1. Premesse metodologiche
Affrontare il tema della “evoluzione normativa” di qualunque Istituto giuridico o Istituzione non è mai un’operazione meramente “descrittiva” o “compilativa” in cui basti giustapporre Norme a Norme secondo una successione meramente cronologica; si tratta, invece, di operare una “ricostruzione” integrata dei vari “livelli” in cui la “normatività” si sia di fatto espressa (o possa esprimersi), cercando di mettere in luce gli elementi più statici (sarebbe meglio dire “definitori” o costitutivi) e quelli più dinamici, mai riducibili a mera funzionalità soltanto.
Due sembrano essere i “criteri” irrinunciabili per svolgere adeguatamente questo genere di attività: quello dispositivo e quello ermeneutico.
1.1 Criterio dispositivo
Questo criterio intende porre in evidenza quella che il giurista conosce (e dovrebbe trattare) come “gerarchia delle Fonti”. Si tratta, cioè, di organizzare le diverse Fonti normative inerenti l’Istituto giuridico o l’Istituzione oggetto di studio in modo da riconoscerne la “progressività” non tanto dal punto di vista cronologico ma della concreta importanza costitutiva. Andranno pertanto suddivise le Fonti in ragione della loro “natura” così che sia possibile di volta in volta – in base ai cambiamenti progressivamente introdotti – porre l’attenzione su ciò che davvero offre gli elementi imprescindibili della materia.
In questa prospettiva è già possibile specificare come l’ambito d’interesse per la presente ricerca si articoli su tre “livelli” normativi gerarchicamente ordinati (di cui verranno qui sviluppati soltanto i primi due):
- al primo posto vanno collocate le Fonti legislative vere e proprie attraverso le quali il Legislatore ha creato l’Istituzione e le ha dato struttura e funzionalità di base (= il m.p. Apostolica Sollicitudo del 1965 e il CIC del 1983 e, tecnicamente, il CCEO del 1990);
- al secondo posto si collocano le Fonti attuative (o regolamentari) attraverso le quali diverse Autorità comunque competenti in materia hanno fornito ulteriori specifiche, soprattutto funzionali, volte ad una sempre migliore ed appropriata gestione dell’Istituzione in oggetto; a questo livello è necessario ricordare – e verificare – che l’attuativo dipende dal costitutivo e non lo può realisticamente contraddire, per quanto possa concretamente accrescerlo e specificarlo anche in “direzioni” parzialmente o progressivamente innovative (si esamineranno di seguito i 4 Ordines adottati dal 1967 al 2006);
- al terzo posto della gerarchia normativa si colloca la prassi operativa (concreta) attraverso cui i vari soggetti responsabili dell’attività dell’Istituzione – e l’Istituzione stessa – hanno applicato le Norme, integrandole spesso con decisioni di natura meramente operativa necessarie o utili per gestire le problematiche di volta in volta emergenti e che avrebbero potuto – se non adeguatamente risolte – porre in discussione aspetti anche significativi dell’attività istituzionale, fino all’inerzia o al collasso dell’Istituzione stessa. Fissando anche veri e propri “modus operandi” la prassi stessa entra nella dinamica dell’evoluzione normativa di Istituti giuridici ed Istituzioni, preparando – di solito – integrazioni e modifiche delle Norme regolamentari.
1.2 Criterio ermeneutico
Ad un livello completamente diverso – e di fatto fuori dalla gerarchia delle Fonti normative – possono essere considerate anche eventuali Fonti integrative attraverso le quali sia stato possibile a vari soggetti effettuare “affermazioni” o dare “indicazioni” a riguardo di identità, finalità, funzioni, modalità, prospettive, ecc. che riguardino l’Istituzione in esame; nel caso specifico vanno tenuti presenti i vari “discorsi” pronunciati in momenti significativi della vita dell’Istituzione stessa (soprattutto da parte dei romani Pontefici).
Soprattutto all’eventuale utilizzo di Fonti integrative si connette la necessità di adottare uno specifico criterio interpretativo che trova la propria ragion d’essere e la propria peculiare consistenza nella necessità di rapportare in modo adeguato le Fonti integrative con quelle di livello costitutivo e regolamentare che le precedono ed a quelle operative che spesso le accompagnano.
La questione principale riguarda il rapporto, spesso poco chiaro, che intercorre tra le “affermazioni” come tali, in riferimento alla consistenza degli Istituti giuridici e delle Istituzioni, e la loro reale strutturazione e funzionalità sotto il profilo giuridico. È capitato spesso, infatti, che quanto viene “ufficialmente” (e circostanzialmente, sic) affermato in relazione a determinati Istituti o Istituzioni o attività giuridiche, in realtà corrisponda in modo troppo labile a quanto viene effettivamente “realizzato”, proprio “in” e “attraverso” tali attività. In tali casi l’interprete, ma anche il tecnico giuridico, dovrebbe saperle qualificare di volta in volta come “inerzie” o “derive” o “prospettive”, soprattutto in base alla loro reale coerenza e corrispondenza con l’attività stessa dell’Istituzione di cui si tratta, oppure con eventuali cambiamenti in esse effettivamente indotti… o anche non introdotti (sic).
La questione, per quanto interessa in questa sede, risulta di specifico rilievo nel confrontare tra loro [a] i momenti espressamente legislativi, [b] quelli più genericamente normativi, [c] le singole condotte applicative (= le differenti prassi via via poste in essere) e [d] i discorsi, più o meno circostanziali, che hanno accompagnato lungo i decenni l’Istituto sinodale. Dal punto di vista giuridico, ma anche teoretico-sistematico, si tratta infatti di capire “quali” siano i reali punti di riferimento espressamente “normativi” in materia: normativi in senso forte poiché, visto che si tratta – come lo stesso Paolo VI scriveva proprio nella Apostolica Sollicitudo – di “istituzioni umane”, la loro identità ontologica coincide prima di tutto con gli elementi che giuridicamente li costituiscono e strutturano.
Detto in altri termini: la reale “evoluzione normativa” dell’Istituto sinodale non andrebbe recepita attraverso le Allocuzioni pontificie se non quando – e in quanto – esse rispecchino gli effettivi interventi normativi, o almeno la prassi, realmente posti in essere nelle stesse circostanze. In riferimento al Sinodo questa questione è decisiva soprattutto riguardo al tema della “collegialità” episcopale alla quale quasi esclusivamente Giovanni Paolo II pare aver dato rilievo in modo discorsivo, pur senza reali interventi normativi – o anche con interventi normativi contrari – in tal senso. Si veda la modifica “organica” introdotta dal CIC del 1983 che, di fatto, riduce l’episcopalità del Sinodo.
1.3 La modalità dello studio
Tracciare sotto il profilo tecnico-giuridico l’evoluzione normativa di una Istituzione senza scivolare nella storia dell’Istituzione stessa non è attività agevole, soprattutto poiché le soluzioni in Iure sono sempre le conseguenze strutturali e strutturanti di quanto è già stato elaborato e deciso altrove, secondo “altri” criteri ed intenzionalità. La natura strumentale e funzionale del Diritto, d’altra parte, non lascia alternative in merito, facendo sì che la ratio iuridica sia sempre subordinata ad una ratio politica pre-esistente e pre-valente a livello intenzionale e decisionale.
Si pone, pertanto, una rigida opzione di metodo che individui sin dall’inizio le “uniche” Fonti di riferimento e studio [a] nelle Norme legislative e [b] regolamentari e [c] nella prassi operativa interna del Sinodo. Un approccio rigidamente “documentale” in cui fatti, situazioni, circostanze e quant’altro riguardi il Sinodo nei suoi cinquant’anni di vita saranno lasciati rigorosamente al di fuori dell’ambito di ricerca e studio. Di conseguenza: anche le “osservazioni” tecniche che si verranno proponendo cercheranno di limitarsi allo “statutum” più che alla “intentio” sottostante.
La parzialità di un simile approccio si giustifica in questa sede in ragione dell’ampiezza del contesto in cui il presente studio si colloca come “tassello” all’interno di una prospettiva interdisciplinare molto ampia; allo stesso tempo l’estrema tecnicità potrebbe offrire spunti di originalità rispetto a letture troppo “integrate” dell’intera tematica le quali, giocoforza, potrebbero aver posto (o porre) l’attenzione su altri elementi e dinamiche, forzando o sottovalutando la Normativa in quanto tale.
Un apporto in prospettiva storico-dogmatica sarà comunque offerto dallo studio del prof. Émile Kouveglo allegato alla presente relazione di stampo espressamente tecnico.
Le “tabelle” allegate offriranno un supporto “visivo” alla lettura tecnica proposta. Il raffronto dei 4 Ordines, in particolare, è stato realizzato con l’intento espresso di rendere immediata la percezione dei reali cambi intervenuti in un quarantennio.
2. Le disposizioni costitutive
2.1 Premessa
L’identità costitutiva del Sinodo dei Vescovi può essere adeguatamente delineata solo nella contemporanea e coerente correlazione delle due disposizioni legislative fondamentali che lo riguardano: il m.p. istitutivo del 1965 e le Norme codiciali del 1983 che ne precisano e sviluppano alcuni aspetti, senza tuttavia derogare alla maggior parte di quanto previsto da Paolo VI in sede d’iniziale costituzione.
Dal punto di vista normativo generale la cosa è chiara poiché una Legge ordinaria, per quanto universale (così è il CIC), non abolisce una Legge speciale (= il m.p. Apostolica Sollicitudo), potendo semplicemente derogare alle sole singole disposizioni che a livello “universale” superino per specificità e portata quelle “particolari”. Eventuali “dubbi” in merito alla contemporanea vigenza delle due Leggi sono fugati in limine dallo stesso dettato dei Cann. 342-348 del CIC che per ben otto volte si riferisco al “Diritto peculiare del Sinodo”; Diritto peculiare che non potrebbe in alcun modo essere individuato nell’Ordo Synodi Episcoporum celebrandæ vigente nel 1983 (ossia: la terza stesura dell’Ordo stesso: 8/12/1966; 24/06/1969; 20/08/1971). Tale Ordo, infatti, dipende completamente dalla Apostolica Sollicitudo – di cui costituisce una mera concretizzazione regolamentare – e con essa avrebbe dovuto perdere qualunque vigenza se il Codice avesse abrogato la Legge speciale precedente. Proprio la necessaria integrazione dei due disposti normativi permette, invece, di meglio evidenziare i cambiamenti subentrati in circa 20 anni nella struttura, funzione, e quindi identità, del Sinodo dei Vescovi.
Lo studio normativo, non di meno, deve tener conto di un altro fattore determinante in materia di Leggi canoniche: la modalità legislativa della Chiesa è rimasta saldamente modellata su quella romana imperiale da cui prese ispirazione. Si tratta di considerare la struttura bipartita della Norma legislativa canonica: 1) la “Constitutio” vera e propria in forma testuale (narrativa o dottrinale) con cui si “crea” nell’Ordinamento (= constituo) qualcosa di nuovo, 2) le “Normæ” conseguenti di sua attuazione pratica (si guardi, esemplificativamente, a Pastor Bonus, ed ai Codici latino ed orientale con le Costituzioni Sacræ Disciplinæ Leges e Sacri Canones). La struttura bipartita della Legge canonica permette in tal modo di mantenerne fermi lungo i secoli i motivi, l’intenzionalità (= ratio), gli scopi (fissati nella parte dottrinale), permettendo altresì che possano mutarne singole Norme attuative (com’è accaduto anche di recente per le varie modifiche ai Canoni del CIC, o a suoi interi Istituti, senza per ciò che la “Legge” come tale sia mutata).
Tale prospettiva “tecnica” è importante proprio per individuare quale sia ad oggi la “Legge” del Sinodo dei Vescovi: il “Diritto peculiare del Sinodo” di cui parla il CIC.
2.2 Le disposizioni legislative
Trattandosi di un rapporto “integrativo” tra il testo della Legge speciale di istituzione del Sinodo e la sua regolamentazione nel Codice latino, non pare di vera utilità un raffronto delle relative singole disposizioni, mentre sono assai proficue alcune considerazioni in merito ai due testi come tali ed ai loro contenuti sostanziali.
- In primo luogo va colta l’importanza dell’operazione legislativa posta in essere dal Codice latino che ha di fatto “integrato” il Sinodo nel c.d. Diritto comune universale collocandolo, per di più, all’interno del ministero petrino in quanto tale. Una collocazione chiarissima: Parte II del Libro II (sulla costituzione gerarchica della Chiesa), Cap. II della Sezione I (sulla suprema autorità della Chiesa), subito dopo il Capitolo I (riguardante il romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi), prima del Capitolo III (sui Cardinali di santa romana Chiesa) e del Capitolo IV (sulla Curia Romana). Una collocazione, in realtà, meramente funzionale ed in qualche modo ancora non evidentissima nella propria importanza, poiché – ad ogni effetto – il Sinodo è originariamente menzionato – e quindi istituzionalmente “collocato” – nel Can. 334 (e parallelo Can. 46 del CCEO) sul romano Pontefice, prima perciò del Collegio episcopale, in modo tale che quanto fissato nei Cann. 342-348 costituisce in realtà una vera e propria “appendice” a quanto già stabilito al Can. 334 sulla persona ed il ministero del romano Pontefice.
La cosa presenta un’importanza dogmatica fondamentale poiché un eventuale silenzio sul Sinodo nel Can. 334 lo avrebbe posto semplicemente a seguito del Collegio episcopale lasciandone presumere una qualche forma di correlazione e conseguente subordinazione o dipendenza, oppure – e qui si colloca una delle questioni fondamentali sul Sinodo – una sua “espressione”, casomai “rilanciata” dalle varie enfasi, più o meno appropriate, in materia di “rappresentanza” e “collegialità” episcopale. Fattori che non si pongono, invece, in relazione al Can. 334.
- Secondo elemento da considerare: per quanto il Diritto peculiare del Sinodo costituisca una Legge speciale, il Sinodo come Istituzione appartiene a pieno titolo alla Struttura stessa della Chiesa; non si colloca, cioè, a latere rispetto a ciò di cui la Chiesa si riconosce strutturalmente costituita. La cosa è tanto più rilevante in quanto con l’inserimento del Sinodo nel CIC questa Istituzione assolutamente nuova – che Paolo VI ha voluto come “Istituzione ecclesiastica centrale” (AS I,a), “perpetua per sua natura” (AS I,c) – della Chiesa cattolica ne muta radicalmente il volto, entrando nel Diritto comune universale che “struttura” in senso pieno la Chiesa, rimandando poi alle singole Leggi speciali per quanto riguarda le funzionalità interne delle varie Istituzioni. Il parallelismo tecnico con la Curia Romana o coi due Tribunali Apostolici della Rota e della Segnatura, retti tutti da Leggi proprie è palese. Interessante in merito, per quanto del tutto irrilevante dal punto di vista giuridico, è il fatto che recentemente il “Sinodo dei Vescovi” sia stato inserito nel sito web della Santa Sede all’interno della Curia Romana.
- Elemento già oggetto di considerazioni varie in dottrina, per quanto di scarso rilievo sia giuridico che dogmatico, è il cambio di “struttura” interna del Sinodo sancita dal Can. 345 rispetto al punto “IV” della AS: non più tre tipologie di Assemblea sinodale (generale, straordinaria, speciale) ma solo due (generale e speciale); è poi l’unica tipologia di “Assemblea generale” a differenziarsi in ordinaria e straordinaria.
- Un’attenzione tutta speciale meritano le “definizioni” di Sinodo emergenti sia dalla AS che dal Codice al Can. 342; la prima lo indicava come “stabile Episcoporum Consilium pro Ecclesia universa”, il secondo come “Cœtus Episcoporum qui ex diversis orbis regionibus selecti […] una conveniunt”: due prospettive di una certa complementarietà, per quanto non propriamente equivalenti. Una parziale continuità, invece, si riscontra tra AS I,d e il Can. 342 circa l’operatività del Sinodo che si raduna: “ad tempus atque ex occasione”, secondo Paolo VI, e “statutis temporibus”, secondo il Codice di Giovanni Paolo II.
Anche a questo proposito si possono cogliere elementi “in tensione” tra loro: Paolo VI stabilì che si trattasse di un Consiglio permanente, che fosse Istituzione ecclesiastica centrale e perpetua; il Codice parla soltanto di “Cœtus Episcoporum”. Per contro l’iniziale “occasionalità” della sua realizzazione, trova nel CIC un mutamento che potrebbe rivelarsi prospettico, visto che “statutis temporibus” permetterebbe anche di pensare ad una regolarità prefissata, superando l’iniziale impressione di mera occasionalità.
Ciò che, comunque, risulta continuativa ed indiscussa è la specifica “natura” del Sinodo come “evento” (come ogni “assemblea”) e non come “organismo”, come invece l’originaria qualificazione di “consilium” porterebbe a supporre. Un Consilium, infatti, è generalmente un Organismo stabile che però opera in tempi precisi: si pensi al Consiglio presbiterale, al Consiglio per gli affari economici, al Consiglio pastorale… Questo non accade per il Sinodo dei Vescovi, poiché “ogni Sinodo” costituisce una realtà autonoma che inizia, opera e finisce; ed è solo la Segreteria generale, istituita nel 1971, che assicura “un collegamento tra le diverse Assemblee” del Sinodo (cfr. Ordo Synodi, 1971, Art. 11). Proprio questo essere “evento” più che vero “organismo” risulta l’elemento costitutivo di maggior rilievo nel definire il “che cosa” del Sinodo stesso; questo costituisce anche – probabilmente – il motivo della sua denominazione: solo Concili e Sinodi sviluppano, infatti, questa dinamica, almeno in ambito latino.
- Questione non meno importante nel delineare “cosa sia” il Sinodo è il rapporto – estremamente ambiguo e spesso equivoco, oltre che generalmente non colto a sufficienza – tra “rappresentanza” e “rappresentatività” sollecitato dalla menzione (in entrambi i testi di Legge) della provenienza dei Vescovi dalle varie parti del mondo (AS I; Can. 342). A tal proposito è necessario osservare che di tali categorie (= rappresentanza e rappresentatività) i testi legislativi non parlano affatto: AS, infatti, usa due volte “partes agere” (I,a; X), mentre il CIC non utilizza neppure tale formula. Certo: “partes agere” è “forte” ed apre facilmente alle dinamiche di rappresentanza, pur tuttavia il combinato disposto con le indicazioni circa la provenienza mondiale dei Vescovi non pare particolarmente favorevole a tale linea interpretativa. A tal proposito appare necessario evidenziare la differenza “costitutiva” tra le due Norme citate a riguardo dell’identità del Sinodo, e quanto verrà poi stabilito nelle stesse due Leggi a riguardo della composizione del Sinodo stesso: è infatti in quella sede che appare il verbo “eligere”, in un uso del tutto improprio, per i Vescovi provenienti dalle Conferenze episcopali. Senza bisogno, infatti, di alcun ricorso giuridico esterno è palese che non si tratta di “elezioni canoniche” propriamente dette, tanto più che l’intervento pontificio non è indicato come “conferma” ma “ratifica” (electionem ratam habere – Can. 344, 2°). Allo stesso modo va considerato che nelle “Explicationes” dell’anno 1977 si parla sempre di “Delegati” delle Conferenze episcopali, espressione che muta ulteriormente l’orizzonte di riferimento e comprensione.
Rebus sic stantibus, risulta ben difficile parlare del Sinodo in chiave di “rappresentanza episcopale” e derivata “collegialità”, quasi si trattasse di un “Concilio per delegati”. Si tratta, invece, di un “evento” ecclesiale che rende presente l’intera Chiesa in tutte le sue principali componenti territoriali e, conseguentemente, pastorali, sancita dalla necessità che ogni “regio orbis” sia presente.
- Sempre in chiave di identità del Sinodo, esso è presentato (e normato) come espresso strumento di “aiuto” al ministero petrino (cfr. AS I; Can. 342); un aiuto che si realizza attraverso il “consilium” (cfr. Can. 342) e – più ripetuto testualmente – la “informazione” (cfr. AS II; II,1b; II,2a), oltre all’espressione di un “parere” (cfr. AS II,2b). Nella stessa linea il Can. 342 indica quale finalità del Sinodo lo “studio dei problemi”; attività che – di per sé – non richiede alcun esercizio di potestà di governo ma “cognizione di causa”.
Proprio tale natura/identità espressamente informativa e ponderativa (= studium, consilium) emerge con chiarezza – per di più, e una seconda volta, in chiaro contrasto con pretese “rappresentanze” – dal criterio di designazione dei membri del Sinodo stesso, i quali devono essere indicati non in modo generico ma per la loro “conoscenza teorica e pratica della materia” (cfr. AS IX); elemento che verrà ripreso nei vari Ordines richiedendo espressamente “competenza” sugli argomenti trattati, fino a giustificare anche la sostituzione di titolari di Diritto (come avviene per i Gerarchi orientali – cfr. Art. 5 §1,1°a/2006).
- Significativo in termini di progressiva messa a fuoco dell’identità del Sinodo è il Can. 348 che recepisce l’istituzione, già avvenuta per via regolamentare nell’Ordo Synodi dell’anno 1971, della “Segreteria generale”. Come già indicato, la costituzione di questo Organismo stabile – per quanto non-originaria – costituisce oggi uno dei “pilastri” del Sinodo stesso poiché gli conferisce quel minimo di stabilità e consistenza istituzionale necessarie per farne davvero un “quid” – e non solo un “quomodo” – all’interno della struttura stessa della Chiesa. La cosa è tanto più comprensibile in rapporto all’Istituto giuridico del Concilio: anch’esso, infatti, costituisce un sostanziale “evento”, un’attività… ma posta in essere da un “soggetto” stabile e permanente qual è il Collegio dei Vescovi che nel Concilio trova una delle sue possibili forme di espressione ed attività (cfr. Can. 337 §1). Per il Sinodo, invece, tale “soggetto” stabile e permanente non esiste e proprio la Segreteria generale pare costituire l’unico strumento per “fissare” in qualche modo stabilità e consistenza del Sinodo stesso. La questione non si pone, invece, per il Sinodo diocesano che, coinvolgendo Presbiteri e fedeli, costituisce un evento dell’intera Chiesa particolare, che sempre esiste come soggetto (cfr. Can. 460); il Sinodo dei Vescovi, invece, è qualificato da Paolo VI come “Istituzione ecclesiastica centrale” (AS I,b) e quindi priva di un proprio “soggetto” autonomamente esistente.
- Marginali risultano le “integrazioni” del Can. 344, 6° sulle spettanze – comunque generali – del romano Pontefice circa conclusione, trasferimento, sospensione, scioglimento del Sinodo, del tutto standardizzate rispetto a quelle del Concilio (cfr. Cann. 338 e 340).
- L’elemento “innovativo”, tuttavia, di maggior rilievo costitutivo (e forse anche identitario) è quello “introdotto” dal Can. 346 che, per ben due volte, fissa la composizione del Sinodo esigendo – solo – una “maggioranza di Vescovi” tra i suoi membri effettivi. Nessun rimando viene effettuato, invece, al punto “X” della AS che in materia di composizione del Sinodo prevedeva una quota «fino al 15% del numero dei membri» a disposizione del romano Pontefice per inserire «sia Vescovi, sia membri religiosi che rappresentano gli Istituti religiosi, sia infine degli esperti ecclesiastici». La tensione col Can. 342 – che definisce il Sinodo un’assemblea “di Vescovi” – è palese poiché sarebbe possibile a tenore del Can. 346 che i Vescovi fossero solo la maggioranza (assoluta), che significa: poco più della metà, mentre il resto sarebbero comunque “ecclesiastici”, cioè – di fatto – “Presbiteri”. Di “tensione” si tratta e non di “contraddizione” poiché la definizione del Can. 342, pur “qualitativa” non esprime però elementi “quantitativi”… e la maggioranza di Vescovi salva il principio. L’elemento tuttavia, almeno in linea teorica, appare effettivamente “evolutivo” della Normativa costitutiva del Sinodo, rimandando anche alla necessaria analisi dell’utilizzo concretamente effettuato negli anni da parte del romano Pontefice di tale “margine di manovra”; chi, cioè, abbia via via chiamato ad esserne membro. Si permetta di segnalare (come già anticipato) che questo elemento identitario è in evidente difformità rispetto alle affermazioni dello stesso Giovanni Paolo II in tema di “collegialità episcopale”: una difformità tra Legge e allocuzioni.
3. Le disposizioni attuative/regolamentari
3.1 Premessa
Come ogni Istituzione che al momento costitutivo riceva soltanto il proprio “Statutum” (non importa se per Legge o in altro modo), così anche il Sinodo dei Vescovi ha dovuto successivamente essere oggetto d’interessamento ed intervento normativo regolamentare in modo da poter disporre utilmente delle modalità operative necessarie per dar vita concreta a quanto la Legge aveva semplicemente “creato”. Proprio in tale prospettiva, sono stati quattro gli interventi regolamentari (= Ordines) che hanno progressivamente dato vita alle Assemblee in cui il Sinodo si realizza: tre interventi nell’arco dei primi 5 anni di attività (1966; 1969; 1971), cui si aggiunge – dopo successivi 35 anni e la promulgazione del CIC e del CCEO – quello del 2006 oggi vigente. Interventi regolamentari effettuati da parte di due Organismi “esterni” al Sinodo stesso, quali sono – all’inizio e alla fine – la Segreteria di Stato (anni 1967 e 2006) e – nelle tappe intermedie – il Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa (anni 1969 e 1971), oggi non più presente (come riscontrabile nella Pastor Bonus).
Pochi, a ben vedere, e piuttosto concentrati gli interventi veramente modificatori, mentre sia la struttura del documento che lo stesso testo latino non hanno subito sostanziali interventi in nessuna delle stesure: semplicemente si è proceduto ad “integrare” nuovi Istituti o nuove “figure”; per il resto si tratta quasi sempre di semplice vocabolario o migliore sintassi.
Ciò permette così di prendere atto della sostanziale adeguatezza già del testo originario che lungo gli anni fu semplicemente integrato soprattutto con la costituzione della Segreteria generale permanente (nel 1971) e dal 2006 con una parziale revisione delle modalità di lavoro delle Assemblee sinodali e l’introduzione del Relatore generale. Nel 2006 furono anche rese pubbliche le modalità di lavoro nei c.d. Circoli minori già attive dall’anno 1969, oltre ad una revisione delle categorie – non solo linguistiche – riguardanti le Chiese cattoliche orientali, adeguate a quanto fissato nel CCEO del 1990 (v. infra).
In modo sommario, le principali modifiche si presentano nei seguenti termini:
- nel 1969 furono inseriti la seconda parte dell’Art. 8 che regolava il funzionamento delle Commissioni di studio e l’Art. 9, completamente nuovo, per la loro costituzione; inserito anche l’Art. 14 §3 che prevedeva gli “aiutanti” del Segretario speciale e l’Art. 15 §2 sulla funzione del Segretario speciale stesso. La prima revisione dell’Ordo Synodi vide anche l’aggiunta dell’Art. 16 circa le informazioni “ufficiali” sui lavori del Sinodo, premesso al già esistente Art. 20 sul segreto dei lavori stessi, comunque mantenuto fino ad oggi. A livello di principio, è nuovo anche l’Art. 17 §4 sulla morte del Papa durante il Sinodo. Significativi il nuovo Art. 34 che introduceva i c.d. “Gruppi/Cœtus minori” (divenuti più avanti “Circoli minori”) ed il nuovo Art. 39 sull’esame dei “modi” apposti ai “placet” condizionati.
- Nel 1971 fu effettuato un intervento strutturale con la sostituzione degli Artt. 11 e 12 riguardanti, in precedenza, il Segretario generale con quelli istitutivi della Segreteria generale che lo stesso Segretario generale presiede. Una modifica non sostanziale ma significativa sulla designazione dei membri del Sinodo riguardò l’Art. 6, integrato con la previsione di designazione di sostituto di un membro assente. Anche l’Art. 13 fu completamente sostituito per indicare le funzioni del Consiglio di Segreteria del Sinodo.
- Nel 2006, dopo la promulgazione del CIC e del CCEO, sono stati introdotti vari elementi di sostanziale armonizzazione dell’Ordo alle “nuove” disposizioni di Legge universale ma, soprattutto, alcuni elementi del tutto innovativi non previsti a livello legislativo. Da segnalare in particolare il nuovo Art. 7 su “altri partecipanti” oltre ai membri del Sinodo già normati; il §3 dell’Art. 8 che prevede la possibile redazione di “un messaggio o altro documento” da pubblicare. Di grande significato all’Art. 12 l’introduzione di una nuova “figura” tra i protagonisti del Sinodo: il “Relatore generale” (gli Artt. 14 e 15 integreranno tale figura con l’attribuzione dei ruoli e compiti specifici); innovativa all’Art. 23 §4 la previsione delle “Proposizioni” quale forma ordinaria di espressione del Sinodo e dei suoi lavori; nuova anche (all’Art. 32) la “Relazione conclusiva”, così come (all’Art. 34 §§4-5) la previsione di una possibile “libera discussione tra i Padri sinodali”.
3.2 Le prime disposizioni operative (Ordo 1966)
L’Ordo Synodi approntato in vista della celebrazione della prima Assemblea nell’autunno del 1967 conteneva già una struttura chiara e funzionale dell’attività sinodale da intraprendersi. Composto di 37 Articoli (contro gli attuali 41) ha costituito il testo di riferimento stabile per tutta l’attività sinodale dei successivi cinquant’anni, fornendo anche il testo di base fino al 2006; un testo che ha subìto solo l’aggiunta di 4 Articoli e la sostituzione di 2, oltre a qualche modifica di minore portata contenutistica. La maggior parte di quanto integrato in seguito risalta maggiormente come precisazione e cautela che come impostazione vera e propria, presentandosi spesso come sottintesa nel suo implicito rimando a Norme canoniche già esistenti, p.es., a riguardo del Concilio ecumenico. Con evidenza l’appena cessata attività conciliare aveva ormai esplicitato gli elementi funzionali irrinunciabili per realizzare un’efficace attività assembleare. Ragionevolmente non pare si potesse prevedere di meglio senza alcuna esperienza dell’evento come tale.
Non potendosi esaminare in questa sede l’intero contenuto dispositivo, ci si accontenti di evidenziarne la struttura di base; anche perché si tratta sostanzialmente della stessa giunta ad oggi.
La regolamentazione operativa del Sinodo si articola in tre Parti: 1) l’Autorità suprema e le persone che fanno parte del Sinodo dei Vescovi, 2) le Norme generali, 3) la Procedura; ciascuna parte è suddivisa in Capitoli (8; 10; 5) i quali, a loro volta, contengono almeno un Articolo, spesso suddiviso in paragrafi e successivi numeri interni ai paragrafi stessi. Praticamente nulla è stato cambiato negli anni rispetto a tale impostazione, ad eccezione del Cap. VII della I Parte non più dedicato al “Segretario” generale ma alla “Segreteria” generale, cui lo stesso presiede; per il resto – più o meno artificiosamente – tutto è rimasto al proprio posto, avendo spesso giocato sullo scambio tra Articoli e loro paragrafi, così che la distribuzione e numerazione restasse invariata.
Unico elemento non originariamente previsto era il Cap. IX della I Parte riguardante la “diffusione delle informazioni sul Sinodo”, che fu inserito nella prima revisione, tre anni dopo. Il fatto non è solo “significativo” ma addirittura “evolutivo”, soprattutto se si tiene presente che all’inizio il Sinodo appariva come un hortus conclusus, vincolato dal segreto (previsto allora all’Art. 18, oggi 20), mentre soprattutto negli ultimi decenni, contenuti e dinamiche sinodali sono divenuti sempre più oggetto di pubblico interessamento favorendo anche “scambi” e “rimbalzi” tra Padri sinodali mass media ed opinione pubblica – sia ecclesiale che non – (come nelle recenti Assemblee sulla famiglia).
Tra gli elementi di maggior rilievo strutturale se ne possono evidenziare due di particolare significato e valore: 1) la previsione originaria del “Presidente delegato”, 2) la “perpetuità” del Segretario.
- Che un Organismo nato per essere di aiuto “personale” al romano Pontefice, collaborando espressamente col “suo” peculiare ministero pro Ecclesia universa sia previsto ab origine come non presieduto dal Papa stesso ma da un delegato, desta qualche perplessità sotto il profilo non tanto giuridico ma “fondativo”; tanto più che la “delega” nella Chiesa è quasi sempre possibile e l’esperienza pontificia ne è sempre stata ricchissima. Cosa significa – più che cosa comporta (in realtà quasi nulla) – una tale previsione operativa? Cosa esprime ciò, rispetto alla – allora recentissima – esperienza conciliare? Si tratta di “raccogliere informazioni” (come farebbe qualunque “organismo”) oppure di “ragionare insieme”, come in un effettivo “incontro”? Vari Sinodi, per di più, hanno avuto più Presidenti delegati.
- Al di là della – non si sa quanto possibile – corrispondenza tra “perpetuità” e “generalità” del Segretario del Sinodo, tale previsione risulta di una certa ambiguità soprattutto per il fatto che nulla si dispone sulla “durata” specifica dell’Ufficio di Segretario generale. Per quanto possa risultare comprensibile la volontà di dare corpo alla statuizione di AS I,c che voleva il Sinodo come Istituzione “perpetua”, non di meno non pare congruo dal punto di vista giuridico realizzare tale caratteristica “istituzionale” attraverso un incarico espressamente “personale” (oltre che indeterminato). Si tenga presente in merito che nel 1971 Paolo VI provvederà istituendo in forma stabile la “Segreteria generale” del Sinodo stesso. Va comunque segnalata in merito una primitiva menzione degli “uffici di segreteria” al §2 dell’Art. 11 (che diventerà Art. 12 §3 nel 1971) a sottintendere che una “Segreteria” (per quanto non formalizzata) esisteva di fatto sin dall’inizio, non potendosi pensare che il Segretario svolgesse da solo la propria attività; essa tuttavia si configurava come strumentale al Segretario e non al Sinodo come tale, come avverrà dal 1971.
- Vesti (Art. 16), precedenze (Art. 17), residenza e rendite beneficiali connesse (Art. 26), hanno il “sapore” di un contesto ecclesiale ben diverso dall’attuale; non di meno tali Norme non sono state abolite nell’Ordo vigente, per quanto ragionevolmente rimodulate.
3.3 Le prime modifiche operative (Ordo 1969)
Dopo la celebrazione della prima Assemblea del Sinodo arrivarono da parte dei Padri sinodali e di molte Conferenze episcopali varie richieste di revisione del Regolamento per lo svolgimento dei lavori, con proposte numerose e divergenti. Il 16 settembre 1968 fu istituita un’apposita Commissione incaricata di tale revisione, il cui lavoro portò alla pubblicazione (il 24 giugno 1969) del Regolamento aggiornato: con un certo numero di cambiamenti riguardo all’Ordo originario; cambiamenti espressi in massima parte dall’introduzione di 4 nuovi Articoli: il 9, il 16, il 34 e il 39, coi quali si “completava” l’impianto operativo generale (che, ancor oggi, si compone di 41 Articoli).
- L’Art. 1 fu integrato nel suo n. 7 prevedendo anche, prima delle “decisioni in merito ai pareri espressi” dal Sinodo, il suo trasferimento, la sospensione o lo scioglimento: elementi del tutto secondari viste le stesse spettanze pontificie già per il Concilio ecumenico.
- L’Art. 8, che inizialmente prevedeva soltanto l’eventuale costituzione di “Commissioni di studio” qualora l’argomento sinodale avesse richiesto approfondimenti, fu reso più articolato con l’introduzione di due nuove Norme: §1, 2° e §2 (ancor oggi sostanzialmente vigenti). La prima indica il compito puramente redazionale ed esplicativo dell’intervento delle Commissioni a riguardo – intuitivamente – del materiale preparatorio; la seconda fissa a 12 i membri di tali Commissioni: 8 scelti dall’Assemblea e 4 di nomina pontificia; il fatto che vengano definiti “esperti in materia” nulla dice rispetto alla loro eventuale appartenenza ai già membri del Sinodo stesso.
- L’Art. 9, completamente nuovo, risponde alla necessità tecnica – sorta dal §2 dell’Art. 8 rivisto – di stabilire la modalità per la costituzione degli 8 membri di ciascuna Commissione indicati dal Sinodo. Il n. 3° dell’Art. 9 risolve anche il dubbio sulla provenienza di tali “esperti in materia”: si tratta di membri del Sinodo stesso. I nn. 4° e 5° specificano elementi di funzionamento delle Commissioni.
- L’Art. 14 (ex 13 dell’Ordo del 1967) viene arricchito con l’inserimento del nuovo §3 col quale si prevede che al Segretario speciale della singola Assemblea sinodale (o di singoli “argomenti” da trattare in Sinodo) vengano affiancati degli “aiutanti” di nomina pontificia, sul numero dei quali nulla è detto; semplicemente si utilizza un plurale in riferimento al singolare del Segretario speciale. L’introduzione non riveste particolare importanza al di là di testimoniare, eventualmente, la crescente presa di coscienza dell’ampiezza ed importanza delle funzioni di tali ruoli.
- L’Art. 15 viene arricchito del §2 in cui si amplia la funzione del Segretario speciale prevedendo che egli – oltre ad “offrire spiegazioni e notizie a quanti lo richiedessero” (Art. 14 originario, Art. 15 §1 rivisto) – possa anche essere richiesto da ciascun Padre di “spiegazioni e informazioni” insieme al Relatore. Da notare che tale figura del “Relatore” non risultava ancora presente a livello normativo e compare qui per la prima volta senza che nulla se ne fosse mai specificato in precedenza, né se ne specifichi in questa sede. Sarà, invece, l’Ordo del 2006 a regolamentare in modo specifico tale figura. È questo un esempio chiaro di come la “prassi” tenda ad organizzare le attività concrete anche al di fuori delle previsioni normative dirette, sia legislative che regolamentari.
- L’Art. 16 sulle informazioni “ufficiali” circa i lavori del Sinodo è una novità non solo dispositiva ma prima di tutto strutturale; tale Articolo, infatti, costituisce la Norma unica di un nuovo Capitolo inserito alla fine della I Parte dell’Ordo, col titolo: “Diffusione delle informazioni sul Sinodo”. Sarà questa l’unica modifica strutturale delle Norme operative sinodali. All’importanza più concettuale che operativa di tale inserzione si è già accennato; la coscienza circa l’identità del Sinodo e la sua portata “ecclesiale”, oltre che “pontificia”, pare ormai assodata… comunque venga poi gestita. In proposito, non pare potersi sottovalutare neppure una portata “soggettuale” di tale inserimento normativo: chi “parla” esprime soggettività (= è “qualcuno”); in tal modo il Sinodo non risulta più soltanto un “modo” di lavorare ma “prende corpo” nel senso proprio dell’espressione… assume soggettività.
Dal punto di vista operativo i 4 paragrafi dell’Articolo offrono un quadro che rimarrà sostanzialmente immutato fino ad oggi, per quanto nel vistoso successivo cambio delle strutture della Santa Sede in materia di comunicazioni sociali. Si prevede, comunque, che singoli Padri sinodali – specificamente designati – “facciano conferenze stampa coi giornalisti”.
- L’Art. 17 in tema di convocazione del Sinodo viene integrato con l’aggiunta del §4 che statuisce la sospensione del Sinodo in caso di morte del Papa durante il Sinodo stesso: Norma di completamento tecnico-tematico di nessuna reale importanza.
- L’Art. 20 sull’obbligo di osservare il segreto circa tutto quanto concerne il Sinodo: argomenti, documenti, persone, posizioni, votazioni, ecc. viene semplicemente integrato col rimando, iniziale, al nuovo Art. 16 sulle informazioni ufficiali.
- L’Art. 34 è uno di quelli nuovi sorti, con ogni probabilità, dall’esperienza della prima Assemblea sinodale; in esso si prevede la possibilità d’introdurre c.d. “Assemblee minori” (oggi “Circoli”) su base linguistica al fine di “promuovere la discussione dell’argomento”. Indirettamente la nuova Norma “crea” anche la “Congregazione generale” quale sede in cui convergano le presentazioni dei lavori delle Assemblee minori. L’attenzione che il nuovo Art. 34 accorda alla componente linguistica travalica di fatto quanto stabilito dall’Art. 21 circa l’uso della lingua latina nei lavori dell’Assemblea (a questo punto solo la Congregazione generale) ponendo in evidenza che la qualità del confronto sinodale non può trovare un ragionevole ostacolo di effettiva partecipazione nella difficoltà della lingua. La questione rileva tanto maggiormente quanto più le tematiche sinodali si allontanino dall’ambito – e connesso linguaggio standardizzato – teologico tradizionale per trattare di un’attualità a volte difficilmente esprimibile anche solo a livello linguistico.
- L’Art. 39, nuovo, disciplina l’esame dei “modi” apposti dai Padri sinodali ai “placet” condizionati (= placet iuxta modum) espressi nelle votazioni previste all’Art. 25 §2. La Norma prevede la raccolta, organizzazione, stampa e ridistribuzione dei vari “modi” espressi dai Padri sinodali a sostanziale integrazione delle discussioni in assemblea; anche tali apporti saranno vagliati dall’assemblea che potrà semplicemente approvarli – integrandoli così ai testi già approvati – o scartarli definitivamente.
3.4 L’assetto operativo stabilizzato (Ordo 1971)
Gli apporti specifici della revisione dell’Ordo Synodi del 1971 sono soltanto due: uno funzionale ed uno strutturale, a testimonianza del buon lavoro già effettuato e della validità delle Norme predisposte che, in quell’occasione, non vennero neppure ri-pubblicate ma solo “integrate”.
- L’intervento funzionale riguarda l’aggiunta del §4 all’Art. 6 in tema di membri del Sinodo: l’integrazione prevede la designazione, sia per le Conferenze episcopali sia per l’Unione dei superiori generali, di un membro “sostituto” che possa “fare le veci” di uno dei membri designati per il quale sia intervenuto un impedimento alla partecipazione.
- Di radicale importanza, invece, fu la sostituzione dei precedenti Artt. 11 e 12 riguardanti il Segretario generale con quelli (ancor oggi vigenti) che istituivano la “Segreteria generale” del Sinodo, formata dal Segretario generale (figura già presente) e dal nuovo “Consiglio di Segreteria” (Art. 11 §2). L’intervento novatorio ebbe incidenza strutturale poiché mutò anche il titolo del Cap. VII della I Parte dell’Ordo, che non riguardò più “il Segretario perpetuo o generale” ma “la Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi”. In tal modo si poneva rimedio al problema – già illustrato – dell’inadeguata stabilità temporale del Segretario “perpetuo” dell’originario Art. 10. Erigendo la Segreteria generale come “Istituzione permanente a servizio del Sinodo” giungeva finalmente a maturità istituzionale la volontà costitutiva di Paolo VI di creare il Sinodo come realtà “perpetua per sua natura” (AS I,c), per quanto “svolgente i suoi compiti in modo temporaneo ed occasionale, quanto alla sua struttura” (AS I,d). L’istituzione di un “Consiglio di Segreteria” accanto al Segretario – ora “generale” e non più “perpetuo”! – conferiva anche al Sinodo dei Vescovi la struttura tipica di molte altre “Istituzioni ecclesiastiche centrali”, come stabiliva AS I,a nel qualificare il Sinodo stesso. Funzione specifica assegnata alla Segreteria generale è la realizzazione di “un collegamento tra le diverse Assemblee” del Sinodo come tale.
Il nuovo assetto dispositivo trasferisce all’Art. 12 gli stessi precedenti compiti e ruoli del Segretario generale, cui si aggiunge il nuovo §4 che attribuisce al Segretario generale l’operatività e direzione del Consiglio di Segreteria. Anche il contenuto del precedente Art. 13 sugli “Aiutanti” (e “Periti”) del Segretario generale viene trasferito ai §§6-8 dell’Art. 12, lasciando così spazio ad una completa riscrittura di un nuovo Art. 13 che dispone ora sulla “Costituzione, compiti e riunioni del Consiglio della Segreteria generale” appena creata.
- Di grande significato risulta il nuovo Art. 13 in riferimento ad un nuovo organo del Sinodo: il “Consiglio della Segreteria generale”, che viene costituito alla fine di ogni Assemblea generale del Sinodo stesso (§1). Tale Consiglio si compone di 15 membri, 12 dei quali (tecnicamente) “eletti” dal Sinodo stesso (in chiave di richiesta “rappresentatività” mondiale) e 3 di nomina pontificia diretta (§2); a loro proposito il §3 nulla dice riguardo alla ratifica pontificia degli “eletti” (è l’unica indicazione di persone nel Sinodo che non richieda tale intervento); allo stesso modo il §4 dà per scontato che tutti tali membri siano “Vescovi”. Proprio il §4 lascia poi intendere che l’appartenenza al Consiglio di Segreteria non dipenda da alcuna specifica “missio canonica” di tali Vescovi, rendendo tale funzione ecclesiale indipendente dall’eventuale cessazione del ministero diocesano (come accade ai Vescovi emeriti).
I §§ 5 e 6 indicano compiti ed attività del Consiglio stesso, sostanzialmente volti ad “aiutare il Segretario generale” nel proprio compito che, tuttavia, i nn. 1 e 3 del §5 ampliano aggiungendo: a) l’esame delle proposte dell’Episcopato per quanto riguarda gli argomenti da trattare nel Sinodo (nonostante ciò venga determinato solo dal romano Pontefice), b) dare consiglio, affinché le proposte del Sinodo, dopo l’approvazione pontificia, siano tradotte in pratica. La novità non è di poco conto poiché, per quanto in termini molto tenui, conferisce di fatto al Consiglio di Segreteria una doppia funzione – programmatica e, più ancora, esecutiva – fino ad allora del tutto assenti, e successivamente non recepite dal CIC, per quanto non espressamente escluse. In tal modo la Segreteria generale del Sinodo assume funzioni e finalità che sembrano andare ben oltre le pure funzioni di coordinamento e servizio tipiche delle Segreterie, contribuendo così a rafforzare l’idea e soprattutto la struttura e funzione di “Istituzione ecclesiastica centrale” con cui Paolo VI aveva indicato l’identità del Sinodo.
3.5 Le disposizioni attuative vigenti (Ordo 2006)
Una delle maggiori evidenze della redazione dell’anno 2006 (quella oggi vigente) è l’armonizzazione sia normativa che stilistica tanto alle disposizioni che al linguaggio dei due Codici di Diritto canonico promulgati nel 1983 e nel 1990: si segnala in particolare la specifica attenzione prestata al CCEO, sia nel definire (ampliandoli) i partecipanti orientali al Sinodo, sia a livello linguistico, principalmente con la sostituzione della formula “sommo Pontefice” con “romano Pontefice” (utilizzando l’indicazione “locale” anziché quella “qualitativa”, generalmente problematica in campo ecumenico). Qualche ritocco puramente stilistico riguarda anche alcune formulazioni testuali (pronomi e verbi) che in gran parte, però, rimangono invariate nella loro sostanza.
- L’Art. 1, circa il ruolo e le funzioni del romano Pontefice, viene diviso in due paragrafi ed integrato con vari elementi che intendono recepire quanto stabilito nel CIC del 1983. Nelle righe iniziali del §1 s’introduce espressamente la “soggezione diretta del Sinodo all’autorità del romano Pontefice” (cfr. Can. 344); al n. 8° del §1 viene integrata la ratifica pontificia delle delibere sinodali in caso di conferimento di tale potestà (cfr. Can. 343); allo stesso modo il nuovo §2 recepisce dal CIC le eventualità meramente tecniche connesse alla sede vacante o impedita (cfr. Can. 347 §2); così al §1, 9° si esplicita anche la “conclusione” del Sinodo tra le attività proprie del Papa.
Al §1, 2° si fa un interessante riferimento ad un “tempo opportuno” prima del Sinodo per stabilire le questioni da trattare in esso: un’attenzione che permette di confermare una tendenza alla stabilizzazione del Sinodo e delle proprie attività nella vita e dinamica ecclesiale. In tal modo pare confermarsi la tendenza a compensare un certo senso di mera occasionalità che ne accompagna l’attività fin dall’inizio.
- L’Art. 4 recepisce dal CIC (cfr. Can. 345) la bipartizione delle Assemblee sinodali in generali (ordinarie e straordinarie) e speciali; un cambiamento che si ripercuote dal punto di vista testuale su vari altri Articoli, pur senza nulla cambiare nella sostanza delle disposizioni già formulate in precedenza.
- Fortemente rimaneggiato, non solo dal punto di vista lessicale, l’Art. 5 sui partecipanti alle Assemblee generali del Sinodo, con un’integrazione che amplia in modo significativo la presenza di membri dalle Chiese orientali (cfr. CCEO, Can. 46 §2).
La nuova Norma per l’Assemblea generale ordinaria (§1), infatti, comprende tutti i Preposti alle Chiese sui Iuris (senza più la differenza tra dentro e fuori il Patriarcato) ma soprattutto estende la partecipazione a Vescovi orientali designati con criteri simili a quelli delle Conferenze episcopali latine, per quanto in numeri ridotti, prendendo a riferimento per la loro designazione i Sinodi dei Vescovi o i Consigli dei Gerarchi delle Chiese orientali. Ulteriore elemento di novità è la previsione che i Preposti alle singole Chiese sui Iuris possano inviare – ovviamente al loro posto (= aut) – un “Episcopus peritus” nella materia da trattare nel Sinodo (§1, 1°a); cosa che dovrà realizzarsi col consenso degli Organismi sovraepiscopali di pertinenza. Tale possibile sostituzione merita particolare attenzione poiché coerente (di fatto replicativa) a quanto già previsto all’Art. 6 §1, 5° del 1967 (oggi §1, 6°) quando affermava: “summopere ratio habenda est” affinché i Vescovi inviati dalle Conferenze episcopali abbiano “cognitionem, ad theoriam et praxim” rispetto alla materia da trattare nel Sinodo. Richieste specifiche che sottolineano la funzione essenzialmente “cognitiva” e non di governo ecclesiale del Sinodo stesso, contribuendo a smorzarne la prospettiva maggiormente “collegiale”, propria del Concilio. Il fattore risulta tanto più evidente in una Norma che – almeno di fatto – mostra di preferire la competenza rispetto al ruolo ecclesiale, e ciò proprio nelle Chiese orientali dove, da una parte il ruolo ecclesiale ha un risalto non solo giuridico, e dall’altra il ridotto numero di Vescovi potrebbe effettivamente porre il dilemma tra ruolo e competenza.
Nulla di sostanzialmente nuovo per i Vescovi latini, mentre muta il riferimento ai membri provenienti dalla Curia Romana che non sono più i “Cardinali preposti ai Dicasteri” (come dall’origine) ma i “Preposti ai Dicasteri”, aprendo così la partecipazione “di Diritto” anche agli Arcivescovi Presidenti di Pontifici Consigli e, potenzialmente, non solo ad essi.
Anche il §2 per le Assemblee generali straordinarie rimodula la presenza dei Vescovi orientali indicando tutti i Preposti alle singole Chiese sui Iuris e prevedendo – novità – un loro sostituto in caso di impedimento. Tale sostituto, non di meno, è previsto nella persona del primo dei vice-Presidenti anche per i Presidenti delle Conferenze episcopali latine e gli altri gruppi di Vescovi delle Nazioni in cui non esista una propria Conferenza episcopale.
Il §3 per i Sinodi speciali rimodula le integrazioni summenzionate, adattandole a quanto già previsto per tal genere di Assemblee.
Il §4, circa i membri di espressa nomina pontificia, viene sostanzialmente riscritto integrando il testo della previsione di AS X, anziché operare un semplice rimando ad essa, come nelle precedenti versioni dell’Ordo Synodi.
- L’Art. 6, in materia di designazione dei membri del Sinodo da parte degli Organismi sovraepiscopali sia latini che orientali, subisce una revisione complessa.
Dal punto di vista sostanzialmente formale si recepisce, p.es., il cambio di Canone di riferimento per le elezioni canoniche (il Can. 119 CIC-83 anziché il Can. 101 CIC-17), si esprime pure in modo più discorsivo e preciso il calcolo dei membri da designare in base al numero di membri dell’Organismo designante. Formale ma non insignificante la sostituzione (al §1, 3°) di “partes agunt” con “repræsentans”, termine meno intenso per indicare il rapporto tra i designati al Sinodo e gli Organismi che li hanno espressi. Si noti – come già espresso in precedenza – che non si tratta tecnicamente di elezioni ma di designazioni che attendono poi espressa e formale “ratifica” pontificia. Formale, invece, è l’integrazione del n. 7° del §1 che inserisce i Preposti alle Chiese orientali a fianco dei Presidenti delle Conferenze episcopali quanto all’obbligo di comunicare attraverso i Legati pontifici i nominativi dei membri a vario titolo designati (una precisazione per completezza ma giuridicamente non necessaria). Poco più che formale anche l’inserimento al §4 dei Consigli dei Gerarchi delle Chiese orientali a fianco dei Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali e arcivescovili maggiori.
Formale risulta anche l’inserimento del nuovo §5 che in realtà trascrive il precedente Art. 7 sulla verifica della rappresentanza dei membri non nominati dal romano Pontifice. L’anticipo redazionale di tale Norma costituisce un espediente tecnico per “guadagnare” un numero (l’Art. 7, appunto) da dedicare all’inserimento di nuove Norme (v. infra).
Tra le modifiche sostanziali dell’Articolo si colloca il n. 5° del §1 a riguardo delle Chiese orientali: in esso, come già indicato, si introducono nuovi membri tra i Padri sinodali orientali applicando un sistema proporzionale simile a quello delle Conferenze episcopali latine, seppure con numeri inferiori.
Non meramente formale risulta, invece, l’anticipo da due a cinque mesi del termine di comunicazione alla Segreteria generale dei nominativi dei membri designati da parte di ciascun Organismo sovraepiscopale. La stessa Norma viene introdotta al §2, 3° per i designati da parte dell’Unione dei Superiori generali.
- L’Art. 7 introduce un elemento del tutto innovativo, non previsto a livello legislativo: la presenza al Sinodo di “altri partecipanti” oltre ai membri in senso proprio. Si tratta di tre nuove categorie di “partecipanti” (che non sono “membri” e quindi non votano, né avrebbero diritto di parola): 1) Uditori che si potrebbero definire “tecnici”, 2) altri Uditori, 3) Delegati fraterni.
Il primo gruppo di “Uditori” è costituito di collaboratori del Segretario speciale introdotti per aiutarlo nella redazione sia della “Relatio post disceptationem” che delle “Propositiones Synodi” o di altri documenti sinodali che eventualmente si rendessero necessari o utili. Di tutt’altra specie risultano invece coloro che semplicemente presenziano ai lavori del Sinodo come Uditori e circa i quali nulla si stabilisce.
Presenza certamente significativa, oltre che innovativa, è quella dei “Delegati fraterni” da parte di altre Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica le quali possono essere interessate alla trattazione delle tematiche oggetto del Sinodo. Nulla di nuovo rispetto a quanto già attuato a suo tempo durante il Concilio Vaticano II con la presenza di “osservatori acattolici”. La loro partecipazione non prevede, a livello normativo, diritto di parola. Anche questa nuova “presenza” pare confermare la già sollecitata crescente “soggettivizzazione” del Sinodo, che in tal modo assume sempre più una dimensione “ecclesiale” (ed inter-ecclesiale) che ne fa qualcosa di diverso da un mero “strumento di aiuto” al ministero petrino.
Elemento degno di nota in questa nuova Norma è la comparsa – in obliquo – di due nuovi “strumenti” dell’attività sinodale: la “Relatio post disceptationem” e le “Propositiones Synodi” di cui nessuna menzione era mai stata fatta in precedenza a livello normativo. D’altra parte la prassi aveva già dato corpo a tali strumenti ai quali la Normativa doveva ormai provvedere in modo appropriato.
- L’Art. 8 viene integrato con l’aggiunta del §3 che prevede alcune sensibili novità quali: a) la redazione di un “Nuntium” o di altro “Documentum” sinodale da pubblicare in modo ufficiale all’esterno del Sinodo stesso dopo aver avuto l’approvazione da parte dei Padri sinodali; b) la creazione di un’apposita Commissione, strutturata come la precedente (12 membri di cui 8 eletti e 4 nominati), per la loro stesura. La novità appare di grande portata non solo dal punto di vista funzionale ma, più profondamente, per l’identità del Sinodo stesso che, in tal modo, viene – potenzialmente – posto in comunicazione diretta con la Chiesa tutta e non solo col romano Pontefice cui deve prestare il proprio aiuto. Ciò costituisce un ulteriore elemento che contribuisce, dal punto di vista teoretico generale, a “dare corpo” ad una certa “soggettività” del Sinodo (come già l’Art. 16 del 1969 sulle informazioni verso l’esterno).
- L’Art. 9 al n. 2° introduce una nuova figura all’interno delle Commissioni di studio: il “Vicario del Presidente”, di nomina pontificia. Al n. 3° si specifica che, in ogni modo, non possono assumere presidenza (né supplenza) all’interno delle Commissioni di studio non solo il Presidente delegato del Sinodo e il Segretario generale – già esclusi fin dal 1969 – ma neppure il Relatore generale. In realtà più che di una nuova previsione normativa si tratta di un aggiustamento testuale derivante dal fatto che nel 2006 fu istituita formalmente la figura del Relatore generale mentre in precedenza si era già ipotizzato un Relatore ad hoc per qualche specifico argomento da trattare (cfr. Art. 15 §2 del 1969).
Nuova, invece, la previsione del n. 5° che integra il Segretario speciale del Sinodo all’interno delle Commissioni di studio, così da portare il proprio aiuto.
- L’art. 12 al §3 presenta modifiche interessanti a riguardo del Segretario generale del Sinodo il quale, non solo “participat” ma “sodalis est”. Una precisazione significativa, visto che – dal punto di vista strettamente giuridico – i titoli di partecipazione alle attività di qualunque gruppo possono essere anche molto differenti tra loro; in tal senso specificare che il titolo di partecipazione è quello di “membro” non è – sempre – pleonastico.
All’interno della stessa disposizione si formalizza anche una “nuova” funzione propria del Segretario generale: quella di esporre ai partecipanti una “Relazione” circa la preparazione al Sinodo stesso.
Al n. 2° del §3 tra le nomine che il Segretario generale deve comunicare ai membri del Sinodo si aggiungono il “Presidente delegato” ed il “Relatore generale”: due figure ormai istituzionalizzate, per quanto non ancora specificamente definite nella Normativa stessa (almeno nelle disposizioni precedenti quella in parola).
Nuova, ed interessante, al n. 5° dello stesso §3 la disposizione che invita ad evitare il cumulo delle funzioni in capo a pochi membri soltanto.
- L’Art. 13 ha visto una modifica del §4 circa il Consiglio di Segreteria per adeguare la Normativa alle disposizioni del CIC del 1983 che ha ri-denominato le Assemblee sinodali: in tal modo la precedente “Assemblea generale” diventa “generale ordinaria”.
La Norma, tuttavia, introduce un’altra modifica di una certa importanza circa la “durata” di tale Consiglio di Segretaria, esso infatti rimane in carica non più fino alla costituzione del nuovo Consiglio del Sinodo generale (ordinario) successivo, ma fino all’inizio della nuova Assemblea sinodale generale ordinaria. In tal modo durante lo svolgimento dell’Assemblea non è in carica nessun Consiglio di Segreteria, visto che esso viene costitutito alla fine di ciascuna Assemblea.
Il §5 al n. 1° introduce – in obliquo – un significativo ampliamento di coloro che possono proporre argomenti da trattare nel Sinodo, aggiungendo i Dicasteri della Curia Romana e l’Unione dei Superiori maggiori. Pur trattandosi di un sostanziale fattore di equilibrio tra coloro che ordinariamente prendono parte al Sinodo, ciò contribuisce ulteriormente ad ampliare la “portata” dell’attività sinodale, rendendola un po’ meno “episcopale” e più “istituzionale”, non tanto nei “presupposti” veri e propri, quanto invece nella sua funzionalità concreta. Dal punto di vista dogmatico, si tratta di un altro elemento che non suffraga l’interpretabilità in termini “collegiali” del Sinodo stesso.
Nuova al §7 l’istituzione del “Consiglio speciale di Segreteria” per i Sinodi speciali; in tal modo vengono resi funzionalmente simili tutte le strutture delle diverse Assemblee sinodali. La novità “interna” alla nuova disposizione riguarda la durata di tali Consigli speciali di Segreteria, fissata in cinque anni, per quanto prorogabile da parte del romano Pontefice, anche con la eventuale sostituzione di membri. Sotto il profilo dell’evoluzione della Normativa, ma ancor più della “identità” dell’Istituto sinodale anche questa previsione risulta di un certo interesse poiché contribuisce a stabilizzare l’attività sinodale ben oltre la propria sola celebrazione (= l’evento), anche nel caso delle Assemblee speciali. La cosa riveste tanto maggior rilievo in connessione con la previsione dell’Art. 13 §5, 3° di una funzione in qualche modo anche “esecutiva” del Consiglio di Segreteria come tale.
- L’Art. 14 al §1 contiene una delle maggiori novità dell’intero Ordo Synodi del 2006: l’istituzione del “Relatore generale”, nominato direttamente dal romano Pontefice per ciascuna Assemblea sinodale per svolgere un ruolo che appare da subito preminente rispetto al Segretario speciale degli stessi Sinodi. Per quanto a tale figura si fosse già fatto riferimento, spesso indiretto, già dall’Ordo del 1969, è stato solo nel 2006 che essa ha ricevuto adeguata attenzione e, soprattutto, normazione, come merita una delle figure ormai di maggior rilievo dell’intera attività sinodale. Un rilievo acquisito, evidentemente, dalla prassi.
A conferma dell’importanza di tale ruolo risulta anche il fatto che, mentre (secondo il §3) si possono nominare più Segretari speciali in ragione dell’eventuale pluralità di “argomenti” da trattare nel Sinodo, il Relatore generale è uno soltanto per ciascuna Assemblea. Del tutto marginale (poiché ovvia) la disposizione del §5 che fa decadere anche il Relatore generale insieme coi Segretari speciali alla fine di ciascuna Assemblea sinodale.
- L’Art. 15 completa la novità introdotta da quello precedente, specificando le funzioni del Relatore generale e, subordinatamente ad esso, quelle del Segretario speciale (di cui si parla al singolare ma consapevoli che potrebbe trattarsi di più persone in base agli argomenti di loro specifica competenza per i quali potrebbero essere nominati, cfr. Art. 14 §3).
La quantità e, soprattutto, la qualità dei compiti assegnati dal §1 al Relatore generale sono tali da renderlo il vero fulcro dei contenuti dell’Assemblea sinodale; gli sono attribuite infatti le preparazioni dei due maggiori strumenti operativi del Sinodo: la “Relatio ante disceptationem” e la “Relatio post disceptationem”, oltre alla presidenza della preparazione delle “Propositiones” finali e/o di altri “Documenta” del Sinodo stesso.
Il §2 dello stesso Articolo presenta le nuove funzioni del Segretario speciale dell’Assemblea connesse a quelle del Relatore generale; il §3, invece, mantiene sostanzialmente quelle già previste fin dal 1967, pur secondo una rinnovata gerarchia che vede il Relatore generale precedere il Segretario generale del Sinodo stesso.
- L’Art. 16, sulle informazioni da diffondersi a riguardo dei lavori sinodali, ha subito una revisione piuttosto articolata non solo in conseguenza delle intervenute nuove strutturazioni del settore “Comunicazioni sociali” della Santa Sede (s’introduce in modo più chiaro il “Direttore della Sala stampa vaticana”), ma anche manifestando una più profonda consapevolezza dell’importanza di tale attività, tanto che il “Cœtus” fissato nell’Ordo del 1969 viene sostituito da una più solida “Commissione” il cui Presidente e Presidente vicario sono nominati direttamente dal romano Pontefice. Allo stesso tempo aumenta anche da due a cinque il numero di Padri sinodali coinvolti in tale Commissione i quali non vengono più designati direttamente dal Presidente delegato dell’Assemblea sinodale ma da un elenco di candidati proposto dal Presidente della stessa Commissione, per quanto comunque approvati dal Presidente delegato dell’Assemblea. Anche in questo Articolo, viste le attribuzioni del Presidente delegato, emerge come fin dal 1969 fosse sufficientemente chiaro che il Sinodo non sarebbe stato di fatto presieduto dal romano Pontefice.
Al §4 si specifica come la precedente funzione di designazione dei Padri sinodali per tenere conferenze stampa su singoli argomenti del Sinodo sia trasferita dal Presidente delegato del Sinodo al Presidente della Commissione, sempre con l’approvazione del Presidente delegato.
La Seconda Parte dell’Ordo Synodi, intitolata “Norme generali” non ha subito nella redazione del 2006 grandi variazioni, presentando nella maggior parte dei casi mere modifiche lessicali.
- Art. 17 §4: le previsioni del 1969 in caso di morte del romano Pontefice sono state trasferite, per giusta omogeneità tematica, al §2 dell’Art. 1 in tema di sede vacante.
- L’Art. 18, circa l’abbigliamento da utilizzare nelle Assemblee sinodali, è rimasto praticamente invariato avendo soltanto omesso (rispetto al precedente Art. 16 del 1967) la menzione della “lacerna”.
- L’Art. 19 §1, sulle “precedenze”, introduce una modifica puramente formale che rimanda alle prescrizioni e consuetudini vigenti, anziché citare precisi Canoni del CIC-1917.
- L’Art. 21 continua a disporre che la lingua per le Congregazioni generali del Sinodo sia il Latino, ma concede al Presidente delegato di permettere anche l’uso di altre lingue.
- L’Art. 22 §2 costituisce l’unica probabile modifica “restrittiva” introdotta nel 2006: mentre in precedenza s’indicavano “sei mesi” (se possibile) di anticipo rispetto ai lavori dell’Assemblea per l’invio ai Padri sinodali della documentazione, la nuova Norma non specifica alcuna indicazione temporale. Rimane comunque il riferimento al tempo necessario per convocare gli Organismi che debbano esprimersi in merito agli argomenti in trattazione.
Modifica testuale che sarà ripresa anche successivamente è la sostituzione delle “Conferenze episcopali” con gli “Organismi competenti” ad intervenire nel Sinodo attraverso il loro apporto. Tale modifica testuale ricade immediatamente sul titolo del successivo Cap. VII che recepisce il cambio di referenza.
- L’Art. 23 al §1 ha subìto una espansione testuale dovuta alla migliore specifica rispetto al testo originario del 1967 degli intervenienti al Sinodo in qualità di membri: una miglior esposizione dei membri provenienti dalle Chiese orientali, l’aggiunta dei Dicasteri della Curia Romana e l’Unione dei Superiori generali. Una mera variazione testuale si coglie al §2 con l’introduzione di “agendarum”.
Di grande interesse l’aggiunta del §4 circa le modalità di espressione del “consensus” dei Padri sinodali al termine dei lavori dell’Assemblea: si procederà alla votazione (= suffragatio) di “Proposizioni”, o eventuali altri documenti, che verranno poi “trasmessi” al romano Pontefice come “conclusioni del Sinodo” stesso. Risulta innovativa la previsione delle “Proposizioni” (già menzionate all’Art. 7, 1° dell’Ordo del 2006) quale forma ordinaria di espressione del Sinodo e dei suoi lavori. Nuova anche (all’Art. 32) la “Relatio post disceptationem”, così come (all’Art. 34 §§4-5) la previsione di una possibile “libera discussione tra i Padri sinodali”.
Semplificata l’esemplificazione al §3 dei modi di votare a scrutinio palese in aula: si mantiene la sola alzata di mano e cade l’alzarsi in piedi.
- L’Art. 28, attraverso una riformulazione parziale del testo, recepisce la cessazione del sistema beneficiale attuata dai Codici canonici, limitandosi a statuire la Dispensa dall’obbligo di residenza che gli stessi Codici continuano invece a prevedere per i Vescovi/Eparchi diocesani. Circa i “redditi” si rimanda a quelli del “proprio abituale Ufficio”.
La Terza Parte dell’Ordo Synodi, intitolata “Il modo di procedere” ha subito nella redazione del 2006 un certo numero di variazioni, alcune delle quali particolarmente significative, soprattutto in ragione della progressiva importanza assunta dal Relatore generale e dalle due “Relationes” a lui affidate. Soprattutto in rapporto a questi elementi si manifestano le maggiori novità e modifiche. Parzialmente variata risulta anche la divisione e titolazione dei Capitoli.
- L’Art. 31 (come il successivo) è in buona parte nuovo, formando con esso un vero “Capitolo” dedicato alle “Relazioni del Relatore generale”. Interessante del §1 la previsione che la Relatio ante disceptationem debba “precisare i punti sui quali verterà la discussione”: un modo per rimarcare che l’argomento non verrà trattato in toto (con evidenti dispendi di tempi e risorse) ma in modo puntuale, solo su certi aspetti ritenuti di maggiore importanza dal Relatore generale e indirettamente, visto lo stretto rapporto che lo lega al romano Pontefice, dal Papa stesso. Il §2 sull’aiuto che il Segretario speciale deve offrire al Relatore generale non fa che ripetere quanto già affermato più volte in precedenza. Il §3 riprende, invece, praticamente alla lettera quanto già stabilito fin dal 1967 circa il tempo di consegna ai membri del Sinodo del testo della Relatio ante disceptationem: gli stessi 30 giorni.
- L’Art. 32 (nuovo) introduce quella che, probabilmente, è la vera novità del modus procedendi del 2006: la Relatio post disceptationem di cui in precedenza non esisteva traccia alcuna, a differenza della Relazione (iniziale) già prevista dall’Art. 29 del 1967. L’elemento di maggior rilievo in proposito sembra essere il fatto che tale Relatio intervenga “dopo gli interventi dei Padri sinodali” ponendosi come possibile “innesco” di un’ulteriore fase di lavoro sinodale: quella nei Circoli minori. Questi, di per sé erano già stati previsti e regolamentati dal 1969 ma collocati a seguito della Relatio introduttiva e senza nulla specificare rispetto alla discussione assembleare (cfr. Art. 34 dell’Ordo Synodi del 1969). In merito è necessario distinguere tra questa Relazione – di fatto “intermedia” – da parte del Relatore generale e quella prevista sin dal 1967 negli Articoli finali dell’Ordo, a carico del Segretario generale del Sinodo: l’unica che possa in qualche modo essere considerata “Relatio finalis” (v. infra).
- L’Art. 33 presenta un mero mutamento sintattico di nessuna importanza.
- L’Art. 34, dedicato al modo di discutere gli argomenti in Congregazione generale, introduce di fatto solo qualche modifica ai §§1-3, mentre presenta un’ulteriore novità ai §§4-5: una “libera discussione tra i Padri”, previo l’assenso del romano Pontefice.
Al §1, n. 2° cade il rimando espresso alle “precedenze” (introdotto nel 1969) e s’introduce l’ordine delle richieste di intervenire. Al n. 3° dello stesso paragrafo si indica di fatto l’ordine da rispettare: Organismi sovraepiscopali orientali (nominati sempre per primi) e Conferenze episcopali latine, per quanto riguarda i loro porta-voce (il testo usa “repræsentant”, ma è ormai chiaro che non si tratta di “rappresentanti” strictu sensu). Su ciascuna questione può parlare una sola persona.
Al §3, n. 1° è stata aggiunta una precisazione circa la sorte delle “animadversiones” scritte consegnate alla Segreteria generale anche senza essere state illustrate in Congregazione generale: devono essere esaminate e prese in considerazione allo stesso modo degli interventi orali.
Il §4 (del tutto nuovo) introduce una possibile attività sinodale fino ad allora non prevista: una “discussione libera” tra i Padri, autorizzata dal romano Pontefice e gestita dal Segretario generale d’intesa col Presidente delegato del Sinodo. Circa tale possibilità il §5 dispone in merito al suo termine, affidato solo parzialmente al Presidente delegato poiché ad esso compete soltanto di proporre di terminare la discussione, una proposta che va però votata (ed approvata) dall’assemblea, la quale potrebbe anche voler continuare a discutere.
- L’Art. 35 ripropone con piccole integrazioni poco più che formali quanto già previsto dall’Art. 34 dell’Ordo del 1969 sui “Circoli minori”, chiamati in precedenza “Gruppi/Cœtus”. Due gli elementi di novità, oltre la denominazione: la previsione di un Relatore (oltre a quella già presente del Moderatore) che a nome del Circolo riferisca poi in Congregazione generale, il riferimento ad uno specifico “Modus procedendi” (allegato all’Ordo stesso) per guidare l’attività dei Circoli minori. Circa il Modus procedendi, risulta che esso, in realtà, fosse già stato introdotto nel 1969 (v. supra), per quanto mai pubblicato prima del 2006.
- L’Art. 39 presenta qualche modifica (rispetto al 1969) degna di attenzione. Prima di tutto il suo titolo si espande e non riguarda più il solo esame dei “modi” ma delle “Propositiones” e degli altri documenti sinodali.
Il §1 propone un’attività piuttosto differente da quella prevista nel 1969 che riguardava solo la stampa e distribuzione dei “modi” proposti. Dal 2006, una volta recepiti i “modi”, è compito del Relatore generale e dei Segretari generale e speciale curare la redazione e la stampa delle “Propositiones” ed eventuali altri documenti sinodali da sottoporre poi all’esame ed approvazione dell’assemblea (§2).
Interessante la sostituzione del §4 del 1969, di fatto pleonastico, con una nuova previsione circa la consegna al romano Pontefice di quanto approvato dall’assemblea.
- L’Art. 40 prevede che solo il Segretario generale predisponga la “Relazione” (non meglio specificata) sui lavori svolti dal Sinodo e le conclusioni raggiunte; nell’Ordo del 1967 era, invece, espressamente previsto l’apporto del Segretario speciale.
- L’Art. 41 introduce un’ultima modifica di competenze in quanto tale Relazione finale dev’essere presentata al romano Pontefice dal solo Segretario generale, mentre all’origine si prevedeva l’apporto congiunto col Presidente delegato.
Al termine di questa “ricognizione tecnica” non ritengo stia a me né trarre né proporre “conclusioni”, ma soltanto sottolineare alcuni elementi che risultano significativi dal punto di vista espressamente giuridico.
a) Prima di tutto la percezione di una progressiva “stabilizzazione” del Sinodo dei Vescovi come una specifica “soggettività” intra-ecclesiale: una verà realtà stabile, organica, titolare di attività, rapporti e, diciamo pure, pronunciamenti. Le differenze con quelli che vengono normalmente definiti “Organi centrali della Chiesa cattolica” non sono propriamente sostanziali (lasciando a parte le questioni sulla potestà di governo ecclesiale).
b) In secondo luogo, per quanto in modo solo formale, si osserva una progressiva retrocessione della componente più espressamente episcopale a favore di una più ampiamente “ecclesiastica”.
c) In terzo luogo non pare meritare attenzione specifica la questione della “rappresentanza” ed annessa “collegialità” poiché risulta palese – oltre che continuativo in 50 anni – che si tratta di “rappresentatività ecclesiale”, pur espressa in massima parte dai Vescovi in quanto effettivi conoscitori ad ampio raggio “pastorale” della realtà ecclesiale dispersa nelle varie regioni dell’Orbe.
Si potrebbe, forse, parlare di una “esperienza” (= l’evento sinodale) che diventa Istituzione in quanto “strumento” stabile e formalizzato per conseguire un certo tipo di risultati, soprattutto a livello contenutistico, in una prospettiva che approccia la “pluralità” non in termini di “multeplicità” ma di “unitarietà”… proprio come esprime il termine “syn-odos”: la strada che si percorre insieme.
Paolo Gherri (Pont. Univ. Lateranense)