1. Introduzione
Quanto
realizzatosi a livello ecclesiale nei due Sinodi dei Vescovi sulla famiglia
nellottobre 2014 e 2015, insieme con altri eventi che ormai da anni
interessano lintera Europa a causa del notevole fenomeno migratorio in corso
(senza trascurare anche la recente recrudescenza terroristica internazionale),
sollecitano ad intraprendere una specifica riflessione sul fenomeno
giuridico (ecclesiale e non) in chiave di accoglienza, attivando
prospettive nuove e tradizionali allo stesso tempo, secondo
lattuale declinazione dellUtrumque Ius a cui il nostro Istituto
giuridico fa riferimento ed intende anche continuare a contribuire con le
proprie attivit, prima tra tutte la ricerca.
Si tratta,
ancora una volta, di dare spazio al primo dei due livelli tematici
che, da oltre un decennio, strutturano le Giornate canonistiche
interdisciplinari costituendone lo strato pi profondo, per quanto non
di primo approccio immediatamente funzionale o utilitaristico per il canonista.
Uno strato, tuttavia, che i recenti mutamenti normativi ecclesiali pongono in
nuova luce nella sua costitutivit in modo che a cambiare non siano tanto
alcune formalit (come sono ritenute da molti le Norme giuridiche,
soprattutto processuali) ma la vita ecclesiale tutta, nella sua costante
adeguazione alla propria missione di portare il buon annuncio (= euaggelion)
alle donne ed agli uomini di ogni tempo e luogo (cfr. Mc 16,14; Mt
28,20). Un buon annuncio che tale proprio perch – e solo
perch – non cambia prima di tutto le emozioni, nella loro
immediatezza, ma la stessa condizione di vita.
il livello
dellidentit del Diritto in s e per s da cui non pu rendersi davvero
indipendente lidentit del Diritto canonico come tale, che del Diritto
non costituisce un mero analogo, n una forma secunda o peculiaris
tra molte altre possibili o effettive, ma una espressione tanto autentica quanto
autonoma e primaria: la forma altera dello Ius, secondo la
dualit in cui lo ha concepito la tradizione europea (ed ecclesiale) almeno
dallEpoca dello Ius commune in poi.
anche il
livello pi teoretico che ha gi permesso nelle precedenti Giornate
canonistiche interdisciplinari, e in varie altre occasioni, di riflettere in
modo pi consapevole sulla vera identit del giuridico ecclesiale,
allinterno del pendolo utroquista (sia permesso utilizzare questa
formula/immagine) tra le tematiche giuridiche generali, da una parte, e quelle
riguardanti pi specificamente la vita giuridica in Ecclesia,
dallaltra.
2. La funzione
del Diritto
Proprio la
riflessione e la maturazione di consapevolezza su ci che davvero ҏ,
significa, vale ed opera, il Diritto in s e per s (e non solo nella
Chiesa e per essa) costituisce oggi lorizzonte ermeneutico
necessario per comprendere anche il significato e la portata delle importanti
riforme giuridiche introdotte nellOrdinamento canonico dai due motu
proprio coi quali Papa Francesco il 15 agosto 2015 ha intrapreso il
radicale mutamento di un intero ambito normativo allinterno dei due Codici
canonici vigenti: un evento il cui significato e valore per la giuridicit
ecclesiale supera di gran lunga il mero fatto della completa ri-delineazione
dei due Processi giudiziali speciali riformati in toto (cfr. CIC,
Cann. 1671-1691; CCEO, Cann. 1357-1377). Al di l infatti di ogni e
ciascuna considerazione, sia tecnica che dottrinale, sul merito e i modi di tale
riforma (che non sar oggetto della riflessione della presente Giornata
canonistica interdisciplinare) lattenzione si fissa invece sul suo fatto:
sul suo essere, cio, stata realizzata allinterno di quel particolarissimo
grembo che stato il doppio Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Daltra parte
ci che balza immediatamente allocchio del giurista teoretico, forse prima
che a quello del processualista (per quanto maggiormente coinvolto in re
ipsa), la radicale estroversione ed inclusivit che tale riforma ha
imposto al significato – e, pertanto, alla stessa
natura – del Processo canonico per la verifica e la dichiarazione
della (sempre, solo, eventuale) nullit del Sacramento del Matrimonio.
Una prospettiva,
quella dellestroversione ed inclusivit del Diritto, sia civile
che canonico, che merita unadeguata riflessione e presa di coscienza nel
contesto del presente storico-giuridico cui noi stessi apparteniamo: un
presente in cui il Diritto – forse non irrazionalmente –
viene invece spesso invocato e tendenzialmente utilizzato per dire di no, per
tagliare e separare, per isolare ed emarginare,
cos come (solo) la Legge pu e sa fare. Chi, infatti, non caduto nella rete
della Legge – uguale per tutti coloro che essa stessa (sic)
ha pre-definito come tali – ma rimasto libero nello spazio (sempre
dinamico) del Diritto non pu evitare, almeno a se stesso, di ricordare come,
ad ogni buon effetto, il Diritto non sia nato per separare ma per ri-unire.
In merito, ben
al di l della portata antropologica dellorigine semantica del termine ius
(da iungo), va ribadita con forza lorigine e la consistenza
essenzialmente riparatoria del Diritto come tale, secondo il principio ancor
oggi florido in common Law remedies precede rights. Unorigine,
una consistenza ed una funzione che, non solo non risultano in alcun modo
precedere lumana esistenza, ma – pi ancora – si
pongono sempre, quasi, in sua rincorsa come allinseguimento
delloperare umano, nella – spesso disperata – speranza
di evitare il peggio, non solo a qualche singolo ma allintera societ cui egli
appartenga (o con la quale si relazioni).
Proprio questa
fu la funzione originaria e concretamente irrinunciabile del Diritto
allinterno della Chiesa stessa per gestire le crisi sia intra-ecclesiali (cfr.
1Cor 5,1-5) che inter-ecclesiali (cfr. At 15), sia espressamente
dottrinali (= Eresia), che comportamentali (= immoralit), che
istituzionali (= Scismi o abiure), comՏ sempre accaduto lungo i secoli,
pi per favorire un rientro che per sollecitare un distacco dei
fedeli in qualche modo problematici.
Sebbene, a prima
vista, ci possa risultare emotivamente problematico per luomo comune che ogni
giorno si scontra col Diritto e le sue infinite restrizioni, in realt un esame
critico e puntuale dellesperienza giuridica occidentale palesa con
evidenza che quelle giuridiche non sono essenzialmente e prima di tutto regole
di esclusione ma di ammissione anche se quasi sempre di seconda istanza (v.
infra)!
, infatti,
lesigenza di garantire la pubblica e stabile ri-ammissione sociale che
rende necessario determinare le modalit certe ed i limiti precisi della
esclusione che ne crea la – successiva –
necessit: pena linsanabilit di qualunque conflitto allinterno della societ
e la perpetua instabilit di ogni relazione sociale. Proprio in questa linea
inclusiva e re-integrativa, non di meno, si sono orientate molte delle istanze
concrete dei due Sinodi dei Vescovi in riferimento alle c.d. crisi
matrimoniali.
Lapproccio
risulta del tutto concorde con la Teoria ordinamentale promossa da Santi
Romano e variamente accolta ed accresciuta lungo il XX secolo soprattutto per
il forte apporto di Paolo Grossi sul piano delle dinamiche storico-culturali.
- Se il Diritto, infatti, prima di tutto ordinamento la sua attivit non pu che risultare pacificante e unificatoria: ci che, in effetti, luomo sempre cerca.
- Non di meno: anche sotto il profilo logico non risulta possibile pensare ad un ordinamento che sia dis-integrativo, emarginante, escludente. Ordinare significa infatti assumere una realt (= degli stati di cose e di relazioni) e individuarne le possibili connessioni e sinergie, cercando allo stesso tempo di evitare conflitti e collisioni e di ridurne limpatto negativo.
da questo
punto di vista che potrebbe emergere una delle
– possibili – maggiori ed irriducibili differenze tra
Diritto (= Ius, Law) e Legge (= Constitutio, Statute, Rule,
Act), soprattutto nella configurazione assunta da quella che stata
autorevolmente chiamata Modernit giuridica: mentre, infatti, il primo
organizza il gi esistente (= la societ e la sua vita – come nel
mondo antico e medioevale), la seconda spesso pretende di creare realt nuove
(= lo Stato moderno, non importa se conservatore o rivoluzionario)
attraverso unopera geometricamente costruttiva che intenzionalmente scarta
ci che non corrisponde al proprio modello. Un po come se, mentre il Diritto
cuce, la Legge tagliasse: e la storia delle codificazioni europee
continentali non lascia spazi valutativi in merito. Certo: sia il Diritto che
la Legge incidono la carne della concreta esistenza umana ma,
mentre il Diritto come un ago che trapassa per unire la Legge finisce spesso
per essere come la forbice che taglia per dividere.
Queste
considerazioni possono illuminare anche lo sviluppo recente di una sorta di
nuovo spazio giuridico c.d. globale, originato quasi esclusivamente da
Trattati internazionali di collaborazione, scambio ed integrazione (soprattutto
economica): uno spazio che sta ridimensionando ampiamente le funzioni ed
attivit degli Stati costituzionali di ultima generazione, per non dire che sta
ridefinendo il concetto stesso di Stato, allontanandolo sempre pi da
autoreferenzialit (= superiorem non recognoscens) e supremazia,
per aumentarne leffettiva strumentalit verso i soggetti (non solo le
persone – sic) che operano al suo interno. Levoluzione del
Diritto amministrativo (sia infra-statale che sovra-statale), sollecitata
primariamente dal consolidarsi dellesperienza comunitaria europea, offre ormai
ampi orizzonti in merito, soprattutto per quanto riguarda lautocoscienza della
c.d. Pubblica Amministrazione.
Entro tale
orizzonte fenomenico e costitutivo, lesperienza giuridica anche attuale
della Chiesa cattolica non solo non risulta fuori tema ma, anzi, emerge come
esperienza davvero paradigmatica del Diritto e del vivere giuridicamente e
questo senza dover immettere per forza dei correttivi (quando non addirittura
degli additivi) del tutto specifici quali dispensatio, tolerantia,
misericordia, caritas, quitas, epikeia come abbondantemente, ma anche
ambiguamente, fatto dalla dottrina canonistica del Novecento come se il
Diritto in s e per s avesse bisogno di venire dosato per non risultare
dannoso alla vita.
3. La funzione
del Diritto nelloperato di Papa Francesco
Proprio
allinterno di questa dinamica pu – e forse deve – esser
letta la riforma operata da Papa Francesco al Processo per la verifica e la
dichiarazione della nullit del Matrimonio canonico. Il presupposto
dellintervento pontificio in merito assolutamente chiaro: il Diritto deve
favorire e non ostacolare la vita dei fedeli, soprattutto quella
maggiormente provata da tribolazioni di portata (anche se non di
origine) espressamente spirituale. Detto in altri termini: il Diritto
deve servire non a dire di no ma a dire di s esattamente con la stessa
precisione e la stessa certezza ed efficacia che ne legittimano la
fruizione e lesercizio: ci a cui, di fatto, mira lIstituto giuridico della res
iudicata attraverso cui il Diritto, superando le incertezze del vissuto,
pone le basi certe per la vita che prosegue. Questo, daltra parte,
proprio ci che il Diritto pu offrire allumanit: certezza, stabilit, durata
nelle cose che riguardano non la natura fisica del mondo (come fanno le
Scienze) ma il vivere concreto degli uomini e, soprattutto, le loro relazioni.
questo il radicale convincimento del Legislatore universale della Chiesa e di
una parte significativa dei Vescovi che ne condividono il munus
pastorale a vantaggio sia del Popolo di Dio che, soprattutto, della salvezza
personale (tanto eterna che intra-storica) di cui al suo interno ciascuno
deve poter fare quotidiana esperienza.
Ci che,
infatti, emerso con grande forza in occasione del Sinodo dei Vescovi
dellottobre 2014 (e di molti eventi connessi) stata proprio la preoccupazione
ed il rammarico per lestrema incertezza della reale condizione di esclusione
dai Sacramenti di molti (in realt: troppi) battezzati che si trovano in uno
stato di vita visibilmente contrario al vincolo matrimoniale
– pi o meno probabilmente – contratto. Quasi una
situazione di quarantena a tempo indeterminato in attesa di conoscere il
reale stato dei fatti e, di conseguenza, la reale condizione delle persone
rispetto alla vita pubblica ecclesiale (essenzialmente: Sacramenti e
Ministeri, anche di fatto). Una conoscenza, per, che – salvo
rarissime eccezioni – completamente nelle mani delle persone
stesse e richiede loro uno sforzo normalmente ritenuto non ordinario per
essere conseguita. Questo, almeno, nella percezione maggiormente diffusa e
condivisa, anche da parte di molti Vescovi, per quanto tecnicamente infondata
(ed anche ingiusta). In tal modo, infatti, stato percepito e considerato
sinora il Processo per la dichiarazione della nullit matrimoniale.
Esattamente in
questa prospettiva, la semplificazione del Processo e la sua maggiore agilit
(attraverso lesecutivit gi della Sentenza di prima Istanza non impugnata
– cfr. Can. 1679 Mitis Iudex) ed accessibilit (in ragione della
prevista competenza matrimoniale dei Tribunali diocesani ordinari
– cfr. Can. 1673 M.I.; e la semplificazione dei criteri di
Competenza dei Giudici – cfr. Can. 1672 M.I.) soprattutto per le
situazioni pi evidenti, si presentano proprio come strumento adatto a fissare
con certezza le reali situazioni di effettiva esclusione dai Sacramenti,
rendendo – per contro – accessibile linterezza della
vita ecclesiale a coloro che, in effetti, non ne erano (n avrebbero dovuto
effettivamente risultarne) fondatamente esclusi.
Il principio
di riforma seguito dal Pontefice appare del tutto logico, oltre che
pienamente giuridico:
- visto il gran numero di battezzati che a causa della loro presente situazione di vita non possono accostarsi ai Sacramenti,
- visto che lindissolubilit del vincolo matrimoniale non – n pu diventare – oggetto di discutibilit nella Chiesa cattolica,
allora:
- si renda effettivamente facile verificare chi davvero si trovi nella condizione di strutturale contraddizione con la fede e dottrina cattolica sui Sacramenti e, pertanto, davvero escluso da essi,
- reintegrando invece alla pienezza della vita sacramentale tutti gli altri, che in teoria costituiscono la maggior parte dei fedeli in tali difficolt.
Presupposto non
esplicitato ma fondante lintero ragionamento a partire dallapproccio (e
dallesperienza) pastorale il fatto che – molto
probabilmente – la grande maggioranza delle situazioni problematiche
dal punto di vista sacramentale non abbia, in realt, una vera consistenza
e, nel caso venissero sottoposte ad adeguata verifica giudiziale,
rivelerebbero linesistenza del presupposto stesso dellesclusione dai
Sacramenti (ed attivit ecclesiali connesse). Le Norme mutate, daltra parte,
sono chiaramente indirizzate alla veloce soluzione dei moltissimi casi
di semplicit assoluta dal punto di vista della certezza morale da raggiungere
in merito alla nullit del Matrimonio: casi che da tempo sono la grande
maggioranza.
Che lintervento
legislativo sia stato specificamente rivolto alla riduzione del numero
di situazioni di incertezza giuridica riguardo al Matrimonio (probabilmente
invalido/nullo) risulta del tutto palese anche dal fatto che nulla, invece, si
mutato circa le situazioni di rilievo morale anzich giuridico.
Lintervento novatorio, infatti, si limitato alle situazioni in cui potrebbe
essere presente (e quindi attivo) il vincolo matrimoniale, mentre non ha
toccato in nulla le condizioni morali necessarie per accostarsi ai
Sacramenti della Penitenza e dellEucaristia stabilite nel Libro IV del CIC:
quelle, cio, legate alla convivenza o al Matrimonio soltanto civile. In tali
condizioni, infatti, nulla vieterebbe – di per s – la
regolarizzazione sacramentale (e quindi giuridico-canonica) della vita di coppia
per coloro che prendessero adeguatamente coscienza della reale condizione di
incompatibilit evangelica del loro vivere.
4. Persone e
Diritto
La riflessione
che ci occupa in questa sede non intende, tuttavia, focalizzarsi sul Diritto
come tale, quasi potesse essere il legittimo protagonista unico dello
scenario giuridico: protagoniste di tale scenario sono invece le
persone. Sono infatti le persone che ricorrono al Diritto per ottenerne
– in modo mediato – ci che troppo spesso non
riescono a ricevere con immediatezza le une dalle altre, cercando cos
di supplire, attraverso uno strumento sociale qual il Diritto, ad una sorta
di incomunicabilit che sovente congela e rende infruttuose le relazioni
interpersonali. Non casuale, in tal senso, la dinamica giudiziaria
privatistica in ambito civile: essa infatti svolge la propria funzione proprio
accogliendo una domanda individuale di riconoscimento (= Actio)
e sottoponendola al giudizio di un terzo, gi previamente indicato dalla
comunit sociale di appartenenza (= il Giudice), affinch verifichi il
reale stato delle cose (normalmente un certo numero di fatti o condotte) ed
– eventualmente – imponga ad un altro soggetto individuale
(= convenuto) ladempimento di condotte socialmente dovute (= i c.d. diritti
soggettivi o eventuali Obbligazioni) nei confronti del proponente
(= attore). Ci sia che si tratti di applicare la Legge, come accade nei
sistemi di civil Law, sia che si tratti di risolvere un caso, comՏ in
common Law.
Proprio la
strumentalit del Diritto che ben emerge in tale dinamica originaria ed
originante dello Ius dicere ne rivela lassoluta subordinazione e
finalizzazione alle persone in ciascuna delle loro attivit pi espressamente giuridiche,
ponendone in evidenza il primato assoluto allinterno della dinamica del
Diritto, al punto da far di esse la causa stessa del Diritto come gi
Ermogeniano insegnava nel IV secolo d.C. Le persone
– tuttavia –, non il semplice uomo (in s e per s, da
solo). un plurale ci che si esprime e si realizza attraverso il
Diritto: nessuno infatti davvero persona se non davanti ad un altro
come lui o lei. Per quanto ancora non pienamente recepita a livello
concettuale neppure ai nostri giorni (ambito canonico compreso, sic!),
questa realt nota alla fede ebraico-cristiana (e quindi alla Teologia e alla
vita ed esperienza ecclesiale) da millenni.
In nessun
vivente Adm (= luomo tratto dalla terra – cfr. Gn 2, 20)
trov una realt che gli corrispondesse: lalter rispetto al quale e
davanti al quale riconoscere anche se stesso (cfr. Gn 2,23). Nessun
vivente ha un volto (= prosopon) che rispecchia quello di Adm; a
nessun vivente Adm pu dire tu nellaccezione profonda di alter-ego:
portatore allo stesso tempo di una totale identit (carne dalla stessa
carne, osso dallo stesso osso) ma anche di una radicale irriducibile
differenza (ishah rispetto a ish). Imporre un nome (cfr. Gn
2,20), infatti, e chiamare per nome (cfr. Gn 2,23; 3,20) non sono la
stessa cosa!
Non ancora
questo, tuttavia, lambito in cui possa nascere il Diritto. Il Diritto,
infatti, parla [a] in terza persona, [b] della terza persona
e [c] alla terza persona. Il Diritto la terziet strutturale: Ius
est in tertium. questo che sposta lattenzione da un approccio
semplicemente antropologico ad uno espressamente personalistico.
Abbandonando per
un momento lapproccio pi strettamente tecnico-giuridico che vede il terzo
identificato quasi univocamente col Giudice (= il terzo istituzionale),
pare utile esplorare qui – nella prospettiva delle persone –
un ulteriore approccio alla terziet su cui si regge strutturalmente il
Diritto: quella dello sconosciuto, il terzo non numerico (in termini di
attore, convenuto, Giudice) ma logico-grammaticale, il colui che, legli.
Sotto questo
profilo il Diritto, o la relazione giuridica (che la stessa identica cosa)
ha per condizione costitutiva radicale linesistenza (o, almeno, la negazione)
dellalterit: il tu, la persona appunto. Al di l di ogni
idealizzazione, il grembo del Diritto lassenza (o anche la rottura) del fdus
esistenziale tra lio e il tu: lassenza (o il fallimento) del noi. Una
mancanza relazionale da cui viene allesistenza il lui: lanonimo, lirrelato
che, a prima vista, occupa spazio esistenziale sottraendolo allio, colui che
– potenzialmente – cosifica lio facendolo oggetto
anzich soggetto. Il lui il non-tu per antonomasia: lestraneo, lo
straniero, linfido, il nemico Colui che, invece di arricchire lio
– come fa il tu attraverso il riconoscimento
accogliente – lo depaupera e lo depriva, finanche a sopprimerlo.
Linferno sono gli altri. questa, in fondo, la ragione del timore spontaneo
del diverso (distinto da quellalter che il tu) e la storia di
ogni segregazione che ne deriva. Questo terzo (logico-sintattico) un semplice
lui che pu diventare un esso (da persona a cosa): come accade per i
trafficanti di persone o di (loro) organi, come fu per lo schiavismo o nelle
dinamiche delle c.d. pulizie etniche che hanno attraversato a pi livelli e pi
volte anche il XX secolo.
in questo
contesto che il Diritto, lungi dallessere una res da attribuire
– per quanto originariamente – a qualcuno, alluomo
come tale (= ius est ad alterum) finch ciascuno e tutti
possiedano il suum (cio lattributo della terza persona, sic!),
prende progressivamente corpo e consistenza come ambiente che pian piano
decongestiona le ir-relazioni, riconoscendo che nessuna sofferenza umana mai
un prezzo giusto per nessuno, e rende dapprima probabili e poi possibili,
nuove relazioni esistenzialmente proficue e – in fine – vantaggiose
per tutti.
Il paradigma
logico-grammaticale per, se descrive adeguatamente le dinamiche originanti
il Diritto, o almeno la sua necessit, non evidenzia tuttavia in modo chiaro il
contesto necessario al sorgere del Diritto stesso: il numero, la societas.
Non basta mai, infatti, un solo terzo a far sorgere la relazione
giuridica: il Diritto come tale. Se, infatti, lo sconosciuto, lirrelato (anche
unico e solitario) risulta un referente adeguato per lambito morale
– poich, p.es., il non uccidere vale verso tutti – il
dinamismo giuridico, per parte propria, necessita di grandi numeri:
numeri tali da riassorbire ogni singolo io che – a propria
volta – venga a trovarsi come disperso nella irrelazionalit della
massa anonima, divenendo egli pure impersonale ed anonimo
come il suddito o il cittadino cui si rivolge la Legge, uguale per tutti:
anchegli un semplice terzo il colui che di cui parla la Legge!
Sono i grandi
numeri, non di meno, che sopravanzando lio rischiano di estraniarlo
anche dalle relazioni di prossimit: lamicale, la parentale, la famigliare
quelle, cio, che si svolgono in e con la seconda persona: il tu a
cui ci si rivolge come a se stessi, facendone propri i sentimenti, i
desideri, i pensieri, i progetti, le necessit, i timori Ed proprio il
numero delle relazioni (significative) reali o potenziali che pone allio
il problema della relazionalit concreta: comՏ, infatti, possibile
intrattenere e gestire relazioni positive con chi non sia un tu ma
solo un semplice lui? Non una persona, ma un semplice essere umano?
a questo
livello che, nella societ/comunit dei terzi, prende corpo il Diritto che,
proprio come una lingua, offre la possibilit dinteragire pacificamente tra
– inizialmente – terzi attraverso riconoscimento,
fiducia, collaborazione, offrendo, proteggendo, gestendo,
fidelizzando, relazioni, sempre pi orientate alla creazione di quello
che pu esser chiamato tu-sociale, anzich affettivo: qualcuno che
opera e si relaziona (funzionalmente) come un tu, per quanto non originario
(= amicale, parentale, famigliare). In tale contesto il Diritto svolge
una funzione analoga a quella del vocabolario nel precisare i significati
ed i contenuti delle relazioni pi impervie e difficoltose, sia di chi si
avvicina per la prima volta a quella societ/comunit ed ha bisogno di trovare
le chiavi di accesso e relazione, sia di chi se ne allontanato e desidera
rientrare.
Sorgono cos il
con-nazionale, il con-cittadino, il con-paesano, il con-pagno allinterno di
un nuovo spazio esistenziale che prepara e favorisce la ri-scoperta
dellaltro come possibile tu, restaurando gli spazi della inter-personalit,
per quanto non originaria. In tal modo si ritorna, per, al noi: il soggetto
unitario, per quanto plurale il soggetto in prima persona che non ha
pi bisogno del Diritto per mettere ordine (= ordinare; ordinamento)
nelle proprie interne relazioni, poich il tu, sociale, ha ormai sostituito
il lui/esso e la vita si svolge in prima persona, plurale.
5. Diritto ed
accoglienza
Quanto
illustrato sullidentit e funzione del Diritto mostra ancora una volta con
chiarezza come la relazione tra Diritto ed accoglienza non
transiti essenzialmente n si articoli attraverso qualche
– recente e formale – diritto individuale/soggettivo
(= right) da riconoscere e tutelare, n prenda originaria
consistenza in ragione dei c.d. diritti fondamentali delluomo, sanciti solo
qualche decennio fa: essa risale invece alle origini stesse dellesperienza
giuridica occidentale (in senso lato) trovando specifici fondamenti in varie
concezioni ed anche vere e proprie Istituzioni presenti dallAntichit nel
Diritto dei popoli mediterranei e mediorientali. Due le esperienze antiche che
in questa sede risulta congruo ricordare come emblematiche: quella ebraica
e quella romana, alle quali pu utilmente venir sommata lattuale
esperienza del c.d. Diritto umanitario.
a) Lesperienza giuridica ebraica, fissata nella sua maggior parte nel testo biblico vetero-testamentario, inequivocabile nella sua dimensione e prospettiva (almeno ideale) di accoglienza, al punto che il forestiero finisce per costituire il paradigma stesso del soggetto giuridico: la misura costituzionale – se cos permesso chiamarla con parametri propri dellattualit – del Diritto stesso. Israele sa di essere stato forestiero in terra straniera (= lEgitto, Ninive e Babilonia); Israele sa che ogni forestiero porta in s i caratteri costitutivi della sua stessa identit (cfr. Dt 26,5) al punto da rimanerne la coscienza critica, sia individuale che comunitaria. Questo, tuttavia, ancora troppo limitato ed esiguo: la stessa Legge dIsraele, infatti, strutturata in modo che nessun Israelita possa mai diventare forestiero in casa propria, privo di eredit allinterno delleredit di JHWH. in tal modo che, p.es., il ciclo giubilare delle sette settimane di anni (cfr. Lv 25,8) ristabilisce continuamente la propriet originariamente assegnata e consegnata da Dio a ciascuna Trib e, in essa, ad ogni Casato. Comunque vadano le vicende della vita, qualunque cosa accada, nessun Israelita pu finire definitivamente escluso dal possesso della terra che Dio stesso ha dato ai suoi fedeli come segno e garanzia di libert e dignit: nessun Israelita pu diventare straniero in casa propria. Il forestiero poi, al di l di temporanee circostanze di espressa opposizione politico-militare o qualche momento di estremismo etnico-confessionale (solitamente ri-convenzionale), chiamato a diventare parte del Popolo di Dio (cfr. Is 14,1; 56,3.6), pu esservi integrato diventando ad ogni effetto come un nativo del Paese (cfr. Es 12,48), anzi: devessere trattato come colui che nato fra voi e – al pari dei figli del tuo popolo (Lv 19,17) – tu lamerai come te stesso (Lv 19, 34). Questo, almeno, dal punto di vista espressamente teologico e spirituale: ideale. Nella vita concreta, invece, spesso anche Israele si comportato come tutti gli altri popoli coevi: con grande sospetto e circospezione. per la teoria (= la spiritualit) che conserva il dover essere delle cose, ostinandosi, alle volte, a contrastare i fatti che vogliono imporre una diversa – ed ingiustificata – visione della realt, per quanto pragmatica e realistica, come ben mostra il profetismo.
b) Su di un piano del tutto diverso, lesperienza giuridica romana si presenta come una progressiva inclusione di territori e popolazioni, in un crescendo che lungo i secoli si estende gradualmente dalla urbs allorbis condividendo poco a poco una tipologia relazionale nata su base fortemente identitaria (= i cives) ma estesa poi da Caracalla (212 d.C.) ad ogni appartenente al territorio dellImpero. Da segnalare, significativamente, la specifica – iniziale – previsione di forme particolari di relazione giuridica inclusiva nei confronti dei forestieri pacificamente presenti sul territorio cittadino, i peregrini, dotati addirittura di un proprio Prtor (fin dal 242 a.C.) e di specifiche Norme di relazione ed interfacciamento coi cives.
A questa sorta di cintura relazionale ad extra se ne affiancava unulteriore, pi remota e discontinua ma non meno efficace, costituita dallo Ius gentium, attraverso cui allinterno del mondo antico (greco-romano soprattutto) si regolavano le relazioni tra i membri di ciascuna Civitas e quelli delle altre Civitates: uno strumento espressamente rivolto allincontro ed alla possibile relazione – per quanto estremamente cauta e precauzionale – con coloro che spesso erano anche stati veri nemici della Civitas stessa.
c) Esperienza emblematica della giuridicit contemporanea quella del Diritto internazionale umanitario delineatosi progressivamente durante lultimo secolo e mezzo, corroborato anche dalla tragedia delle due guerre mondiali.
La fine dellancien Rgime con la sua oligarchia e lascesa politica delle masse popolari a partire dalla rivoluzione del 1789 hanno mutato radicalmente anche le spro-porzioni delle guerre – soprattutto europee – che smisero di essere strumentali al potere dei vari Casati regnanti (combattute in maggior parte attraverso ridotte milizie mercenarie) diventando – a partire dagli eserciti napoleonici – questioni nazionali e, pertanto popolari, coinvolgendo migliaia di cittadini nel difendere e diffondere la Repubblica. Fu, infatti, la Rivoluzione francese a introdurre nellepoca moderna il sistema della Leva obbligatoria per tutti i cittadini e gli altri Stati europei dovettero correre ai ripari davanti allimmensit delle milizie francesi dinizio Ottocento. Il maggior numero di combattenti gener, di conseguenza, maggior numero di morti e feriti ma anche di prigionieri, aumentando proporzionalmente anche le ricadute sul territorio e la popolazione civile dei luoghi di transito, accampamento e battaglia di tali nuovi eserciti. In questo contesto nacque dapprima la Croce Rossa per lassistenza medica ai feriti in battaglia (in occasione della battaglia di Solferino e San Martino, 24 giugno 1859, che rappresent uno dei pi cruenti eventi bellici di tutto lOttocento, arrivando addirittura a superare la battaglia di Waterloo), cui subentr quasi immediatamente la Prima Convenzione di Ginevra (8-22 agosto 1864) in cui fu sancita la neutralit delle strutture e del personale sanitario. In questa prospettiva particolarmente significativo dal punto di vista strettamente giuridico il primo dei sette Princpi fondamentali del Movimento internazionale di Croce Rossa: quello di umanit, secondo cui:
Nato
dallintento di portare soccorso senza discriminazioni ai feriti sui campi di
battaglia, il Movimento della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, in campo
internazionale e nazionale, si adopera per prevenire e lenire in ogni
circostanza le sofferenze degli uomini, per far rispettare la persona umana e
proteggerne la vita e la salute; favorisce la comprensione reciproca,
lamicizia, la cooperazione e la pace duratura fra tutti i popoli.
In esso, comprensione, amicizia, cooperazione, tra tutte le persone risaltano, ancora una volta, come ben superiori a qualunque altro elemento di contrapposizione: guerra in primis.
La fecondit giuridica di questo approccio ha aperto le porte a successivi sviluppi di grande portata per il Diritto, tanto che le sue prescrizioni sono ritenute inderogabili. Non solo questo, tuttavia, poich le categorie oggi tutelate non riguardano solo i militari (combattenti o non pi tali) ma anche la popolazione civile, i feriti, i naufraghi, gli ammalati. Lampliamento del concetto di vittima dei conflitti armati, poi, ha portato ad includere non solo le persone ma anche cose, in particolare i beni culturali e lambiente (cfr. Convenzione dellAia del 1954).
Non di meno, per quanto in altro contesto e ad un altro livello, il successivo (!) c.d. Diritto internazionale dei diritti umani ha ormai sancito in modo chiaro – ed auspicabilmente definitivo – un insieme di attivit e condizioni esistenziali (= nutrimento, alloggio, salute, istruzione, ecc.) da assicurare comunque a chiunque ed ovunque, ben oltre i c.d. diritti civili e quelli politici: ci che si pone oggi alla base delle diverse politiche dintervento in favore di rifugiati, profughi, richiedenti asilo, ecc.
6. Diritto e
reintegrazione
Le
considerazioni sin qui proposte – seppure in modo pi suggestivo che
specificamente fondativo – permettono di completare la delineazione
generale del tema con alcune sottolineature riguardanti uno dei versanti
maggiormente problematici della prospettazione del Diritto come trait
dunion tra gli uomini in societate: la sua funzione riconciliativa
e riparativa a seguito di espresse violazioni sia delle persone che
delle loro spettanze esistenziali (per non far scadere il tema allattenzione
verso cose ed interessi soltanto e loro risarcimenti).
lambito
dattivit del Diritto penale nelle sue ormai svariate modulazioni: un ambito
che rimane tanto pi problematico nei suoi presupposti e princpi che non nelle
sue, spesso improbabili, soluzioni.
Proprio in
questambito, per, la funzione non escludente ma ri-unitiva del Diritto
offre il meglio delle proprie potenzialit, e ci esattamente attraverso la
tendenziale rigidit delle Norme penali e delle Procedure ad esse
associate nei vari Ordinamenti giuridici. proprio, infatti, per ridurre al minimo
la possibilit di esclusione e per delineare al massimo le garanzie
volte ad impedirla o a ridurne la portata e limpatto esistenziale che si fa
ricorso a disposizioni cos rigide per giungere alla condanna di qualcuno e,
oggi, alla sua tendenziale detenzione. La netta differenza di principio
tra ambito civile e penale caratterizzante gli Ordinamenti giuridici
maggiormente sviluppati testimonia la profonda percezione e consapevolezza di
questa identit del Diritto e della sua funzione. Daltra parte: solo chi sia
stato formalmente escluso potr essere poi sostanzialmente re-integrato
nella stessa comunit esistenziale; di qui anche la non-giuridicit della Pena
di morte che, in realt, si presenta prevalentemente come un Provvedimento
politico, espressione del potere pi che del Diritto.
in questa
prospettiva che emerge, se si vuole, lassurdo
– meramente – logico della prescrizione del Reato
penale: come se il Reato (o il Delitto) potesse dissolversi col solo
trascorrere del tempo, e ci in evidentissimo contrasto con la realt
quotidiana rimasta – forse anche per sempre – ferita,
come accade per un omicidio, uno stupro, un attentato, una strage
La questione di
fondo ha tanta maggior rilevanza se si considera che, al contrario, in ambito
civile una condotta illegittima protratta nel tempo (anche in malafede) crea
addirittura un nuovo diritto, poich il fatto lungamente incontrastato
diventa la nuova realt riconosciuta e tutelata dallOrdinamento. Lespressa
– ultramillenaria – contraddizione tra la prescrizione
(penale) e lusucapione si manifesta, pertanto, utile a porre in
evidenza ci che spesso neppure immaginabile circa la vera natura del
Diritto in s e per s.
Gi si detto
come il Diritto sia tendenzialmente riparativo: una riparazione che
riguarda non le cose (o i fatti) ma proprio le persone! In
questottica la diffida e lintimazione in campo civile, cos come la denuncia
in campo penale, se e quando non poste in essere contribuiscono a non
turbare la relazionalit sociale, il c.d. ordine pubblico: questo un bene
che la societ (intesa in termini antropologici e non politici) persegue in
modo talmente intenzionale ed esplicito da preferire loblio definitivo
della violazione (individuale) rispetto al perpetuarsi della sua
ricaduta sociale. Questo, daltra parte, coincide con la storia stessa del
vissuto giuridico occidentale: dal Codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.)
attraverso la c.d. Legge del taglione, allEditto di Rotari (643 d.C.)
attraverso la monetizzazione delle violazioni, fino ai pi moderni Codici
penali e ai Trattati per la gestione del Diritto penale internazionale. Di
fatto: ogni societ umana al proprio Diritto chiede la pacificazione
(del passato) e la pacificit (del presente e del futuro).
Per quanto non
risulti sempre facile seguire con immediatezza le tracce del Diritto penale
contemporaneo, soprattutto negli Ordinamenti di civil Law, tenuto conto
anche del rigido formalismo procedimentale che lo stesso Diritto globale (il
comunitario europeo in primis) sta progressivamente imponendo agli
Stati, allo stesso tempo, almeno per quanto riguarda la maggioranza dei Reati
contro la persona, necessario riconoscere che proprio quella riparativa ed
inclusiva la funzione e vocazione originaria del Diritto. I dettati
costituzionali della seconda met del Novecento sono chiari in merito quando
stabiliscono la funzione espressamente riabilitativa della Pena. A ben
vedere, tuttavia, lorizzonte teoretico da considerare risulta essere pi ampio
di quello concretamente visibile da molti punti dosservazione, troppo spesso
irrigiditi su prospettive (ed effettivi fenomeni!) di delinquenza, malavita,
terrorismo nei quali, ancora una volta, il singolo colpevole/reo scompare
come assorbito dallintero fenomeno di cui si fatto in qualche modo espressione
(= un terrorista, un mafioso, ecc.).
Laboratorio
privilegiato di questa prospettiva diventato nel tempo il Diritto penale
minorile, allinterno del quale elementi di sana consapevolezza giuridica
sono stati capaci dinserire progressivamente spazi di umanizzazione sia del
Reato, che del delinquente, che della vittima (almeno indiretta). Si giunti
cos ad impostare e trattare le questioni in termini di giustizia riparativa
e di – conseguente – Mediazione penale minorile
quali modalit concrete di ristabilimento dellordine sociale (prima che
pubblico) violato, e del re-inserimento coscienziale e relazionale del suo
autore. la logica della progettualit di bene per il futuro, opposta a
quella di male che aveva caratterizzato il passato; il meccanismo della
Messa alla prova allinterno di relazioni individuali e sociali pi forti e
comprensive, opposte alla estromissione sociale che caratterizza la detenzione
carceraria.
Significativamente
tali dinamiche e strumenti stanno progressivamente allargando il proprio
spettro di copertura anche fuori dallambito minorile, soprattutto per Reati
minori.
Pur senza
entrare qui nel merito, si consideri ulteriormente come proprio questi sono
stati nel tempo, e rimangono, i princpi di riferimento del Diritto penale
canonico e, pi ancora, delle sue Sanzioni il cui scopo costitutivo non cessa
dessere lemendamento del reo ed il suo reintegro nella Comunit di fede, per
quanto non ingenuamente n senza tener conto delle circostanze
– spesso delicatissime – di persone e di fatti.
7. Conclusione
Riconoscere e
considerare il Diritto come strumento di accoglienza finalizzato alla creazione
di nuove relazioni o al ristabilimento di quelle traumaticamente interrotte
un passo importante per metterne in luce le grandi potenzialit di supporto
ad un con-vivere che tende a complicarsi sempre maggiormente con laumentare
dei propri protagonisti attivi e della portata dei legami socio-istituzionali
ma che, proprio per questo, continua a chiedere nuove forze e risorse,
soprattutto relazionali. Ci nonostante, per, lesperienza giuridica comune e,
di conseguenza, la percezione ordinaria del Diritto continua a relegarlo
principalmente agli ambiti problematici della vita personale e comunitaria,
finendo per associare e identificare la medicina con la malattia stessa,
cos che sovente sia il Diritto a presentarsi come il problema.
Si tratta, in
fondo, della tensione ineliminabile tra il vissuto e il da viversi, che
accompagna ogni relazione quando da personale (= io-tu) diventa soltanto
umana (= io-egli), quando degenera cio dalla desiderabilit di
ci che si pu vivere alla necessit di quanto si deve
vivere.
In questa
prospettiva il Diritto (soprattutto statuale) svolge una (prima)
funzione in qualche modo passiva divenendo una sorta di rilevatore
relazionale, poich pone in luce le fratture che progressivamente sinsinuano
nella relazionalit intersoggettiva rendendo necessario lintervento di un
terzo (= il Giudice o la Norma) per gestire una ex-relazione. la
consapevolezza originaria da cui sorsero espressioni quali Ius sequitur
vitam oppure ex facto oritur Ius o anche remedies precede
rights, ancora oggi pienamente valide per esprimere la vera fonte e
funzione del Diritto.
Non di meno, il
Diritto in genere svolge anche una seconda funzione – attiva –
espressamente liberatoria dalle relazioni che non riconoscono la reale e
concreta alterit dellaltro, siano esse fusionali, oppure di dominio
psicologico ed emotivo o di vera e propria sottomissione. Relazioni in cui non
si pu parlare di persona poich – indipendentemente che si tratti
di motivi individuali o culturali – esiste un solo io
assolutizzato e allaltro (soggetto/individuo) non viene riconosciuto lo status
relazionale di tu, contraddicendo alla fonte la reciprocit che
struttura il Diritto. questa una funzione espressamente promozionale
delle persone che trova soprattutto nel Diritto canonico una propria peculiare
configurazione.
La tensione
– costruttiva – tra rilevazione e liberazione che il
Diritto svolge rispetto al concreto vissuto relazionale, induce per
unosservazione critica: se vero che ci di cui il Diritto non parla, non problema,
perch, tuttavia, non lo ? Perch effettivamente il problema non esiste,
oppure perch non neppure percepibile? Basta pensare ad ambiti come la
sicurezza sul lavoro, la corruzione, il traffico di droga, gli abusi su minori
Lassenza di Cause e di Leggi in materia che cosa dice? Che questi fenomeni non
esistono, oppure che non sono percepiti come problematici?
in
questottica che diventa irrinunciabile porre le persone sia allinizio
che alla fine della dinamica giuridica: suo innesco ed esito. , infatti, la
persona non riconosciuta o non accolta nel suo essere tu che diventa attore
giudiziale, ed proprio ad essa che risponde immediatamente la Sentenza
del Giudice e, spesso, mediatamente anche lOrdinamento giuridico che
viene creandosi di conseguenza, senza che, alla fine, common Law, civil
Law, canon Law, facciano alcuna reale differenza.
La persona, non
di meno, spesso riesce ad emergere solo dopo che il Diritto lha messa in
luce, quasi costringendo la societ come tale a prendere atto della sua
valenza strutturale per la societ stessa e, di conseguenza, anche per ciascuno
dei suoi membri: si pensi alle conseguenze giuridiche indotte dal Diritto
umanitario nei confronti dei c.d. diritti civili: sanit,
istruzione, lavoro, previdenza, ecc. al di l della mera cittadinanza
che lo Stato ottocentesco aveva eretto quale barriera di accesso alla vita
ordinaria entro i suoi confini.
Persone e
Diritto costituiscono ormai una sorta di endiadi: due realt che solo insieme
si esprimono in pienezza, non potendo che implicarsi reciprocamente tanto
maggiormente nei tempi ed ambiti in cui i confini (tra gli Stati) non svolgono
pi alcuna reale funzione diversa da una mera organizzazione.