Sommario:1. La verit. 2. La
biografia. 3. Il dialogo. Summary Quale possa essere il risultato – unico e ben
definito – di una riflessione giuridica ed ecclesiale su discernere e scegliere svoltasi alla
luce dellEpistemologia filosofica e scientifica, della Filosofia, del Diritto
matrimoniale e processuale canonico, della Psicologia, passando anche
attraverso la Sacra Scrittura, non risulta agevole a dirsi, soprattutto a chi
pretendesse – come spesso accade – di risolvere lintera
questione in modo netto, come attraverso un decretum (= decerno, is):
visto considerato si stabilisce. Non di meno: percorsi di studio e riflessione di questampiezza
incidono molto maggiormente sulla forma
mentis che non sul suo contenuto ponendo in risalto, ancora una volta, la
natura prevalentemente metodologica
(e pi profondamente epistemologica) del lavoro che si attua da quasi un
decennio attraverso le Giornate canonistiche interdisciplinari per aiutare il
canonista a cogliere, con sempre maggior efficacia, lirriducibile complessit
delle vicende e questioni che la Chiesa cattolica, fin dai primi secoli, ha
iniziato a trattare giuridicamente avendo ritenuto lo strumento giuridico il pi adatto a prendere decisioni
(= Decreti, Sentenze, ecc.) che coinvolgano allo stesso tempo la verit delle cose e dei fatti, la dignit delle persone e leternit dellorizzonte salvifico in cui
essa opera. Una condotta che stata interpretata come una espressa scelta per
il Diritto, quasi si sia trattato di una scelta di valore, mentre pi
plausibilmente ladozione ecclesiale del modo
giuridico di operare ha semplicemente significato lassunzione della
modalit funzionale umanamente pi stabile e sostenibile nel tempo
(= istituzionalizzazione) a servizio della missione divina, ma senza coinvolgere direttamente la divinit
come tale, diversamente dallesperienza ebraica imperniata sullattivit
normativa di Mos (presentato a pi riprese e percepito come) agente per conto
di Dio. Giuridicit e complessit appaiono cos,
rispettivamente, leffetto e la causa del sorgere e strutturarsi di molte
dinamiche ecclesiali, al punto che proprio in termini di complessit sembrano
doversi acquisire gli elementi chiave emersi dalla riflessione intrapresa a pi
voci. Complessit nel senso tecnico
attribuito al termine in ambito epistemologico per indicare lirriducibile molteplicit sia degli oggetti che delle loro relazioni: unirriducibile molteplicit che riguarda non solo gli oggetti di studio della Fisica ma anche ogni
singola persona e ogni aggregazione in cui essa vive, Chiesa
non esclusa. In questa prospettiva, verit,
biografia, dialogo, appaiono le tre dimensioni di sviluppo di tale
complessit in chiave canonistica: dimensioni capaci di offrire come laltezza,
la lunghezza e la larghezza necessarie a dare corpo ad ogni singola situazione
esistenziale, soprattutto quando il vivere – anche pi intimo, come
sono gli affetti e la spiritualit – richiede fatiche e presenta
difficolt cui non si era preparati, o non si in grado di far fronte soltanto
con risorse individuali come accade anche nelle c.d. crisi vocazionali,
matrimoniali in primis. 1. La verit Il primo passo per dare consistenza allattivit del discernere di carattere
epistemologico, riguarda, cio, la possibilit stessa di percepire e conoscere la
realt, soprattutto nel suo porre
problemi alle persone e nellesigere da esse una soluzione che, per essere
efficace, tenga conto sia delle circostanze materiali che delle persone
coinvolte. Senza entrare qui nelle spinose questioni connesse al Realismo
filosofico e scientifico per necessario riconoscere ed accettare
– oggi – lirriducibile bi-polarit e co-esistenza di cose e persone. Ogni rinuncia a questa complessit distruttiva poich:
a) trascurando la realt (= il datum)
la persona, in quanto data a se stessa prima di potersi volere e
scegliere, sparisce; b) trascurando la persona, la realt si riduce a soli
flussi – pi o meno veloci – di onde, particelle,
molecole Oltre la volont individuale, infatti, esiste qualcosa sia nel
tempo (prima, ora, dopo) sia nello spazio (qui, altrove) che condiziona
(= dice con) la persona e che, non solo non pu essere negato, ma deve
essere preso in attenta e profonda considerazione e fatto oggetto di
conoscenza, relazione ed intervento, affinch la persona possa continuare ad esser data (= esistenza) e a darsi (= relazione). questo il campo della verit:
il campo [a] del rapporto con ci che sta l fuori, ma anche [b] di ci a cui
si sta dentro, oltre che [c] quello delle condotte poste in essere: i fatti
generati dallazione umana i quali, in quanto esistenti, sono sempre veri.
Una verit, tuttavia, che ha bisogno di essere ri-scoperta e ri-definita nel
suo essere e nel suo esser-ci. Una verit stabile (per quanto riguarda lessere) e dinamica (per quanto riguarda
la conoscenza) insieme: come la
bilancia che – solo – muovendosi permette di riconoscere il giusto peso delle cose.
Questo, per, il discernere che
porta a scegliere con avvedutezza
per non legare, da sprovveduti, la propria vita a ci che le sarebbe
sproporzionato e, quindi, irrealizzabile. Ed proprio sulla bilancia della
verit (pi che della giustizia) che si gioca ogni giudizio: da quello
personale del nubente (= discrezione di giudizio) a quello istituzionale
del Tribunale (= certezza morale); un giudizio che sempre
– deve sempre essere – discernimento, soppesamento,
valutazione di elementi e fattori spesso radicalmente diversi sia in se stessi
che da persona a persona. Proprio la bilancia,
daltra parte, sembra offrire un paradigma utile alla ri-scoperta e
ri-definizione della verit quale
fulcro di molte attivit umane, Diritto non escluso. Troppo a lungo, infatti,
tale verit stata concepita come un calibro: strumento meccanico di precisione,
caratterizzato dalla rigidissima fissit e dallesito inappellabile
(= passa o non passa). Una cosa con cui si commisurano altre cose
un approccio mono-dimensionale con
cui si commisurano singole dimensioni: una alla volta. Strumento semplice, per verifiche semplici adatto ai manufatti di metallo
ma non alla vita umana. La bilancia al contrario, pur non meno precisa, uno
strumento complesso per gestire misure
complesse per esprimere un quantum
anzich un an, basate sulla co-relazione
tra i due piatti e non sullo scarto di ci che difforme. I pesi sulla
bilancia si possono aggiungere o togliere, il calibro non si pu limare per
quanto anche i pesi della bilancia devono essere certificati, come i
calibri, per garantirne loggettivit: la rispondenza al vero. La bilancia, per, funziona in modo dialogico, per
approssimazioni successive, permettendo alla misurazione di essere effettuata
anche in un certo lasso di tempo, incrementale poco alla volta (aggiungendo o
togliendo pesi). Sulla bilancia, poi, si possono porre le cose pi diverse,
indipendentemente (servatis servandis
– sic!) dalla dimensione o consistenza (solide o liquide anche i gas
si possono pesare); cosa non possibile col calibro. In tutto ci la bilancia
non relativizza ma relaziona: instaura, tutela e gestisce un vero e proprio
sistema di riferimento veri e propri
valori, rendendo evidente che eventuali problematicit valutative non
dipendono necessariamente dalla relazione in s e per s (= il
funzionamento della bilancia) ma anche dalla qualit delle misure utilizzate
(= i valori). In questa prospettiva (a scanso di fraintendimenti
relativistici) giova sottolineare che il riferimento alla operativit
relazionale della bilancia va compreso esclusivamente
in senso epistemico, in riferimento
cio alla conoscenza – univoca per quanto dialogica –
della realt, mentre non devessere inteso in chiave giudiziale. In tal modo si
escludono interpretazioni in termini di bilanciamento di interessi o
mediazione o altre forme di accordo o compromesso pattizio tipici della visione, soprattutto anglosassone, del
combattimento processuale o adversary
system of litigation. Una prospettiva (la bilancia) che riguarda il conoscere come tale e che, dal punto di
vista canonico, vale anche a livello processuale poich oggetto dellinvestigazione giudiziale – e rimane
sempre – innanzitutto la verit
dei fatti, poich da essi derivano le conseguenze che la Sentenza andr a
fissare e sancire tra le parti. Ne risulta una concezione della verit che assomiglia sempre meno
ad una sostanza e sempre pi ad una relazione, in conformit anche coi
paradigmi epistemologici della Scienza del secolo scorso che ha riconosciuto la
non-accidentalit delle relazioni tra i diversi elementi che costituiscono
la realt, sia che si tratti dei campi elettromagnetici, che della
gravitazione universale. Tanto pi che la maggioranza delle conoscenze
scientifiche su cui si basa il vero e proprio funzionamento di tutta la
tecnologia che ha realmente rimodellato lintera vita umana vanno ascritte
allambito delle relazioni ed interazioni, ben prima che a quello dei
corpi e delle masse in esse coinvolte. Non pi sostenibile
– oggi – una inferiorit ontologica delle relationes rispetto alle substanti, n la qualificazione di accidentalit e innecessariet delle relazioni rispetto alle res che – uniche – costituirebbero la realt
come tale. Il nuovo paradigma
veritativo permette cos dintegrare a pieno titolo – nel
soppesare la realt – anche il tempo:
quella specifica componente del reale che trasforma lagire umano (e quello soltanto!) in storia, fissando non solo nella conoscenza ma anche nella realt
stessa il risultato delle scelte – pi o meno libere e
consapevoli – di ciascuna persona. , infatti, nel susseguirsi
cronologico – correlato ma (ontologicamente)
innecessario – di azioni umane, individuali e collettive, che hanno
preso consistenza e sono divenute realt incontrovertibili non solo i Regni e
gli Imperi, le distruzioni e le conquiste belliche, ma anche le vite di ogni
uomo e donna vissuti sulla terra, cos come pure Sacramenti e Sacramentali
(Matrimonio, Ordine, Professione religiosa). Proprio il tempo e la storia, tuttavia, costituivano una delle
maggiori difficolt che il sistema scolastico (o classico che dir si voglia)
incontrava nella gestione del proprio concetto di verit come semper idem esse, pi proprio di una
ipostasi (= calibro) che di una relatio/adquatio
(= bilancia) tra mondo epistemico personale e realt esterna (la
splendida: adquatio rei et intellectus
messa in crisi da una certa Modernit). La storicit per (che
non casualit cieca – caos) se, quando
e quanto considerata, rende ben pi
ricca e completa la verit stessa
delle res e, molto maggiormente,
delle person e delle loro relazioni
pi intime; tanto pi quando si tratta delle scelte della loro vita: quelle
scelte che possono permanere ed accrescersi solo se adeguatamente fondate
nellidentit (= id est) – sempre
storica – delle persone stesse. 2. La biografia Il fatto che la storia, pur col suo fluire, non ponga veri
problemi n allesistenza della
verit n alla sua effettiva raggiungibilit
e fruizione ma, anzi, partecipi a suo modo alla verit stessa, rende
espressamente necessario applicare
– finalmente – tale acquisizione alle vicende che
maggiormente nella vita ecclesiale pongono questioni di discernimento e scelta
proprio a livello storico, coinvolgendo derivatamente quello veritativo: le vicende vocazionali riconducibili a
Matrimonio, Ordine, Professione religiosa. Sono questi, daltra parte,
specifici ambiti di vita ecclesiale in cui si concentrano le maggiori
problematicit in tema di discernimento
e scelta, in ragione prima di tutto
del loro delinearsi in campo giuridico come presupposti dello status canonico della maggioranza
assoluta dei fedeli (sposati, ordinati, professi). Su un livello
qualitativamente inferiore, per quanto numericamente molto considerevole, si
pongono inoltre le svariate tematiche connesse al governo ecclesiale in cui,
ancora, necessario discernere e scegliere sia da parte dalle c.d.
Autorit, sia da parte dei destinatari dei loro Provvedimenti: discernere e
scegliere se, cosa, come, perch, quando, quanto, operare
in vista o in ragione della realizzazione della comune missione ecclesiale. Il cambio del paradigma veritativo, da quello eterno a quello
storico (v. supra), muta
radicalmente non solo gli orizzonti, o le – pi
semplici – circostanze al cui interno collocare e leggere le
scelte personali, ma cambia in modo costitutivo lintero sistema di
percezione e di rappresentazione della realt, soprattutto esistenziale, propria della persona. Il cambio tanto radicale quanto si darebbe nel passare
dallutilizzo del solo tatto a quello anche della vista, cui aggiungere in
seguito ludito Per ogni sensazione (= risultato della percezione sensoriale) che si aggiunge, la percezione globale della realt viene
integrata divenendo sempre pi complessa ma anche
– finalmente – pi realistica e, pertanto,
veritativamente connotata. Laggiungere percezione
a percezione attraverso lampliamento degli elementi rilevabili e
sintetizzabili (= tatto, vista, udito) muta
la rappresentazione della realt (= lintellectus scolastico) pur senza
cambiarla nella sua sostanza costitutiva (= la res degli scolastici). Un abbraccio al buio, un abbraccio
guardandosi in volto, un abbraccio dicendosi qualcosa non mutano la loro
identit (= natura) di abbraccio ma non costituiscono lo stesso evento esistenziale e
personale; a qualcuno che non si vede si pu anche finire tra le braccia dopo
aver inciampato al buio, ma non sarebbe un abbraccio. La vista e ludito, poi,
estendono – nel senso pi proprio del termine – le
possibilit di percepire (e descrivere/rappresentare) la realt: si pu vedere
anche ci che non si tocca (col
tele-visore) si pu udire anche ci che non
si vede (col tele-fono) In tal modo gli elementi che entrano in gioco – e le
connesse questioni che ne derivano – diventano irrinunciabilmente
storici e personali ma senza scadere
nel Relativismo n nel Soggettivismo, offrendo un accesso veritativo
costitutivo per tutto ci che riguarda e coinvolge le persone ed il loro
vivere. Ci, per di pi, non in conseguenza di mere sensibilit individuali
di questo o quellaltro Giudice o Superiore ecclesiale, ma per motivi che
attengono alla stessa dimensione
epistemologica e, ultimamente, metafisica, quanto meno della conoscenza
umana. Ne deriva fondatamente, per la vita ecclesiale, la possibilit
– o forse anche la necessit – di un sostanziale cambio degli stessi oggetti di
discernimento e scelta (e derivatamente di Giudizio e Provvedimento): non pi
cose (= res) ma condotte
personali non pi i Sacramenti (o
Sacramentali) ma le persone che li
celebrano (o li hanno celebrati). La res
divina/sacra, daltra parte, risponde a presupposti, logiche e
funzionalit, assolutamente a-temporali e – molto
spesso – a-valutativi: quando, infatti, la res diviene sacra
finisce per essere (ritenuta – sic)
sottratta alla realt spazio-temporale (= storica) e trasferita nella
dimensione della veritas rei
(= leternit); ci che non pu accadere per alcun atto umano, neppure personalissimo. Si pensi, in merito, al
linguaggio (ma in realt alle categorie sottese) normalmente utilizzato in
ambito canonico, del Matrimonio in fieri
oppure in facto esse in cui,
chiaramente, la celebrazione sacramentale
introduce una vera frattura/mutazione ontologica riguardo alla res (= il Matrimonio stesso) ma
non riguardo alle persone degli sposi n alla qualit psicologica o
esistenziale della loro relazione. E
che dire della volont? Ampliando la prospettiva allambito teologico
– irrinunciabile per il canonista – si dovrebbe
ulteriormente riconoscere che, non di meno, un tal modo di presentare le cose non corrisponde neppure alla suprema Lex dellIncarnazione in cui
Dio stesso, in Cristo, si spogliato della propria divinit (= kenosi – cfr. Fil 2,6-7), divenendo carne (cfr. Gv 1,14) per redimere allinterno
della storia lumanit decaduta. In Cristo, infatti, la vita umana non
viene estratta (= tolta) dalla
storia ma prolungata oltre la
storia stessa ed inserita in una ulteriorit
che nulla nega alla storicit dellumano sofferenza e morte, non escluse.
Questa, non di meno, anche la logica e
dinamica sacramentale! Lirrompere della dimensione storico-veritativa, insieme al cambio
dellobiectum veritatis
– che non smette di essere la realt – sul quale
discernere e scegliere, impongono una modalit del tutto nuova di porre le questioni e di porsi nelle questioni che riguardano
– canonicamente – le persone ed il loro scegliere: una
modalit che non pu pi prescindere dallidentit
complessa delle persone stesse; una modalit che deve integrare il
divenire delle persone: la loro biografia.
questa, probabilmente, la miglior confluenza tra verit, storia e persona: il punto dincontro ed
unificazione oltre il quale – ma anche senza del quale –
non risulta possibile non solo dire ma neppure individuare alcuno. Daltra
parte: quando, come nel Matrimonio, Ordine, Professione religiosa o nel
Processo, non si hanno davanti esseri umani (o enti umani – sic) o individui generici ed
indistinti ma quella specifica persona (= Giovanni, Carla...) non
restano reali alternative al considerarla in e per ci che essa diventata vivendo. Almeno di fatto, non esiste alternativa al considerare identit e biografia come saldamente correlate e non adeguatamente
disgiungibili: una connessione che, per quanto non meccanica (n, forse,
ontologicamente necessaria e biunivoca), risulta comunque insuperabile poich
il vissuto che struttura lo strato
non meramente biologico della persona e rende ciascuno unico e irripetibile
questo, per, ci che costituisce lidentit
personale in senso proprio. Nella stessa linea si mossa anche la consapevolezza
clinico-scientifica dellultimo cinquantennio nel suo progressivo allontanarsi
dagli approcci tipologici, maggiormente interessati ad eventuali anomalie o
disturbi (inizialmente solo organici), verso approcci idiosincratici,
interessati al funzionamento di ciascuna persona e, pertanto, alla sua identit. Lo dimostra la stessa
evoluzione del DSM che, pur non
rinunciando allormai consolidato approccio nosografico, ha per legittimato
nella sua quinta edizione anche il nuovo paradigma orientato alla delineazione
della personalit individuale: ci che conferma, ulteriormente,
lirrinunciabilit degli approcci psicodinamici,
dal PDM, al modello di Rulla-Imoda
nella prospettiva delle tre dimensioni che riconoscono valore ed interazioni
efficaci anche alla dimensione (ed esperienza) spirituale di ciascuno. Non un
caso che sempre pi lattivit peritale faccia riferimento alla biografia,
insieme ad eventuali test, per
delineare e gestire i tratti di personalit, pi che eventuali patologie. Il passo, soprattutto per i Giudici (ma in realt anche per tutti
coloro che esercitano qualche forma di governo o autorit nella Chiesa) pu
risultare perfino traumatico, dovendo spostare lattenzione dallassoluto della Legge e del suo
– eventuale – oggetto (sempre ut in pluribus) al relativo
della biografia personale in cui e da cui ciascuno risulta completamente
diverso da ciascun altro (sempre ut in
singulo), soprattutto nella formazione delle sue categorie cognitive,
interpretative, espressive ed esistenziali: tutto ci che entra in gioco nel discernere e scegliere individuale; tutto ci che d consistenza allagito (= fatto, compiuto,
realizzato) personale e che finisce per costituire il presupposto stesso di
qualunque scelta possa venire concretamente operata da ciascuna singola
persona. 3. Il dialogo Il paradigma della bilancia gi proposto in riferimento alla
conoscenza della verit (e non alla
verit come tale), trova un possibile ed efficace utilizzo anche a riguardo del
dialogo come sua specifica modalit
attuativa. La bilancia infatti, nella sua azione ponderativa, permette non solo
di determinare valori assoluti (= il peso) ma anche relativi (= il maggior peso) tra oggetti diversi.
questa la dinamica dialogica in cui i diversi apporti interagiscono
reciprocamente mettendo in risalto le reciproche portate, permettendo cos di
valutare che cosa sia meritevole di attenzione e precedenza o prevalenza, almeno operativa. Allinterno di un irrinunciabile paradigma realistico-veritativo,
il dialogo diventa allora lo strumento pi plausibile di ricerca della verit circa le persone ed il loro
operare. Una verit non soggettiva n contingente ma storica, cos come le
persone di cui si tratta; una verit che divenuta e continua a divenire insieme con le persone, attraverso la biografia di ognuno. Fuor da ogni
disincarnata teoresi va infatti riconosciuto che, quando si tratta della vita
– e ancor pi delle scelte di vita – delle persone, non
pu neppure esistere altra verit
che quella personale, quella cio che ha la persona quale proprio fulcro,
protagonista e testimone. I meri fatti (o le semplici condotte), al
contrario, rimangono spesso del tutto insufficienti ad esprimere il quid dellactus individuale, nonostante la Norma canonica attribuisca loro,
presuntivamente, valore costitutivo. La questione non risulta per meramente circostanziale ma sia ontologica che epistemica: ci che luomo fa, esiste solo perch luomo lo ha
fatto ed percepibile e comprensibile solo dalluomo come tale.
Detto in altri termini: la Fisica, la Chimica, la Biologia hanno prima di s e
fuori da s i propri oggetti reali (e non solo logici) di indagine e
conoscenza, oggetti che permarranno immutati dopo lintervento cognitivo umano
e che giammai dipenderanno dalluomo nel loro esserci e funzionare; oggetti la
cui percezione sempre pi demandata a strumenti non-umani: le macchine, che
analizzano la realt loro sottoposta restituendone referti e tabulati. Nessuna
condotta o azione umana esiste, invece, allo stesso modo, n conoscibile in
tal modo. Ci che luomo fa non esiste in s e per s – come in
natura – ma solo secondo la sua (spesso solo eventuale) intenzionalit e pu essere percepito
(che non significa necessariamente anche documentato) solo dalluomo come
tale e dalla sua capacit interpretativa, valutativa, decisionale. Luomo per fallace sia a livello cognitivo (= non osserva,
dimentica) che – spesso anche – morale
(= strumentalizza, mente): una fallacia che non permette di affidare ad
un unico punto di vista la conoscenza della realt – e quindi la
verit connessa – esponendola al rischio doxastico, oltre che
allinteresse di parte. Di qui la possibilit e necessit del confronto dialogico (o del contraddittorio) esattamente come
strumento percettivo ed epistemico
capace, di per s, di superare buona parte dei rischi e delle fallacie che
possono pregiudicare la veritas rei
di quanto riguarda lagito personale.
Ci a maggior ragione per il fatto che le stesse Scienze naturali fondano buona
parte della loro certezza proprio sul dialogo
(fino allo scontro) tra gli scienziati: leggi e Teorie scientifiche, infatti,
sono considerate tali solo in conseguenza della loro condivisione allinterno
del mondo scientifico di riferimento, al punto che nella Scienza contemporanea
non esiste lo scienziato solitario ma la comunit
scientifica si dovrebbe dire epistemica. Non di meno: ormai da decenni
nessuno scienziato lavora pi da solo ma sempre allinterno di equipe o team che insieme – quindi dialogicamente – portano avanti i vari progetti di
ricerca.