Consultare e consigliare nella Chiesa


Paolo Gherri

Sommario

1. Premessa. 2. Consultivit: elementi previ. 3. Uno sviluppo diffuso. 4. Lambito ecclesiale. 5. Consiliarit ecclesiale.

Summary

1. Introduction. 2. Giving opinions: elements taken. 3. A widespread development. 4. The Church environment. 5. Giving advices in the Church.

1. Premessa

Nella Chiesa degli anni successivi al Concilio Vaticano II si dedicata molta attenzione ai temi della collegialit e della sinodalit con una larga prevalenza delle strutture (= le Istituzioni) rispetto alle dinamiche. La cosa comprensibile, soprattutto alla luce del passaggio da una Ecclesiologia gerarchica, tipica di una Chiesa concepita e proposta come societas, ad una Ecclesiologia pi comunitaria. Da parte propria la Legge canonica, sensibilmente riformata dopo il Concilio, ha necessariamente dedicato spazio alle Istituzioni come tali prima che ai loro concreti funzionamenti, soprattutto recependo i mandati conciliari che chiedevano nuovi strumenti di relazionalit intra-ecclesiale ispirati a maggior condivisione e partecipazione. In effetti: disposizioni generali (come sono i Codici canonici) sembrerebbero non poter fare molto di pi che prevedere e prescrive lesistenza di Istituzioni (come sono i vari Organismi consultivi previsti – spesso per la prima volta – dal CIC), demandando ad altri livelli normativi (inferiori) la loro funzionalit pi specifica (come avviene spesso attraverso gli Statuti ed i Regolamenti di tali Organismi – cfr. Cann. 94-95). Di fatto, per, il trascorrere dei decenni ha messo ben in risalto come le questioni fondamentali cui il Concilio aveva dedicato la propria attenzione non si ponessero – ancora una volta – principalmente a livello di Istituzioni ma di loro concreto utilizzo e reale funzionamento con un maggior rilievo del quomodo rispetto al semplice quid, come risalta in modo evidente tutte le volte che ci si riferisce prima alla esperienza del Concilio che non alle sue effettive decisioni.

Proprio in questa prospettiva, la riflessione su consultare e consigliare nella Chiesa, in continuit con quanto gi espresso e sollecitato in tema di discernere e scegliere nella Chiesa, decidere e giudicare nella Chiesa, responsabilit ecclesiale, corresponsabilit e rappresentanza, intende richiamare lattenzione proprio sul versante della consultazione come tale e dei suoi fondamenti ecclesiali pi propri. Ci avverr, in questa sede, concedendo spazio soprattutto alle dinamiche proprie della consultazione stessa, prima che alle sue forme istituzionali ed istituzionalizzate, nella convinzione che i modi pi che le forme esprimano in modo inequivoco i fondamenti.

Per di pi lanno 2015 caratterizzato proprio dallessere un tempo di consultazione nella Chiesa e della Chiesa allinterno di un innovativo schema di consiliarit pontificia costituito – per la prima volta – da una doppia Assemblea del Sinodo dei Vescovi: una straordinaria (realizzata nellottobre 2014) ed una ordinaria (predisposta per lottobre 2015), motivando, e forse richiedendo una specifica riflessione non tanto sullidentit del Sinodo dei Vescovi come tale, ma sulla sua funzione pi radicale di Organismo consultivo, a cinquantanni dalla sua istituzione ed in relazione alle sue diverse configurazioni (ordinaria, straordinaria, speciale). Un Sinodo dei Vescovi che, nellattuale sua forma di celebrazione, pone domande significative – e forse anche radicali – sulla natura di tale consultivit, sia per quanto riguarda la sua componente pontificia che quella pi espressamente ecclesiale. Che cosa, infatti, prevale nel momento presente? La consultazione pontificia o i consultati? Che il Pontefice, infatti, [a] non si sia espresso formalmente sulle tematiche sinodali ed abbia fatto pubblicare gli strumenti sostanziali del lavoro sinodale e, allo stesso tempo, [b] che destinatari della consultazione reale non siano (stati) solo i Vescovi come tali ma anche le loro Chiese particolari ed i singoli fedeli, pone interrogativi di grande portata sostanziale ben prima che formale o istituzionale. Un tal modo di consultare da parte del romano Pontefice su che cosa pone laccento? Sono davvero in gioco i mantra – teologico e pastorale – degli ultimi trentanni (= collegialit e sinodalit) oppure si tratta di altro? E, nel caso: di cosa realmente si tratta?

Partendo da queste considerazioni – pi fondative che non istituzionali – lattenzione della riflessione cui si vuol dare corso si pone sulla natura e consistenza della consiliarit intra-ecclesiale prima che sui suoi aspetti istituzionali, con attenzione in modo specifico allesistenza (diverso da istituzione) e funzione (diverso da funzionamento) delle strutture consultive come tali, piuttosto che alle modalit esecutive interne agli Organismi previsti dal Diritto quali unit di elaborazione di pensiero e di discernimento necessari al governo delle diverse realt ecclesiali. questo, infatti, un aspetto al quale difficilmente si presta la dovuta attenzione mentre, in realt, si tratta dellelemento decisivo allinterno dellattuale vita ecclesiale come proposta – e richiesta – dal Vaticano II.

In tal modo linteresse prevalente della riflessione non riguarder tanto le modalit di consultazione ma la sua strutturalit: i modi, infatti, derivano espressamente dalle finalit e dalle loro motivazioni. Non di meno: evidente che cercare consenso o legittimazione (spesso ex post) ben diverso dal cercare consapevolezza e confronto.

2. Consultivit: elementi previ

La ricerca e riflessione sul consultare e consigliare nella Chiesa nasce dallesigenza di porre in luce non tanto un insieme di – spesso innovativi – Istituti giuridici dei quali la Chiesa si dotata nellultimo mezzo secolo, ma – molto pi radicalmente – la costitutivit della dimensione consultiva allinterno dello stesso essere Chiesa. Non infatti trascurabile dal punto di vista ontologico il fatto che il termine greco ekklesia significhi assemblea, convocazione: non, cio, un semplice e qualsiasi essere insieme da parte di soggetti qualunque (ci che corrisponde al concetto classico di societas), ma il convergere in un evento fortemente identitario ed attivo derivante dallo status personale (qual era lessere cittadino libero nella Polis greca; lessere maschio circonciso per il Popolo ebraico; laver ricevuto il Battesimo per la Chiesa apostolica). Daltra parte proprio una decisa attivit consultiva testimoniata negli Atti degli Apostoli fin dalle prime pagine quale pratica in qualche modo tipica allinterno della Comunit apostolica (si vedano: lelezione di Mattia, la scelta dei sette, il c.d. Concilio di Gerusalemme, ecc. – cfr. At 1,21-26; 6,1-6; 15,4-31).

Non di meno: per quanto il tardivo palinsesto ecclesiologico – del tutto posticcio e strumentale – della societas inqualium (allinterno della quale il romano Pontefice esercitava un vero e proprio imperium) si mostrasse formalmente uni-volontaristico, una vera sensibilit espressamente consultiva – in realt – non mai venuta meno nella vita ecclesiale, per quanto alle volte abbia dovuto configurarsi quale forma di mera resistenza, come mostra la dinamica tra maggioranze e minoranze allinterno dei Concili degli ultimi cinque secoli.

Il fissare lattenzione (e la tematica) nello specifico della consiliarit vorrebbe evitare in questa sede un grosso rischio al quale molta parte della riflessione e dottrina post-conciliare (soprattutto teologica e pastorale) non riuscita invece a sottrarsi: intendere lintera tematica in chiave di collegialit o sinodalit (ecclesiali), quando non anche di vera e propria democrazia, con tutta la congerie di conseguenze – prima pratiche e poi teoretiche – che ne sono derivate nellimmediato post-Concilio in tema di Popolo di Dio e – di fatto contrapposta – communio. Allosservatore attento, infatti, non pu sfuggire come la questione della consiliarit ecclesiale sia sufficientemente diversa e distinta da quella collegiale e sinodale in senso proprio.

Per completare il quadro va poi ricordato che la quasi totalit dellattivit propriamente collegiale vissuta nella Chiesa (latina) lungo i secoli si concretizzata sostanzialmente e principalmente a livello elettivo e non di vero e proprio governo: i collegia ecclesiali, cio sono (stati) nella loro quasi totalit Organismi/Organi elettivi – il cardinalizio in modo eminente – e non di governo (cio decisionali) in senso proprio.

in questottica che occorrerebbe ricuperare anche loriginario significato funzionale – anzich ontologico – della qualificazione della Chiesa come societas inqualium nel senso che Ecclesia non est collegium: consapevolezza che dopo il Vaticano II verr espressa meno ambiguamente con la prevalenza dellaggettivo gerarchico (gi utilizzato in precedenza) rispetto ad ineguale. Il concetto di Comunit gerarchica recentemente utilizzato da Patrick Valdrini esprime efficacemente tale idea: essa infatti acquisisce lo statuto teologico di luogo ecclesiologico radunato da Cristo e non sorto spontaneamente per accordo o consenso intersoggettivo. Tale comunit infatti si presenta proprio come Ekklesia (= comunit radunata)

affidata a un Pastore che mediatore necessario per la creazione di una comunit salvifica nella quale i battezzati, sacramentalmente uniti a Cristo e inseriti nella Chiesa, vivono, in modo del tutto profetico, la comunit nuova, salvata e missionaria voluta da Cristo per essere testimone nella storia della realizzazione del disegno divino, soprattutto nellEucaristia.

Neppure pu dimenticarsi il peso istituzionale (e spesso di fatto costituente) degli elementi e fattori socio-culturali che hanno dato forma alla Chiesa di stampo germanico costruita sul palinsesto beneficiale che per oltre mille anni ha costituito il princeps analogatum – e la regola strutturante di base – di qualunque Istituzione della cattolicit europea: lunica di fatto allora esistente pleno Iure. La titolarit personale e privatistica, infatti, del Beneficium che interveniva a strutturare in massima parte lOfficium ecclesiastico in quanto Titulus Ordinationis non giustificava in alcun modo, n permetteva di fatto, lesistenza e la fruizione di logiche e dinamiche effettivamente consiliari allinterno della vita ecclesiale ordinaria nella sua accezione di cura animarum attraverso lesercizio dei diversi Officia ecclesiastica (Sacramenti e Sacramentali in primis). Allo stesso tempo: il princeps analogatum di tale concezione e dinamica era lesercizio della Iurisdictio da parte dellImperator o del Senior il quale si rendeva presente sul territorio per mezzo dei vari Vassi (= feudatari) che attraverso la fides (= giuramento personale di fedelt) ricevevano personalmente luso e lo sfruttamento di terreni e beni, sui quali spesso era concessa anche (parziale) giurisdizione ed esenzioni fiscali. La fides, poi, comportava una vera e propria subordinazione militare con impegno personale dei Vassi e loro milizie a fianco del Senior in un rapporto sempre gerarchico e inter-personale (= privatistico) condizionato alla continuit di concessione del Beneficium/Prbenda o dal suo accrescimento come premio per la fedelt dimostrata: quanto bastava a bandire da quella concezione generale del governo ogni reale collegialit e consiliarit.

Tale presupposto – divenuto ben presto, e a lungo, anche ecclesiale – svan nel nulla con la statuizione di Presbyterorum Ordinis n. 20 che dismetteva il Sistema beneficiale (personale e privatistico) in vigore fino al Vaticano II, dopo aver gi disposto che

quanto ai beni ecclesiastici propriamente detti, i sacerdoti devono amministrarli, come esige la natura stessa di tali cose, a norma delle Leggi ecclesiastiche, e possibilmente con laiuto di esperti laici,

da cui deriva lattuale Can. 1280 secondo cui

ogni persona giuridica abbia il proprio Consiglio per gli affari economici o almeno due Consiglieri, che coadiuvano lAmministratore nelladempimento del suo compito, a norma degli Statuti.

Leccezione a quel presupposto era costituita dalle non poche, e largamente diffuse, Istituzioni ecclesiali di natura collegiale che progressivamente si erano poste a latere della struttura gerarchica vera e propria: Monasteri e Capitoli in primis al cui interno, sia la comunione perpetua di vita che il possesso indiviso di smisurate propriet agrarie, costringeva allapplicazione del principio giuridico giustinianeo – privatistico – secondo cui quod omnes tangit ab omnibus tractari et adprobari debet. Per quanto, poi, riguarda in particolare i Capitoli, occorre rilevare che la ecclesiasticit (cio il coinvolgere solo chierici) di tali situazioni di perfetta collegialit non aveva nulla a che vedere con la loro ecclesialit, n tanto meno con la struttura ed il funzionamento della Chiesa come tale: Capitulum, non Ecclesia, est collegium!

La chiara differenza tra valutazione e deliberazione potr fornire la chiave metodologica necessaria per verificare di volta in volta che il discorso si mantenga nellambito della sola consiliarit (= valutazione) come tale anzich scivolare nella collegialit (= deliberazione).

3. Uno sviluppo diffuso

3.1 Consiliarit tra forma e metodo

Posta con chiarezza lattenzione sulla sola consiliarit nella Chiesa, pare utile fare un ulteriore passo avanti prendendo atto che negli ultimi decenni anche in molti campi della vita civile le pratiche organizzative e gestionali sono mutate in modo repentino seguendo vie prima non immaginate n ipotizzabili: una di queste la diffusione della pratica consultiva, intesa come coinvolgimento di Organismi o persone allinterno di precisi e specifici percorsi valutativi, prima ancora che deliberativi. Il fenomeno ormai assodato, p.es., in ambito aziendale, tanto da costituire uno dei campi e temi ricorrenti di formazione dello stesso personale dirigenziale. Per quanto in modo differente, il fenomeno si affermato anche in altri ambiti tra cui – con caratteristiche del tutto proprie – quello politico.

Lelemento di maggior interesse in proposito, soprattutto dal punto di vista concettuale, consiste nel fatto che – fuori dallambito ecclesiale – la questione si presenta ormai come strategica e non pi semplicemente tattica (o politica, secondo la vecchia terminologia). Una strategicit che riguarda e modella il cosa ben pi profondamente che il come. Nella societ post-moderna, infatti, la consiliarit non costituisce pi un semplice modo di fare delle cose, ma una nuova natura delle cose stesse, non risultando pi semplice procedimento o procedura ma vero e proprio contenuto specifico: valore aggiunto. Un plus che tanto la societ europea di ancien Rgime (col Consigliere del Principe) che quella rivoluzionaria (con lAssemblea nazionale) avevano perduto rispetto al mondo medioevale in cui le varie forme di consilium – dirette e indirette – avevano giocato ruoli dimportanza primaria: si pensi alle varie Diete ed Istituzioni similari o ai diversi Consilia tipici delle strutture comunali o repubblicane.

Proprio nella prospettiva del superamento di una mera forma a vantaggio di un vero metodo, potrebbe giovare qualche riflessione su elementi e fattori che, partendo dagli ambiti aziendale e politico, possono entrare in gioco ampliando la prospettiva ed offrendo spunti alla consapevolezza e riflessione specificamente ecclesiale.

- Innanzitutto la considerazione che sia lambito aziendale che quello politico non sono di per s ambiti di originaria condivisione (= collegia) e neppure autopoietici: non sorgono cio dal basso, come invece si sostiene per la societ sulla quale si basa lo Stato contemporaneo. UnAzienda una struttura verticistica, organizzata in modi chiaramente gerarchici, con responsabilit distinte e precise, la cui concentrazione risponde a dinamiche di tutta specificit ed in cui la reale decisionalit risiede spesso anche molto lontano dallAzienda stessa, come accade nelle Assemblee degli azionisti rispetto agli stabilimenti di produzione.

- Anche per quanto concerne lambito politico va considerato che – oggi – un Partito politico (e forse a maggior ragione un Movimento) risponde non tanto ad elementi popolari (= consociativi) quanto, invece, ad idee precise e strutturate: a vere dottrine con tanto di dogmi, ai quali si offre poco pi della sola possibilit di aderire. Non per nulla per Partiti e Sindacati si parla ordinariamente di Organizzazioni di tendenza, cos come per le Confessioni religiose. Il fatto che in Italia la maggior parte dei Partiti e Movimenti politici abbia oggi alle spalle non pi una sostanziale Associazione ma una formale Fondazione la dice lunga in merito: lAssociazione, infatti, per sua natura collegiale (= ogni testa un voto) ed egualitaria (= ciascuno ha pari diritti e doveri); una Fondazione, per contro, retta e diretta da un ristretto gruppo di soggetti, unici decisori della sua vita ed attivit.

- Ulteriormente occorre prendere atto che n in ambito aziendale n in quello interno alle Organizzazioni politiche la consiliarit partecipa a dinamiche connesse alla legittimazione: la consiliarit, infatti, non – di per s – veicolo o strumento finalizzato a legittimare decisioni che qualcuno assume per tutti; essa non riguarda, infatti, deleghe, mandati o rappresentanze quanto, piuttosto, i loro contenuti.

Sotto questi profili gerarchia, dogma, funzione non-deliberativa e non necessit di legittimazione, risultano elementi che accomunano – o almeno parrebbero poterlo fare – i mondi aziendale e politico a quello ecclesiale, suggerendo lopportunit di rilevare – e forse anche valorizzare – elementi e fattori gi presenti nella vita e dinamica ecclesiali ma ancora scarsamente percepiti e consapevoli, soprattutto in riferimento a molte situazioni nelle quali continua a vigere il presupposto che, in fondo, un parere solo un parere: non vincolante e pertanto chi governa (soprattutto Vescovi e Superiori religiosi) pu fare quello che vuole. Ci senza dimenticare come, nella vita ecclesiale, la quasi totalit degli apporti consiliari risulta solo formale: il Consiglio va convocato e sentito, anche ad validitatem per lAtto da porre, ma decidere spetta alla sola Autorit, la quale non tenuta da alcun obbligo ad accedere al loro voto (Can. 127). Ci che – troppo spesso – rende la formula audito Consilio un mero elemento redazionale da porre allinterno della stesura di un significativo numero di Atti, sovente senzalcuna corrispondenza neppure nei Verbali (spesso inesistenti) di tali consultazioni.

Va considerato inoltre che, per quanto le finalit specifiche della mission aziendale e di quella politica siano radicalmente diverse (ed in buona parte incomparabili) rispetto a quelle ecclesiali, non di meno in tali ambiti il ricorso – strutturale – alla consiliarit divenuto ormai indipendente dalla finalit specifica delle decisioni da adottare in base ai fini da conseguire.

In altri termini: ci che importa in queste riflessioni sulla consiliarit come tale non il fatto che [a] la consiliarit aziendale abbia come fine – anche esclusivo – quello di produrre reddito per gli azionisti (o la propriet) e che [b] la consiliarit politica abbia come fine quello di raccogliere il maggior consenso possibile attraverso il numero di voti ricevuti in sede elettorale, mentre [c] la Chiesa persegue quasi esclusivamente obiettivi assiologici, sia spirituali (= la salvezza) che morali (= la verit). Il nocciolo della questione, infatti, riguarda non il come ma il perch della consiliarit. Perch, cio, un lavoro consiliare vale pi di uno individuale? Perch se, in fondo, a decidere sar sempre uno solo ormai divenuta cos importante tutta lattivit pre-decisionale? una mera questione di numero di idee e/o di informazioni messe in gioco? Oppure esiste qualcosa in pi, intrinsecamente specifico della consiliarit come tale?

Tutto ci, poi, ha una propria legittima fondatezza e pienezza in campo socio-antropologico soltanto, oppure anche in campo ecclesiale? Di pi: il livello socio-antropologico terminativo, esaurendosi in se stesso, oppure il livello spirituale proprio della Comunit cristiana pu/deve assumerlo ed, eventualmente, aggiungere anche altro? La Chiesa cio, in quanto realt spirituale e non solo socio-antropologica, potrebbe non essere consiliare? Oppure la Chiesa deve costitutivamente essere consiliare?

3.2 Forme e metodi di consiliarit

Passando al lato pratico della consiliarit, il suo orizzonte risulta molto articolato nei vari ambiti, dovendosi prendere in considerazione una variet di strumenti consultivi quali sono – ancora esemplificativamente –: staff, quipes, consulenti, consultazioni, demoscopia, ecc. ognuno con le proprie caratteristiche non solo e non tanto di funzionamento ad intra ma, pi radicalmente, di presupposti originarii che, p.es., ne facciano scegliere gi di principio – solo – alcuni ed escludere altri anche o soprattutto in ragione dellidentit del consultante oltre che, spesso, della materia in discussione.

La tematica si arricchisce ulteriormente se si considera un altro fattore strutturale: tanto lAzienda che il Partito che la Chiesa sono realt in qualche modo identitarie, circoscritte, unitarie, strutturate; non altrettanto, invece, il mercato, lelettorato, lopinione pubblica, la societ civile Anche questo accomuna ulteriormente le tre tipologie di soggetto prese in esame e pone in maggior evidenza al loro interno gli elementi e fattori di non paritariet di ruoli ed azione tra i diversi soggetti che intervengono nelle varie occasioni e circostanze.

Quali sono, dunque, le maggiori tipologie consiliari ed in che cosa si caratterizzano e distinguono? Ne esistono, poi, di specificamente ecclesiali?

- Un primo approccio potrebbe riguardare lincidenza del fattore temporale: la consiliarit, infatti, pu profilarsi come fattore permanente oppure saltuario. Staff ed quipes, quando non costituiscano la modalit stessa di lavoro (come capita invece in un certo numero di Organizzazioni), si presentano come forme di consiliarit stabili, permanenti.

- Esistono poi forme di consiliarit temporanea distinte in Organismi o persone singole: vari tipi di Consigli, oppure Consiglieri/Consulenti/Periti individuali.

- I destinatari della consultazione possono variare, potendosi essa porre sia ad intra (= consultazione) che ad extra (= demoscopia).

- Anche listituzionalit o la volontariet della consultazione ne evidenziano caratteristiche differenti, come accade nel dover distinguere tra consulenze e consultazioni propriamente dette: solitamente volontarie e personali le prime, istituzionali e giuridiche le seconde. Chiedere una consulenza ed interpellare un Organismo, infatti, sono attivit con spessore e portata giuridica differenti.

4. Lambito ecclesiale

4.1 Problematiche di fondo

Si gi ricordato come la realt ecclesiale sia caratterizzata da una struttura portante di stampo gerarchico la cui originariet risulta ben poco discutibile, poich da ricondursi al fondamento carismatico anzich sociologico dellessere Chiesa. Un fondamento che vede nella singola persona – chiamata alla salvezza escatologica – il vero referente della relazione con Dio e, quindi, del suo operare nella storia. Ci vale primariamente per ogni battezzato, qualificato espressamente come figlio di Dio (= personalit ed individualit della relazione filiale), ma vale anche in modo intensivo per un certo numero di battezzati che, soprattutto in virt dellOrdine sacro, rimettono completamente allo Spirito santo tutta la loro vita per il servizio (= diakonia, ministerium) della Chiesa e della sua missione. questa dimensione vocazionale-carismatica (= di chiamata) della condizione cristiana come tale che, riconoscendo la prevalenza delliniziativa divina (= la karis), evita di trasformare la Chiesa sia in un club di amici sia in un aggregato di sconosciuti (= societas): due modalit in cui prevale la dimensione orizzontale e la correlata origine dal basso della sua stessa esistenza; fattori sempre esclusi in ambito teologico e dogmatico cattolico. In tal modo la struttura gerarchica della Chiesa ne evidenzia la natura istituzionale (rispondente, cio, ad uno specifico volere fondativo) e non spontaneistica, mantenendola data e offerta, anzich creata o realizzata (dai suoi membri).  La stessa gerarchicit ecclesiale, non di meno, costituisce pure principio e strumento di validazione e controllo della dimensione carismatica ecclesiologicamente costitutiva tentando di porre, anche, un limite a scivolamenti consociativistici che ne stravolgerebbero la natura: si veda in proposito il concetto di Comunit gerarchica gi richiamato.

Non di meno: un tale contesto ed una tale struttura ecclesiali non impediscono per nulla, anzi enfatizzano, le dinamiche virtuose di inter-relazione allinterno del tessuto ecclesiale sulla base soprattutto della ri-acquisizione conciliare circa la vera uguaglianza nella dignit e nellagire di tutti i fedeli sancita anche dal Can. 208 del CIC. Una vera uguaglianza che esige concrete forme di esercizio non solo istituzionalizzato ma, molto pi profondamente, nelle modalit concrete della vita ordinaria della Comunit cristiana: una questione di modi e di rapporti, prima che di forme.

in questo paradigma che la consiliarit trova la propria maggior espressione, non tanto nei singoli strumenti anche istituzionali attraverso cui esercitarla ma, principalmente, nel suo stesso essere esercitata. Il vero problema, infatti, della consiliarit nella Chiesa si dimostrato essere non il quid e neppure il quomodo ma lan sit. N strutture n procedimenti imposti dalla Legge, ma concreto e fattivo modus agendi: a nulla, infatti, servono Organismi (= Consigli, Commissioni) anche competenti ed efficienti se non li si utilizza o se li si condanna a rispondere soltanto a domande inutili – come spesso accade – oppure li si trasforma in accademie o occasioni specializzate di formazione in cui, anzich ascoltarli, li si chiama ad ascoltare.

In questa prospettiva: sia la ricognizione storico-teologica che quella giuridica attuale offrono vari elementi di consapevolezza e riflessione in grado di motivare e confermare proprio tale an sit, tenendo conto dellestrema elasticit e discontinuit nel tempo e nello spazio di qualunque Istituzione ecclesiale ne sia divenuta di volta in volta leffettivo strumento di realizzazione, al di l della sua formale denominazione. Non si pu, infatti, (voler) ignorare che il termine Sinodo, ma anche la formula Sinodo dei Vescovi, indicano a tuttoggi realt istituzionali e teologiche assolutamente differenti allinterno dellunica Chiesa cattolica, dando limpressione, prima di tutto, che non si tratti di veri termini tecnico-istituzionali (utili, quindi, a spiegare e capire) e, secondariamente, che si privilegi lutilizzo di tale terminologia laddove sintenda sostanzialmente escludere strutture/concezioni strettamente collegiali (comՏ per il Sinodo diocesano e il Sinodo dei Vescovi pontificio).

Proprio, invece, sulla necessaria e costitutiva sinodalit dellattivit ecclesiale, intesa nel significato semantico di strada comune, di far strada insieme (= syn-odos), lapporto della Tradizione (e storia) della Chiesa originario e costante, per quanto istituzionalmente piuttosto aspecifico, avendo utilizzato lungo i secoli le modalit di attuazione pi diverse.

Gi santIgnazio di Antiochia (+107) parlava di un Senato del Vescovo ponendo in evidenza (pur allinterno di una concezione episcopale detta monarchica) una chiara concezione consiliare nella quale proprio lapporto diffuso ed il confronto – come nel Senato romano del tempo – risultavano del tutto strutturali. La grande stagione dei Sinodi locali e dei Concili ecumenici dei primi sette secoli prosper con facilit alimentandosi proprio in questo humus di continui scambi di vedute e di decisioni pi o meno ampiamente partecipate (in senso numerico e collegiale) ma, comunque, mai solitarie, come mostra anche lampia attivit di loro diffusione e condivisione alle Chiese di altri territori, Roma compresa. Parola dordine di quei secoli fu la communio (= cum munus) che, senza intaccare nulla delle singole identit, convinzioni ed eventuali spettanze, stimolava e gestiva una vita ecclesiale non certo semplice ma comunque contrassegnata dalla prevalente dimensione comune (= syn / cum) dellagire ecclesiale. Significativamente nessuno voleva operare da solo, n da solo rimanere.

Sinodi e Concili, daltra parte, furono e rimangono luoghi privilegiati della parola detta ed ascoltata: luoghi in cui il consilium come parere, o punto di vista, gode di sovranit pressoch assoluta. Un consilium che esprime essenzialmente la ragione (e le ragioni), ben diverso dal semplice votum che manifesta la sola volont, la decisione, per quanto fondata. Un consilium, inoltre, non basato sulle ordinarie categorie della decisionalit: Collegium o Auctoritas, ma sul solo fatto – se non addirittura il principio – di non decidere da soli. La natura organicistica della Chiesa, daltra parte, il suo essere assemblea convocata, Corpus Christi mysticum, non potrebbero ammettere altro modo di operare.

Proprio questa dimensione permette cos di affermare che sotto il profilo sostanziale, anche allinterno di un Concilio ecumenico, sono pi importanti le discussioni che non le votazioni: il dictum, rispetto al decisum. Certo: il numero di voti ricevuti che sancisce un documento e lo rende effettivo (= collegialit); non di meno rimane la qualit delle discussioni, dei pro e dei contra in esse emersi, ad esprimerne significativamente la reale consistenza e fondatezza. Un plebiscito senza discussioni oppure unapprovazione risicata al termine di un lungo confronto non conferiscono la stessa portata sostanziale a quanto affermato in sede finale; proprio i percorsi troppo piani, infatti, indicano spesso insignificanza delloggetto o inutile rassegnazione dei partecipanti.

Due elementi appaiono particolarmente significativi – per quanto solo emblematici – in questa prospettiva: [a] le avocazioni che Paolo VI fece a s di alcune tematiche discusse in Concilio ma non sottoposte alla sua votazione (= Apostolica Sollicitudo, Sacerdotalis Clibatus e Human Vit) proprio a causa della percezione che egli trasse dalla discussione conciliare; [b] la recente non-approvazione da parte dei padri sinodali di alcune tematiche trattate durante il Sinodo straordinario dei Vescovi dellottobre 2014 allinterno di una dinamica in cui anche la mera votazione (contraria) del Rendiconto finale dei lavori stata percepita ed utilizzata come strumento (di resistenza) per mantenere aperta una discussione che, in realt, si sarebbe voluto non aver affrontata. Che in questi casi la collegialit non abbia alcuna significativit rispetto alla consiliarit scaturita dalle dinamiche interne al lavoro comune appare pi che evidente.

4.2 Elementi evolutivi

Senza dubbio lattuale vita e prassi ecclesiale giunta ad un punto alto nello sviluppo, o almeno nella declinazione, della tematica della consiliarit, come pare ormai indiscutibile in relazione al particolarissimo Sinodo dei Vescovi celebrato come a tappe tra lottobre 2014 e lottobre 2015 sullunico tema della famiglia, secondo una innovativa interpretazione pratica dellIstituto giuridico del Sinodo stesso. Proprio questo evento merita una specifica attenzione istituzionale e, pi ancora, concettuale e teoretica (prima di tutto in campo ecclesiologico e giuridico) poich ci che risalta maggiormente appunto lespressa volont pontificia di mettersi in ascolto di tutte le voci che in qualche modo possono dare un apporto alla migliore e pi completa comprensione della materia e della sua portata, oltre che delle grandi problematicit connesse. Che lo stesso Papa Francesco ascolti tutti – e lasci anche dire e scrivere di tutto – senza intervenire in merito ma sforzandosi di continuare ad ascoltare, non va colto tanto come fatto in s e per s, quanto piuttosto come specifico metodo di lavoro, volto proprio alla maggior efficacia possibile della consultazione intrapresa. Nella stessa linea vanno i diversi richiami alla libert ed alla franchezza delle discussioni realizzate durante i lavori.

in questa prospettiva che lanalisi dellevoluzione concettuale e funzionale dei Sinodi dei Vescovi a partire dal 1967, insieme ad una riflessione consapevole sulla struttura e funzionalit di quello in corso possono offrire in re ipsa elementi di considerazione e riflessione critica anche differenti da quanto ordinariamente ritenuto o persino professato e dichiarato in documenti e pronunciamenti ad essi pertinenti.

Non di meno, lespressa maggiore attenzione alla consiliarit in s piuttosto che alla collegialit (ad intra), permette di prendere in considerazione anche un fattore completamente nuovo nella dinamica stessa di tale strumento istituzionale di consultazione pontificia: lapporto dei mass media che hanno concretamente partecipato a creare, approfondire, convogliare, riflessione – e quindi, potenzialmente, consilium – ponendosi e rimanendo allesterno del Sinodo dei Vescovi come tale ma interfacciandosi con esso in modo costante e quasi interattivo, oltre a far interfacciare con esso molti fedeli (e non). questo un fenomeno del tutto nuovo che merita attenzione poich la pressione e le sollecitazioni esterne hanno di fatto attraversato – e continuano – unattivit prettamente ecclesiale qual il Sinodo dei Vescovi dandole un rilievo del tutto specifico, ma anche conseguendo (o pretendendo) un proprio specifico rilievo allinterno dellopera di consultazione ecclesiale intrapresa.

5. Consiliarit ecclesiale

5.1 Consiliarit in generale

Seppure in modo non conclusivo – per quanto ragionevole almeno come ipotesi di ricerca – pare possibile affermare che nella Chiesa consultare e consigliare costituiscono due angoli prospettici, due punti di vista, della stessa realt: 1) quello dei Pastori (variamente identificati a seconda del loro specifico ministero: Papa, Vescovi, Parroci), che consultano, 2) quello dei fedeli (variamente colti nelle loro diverse specificit ecclesiali) che consigliano. Due attivit complementari e coessenziali che indicano in realt i due versi dello stesso vettore (per dirla in termini geometrici) allinterno di una relazione che non mai a senso unico, come potrebbe essere, invece, una semplice informazione che qualcuno d e qualcun altro riceve.

Consultare – in senso proprio – non informarsi n chiedere consulenza, cos come consigliare non informare o dare indicazioni: entrambe le attivit presuppongono e richiedono un coinvolgimento (lintraducibile sengager dei Francesi), un interessamento (nella linea dellI care degli Inglesi), un esserci della persona che, non banalmente, necessita anche della sua presenza fisica una presenza che solo eccezionalmente – e non sempre – potr essere supplita da scritti o parole o mezzi tecnici. famigliare a tutti lesperienza di spiegare o spiegarsi de visu: guardando in faccia linterlocutore in modo ben diverso che attraverso un tutorial o una telefonata; allo stesso modo che una videoconferenza non produce gli stessi effetti – globalmente intesi – di una vera riunione.

Consultare e consigliare sono attivit che si realizzano nella dinamica della relazionalit corta: io-tu, anzich in quella lunga della terza persona de laltro: lo sconosciuto, anonimo ed irrelato (= egli/lui). Il consilium – canonicamente ben diverso dal votum – si chiede e si d alla persona come tale, non mai mera funzione istituzionale o prescritta attivit dUfficio. Alla base del consilium, infatti, si trova sempre una fides: la fiducia nei confronti dellaltro. Una fiducia che, spesso, non riguarda tanto la competenza – alla quale provvedono gi ed opportunamente Consulenze e Perizie – ma la comprensione e la consapevolezza occorrerebbe dire: la condivisione.

Bastano queste poche sollecitazioni per porre in evidenza che consultare e consigliare, nella loro dinamica pi profonda, implicano non soltanto un raccogliere e fornire informazioni ma anche convinzioni, insieme a desideri e timori Consultare e consigliare, nella loro autenticit, costituiscono un vero e proprio pensare insieme: diventano unattivit condivisa in cui i profili individuali tendono ad attenuarsi in favore di una soggettivit pi ampia che non sostituisce ma integra coloro che ne partecipano, sviluppando dinamiche di empatia e sensibilizzazione reciproca capaci di ampliare la percezione della realt di ciascun singolo partecipante.

Proprio la percezione della realt, daltra parte, sembra costituire uno dei fattori chiave della consiliarit, ben prima della decisione sulla realt, alla quale invece molti sembrano maggiormente interessati.

Nel consilium sono la realt e la vita ad entrare in gioco da protagoniste e proprio realt e vita costituiscono il maggior apporto allevento consiliare; realt e vita che non possono mai essere parzializzate quando si chiede a qualcuno: tu cosa ne pensi?. Al contrario: le domande sul che cosՏ, come fatto, come funziona, quanto vale, ecc. possono tutte trovare soddisfacenti risposte impersonali come, daltra parte, lattivit di ricerca sul WEB ha reso esperienza comune. questo diverso riferimento e coinvolgimento della realt (comune) e della vita (personale) che rende il lavoro di squadra radicalmente diverso da quello individuale, soprattutto laddove sia necessario capire, valutare, scegliere senza che, in realt, lidentit di chi alla fine decide faccia davvero la differenza. Questo, per, riconduce alla necessaria distinzione tra valutazione e deliberazione: distinzione costitutiva per la consiliarit, anche se troppo spesso sottovalutata, ritenendo che solo il decidere faccia effettivamente la differenza.

Quanto e come queste consapevolezze generali possano o debbano entrare a far parte della concezione – primancora che della prassi – ecclesiale non pare questione da sottovalutarsi in questa sede, visto anche il grande interesse ormai polarizzatosi intorno allevento sinodale in corso, non solo per la sua tematica, quanto maggiormente per ci che ormai lIstituzione Sinodo dei Vescovi sta sollecitando a livello di vita ecclesiale e sue dinamiche.

Specificamente in questa prospettiva, oltre agli elementi e fattori antropologici gi evidenziati, risulta necessario porre nel dovuto risalto qualche ulteriore elemento peculiare della consiliarit ecclesiale: 1) la comune adesione alla Chiesa, 2) la comune vita di fede, 3) la comune missione evangelica, 4) la dimensione celebrativa degli eventi consiliari, 5) la fratellanza battesimale.

- Il primo elemento da porre in risalto quando si dedica attenzione alle attivit ecclesiali in senso proprio la necessit di collocarsi allinterno della comune adesione alla Chiesa, dovendosi infatti considerare che ciascun fedele di per s, ma pi ancora in quanto specificamente attivo (= il chierico, il religioso, il catechista, leducatore, il volontario lo stesso genitore), non l per caso, n per motivazioni individualistiche, ma perch intende partecipare e contribuire a qualcosa che in qualche modo anche suo in quanto membro della Chiesa.

- Il secondo elemento da tenere in adeguata considerazione – e spesso vivificare – il presupposto della comune vita di fede che deve costituire lo sfondo e lorizzonte entro cui delineare, comprendere e collocare lattivit ecclesiale, o la tematica pastorale, oggetto di comune riflessione, studio e confronto; i criteri, infatti, ed i valori di riferimento devono essere quelli propri della fede ecclesiale e non della personalissima visione della vita e del mondo.

- Non risulta inoltre possibile costruire una riflessione condivisa (per quanto non necessariamente fino agli esiti finali) se non ci si muove consapevolmente allinterno della comune missione evangelica cui ciascun discepolo di Cristo chiamato ed inviato: ci che nella Chiesa si fa devessere fatto per far conoscere – e sempre meglio – Ges Cristo e la salvezza che offre ad ogni uomo; altre realizzazioni, pur meritorie, esulano dalla mission costitutiva della Chiesa.

- Peculiare, per quanto non esclusiva, della consiliarit ecclesiale anche la dimensione celebrativa delle sue realizzazioni: dimensione che le rende ogni volta uniche poich vissute in prima persona, condivise con altri discepoli di Cristo standoci dentro e creandole insieme affinch siano e rimangano vere tappe sia della vita personale che di quella comunitaria.

- Da ultima, per quanto in realt potrebbe essere ritenuta un effettivo pre-supposto, va considerata anche la vera fratellanza che lega – e deve farlo sempre maggiormente – tutti i protagonisti della vita ecclesiale in ragione del comune Battesimo: fin dallEpoca apostolica, infatti, la fraternit stata una delle cifre pi significative dellesperienza ecclesiale tanto significativa da tradurre nei termini della vita e delle relazioni famigliari i rapporti non solo tra membri della stessa Comunit ma con tutta la Chiesa.

La piena costitutivit per la Chiesa – e per lessere Chiesa – degli elementi cos illustrati consentono pertanto di trasferire la consiliarit ecclesiale (= il consultare e consigliare nella Chiesa) dallo status di semplice modo di agire, sempre possibile ed auspicabile, a quello di vero modo di essere, caratterizzante in modo ontologico lidentit stessa della Chiesa, il suo essere pi profondo, fino a poter assumere, in modo non ideologico, il ruolo di vero e proprio principio costituzionale.

5.2 Consigli ed altri Organismi canonici

Il percorso sin qui delineato pare potersi significativamente concludere con la constatazione che nella Chiesa uscita dal Vaticano II la consiliarit non rimasta una mera teoria n una semplice aspirazione ma si realizza concretamente per via istituzionale attraverso lattivit di veri e propri Consigli ed altri Organismi funzionalmente assimilabili: Consiglio presbiterale, Collegio dei Consultori, Consigli pastorali, Consigli per gli affari economici, Consigli dei Superiori maggiori (istituzionalizzati dal CIC), cui si aggiungono di fatto: Consulte, Assemblee, ecc. creati nella e dalla prassi delle diverse Comunit ecclesiali, sia gerarchiche che associative. Su di un piano istituzionalmente – perch ecclesiologicamente – molto diverso e sostanzialmente irriducibile, si pone anche – almeno funzionalmente – il Sinodo diocesano.

Ci che risalta maggiormente a riguardo di questo articolato panorama – e da cui ormai tempo di trarre adeguate conseguenze, anche istituzionali – la irriducibile natura di evento che ne caratterizza lespressione ed attivit: il Consiglio, cio, opera [a] solo quando riunito ma [b] soprattutto in quanto riunito! Ci, daltra parte, corrisponde perfettamente alla sua stessa natura di attivit di consultazione e consiglio insieme: nella riunione, infatti, che i Pastori (o chi ne abbia titolo) pongono le proprie istanze (illustrandole e motivandone eventuali possibili soluzioni), chiedendo ai presenti di esprimere il loro pensiero in merito sia alla questione proposta che alle possibili soluzioni. In tal modo lattivit consiliare coincide col suo stesso realizzarsi: con la discussione ed il confronto, le domande e le risposte, i dubbi e gli auspici e ci indipendentemente dal fatto che alla fine si voti oppure no. La vera attivit di qualunque Organismo consultivo ecclesiale non , infatti, il voto finale – normalmente neppure previsto – ma tutto quanto lo precede: tanto pi che questo voto secondo il CIC pu essere solo di consenso, accordato o negato (cfr. Can. 127), alla volont – non ancora ad un Provvedimento – dellAutorit di governo.

Diventa cos sempre pi evidente come, nella Chiesa, lattivit consiliare non sia primariamente finalizzata allespressione (e raccolta) di consensi – secondo le logiche della democrazia parlamentare – ma, pi profondamente, alla delineazione e verifica della loro possibile qualit: la rationabilitas che rende le decisioni necessarie, oppure possibili, o anche solo consigliabili o preferibili. La questione consiliare, infatti, non si pone di solito in riferimento a documenti o Norme da far approvare a colpi di maggioranze, eventualmente attraverso il rally (o gli empori) degli emendamenti, ma in riferimento agli stessi contenuti di decisioni e pronunciamenti spettanti, in genere, ai Pastori di turno ma circa i quali necessario consti una consapevolezza pi condivisa possibile: come – e perch – in famiglia.


in: APOLLINARIS, LXXXVIII (2015), 593-615