimonio consiste a tuttoggi nella stessa definizione di Consenso e, subordinatamente, di Matrimonio in s e per s, come risulta dal Can. 1057 1 (Matrimonium facit partium Consensus). Tale Consenso, infatti, presentato dal Legislatore essenzialmente come actus voluntatis (cfr. Can. 1057 2) proprio nella prospettiva (indiretta) del decisum soltanto. Prospettiva in cui non sempre risulta chiara la differenza tra scelta ed opzione dovendosi poi scoprire – in Tribunale – che in realt quel (la parvenza di) Matrimonio scatur da una mera opzione non adeguatamente fondata: mi sposo o no?.

 

In realt la prospettiva canonistica tradizionale aveva gi dimostrato – per quanto indirettamente – di non accontentarsi affatto della semplice opzione (= il decisum) ai fini della validit del Matrimonio ma di esigere anche una scelta (= electio), tanto che la volont indirizzata ad un oggetto sbagliato (cfr. Can. 1097) o non adeguatamente conosciuto (cfr. Can. 1096) non risulta sufficiente a validare il Matrimonio stesso. Daltra parte la Grande Scolastica aveva ben chiaro il fondamento della massima nihil volitum quin prcognitum: la sola volont non basta a se stessa, essa ha bisogno dellintelletto cos da operare in modo razionale e non per semplice appetito. Proprio sulladeguata interazione tra volont ed intelletto si fondano ancor oggi i c.d. vizi del Consenso connessi allerrore in quanto conoscenza sbagliata o allignoranza in quanto conoscenza insufficiente. Questo, per, non basta ancora poich la concezione tradizionale successiva (in realt deutero-scolastica, sureziana) supponeva una struttura gerarchica di volont ed intelletto: le potenze di cui lente umano dotato e che – in tale paradigma – presiedono alla sua operativit. Proprio, per, la supposta gerarchia tra volont ed intelletto – come se la prima contenga sempre il secondo – non attualmente accettabile e viene continuamente sconfessata dalla gran parte sia delle Discipline filosofiche che psicologiche e neurologiche (v. infra), esigendosi oggi, tra volont ed intelletto, un apporto che sia non solo articolato, ma propriamente complesso (= unum, per quanto non unicum). Tale rapporto, infatti, non si realizza in modo meccanico (attraverso, cio, una presenza o assenza) poich la connessione tra conoscenza (= intelletto) e volont ben pi profonda del possesso di un certo numero – minimo – di corrette informazioni, cos come il passaggio dallinformazione alla conoscenza alla volont coinvolge altri elementi o fattori quali, p.es., le credenze e le convinzioni spesso anche inconsce. Il semplice non ignorare (cfr. Can. 1096 2), p.es., che il Matrimonio la comunit permanente tra luomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale (Can. 1096 1) non basta di certo a fornire la conoscenza sufficiente affinch la volont individuale possa indirizzarsi – per di pi da sola – a realizzare il proprio Matrimonio. La persona non una somma di potenze, n il suo operare pu esser misurato in base alla presenza o meno di informazioni o desideri.

 

Se questo apre in modo evidente lorizzonte canonistico agli apporti delle Discipline psicologiche – nella loro complessit –, come anche la Giurisprudenza pi avvertita ha ormai iniziato a fare da qualche decennio, la questione non tuttavia riducibile ad un mero aspetto tecnico, poich tanto il fatto che il modo della decisione possono emergere (e non risultare) solo da una pluralit di elementi e fattori che – anche di principio – non pare standardizzabile. La variet dei riferimenti della stessa prassi peritale continua a darne non solo testimonianza, ma anche a porre in evidenza quali altre problematiche ben pi radicali si pongano sotto/dietro i vari paradigmi interpretativi soprattutto in relazione (quando non: vera dipendenza) dallAntropologia sottesa. Un approccio meramente fisiologico, infatti, oppure uno statistico, oppure uno psicodinamico, pre-suppongono specifiche letture e concezioni non solo del comportarsi umano come tale, ma pi ancora dello stesso essere personale. Tanto pi se allinterno di una prospettiva specificamente vocazionale comՏ cristianamente per il Sacramento del Matrimonio.

Che la comportamentalit umana – e pertanto conoscenza e volont (e quindi Consenso) – possa essere disturbata o alterata da specifiche patologie connesse alla fisiologia generale di un soggetto cosa acquisita da secoli e la Scienza medica – anche forense – ha ormai assestato una buona quantit di elementi di riferimento in merito, tanto diagnostici che clinici. Cosa ben diversa accade per davanti a persone clinicamente sane ma le cui condotte – generali o specifiche – evidenzino almeno serie difficolt soprattutto nel gestire i reali contenuti della propria volont. Lo sviluppo negli ultimi cinquantanni degli strumenti nosografico-descrittivi su base statistica (cfr. DSM) ha certamente offerto importanti chiavi di lettura di questampia fascia problematica che si estende tra la patologia vera e propria e lequilibrio maturo e consapevole. Non di meno ciascuno funziona poi a modo proprio in base alla struttura della personalit, biografia e convinzioni interiori, che lo caratterizzano e contraddistinguono individualmente, sottraendolo in parte o assoggettandolo maggiormente ad una serie – soprattutto – di dinamiche che ne condizionano anche in modo radicale le capacit o tipologie discrezionali o volitive coinvolgendo altre aree esistenziali quali quella affettiva e quella spirituale.

 

5.2 Lapporto dellintenzionalit

 

Gli elementi entrati ormai in gioco non lasciano pi dubbi sulla grave insufficienza dello schema tradizionale delle potenze/facolt ancora sotteso alla concezione e Normativa canonica – oltre che a molta Giurisprudenza di grado supremo – e spingono a dare attenzione ad altri approcci maturati progressivamente lungo il Novecento anche riprendendo idee della Grande Scolastica (S. Tommaso in primis) come quella di intenzionalit. , infatti, alla intentio pi che alla voluntas che occorre guardare quando si voglia conoscere e comprendere ci che davvero muove la persona a scegliere e decidere riguardo al – proprio – futuro.

Lintentio, per, non puro appetito, desiderio, volutt, ma proiezione e strutturazione razionale di un futuro di cui si comincia gi ad esser parte attraverso ogni gesto intenzionale (volto, cio, al fine futuro) che si realizza nel presente. Questo tuttavia, ancora una volta, siscrive nella dinamica della scelta la quale, dal canto proprio, si caratterizza per lintervento della ragione; e solo con la ragione entrano le motivazioni. La ragione tuttavia, soprattutto nella sua dimensione pratica (quella, cio, volta allagire nel mondo), si nutre di conoscenza: di s, degli altri, del mondo (presente e passato). Una vera ragione dipende sempre da una vera conoscenza, palesando non solo la necessit ma la strutturalit di un approccio fortemente epistemico, volto a prendere atto e trarre conseguenze ben prima che a formulare, esprimere ed attuare volont.

In tal modo si svuota nella sua sostanza la teoria delle potenze e correlate facolt – distinte ma pi ancora separate – allinterno dellente umano, per porre al centro la persona come tale nella sua irriducibile complessa unitariet, anche psico-somatica. Latto personale non rileva pi in s e per s – in modo sterile ed anonimo – come fosse la somma di diverse componenti – isolate se pur non pienamente autonome – ma viene considerato da

 

un punto di vista diverso secondo il quale la persona presentata come principio integratore della natura. Lazione umana procede da tutta la persona e questa (la persona nella sua totalit) un essere unico spirituale-corporale cosicch tanto lo spirituale quanto il corpo materiale appartengono allessenza e alla struttura della persona; la persona che razionale, autocosciente e libera la stessa persona che sente, vede, mangia, cammina, ecc.

Questa persona – considerata nella sua totalit – ha una biologia, una fisiologia propria, appartiene a un sesso determinato, a una razza concreta, a una Nazione, nata da certi genitori, cresciuta in un ambiente con degli usi e dei costumi e cultura peculiari, ecc..

 

Lo aveva gi evidenziato alla fine degli anni Settanta, per tuttaltra via, Ladislas rsy (1921-) partendo dalla unificazione coscienziale che Bernard Lonergan (1904-1984) aveva proposto come sviluppo del dynamisme de lintelligence posto in rilievo dal c.d. Tomismo trascendentale sorto a Lovanio sul fare del XX secolo ricuperando le radici pi autentiche del pensiero tommasiano non ancora sviato dal volontarismo di Surez (dilagato nel cattolicesimo tridentino deutero e neo-scolastico). Su presupposti compatibili – e spesso comuni – si sviluppata anche, lungo tutto il Novecento, la Scuola fenomenologica fondata da Edmund Husserl (1859-1938) che vide tra i propri seguaci e protagonisti lo stesso Giovanni Paolo II.

 

rsy, proprio allinterno delle questioni espressamente metodologiche della Canonistica – pertanto non incidentali –, segue Lonergan al livello pi profondo della persona costituito dalla coscienza, offrendo unacquisizione irrinunciabile per la visione personalista dellagire cristiano: lunificazione della coscienza e dellintenzionalit personali connesse allagire. Daltra parte, il Diritto canonico si occupa dintenzionalit, di conoscenza e di decisione: quello fissato dal Gasparri lo fece secondo le assunzioni di uno specifico sistema metafisico che, una volta canonizzato – in chiave espressamente sureziana–, venne poi applicato ai problemi pratici connessi allintendere ed agire umani.

In quello schema lanima opera attraverso le proprie facolt, che sono lintelletto e la volont. Esse sono distinte ma non separate, in una struttura – funzionale alla Filosofia scolastica – basata sul principio che la verit distinta dal bene: loggetto proprio dellintelletto la verit, quello della volont il bene. Siccome – scolasticamente – gli atti sono specificati dai loro oggetti, gli atti dellintelletto sono distinti dagli atti della volont. Ne risulta una interazione debolissima fra intelletto e volont e tra i loro stessi oggetti. Nel mondo scolastico, daltra parte,

 

ogni concetto era completo in se stesso: una volta che si capiva lessenza di una cosa, lambiente esterno aggiungeva poco. Perci il progresso nella conoscenza era raggiunto solo attraverso strette operazioni logiche, attraverso argomenti deduttivi o induttivi,

 

senza che il concreto vivere delle singole persone potesse effettivamente condizionare la (= quella, sic) realt.

 

In tal modo, una persona pu volere qualcosa, farla propria, caricarsi di tutte le conseguenze, senza per avere una buona conoscenza delloggetto del suo desiderio, o neppure motivazioni stabili nei confronti di quella cosa. rsy evidenzi limpatto fortissimo – e problematico – di questa teoria filosofica specificamente sul Diritto matrimoniale canonico e sulla Giurisprudenza che ne consegue.

 

I nostri Giudici hanno problemi, oggi, a staccarsi dalla dottrina classica e rimediare a ci che sembrano essere situazioni ingiuste. Ma, finch il loro punto di partenza sar nella teoria filosofica della forte distinzione fra mente e volont, potranno solo dare un giudizio giusto introducendo distinzioni forzate e creando scappatoie e sotterfugi nel Diritto. Sarebbe meglio che dimenticassero la Metafisica (daltronde la Chiesa non ha mai canonizzato nessuna scuola di metafisica) e basassero i loro verdetti sulla valutazione totale di cosa una persona conosceva e, di conseguenza, voleva. Tale approccio potrebbe rendere non semplice il loro compito, ma farebbe i loro giudizi molto pi giusti.

 

Nella prassi, tuttavia, qualcosa stava muovendosi in quegli anni proprio nella linea – integrata ed integrante – dellintenzionalit rispetto ad intelletto e volont distintamente considerati; in tal modo, secondo lautore,

 

nuove e migliori comprensioni del processo umano di conoscenza possono ridare alle nostre Leggi quella semplicit e chiarezza che potrebbero anche non essere presenti in uninterpretazione evolutiva legittima. O, dovremmo dire che la Rota Romana ha davvero risolto i casi di Aosta e Cambrai sulla base dellanalisi dellintenzione, ma i Giudici non potevano dirlo, cos hanno dovuto dare un nuovo significato al vecchio concetto di error in persona?!.

 

Lagire personale, daltra parte, un processo continuo, non una successione di atti spezzati: si tratta di ununit dinamica che dominata da ununica intenzione presente ed operante lungo tutto il processo. Una unit dinamica, tuttavia, che cambia radicalmente in base alla decisione da assumere e, pi ancora, in base al destinatario di tale decisione. ben diverso, infatti, decidere sulle cose del mondo, oppure sulla vita di altre persone, oppure sulla propria vita. Diversa ancora una decisione cognitiva (= il vero), da una morale (= il buono), da una esistenziale (= il bene per me). Allo stesso tempo intelletto e volont, per quanto possano integrarsi, non sostituiscono n tanto meno costituiscono la coscienza, vera sede dellattivit morale e centro propulsore dellesistenza individuale. La coscienza e non la volont, infatti, la referente dellagire vero e buono; coscienza che si attiva intorno al dovere pi che al volere aprendo ulteriori orizzonti allinterno dei quali collocare lagire personale di ciascuno.

 

Scrive rsy:

 

come, quindi, il processo di conoscere cosa differisce dal processo di conoscere cosa deve essere fatto? Nel primo caso il giudizio finale riguarda lesistenza di una cosa, nel secondo caso riguarda un valore da perseguire. Nel primo caso il procedimento termina con il giudizio che qualcosa esiste, nel secondo dovrebbe continuare con decisione ed azione. In entrambi i casi, il ricercatore si arrende alla verit; ma in uno, la verit riguarda lesistenza nel mondo concreto; nellaltro, riguarda lapporto di qualche bene nellesistenza nello stesso mondo concreto.

 

Non di meno: la decisione personale per un valore, anche solo individuale, ha (necessit di) fondamenti molto pi ampi e profondi della mera volont di conseguire qualcosa, cos come ha esiti molto pi ampi del semplice possesso di quanto voluto. I valori non si possiedono – come poteva essere per le virt in determinate concezioni morali – ma si vivono, si realizzano si assumono.

 

Il movimento dinamico verso lappropriazione di un valore arriva al completamento attraverso la decisione e lazione. Questa la sequenza naturale verso un giudizio razionale su cosa moralmente buono, possibile e desiderabile nelle circostanze.

CՏ, ancora, armonia in questo processo; da un giudizio sincero sul valore, ne seguono la decisione giusta e lazione. Lintegrit della persona precisamente qui: essa non rompe larmonia fra il valore che vede (loggetto della sua conoscenza) e il valore che persegue (loggetto della sua azione).

 

Quanto ci sia irrinunciabile nella visione vocazionale cristiana non va qui illustrato: non pu darsi scelta di vita, matrimoniale, consacrata, ministeriale, senza che la coscienza sia la prima referente dellintenzionalit perseguita. Ogni fallimento vocazionale, daltra parte, ne unulteriore conferma: un voluto non in coscienza difficilmente potr resistere ai troppi non-voluti a cui la stessa coscienza dovr concretamente sottostare. Mentre, per, questo approccio – da una parte – apre alla dimensione anche spirituale del decidere personale, non si pu tacere la sua necessaria ricaduta – anche – a livello giuridico quando si debba verificare a posteriori la consistenza (= lessere o meno) delle scelte di vita assunte.

 

5.3 Complessit della conoscenza e giudizio umano

 

A queste considerazioni pi teoretiche ne vanno oggi aggiunte altre di provenienza non immediatamente speculativa ma sperimentale, secondo i metodi propri delle Scienze neurobiologiche pi avanzate che, analizzando le esperienze emotive, sottolineano anche lo stretto legame filogenetico e neurologico tra la sfera cognitiva e la sfera emotiva. Le emozioni infatti, secondo Antonio Damasio (1944-), regolano i rapporti tra linteriore e lesteriore dellorganismo cosicch ci che definiamo mentale, legandolo superficialmente al fenomeno della – sola – coscienza, non invece disgiungibile dalla sfera emotiva. A loro volta le sfere emotiva e cognitiva ne implicano una terza: quella motivazionale-attiva; le emozioni, infatti, sono strettamente connesse alle azioni, sia perch le motivano sia perch ne sono condizionate, saremmo pertanto in presenza di una trilogia mentale: conoscenza-emozione-azione. Secondo Damasio – pi radicalmente – lindividualit (= il S) costituisce unorganizzazione estremamente complessa di diverse componenti, dimensioni, ambiti e operazioni aventi quale proprio centro, addirittura, il corpo. Se di reale acquisizione si trattasse, ci implicherebbe inevitabili ricadute sulla portata e la funzione epistemica della componente fisica del vivere umano (= dove, quando, come, quanto, delle diverse esperienze emotive) conferendo un peso di primaria grandezza alla storia personale: la biografia, come viene chiamata dagli psicologi, molti dei quali – giustamente – ne fanno il loro primo campo dindagine.

 

Lemergere anche di uno specifico apporto delle emozioni – insieme al rinnovato valore dellintegralit ed unitariet della persona – ripropone a sua volta lestrema complessit sia del conoscere che del giudicare che del volere e decidere di cui si deve tener conto in sede giuridica – giudiziale in particolare – proprio per discernere che cosa possa esserci stato alla base (o anche durante lo sviluppo) sia di condotte che di singole azioni. La complessa teoria delle circostanze (= ci che sta intorno) attenuanti ed esimenti utilizzata in campo penale (cfr. Cann. 1323-1326) fornisce gi una traccia dellimportanza giuridica di molti fattori ed eventi e della loro portata a livello di discernimento e giudizio processuale. Le circostanze, non di meno, toccano anche la stessa persona del Giudice il quale, proprio in quanto terzo necessariamente imparziale, potrebbe tuttavia essere ricusato (cfr. Cann. 1449-1451). La ricaduta nel campo del governo, invece, non pare ad oggi gestibile a livello preventivo, ben sapendo ognuno quanto in effetti pesino sulle decisioni che riguardano le persone (= Uffici, incarichi, interventi disciplinari) simpatie ed antipatie, confidenza e diffidenza, comunanze ed opposizioni

 

 

6. Conoscenza e discernimento

6.1 Dimensione epistemica e dimensione deontica

 

Quanto sin qui proposto sul discernere e scegliere va arricchito con alcune altre considerazioni che amplino ulteriormente lorizzonte soprattutto del giurista, sia in sede giudiziale che normativa che dispositiva, nella consapevolezza che, al di l di qualsiasi – fin troppo facile – enfasi, il Diritto sinteressa solo e – quasi – esclusivamente di vita umana cose e relazioni, infatti, entrano nella giuridicit in dipendenza dalla vita umana cui sono connesse.

N cose, n enti, n essenze, ma attivit umane, condotte personali, costituiscono loggetto del Diritto, tanto in s e per s che nella sua applicazione. Il giurista non tratta cose e neppure persone ma comportamenti. Non solo, quindi, [a] il Diritto in s e per s non esiste, n potrebbe esistere come anche lEconomia, lArte, la Politica, che non sono enti ma relazioni (usando il linguaggio metafisico tradizionale), ma [b] lambito giuridico vera creazione umana, collocandosi pertanto fuori dal dominio della necessit (ontica) comunemente intesa (= dover essere).

 

Lo aveva ben compreso ed espresso Teodoro Jimnez Urresti quando, utilizzando con grande propriet e disinvoltura lormai desueto armamentario e linguaggio scolastico, aveva collocato senza esitazione il Diritto nel dominio delle Scienze deontiche anzich in quello delle Scienze ontiche (cui appartengono Filosofia e Teologia), nella chiarissima percezione che il fulcro del Diritto non lessere ma il fare, alla luce non della necessit – propria di un mondo cieco e condizionato – ma della possibilit – propria di un mondo cosciente e libero – sempre e solo eventuale coscienti, tra laltro, che molte condotte mancano pure di specifica intenzionalit, come si evidenzia per la colpa, giuridicamente ben diversa dal dolo.

Secondo il canonista spagnolo, la Logica filosofica e teologica enunciativa, immediata (= ratio cognoscibilium, ratio cognoscendi), mentre quella deontica storica per il passato (= ratio actorum) e decisionale per il futuro (= ratio agibilium, ratio agendi). La Logica deontica applicata al futuro pu essere chiamata anche Logica normativa e si articola in tre Scienze differenti: Etica, Morale, Diritto il cui oggetto qualcosa che non esiste e non neppure futuro, ma solo futuribile poich riguarda Norme su condotte che (non) devono essere tenute. Di qui la concretezza della Norma comportamentale ma anche la sua astrattezza e genericit in quanto sottoposta alla libera decisione del soggetto che la deve porre in atto, ma che potrebbe anche non farlo. Se, al contrario, le condotte umane rispondessero alla legalit di natura (= il dover-essere) Diritto, Etica, Morale, Storia, non potrebbero neppure esistere come accade per i viventi sub-umani e, a maggior ragione, per i non-viventi. Etica, Morale e Diritto, sorgono – invece – dallincondizionato, dal poter fare o poter omettere, dallagire o dal non agire, dal contingente possibile e non dal necessario dovuto. Allo stesso modo che la Storia sorge dal gi – e solo – compiuto/fatto.

 

Il passaggio, per, dallontico al deontico apre la strada anche al riconoscimento dellepistemico: ci che, infatti, si sa – o si crede di sapere – appartiene ad un ulteriore dominio di Scienze che non rispondono n allessere n allagire ma al conoscere. lambito del sapere, dellessere convinti, del credere, del supporre, del presumere, dellipotizzare in cui il deontico affonda sempre le proprie radici, visto che per luomo la realt (= lessere) sempre mediata dalla conoscenza. lambito della consapevolezza, da cui sgorga lazione personale:

 

luomo, quale essere intelligente, agisce decidendosi per finalit, non alla cieca, ed essendo libero, non agisce come tale per necessit fisica, metafisica o nozionale: in tutto il suo agire umano, agire tutto cosciente e libero, egli pone in gioco la sua intelligenza, e la sua decisione libera della sua volont libera. Per questo deve procedere attraverso la logica delle decisioni, che la logica della finalit o causa finale, che la logica normativa o deontica.

 

Per quanto – riduzionisticamente – si possa pensare che, in fondo, non si tratti di tematiche radicalmente diverse dalla gi esposta relazione tradizionale tra intelletto e volont, la questione di tuttaltra portata e rilevanza. Bastano pochi tratti per rendersene conto.

Si provi, infatti, a domandarsi – rimanendo nellemblematico campo matrimoniale –:

- quando ci si sposa: cosa si sa, si pensa, si crede di fare?

- Una volta sposati: cosa si sa, si pensa, si crede di essere?

- Nelluna e nellaltra situazione: cosa si desidera o si vuole o si decide di essere o fare?

 

Lo stesso, tuttavia, vale per qualunque attivit umana di una certa portata: giuridiche in primis, tanto pi se riguardano e coinvolgono la vita di altre persone. Che cosa un Legislatore pensa o crede di fare e che cosa pensa o crede che sar fatto o dovr essere fatto quando promulga una Legge? Lo stesso dicasi per unAutorit di governo che decida di affidare o revocare un incarico a qualcuno o di cambiargli la sede operativa: come le sue conoscenze (cui si aggiungono convinzioni, supposizioni, presunzioni, ipotesi) si collegano con lessere ed il fare del destinatario della decisione? Davvero intelletto/conoscenza e volont sarebbero sufficienti ad illustrare e rendere ragione di tali processi decisionali?

 

Lambito epistemico, inoltre, offre una grande chance – sino ad oggi praticamente ignota – attraverso la nozione di ottimalit come consapevolezza individuale orientata al bene pi profondo e stabile per s: unintenzionalit individualizzata di sommo grado, difficilmente riducibile a mera volont informata.

 

6.2 Soggettivit ed integrazione

 

Lapproccio epistemico, con la sua capacit di distinguere adeguatamente tra sapere ed essere convinti, pone in evidenza anche il tema – sin qui rimasto sullo sfondo – della giustificazione, in sostanziale parallelo col rapporto tra scegliere ed optare. Tra conoscenza e scelta, da una parte, e convinzione ed opzione, dallaltra, cՏ di mezzo il fondamento il perch di ci a cui sindirizza linteresse e la decisione del soggetto. Giuridicamente: la motivazione.

 

Ne pu derivare la necessit, espressamente epistemica, di verificare e consolidare conoscenze e scelte, cos come – ancor maggiormente – convinzioni ed opzioni, attraverso lo scambio intersoggettivo di fondamenti, giustificazioni, motivazioni, in una dinamica in cui il logos di ciascuno incrocia (= dia) quello di ciascun altro arricchendosi proprio di fondamenti, giustificazioni, motivazioni, in grado di promuovere convinzioni ed opzioni a conoscenze e scelte (= dia-logos).

Un dialogo che non mero espediente letterario (come fu per molti filosofi) per meglio evidenziare posizioni e problemi, ma un vero incrocio di orizzonti – come li chiam L. rsy – e come la Scuola ermeneutica ha posto in luce. Orizzonti e non solo interpretazioni poich, mentre queste ultime possono entrare in conflitto elidendosi e demolendosi a vicenda, gli orizzonti risultano sempre integrativi: come laffacciarsi dalle varie finestre di uno stesso palazzo lungo tutto il suo perimetro, oppure ogni tre o cinque piani di altezza.

Ci che infatti il dialogo, inteso come condivisione di orizzonti, offre non tanto una pluralit di opinioni o di rappresentazioni ma lopportunit di aggiungere nuove dimensioni alla propria percezione e concezione del reale. Se si ammette una suggestione geometrica, avviene come quando si passa dalla linea (monodimensionale) al piano (bidimensionale) e poi allo spazio (tridimensionale), potendosi poi aggiungere il tempo e chiss cosaltro che via via complementino non solo la realt visibile ma anche quella possibile alla quale riferirsi.

 

Che proprio il dialogo come ricomposizione del reale stia – e debba stare – legittimamente e doverosamente alla base di ogni processo di discernimento e di scelta non risulta pi, ad oggi, contestabile: un dialogo che ponga conoscenza e ragione davanti a convenienze e volont, affinch il decisum – anche potestativo – assomigli sempre meno al positum/iussum, facendo brillare invece lautorevolezza del decretum.

 


in: APOLLINARIS, LXXXVII (2014), 373-404