a) Per quanto concerne la persona ormai necessario caducare definitivamente la definizione boeziana che ha supportato tutto il millenario ciclo scolastico per assumere invece ci che la componente sana della Modernit ha saputo proporci in modo meno anonimo ed individualistico soprattutto nel Novecento. Parlando di persona, pertanto, si far riferimento innanzitutto non ad una rationalis natur individua substantia ma ad un soggetto spirituale intenzionale potenzialmente autocosciente, conoscente e relazionale, in grado di rapportarsi con altri soggetti e con la realt, con capacit creativa e di modifica della realt circostante. Un concetto – sintetico e complesso – che pare oggi poco discutibile, indipendentemente dallambito di riflessione allinterno del quale lo si utilizzi (compreso quello teologico).
b) Per quanto riguarda i diritti (= rights) si permetta di segnalarne gi in via preliminare la sempre pi difficile concettualizzazione sostanziale, rispetto ad un crescendo vorticoso della loro mera funzionalizzazione, tanto che si parla oggi di diritto alla felicit (che rende possibile aspirare alleliminazione anche fisica delle frustrazioni esistenziali, fino alla stessa eutanasia etero-richiesta), di diritto al lavoro (quasi che fosse la Legge a doverlo creare ed assegnare, come fu nei regimi socialisti) o anche di diritti della natura (come apparso in una recente raccolta di fondi fiscalmente incentivata in Italia). Di tuttaltro valore, ma in realt di altrettanta labilit concettuale sotto il profilo espressamente giuridico, il c.d. diritto al cibo tornato alla ribalta nei mesi passati attraverso loccasione dellExpo di Milano 2015.
A proposito di diritti (= rights) non si pu neppure ignorare in sede concettuale come, ad oggi, nessuno sia davvero in grado di spiegare di cosa concretamente si tratti e – soprattutto – chi sia eventualmente tenuto a garantire il soddisfacimento di tali diritti (= rights). Senza considerare, inoltre, che il semplice riferimento a diritti (= rights) tout-court non li individua ancora a sufficienza nella loro identit (= id est) e consistenza, evidenziando la irriducibilit sostanziale, p.es., tra diritti soggettivi e diritti fondamentali (come vengono chiamati sia in dottrina che in varie Legislazioni), senza trascurare neppure lulteriore distinzione – non simmetrica – tra diritti individuali e diritti sociali, cui sono diversamente sensibili le impostazioni di stampo liberale o socialista o popolare. Non di meno risulta ben difficile parlare di diritti (= rights) ove non esista un Diritto (= Law), inteso come Ordinamento giuridico che ne costituisca la stessa possibilit di esistenza in quanto sistema per la loro tutela concreta. Ci basta a dover assegnare ai diritti (= rights) una collocazione ontologica – o almeno assiologica – inferiore alla persona (oltre che alle stesse Istituzioni – v. infra) e alla sua dignit, di cui sono solo una parzialissima tutela e non – invece – una espressione, come spesso si vorrebbe far credere (v. infra).
c) Il riferimento alla Istituzione comporta la necessaria consapevolezza che si tratta di una realt mai originaria – che si possa cio rinvenire l fuori, nel mondo, comՏ invece per la persona – ma sempre funzionale, creata cio dagli uomini, anche senza unespressa volont di tale esito. Una creazione che semplifica la vita quotidiana fissandone specifiche operativit, sia che si consideri la lingua (come idioma) sia che si consideri il Servizio Sanitario Nazionale o qualunque altra realt istituzionale. Alle Istituzioni appartiene anche il Diritto (= Law) come orizzonte stabile di possibilit di esistenza, prima che di esercizio, dei diritti (= rights) gi accennati. Ovvio pertanto che anche il livello di gerarchia ontologica/assiologica delle Istituzioni sia inferiore alla persona, visto che sono le persone a creare le Istituzioni (tra cui i diritti/rights).
d) Il concetto pi difficile da esplicitare in questa sede quello di dignit, sia a causa del suo scarso uso nel linguaggio quotidiano attuale, sia a causa della sua difficile circoscrittibilit. un termine di altri tempi che fa riferimento non al linguaggio del valore, sempre in qualche modo comparativo (= le cose valgono di pi o di meno le une rispetto alle altre), ma al linguaggio pi profondamente ontologico: ci che degno senza possibili comparabilit. Si tratta di una caratteristica: di qualcosa di predicabile, per qualche realt e quindi riferibile direttamente anche alla persona. Proprio la dignit stata scelta dal linguaggio magisteriale della Chiesa cattolica, soprattutto del Concilio Vaticano II, per riferirsi alla persona quando se ne voglia mettere in risalto tutta la grandezza ed il valore intangibile.
2. Lapproccio giuridico 2.1 Lorizzonte di comprensione Per il giurista teorico i quattro termini (= diritti, dignit, persona, Istituzioni) non si pongono sullo stesso piano poich la sua competenza ed interesse sono focalizzati principalmente su diritti ed Istituzioni ed , forse, questo il motivo del suo coinvolgimento nella trattazione di tematiche cos complesse: un coinvolgimento che necessario a chi tratta di persona e sua dignit per non cadere – o almeno scivolare – in pericolose precomprensioni e luoghi comuni che, senza rendersene pienamente conto, finiscono per trasformarsi poi in vere e proprie deleghe in bianco a quanto si va realizzando – soprattutto oggi – in campo giuridico. Questo, infatti, quello che sta accadendo proprio ai nostri giorni attraverso il trasferimento al Legislatore (civile) della maggior parte delle questioni etiche che coinvolgono le societ civili occidentali: inizio e fine vita, sessualit, Matrimonio e famiglia. Lapproccio giuridico fondamentale – o se si vuole: pre-normativo – tanto pi necessario in questi anni in cui, dopo la crisi antinormativistica ed antiregolamentare del Sessantotto (una crisi che fu, in realt, anti-autoritaria e non espressamente anti-giuridica anche se – in ossequio al Positivismo a cui era stata formata quella generazione – identific le Norme con lAutorit), le societ civili del mondo occidentale si stanno spostando velocemente proprio verso sistemi regolamentari e normativi di crescente invasivit della vita non tanto privata quanto, pi gravemente, personale: un fenomeno interessantissimo per chi si occupa di tematiche di dottrina sociale, dovendosi tenere alta lattenzione rispetto al monito – quanto mai profetico – di Gaudium et Spes 75: si guardino i cittadini singolarmente o in gruppo, dallattribuire troppo potere allAutorit pubblica, n chiedano inopportunamente ad essa eccessivi vantaggi, col rischio di diminuire cos la responsabilit delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali. Vantaggi furono chiamati in quella sede quelli che, senza molti dubbi, possiamo chiamare oggi diritti (= rights) individuali! La questione di grande interesse per la riflessione cattolica sul sociale poich siamo pienamente parte – per quanto minoritaria – di un processo in cui il morale – divenuto moralistico lungo tutto lOttocento non solo cattolico (si pensi infatti al mondo vittoriano inglese e al puritanesimo nord-americano) – ha ormai lasciato campo aperto al legale, dopo che anche letico stato attribuito con certezza al campo di competenza dello Stato: basti pensare ad Hegel, fino a Lenin, Hitler et alii. Si tratta di una situazione che deve essere stigmatizzata con chiarezza per poter almeno tentare di difendersi dalle sue maggiori espressioni e conseguenze: una situazione che – per – ha radici lontane qualche secolo e che devono essere riconosciute in quel magma costituito dallUmanesimo razionalista che port a concepire il Diritto come realt auto-noma, antropo-referenziale ed auto-poietica quando letsi Deus non daretur di Ugo Grozio (1583-1645) divenne il principio unico della civilt europea moderna, che proprio in esso trov il nuovo fulcro del proprio movimento e ne fece uno dei propri principali utensili. In proposito non pare enfatico n irrealistico affermare che quanto nelle societ europea antica e medioevale costitu il campo di referenza della religio pass progressivamente al Diritto lungo la Modernit, trasferendo al Diritto stesso le potenzialit e funzionalit precedentemente fondate e gestite in modo religioso, facendo dello Ius la nuova religio capace di – e necessaria per – unificare il popolo. Una religio con propri Pontifices (= i Legislatori) e sacerdotes (= i Giudici), e propri riti: basti qui alludere allelemento rituale (di fatto: liturgico) che la pratica forense ha mantenuto a tuttoggi (per cui: i Processi si celebrano, vestendo appositi paramenti che indicano i ruoli di coloro che operano davanti e per tutti). Un movimento che, trasferendo da Dio al popolo (identificato da oltre due secoli con lo Stato) la fonte della comportamentalit lecita, ha portato allattuale situazione di moltiplicazione sia delle Istituzioni che dei diritti (= rights) che esse stesse devono garantire a ciascun singolo individuo: si pensi, in merito, alle Istituzioni comunitarie (europee) e ai loro rapporti costitutivi coi diritti fondamentali dei cittadini europei che esse stesse di fatto impongono agli Stati. 2.2 I diritti Luso del plurale diritti (= rights) quanto mai appropriato in questa circostanza – come lo sarebbe, non di meno, in tutte le circostanze di questo genere – poich permette di non scivolare inconsapevolmente nella cloud del Diritto come tale che porterebbe immediatamente a discorrere di altro, focalizzando lattenzione in uno spazio che potrebbe anchessere del tutto privo di presenze umane Quanti discorsi sul Diritto in s e per s, infatti, prescindono completamente dalla persona, rimanendo del tutto ultra-fisici. Il ricorso al plurale (= rights) permette inoltre di evitare – e, pi ancora, di smascherare – molte mistificazioni ideologiche. Se si chiedesse infatti, per strada, alla gente se ritiene che nella nostra societ ci sia pi bisogno di Diritto o di diritti, la risposta sarebbe immediata e palese: diritti! Sempre solo diritti, poich il Diritto (identificato con la Norma, la Legge) limita, opprime mentre i diritti (identificati con le pretese individuali) liberano! Non di meno: il Diritto il massimo dellimpersonale, del teorico, del disincarnato mentre i diritti sono sempre i miei: il massimo del sensibile e concreto. Per di pi: anche il rapporto tra Diritto e diritti assolutamente ambiguo ed irrisolto in campo giuridico generale poich sia la storia che lattualit sono profondamente segnate da due modi fondamentali di vivere giuridicamente; due modi basati proprio sulla prevalenza delluno o dellaltro fattore: i diritti (= rights) nel common Law, il Diritto (= la Legge) nel civil Law. A questi primi spunti necessario far seguire ora qualche ulteriore considerazione in termini proprio di diritti (= rights), mantenendo sullo sfondo sia la persona che la sua dignit, poich ad esse andranno poi rapportati. Le Istituzioni, per contro, non fanno espressamente parte di questo gioco proprio in ragione della loro mera strumentalit al miglior vivere umano. a) La prima considerazione riguarda i diritti (= rights) come semplici marcatori formalizzati del buon funzionamento delle dinamiche socio-antropologiche di base. Sono veri e propri criteri ex-post (e non princpi ex-ante; trascendentali) in base a cui valutare (e non ancora giudicare) lo stato di ottimalit – o la sua carenza o assenza – delle relazioni socio-antropologiche: alla stregua dei parametri delle analisi cliniche. I trigliceridi non sono n il fegato n la sua fisiologia, in modo tale che li si possa reciprocamente scambiare; sono tuttavia uno dei marcatori ormai condivisi (e per questo formalizzati) del corretto funzionamento dellapparato epatico stesso.- Si potrebbe anche pensare ai diritti (= rights) come rappresentazioni bidimensionali di realt di per s almeno tri-dimensionali: danno una certa idea, che ha delle connessioni reali ma non sono la realt indicata.
- Altra immagine di qualche efficacia evocativa la partitura musicale di una sinfonia: cՏ una bella differenza tra il leggere (o suonare) tutte le parti dei diversi strumenti ed ascoltare lesecuzione del pezzo allinterno del quale ogni strumento costituisce solo una delle componenti... che, per di pi, non pu essere scambiata con un altro strumento, a maggior ragione se di famiglia differente: una partitura per archi o per ottoni non si pu scambiare con quella per pianoforte.
- Anche gli esempi a noi pi prossimi, quotidiani per molti, della musica o delle immagini in formato digitale che costipano i nostri telefonini non sono altro che riduzioni ed enfasi puramente utilitaristiche della musica stessa o della fotografia. Nella c.d. digitalizzazione musicale o fotografica (= i c.d. MP3 o JPG), infatti, molto pi quello che si toglie alla realt di quello che si mantiene, per potersene giovare con immediatezza.
Cos sono i diritti (= rights) rispetto alla realt umana e, molto maggiormente, rispetto alla persona e alla sua dignit: semplificazioni funzionali, utilitaristiche, a vantaggio non tanto dellindividuo come tale ma del suo vivere sociale. b) Altro elemento di cui tener conto quello che riguarda la funzione – e correlata identit – essenzialmente riparativa e non costitutiva dei diritti (= rights) rispetto al vivere umano. Non si tratta qui, semplicemente, [a] di ricordare in modo nostalgico come nel Diritto romano le Actiones abbiano preceduto gli iura e neppure [b] dinvocare il principio, ancora attivo in common Law, secondo cui remedies precede rights: cose vere, ma teoriche. Occorre, invece, considerare come il prendere corpo e nome dei diritti (= rights) sia sempre conseguenza del reiterato fallimento relazionale tra le persone (e/o le loro cose) e questo sia in campo sociale che politico. in tale contesto infatti – e solo in esso! – che i diritti (= rights) nella loro gestione replicante diventano il Diritto (= Law) che, per, una Istituzione volontaria. Lesempio pi palese in merito quello del rapporto tra vita di famiglia e Diritto di famiglia: indubbiamente cՏ riconducibilit almeno in ragione della trattazione di elementi comuni, ma pensabile che la famiglia come tale sia descrivibile – o, addirittura, costruibile – attraverso il Diritto di famiglia? E qual la riconducibilit dei reali elementi di vita familiare ai diritti (= rights) sanciti a favore delle varie parti attraverso il Diritto (= Law) di famiglia stesso? Non forse vero che in questo caso il Diritto di famiglia (= Law), inteso come sistema dei diritti individuali (= rights) connessi ai rapporti familiari, e potrebbe essere solo riparativo e non costitutivo? Cosa dire, poi, del Diritto (= Law) dei minori allinterno di questo contesto? Sia qui permesso un affondo in tale materia: cosa significa concretamente un diritto alla genitorialit per gli adulti, come quello che viene dedotto dalla Sentenza della Corte Costituzionale Italiana, rispetto al mero interesse, per quanto superiore, del minore? Un problema che non pu evitarne altri ben pi radicali: quali figli e quali genitori? Non di meno: in che modo un diritto alla genitorialit pu essere ragionevolmente dedotto dal pi ampio – e fondamentale – diritto alla salute? Considerando anche – se si vuole – che non è, per, un diritto nascere sani. c) CՏ poi il grave problema dellIdealismo europeo continentale che ha plasmato – per non dire ri-fondato – la cultura europea di cui ancor oggi noi stessi siamo espressione. Un Idealismo che ha fatto del Diritto (= Law) una delle dimensioni portanti della realt: si pensi solo alluso kantiano dellespressione di diritto contrapposta a di fatto, esprimendo proprio col Diritto la dimensione trascendentale della realt quella assoluta, data a priori ed irraggiungibile per lumanit! Un disastro concettuale assoluto, derivato in buona parte dal Giusnaturalismo universalizzante (= idealistico) dei secoli precedenti che aveva gi costruito sulle basi di Grozio quellorizzonte di pensiero che, semplicemente, Kant (1724-1804) si cur di scindere tra noumeno (= ci che di Diritto: il trascendentale) e fenomeno (= ci che di fatto: il categoriale), ponendo cos le basi per il successivo – ed ancora attuale – approdo allo Stato etico. Proprio, per, leticit dello Stato costituisce ancora oggi il presupposto (inconfessabile dopo Nazi-fascismo e Socialismi reali) del rapporto tra diritti (= rights) e Diritto (= Law) che fonda lattuale vivere giuridico del mondo occidentale. Non certo sufficiente una Costituzione demo-cratica per ripartire/diluire tra tutti i cittadini una tale responsabilit etica. Questo, per, il problema capitale della legittimazione delle Istituzioni (tra cui il Diritto) cui si dar attenzione pi oltre. d) Ultima considerazione generale, derivante in realt da quanto sin qui illustrato: il termine diritti (= rights) – e luso singolare di ciascuno di essi – stato utilizzato nel Novecento (e continua) per fondare e garantire elementi (o brandelli) di realt socio-antropologica ritenuti individualmente irrinunciabili e meritevoli di necessaria tutela istituzionale. A partire dalla met del XX sec., cio, sembrato (inconsapevolmente) a molti che qualificare come diritti (= rights) un certo numero di attivit (= espressione, opinione, stampa, associazione, circolazione) potesse garantirne – kantianamente (sic) – non solo la stabilit e la tenuta allinterno dello spazio socio-antropologico originario, ma anche giustificarne la esportabilit e la misurazione allinterno di orizzonti socio-antropologici (e politici) di assoluta diversit. palese in questa prospettiva lutilizzo strumentale dei diritti umani posto in atto nel dopo-guerra dal mondo occidentale prima verso lURSS, poi verso la Cina, Cuba, le varie dittature in giro per il mondo, facendone spesso la condizione per intraprendere determinati tipi di relazioni soprattutto politiche. Sotto altro profilo, ma entro gli stessi presupposti sostanziali (ed ideologici), andrebbero analizzate altre realt spacciate per giuridiche quali, p.es., il diritto di satira (fino allingiuria!) spremuto dallindubitabile diritto di opinione o di espressione. 2.3 Le Istituzioni Come gi per i diritti (= rights), cos anche per le Istituzioni non sar possibile – n opportuno – in questa sede andare al di l di alcune consapevolezze e considerazioni tanto parziali quanto, per, significative per la tematica in esame.a) Come gi accennato, si tratta prima di tutto di dare la giusta considerazione alla natura espressamente umana delle Istituzioni: di tutte le Istituzioni come tali, senza che luso improprio della terminologia in alcuni specifici ambiti – come quello teologico o canonistico, in cui si parla anche di istituzione divina – possa porre in ombra la realt. Le Istituzioni sono un prodotto umano, qualcosa che origina dalla socialit del vivere e proprio questorigine antropologica ne mette in risalto la natura espressamente funzionale a livello sociale. Sia, infatti, che si tratti di Istituzioni spontanee e non intenzionali (come la lingua, il clan, il popolo), sia che si tratti di Istituzioni fondative sorte, cio, secondo la volont ed intenzione di qualcuno (Associazioni, Fondazioni, Confessioni religiose), esse servono sempre a semplificare il vivere umano sociale offrendo sostegno e stabilit a singoli e gruppi. Si potrebbe paragonarle a veri e propri utensili sociali: strumenti costruiti per facilitare operazioni ripetitive in ambito relazionale. Lindividuo isolato ed il piccolo gruppo retto da rapporti primari e diretti (sotto il profilo sociologico) non conoscono n creano Istituzioni Sono, al contrario, i gruppi strutturalmente caratterizzati dallanonima terziet degli individui e, in qualche modo, indipendenti dallidentit del singolo (rapporti secondari e indiretti) a generare ruoli e funzioni che rimangano stabili al di l di qualunque terzo (= sconosciuto) li eserciti, ponendo in ci lattenzione sul ruolo e la funzione anzich sullindividuo che li esercita.
In tale prospettiva si gi accennato come alle Istituzioni appartenga anche il Diritto come Ordinamento anzi, secondo linsegnamento di Santi Romano e Paolo Grossi, il Diritto prima di tutto ed essenzialmente Istituzione/ordinamento; solo a livelli successivi entrano in gioco i diritti/rights, le Norme e le Leggi propriamente dette (Law).
b) La seconda consapevolezza che occorre sollecitare in questa sede riguarda la progressivit e durata delle Istituzioni; esse infatti possono originare in momenti specifici della storia o vita umana e prolungare nel tempo la loro attivit ed efficacia, giungendo ad occupare veri e propri spazi antropologici e sociali, finendo addirittura per prescindere completamente dalle circostanze iniziali e presentandosi come potenziali nuovi inizi di altre realt istituzionali di maggior complessit. Si pensi agli Stati contemporanei rispetto a quelli ottocenteschi ed a quelli moderni; per lEuropa si pensi, poi, alle diverse Unioni create dal dopo-guerra fino allattuale Unione Europea.
Per comprendere la dinamica di nascita e stabilizzazione istituzionale potrebbe giovare il pensare alle costruzioni in cemento armato, agli antichi archi romani, alle grandi cupole realizzate dai migliori architetti della storia (Brunelleschi, Bernini, ecc.): fino al momento dellassestamento di tutti gli equilibri coinvolti e delle spinte delle diverse forze attive, tali opere sono state sostenute da ponteggi, casseri, cntine, ecc. che hanno letteralmente portato e sostenuto tali strutture non ancora giunte al proprio completamento. Quando, per, lopera giunta a realizzazione, nulla pi rimasto di quanto ne ha permesso la costruzione poich lopera realizzata basta a se stessa, divenuta auto-portante e spesso diventa la base per ulteriori accrescimenti, come visibile negli acquedotti romani, nelle cattedrali gotiche, ecc.
c) Ne consegue unulteriore consapevolezza da non trascurare mai a riguardo della vita e sopravvivenza delle Istituzioni che, una volta sorte, diventano auto-nome (= regola e norma a se stesse) ed auto-poietiche (= origine del proprio mantenersi ed operare) tendendo alla replica di se stesse e divenendo spesso indipendenti anche dallintenzione e finalit di chi le aveva poste in essere giungendo fino ad influenzare e limitare chi le ha create. Si pensi, in campo giuridico, alla Costituzione di uno Stato contemporaneo, al suo essere (stata) creata da una specifica societ ma anche al suo creare una specifica societ, visto che le Leggi progressivamente in vigore continuano a dipendere da essa.
una dinamica simile a ci che avviene per il committente di una casa che, dopo esserci andato ad abitare, si trova condizionato nel proprio vivere da quanto lui stesso ha pensato, voluto e fatto realizzare in determinati modi. Non di meno il committente pu anche giungere a vendere la casa cos progettata e costruita: una vendita che rende quella casa totalmente indipendente da chi lha voluta, pur senza nulla togliere alla casa come tale, che continuer ad essere abitata da altre persone, anche con adeguato gradimento.
d) Ultimo elemento da considerare e valorizzare adeguatamente in questa sede la soggettivit delle Istituzioni: il fatto cio che esse possono operare sul modello delle persone, per quanto in modalit spesso fittizie o solo analogiche, ma comunque reali. Come le persone, anche le Istituzioni hanno una propria fisiologia, assorbono e producono risorse, entrano in contatto con gli altri soggetti dello spazio sociale di appartenenza, assumono iniziative, condizionano la volont e le attivit degli altri partecipanti producono regole dazione e cercano di tutelarle.
Non di meno il loro essere poste a livelli superiori rispetto alle singole persone ne fa obbligati punti di riferimento sia di promozione che di repressione anche delle relazioni e condotte personali, mostrandole come referenti stabili sia dei significati che della comportamentalit umana, come avviene in modo del tutto specifico con le Norme morali e giuridiche.
Questa soggettivit, tuttavia, dota le Istituzioni di una consistenza, un rilievo e unimportanza ben superiori a quelli attribuibili, p.es., ai diritti (= rights), sollecitando il giurista a considerarle – lungi tuttavia da ogni assimilazione o identificazione – entro gli stessi parametri e criteri funzionali ed operativi utilizzati per le persone non senza il rischio, sempre attivo, di imprigionare le persone al loro interno.
2.4 Diritti e Istituzioni Gli elementi di consapevolezza sin qui illustrati circa diritti (= rights) ed Istituzioni hanno messo in luce la non immediatezza del legame (che potrebbe o dovrebbe intercorrere) tra gli uni e le altre: un legame difficile da individuare a livello eziologico e tanto pi causale, un legame che merita pertanto ulteriore esplorazione per poter essere adeguatamente delineato, soprattutto in funzione del tema pi generale indicato dal titolo sia di questa relazione sia dellEvento che la ospita. Lelemento cardine da considerare in questa sede la non immeditata riconducibilit dei diritti individualistici (= rights) al Diritto come Ordinamento/Istituzione (= Law). La natura e funzione riparativa – in senso ordinatorio e pacificante –, infatti, del Diritto-Istituzione non permette di porlo al di sopra – quale fonte e scaturigine – dei diritti individualistici (= rights) intesi come pretese istituzionalmente tutelate, principalmente attraverso lo strumento giudiziale (= le Corti). Nella storia umana, infatti, e al di fuori dellIdealismo (anche giusnaturalistico), innegabile che non esista il Diritto ma molti Ordinamenti giuridici che gestiscono a modo loro le conflittualit intersoggettive interne a ciascuna societ, civile (= Ordinamenti di common Law) prima che politica (= Ordinamenti di civil Law). la semplificazione del vivere sociale attraverso i processi di istituzionalizzazione che porta [1] le pretese individualistiche a diventare prima [2] diritti (riconosciuti ex-post ai molti singoli che lamentano il danno loro arrecato da determinate condotte di terzi) e poi [3] Diritto (riconosciuto ex-ante a tutti i membri di tale comunit sociale). Questa dinamica pone in risalto la relazione addirittura opposta tra diritti (= rights) e Diritto (= Law) quando si tratti del paradigma normativo (= civil Law) anzich di quello giudiziale (= common Law). Nel paradigma giudiziale infatti (quello comunemente ricondotto al common Law e con profonde radici vetero-romanistiche) la richiesta di giustizia che viene istituzionalizzata attraverso lintervento giudicante e riceve cos la sua risposta pubblicamente formalizzata (= istituzionale); al contrario, nel paradigma normativo (quello di civil Law – ma ormai anche quello europeo comunitario, per quanto non in forme tecnicamente legislative –) la Norma istituzionalizzata che fonda e motiva la richiesta prima sociale e poi giudiziale di quanto spetta per Legge a ciascun singolo, cosicch al Giudice (non penale) non si chiede di riconoscere e riparare il danno subito ma di attribuire quanto previsto dalla Legge, giungendo fino a considerare come danno la mancata attribuzione o il mancato conseguimento di un qualunque vantaggio spettante per Legge. In questa prospettiva il momento attuale si mostra di assoluta fecondit allinterno del mondo europeo a causa del sovrapporsi e coimplicarsi delle due dinamiche (giudiziale e normativa) che sta caratterizzando levoluzione del Diritto comunitario (europeo). infatti in gran parte lattivit delle diverse Corti europee che muove in modo nuovo i precedenti paradigmi, contaminandoli progressivamente. I Casi – e non pi le Cause – decisi dalle Corti dellUnione applicando princpi pi che vere Norme ricadono infatti sulle Legislazioni nazionali finendo per sottometterle al Giudice che, in tal modo, prevale sul Legislatore. Questa prima fase del movimento tipica del common Law, ad essa succede per una seconda fase, tipica del civil Law, che comporta la modifica o addirittura lincremento della Legislazione statale, con effetti anche sugli Ordinamenti di common Law che stanno progressivamente regolamentando – attraverso vari Act – un numero crescente di materie storicamente gestite attraverso il Diritto comune coi suoi princpi e precedenti. La presa datto ormai diffusa a livello politico (prima che sociale) di questo andamento di istituzionalizzazione dei diritti individualistici (= rights), insieme col dogma tardo-moderno della sovranit popolare che si esprime attraverso lattivit legislativa parlamentare, hanno ormai consolidato una mentalit – di assoluta efficacia funzionale – in grado di trasformare le pretese individuali (= claims) in richieste di diritti individualistici (= rights) che il Diritto (= Law) trasformer poi in opportunit – quando non addirittura veri patrimoni – generali, garantendone cos la tutela generalizzata a priori rispetto ad ogni singola comportamentalit. Inutile, a questo punto, nascondersi la perfetta equivalenza funzionale di questo processo rispetto a quello nomopoietico tradizionale in cui la priori – naturale o religioso – presiedeva alla formazione dello strato etico da cui si dipartivano poi Morale e Diritto, incaricate di sovrintendere alla comportamentalit concreta (individuale e sociale) di ciascun soggetto. Non di meno, somma garanzia e grembo fecondo di tutto ci sono sempre state le (supreme) Istituzioni, senza delle quali nulla pu esser pi realizzato; dovendosi porre tra queste anche – e prima di tutto, dal punto di vista cronologico – quelle religiose, cui oggi sono subentrate quelle sociali e politiche senza poter trascurare lattuale dipendenza di entrambe da quelle economiche. Ed proprio al ruolo deontico (o comportamentale) delle Istituzioni socio-politiche che occorre riconoscere oggi unimportanza decisiva in luogo di quella tradizionalmente ricoperta dalle Istituzioni religiose. Sono esse, infatti, a svolgere in modo pressoch universale lattivit etica di base, poich ormai il Diritto (= Law) a giustificare la condotta del singolo, tutelandola e garantendola anche contro il resto della collettivit (= right), secondo quella dinamica che presiede dalle radici quasi ogni condotta esteriore di qualunque soggetto in societate: cio la legittimazione. Per comprendere che cosa stia realmente accadendo in questambito ai nostri giorni necessario considerare che, per quanto i meccanismi e le dinamiche dellambito deontico (= etico, morale, giuridico) siano estremamente articolati, in realt le loro logiche conclusivamente operative risultano piuttosto elementari, finendo per ridurre pressoch ogni circostanza o problematica comportamentale ad ununica soglia di accesso o recesso: il non vietato, o comunque permesso. La cosa, daltra parte, facilmente comprensibile considerando che, alla fin fine, ci che realmente interessa a qualunque soggetto lassenza dinterventi sanzionatori negativi nei suoi confronti. Dove infatti non esiste ritorsione, luomo contemporaneo ormai propenso a scorgere una sostanziale neutralit operativa o comportamentale. In effetti: quando lunica vera attenzione e preoccupazione consiste – comՏ oggi – nel non subire effetti negativi dal proprio comportamento, poco importa la natura o la qualit intrinseca della condotta o il motivo della sua non onerosit. Ne deriva che un divieto tale solo se concorde tra tutti gli operatori regolamentari presenti quando, invece, anche uno solo di essi risulta permissivo, il divieto salta, perdendo la propria credibilit prima che la propria cogenza. Detto in altri termini: la legittimazione comportamentale funziona come un sistema in pressione (si pensi alla moka del caff o ad un motore a scoppio): se qualche elemento di tenuta sfiata (come si dice in linguaggio ordinario) il sistema non produce alcun effetto poich la pressione non risulta pi indirizzabile allo scopo prefissato. quanto sta accadendo negli ultimi decenni man mano che lEtica cristiano-cattolica e quella legale-statale si allontanano sempre pi, dopo aver incrinato la santa alleanza che per secoli aveva visto sostanzialmente concordi i due principali operatori regolamentari europei (Chiesa e Stati), in quella che – ad ogni effetto – era soltanto una dinamica di evidente risparmio di risorse da parte di entrambi. Iniziato, infatti, il nuovo flirt con lEconomia, lo Stato contemporaneo ha abbandonato la Religione quale alleata funzionale della propria attivit per cercare di ottenere dalla nuova venuta lo stesso tipo di esiti, senza per accorgersi di essere stato esso stesso gi sedotto ed asservito. Lorizzonte comportamentale si popola cos di uninfinit di condotte pretesamente libere ai loro inizi e progressivamente tutelate, per divenire poi garantite: sono i diritti individualistici (= rights) che fungono da moneta di scambio, passepartout universale, con le Istituzioni soprattutto quelle pi giovani, che hanno ancora bisogno di sostegno esterno nel loro divenire ed imporsi. 3. Persona, dignit e coscienza 3.1 La persona e la sua dignit Con evidenza il quadro (poco lusinghiero quanto per realistico) sin qui delineato per sommi capi circa il rapporto tra individui ed Istituzioni imperniato sui diritti (= rights), non ha attivato alcuna connessione n con la persona, n con la sua dignit, mostrando – forse in modo sorprendente per qualcuno – la possibile estraneit tra i due ambiti: una estraneit che pone il serio problema della propria reale esistenza e consistenza. questo, non di meno, che rende necessaria una riflessione pi consapevole sul secondo binomio concettuale proposto: persona e (sua) dignit. Sarebbe fin troppo facile in questo contesto assumere anche soltanto qualcuna delle affermazioni monumentali di cui traboccano alcuni ambiti della dottrina (sia giuridica generale che canonica) circa il rapporto ontologico tra persona e Diritto: la cosa porterebbe assai lontano, rimanendo per relegata al meta-empireo delle cose che – comunque – non-sono mentre le dinamiche sin qui descritte – pur sommariamente – sono la realt concreta in cui ci si muove oggi. Affermare, infatti, che la persona il centro o la fonte del Diritto non andrebbe – oggi – oltre la pura estetica. Questo, per, il vero problema del Diritto (= Law) e dei diritti (= rights): la necessit di aver ben chiaro cosa e come sia la persona cui ci si riferisce. Meglio ancora: chi essa sia! la fonte, infatti, ad essere costitutiva di ci che ne sgorga. Ed occorre essere molto chiari altrimenti – kantianamente – il Diritto (= Law), inteso attualmente come la sommatoria dei diritti (= rights) tutelati, precede la persona e potrebbe addirittura giungere a costruirla come sempre pi appare in campo bio-giuridico (in realt: farmaceutico-economico). Purtroppo anche lesito concreto di questa questione risulta molto pi semplice di quanto possa apparire (e sia apparso); bastano infatti pochi tratti a delinearlo in modo anche inatteso. La boeziana individua substantia, una volta naturalizzata da Grozio (privandola del suo costitutivo riferimento a Dio e, cristianamente, rapporto personale con lui) e rafforzata dalla volont auto-identificante di Surez (assumibile in proprio da ciascuno ma non partecipabile, comera invece per la ragione tommasiana), divenuta poi il cittadino della Dichiarazione del 1789 e delle varie Dichiarazioni internazionali dei diritti, oggi lindividuo autocentrato e desiderante che reclama diritti (= rights) e costruisce nuove Istituzioni – sempre pi complesse (e macchinose) – che gliene attribuiscano stabilmente lindisturbata fruizione in ambiti e territori sempre pi ampi, anche in conseguenza di Norme di Ordinamenti giuridici (= Diritto/Law) diversi da quello di appartenenza. Si pensi alle questioni anagrafiche connesse alla formalizzazione giuridica di rapporti non matrimoniali (secondo lArt. 29 della Costituzione italiana) realizzati allestero, ma anche alle c.d. maternit surrogate e molto altro, soprattutto di origine o stretta connessione bio-medica. Interessante in merito – sotto il solo profilo giuridico (e non scientifico!) – lannunciato trapianto di testa (o – forse – di corpo?) che il prof. Canavero intende realizzare entro il 2017 in Cina su di un cittadino russo: chi, infatti sar leventuale sopravvissuto? Il precedente titolare del corpo o quello della testa? La dinamica sottesa a questo desiderio auto-alimentante che cresce con andamento esponenziale fabbricando sempre nuove immagini del s (non tanto lego psicoanalitico ma il self postmoderno) da realizzare a proprio uso e consumo si presenta, in realt, come meramente sommatoria e addizionale, ingorda di sempre nuove legittimazioni comportamentali cui nessuno deve porre ostacoli e che, anzi, dapprima devono essere non impedite (= libert), poi rese possibili e tutelate (= rights) fino ad essere sostenute o anche incentivate e imposte (= Law). Un sommare ed addizionare, disorganico e capriccioso come la volont, che amplia il self anzich far crescere la persona, che usa proprio e principalmente i diritti individualistici (= rights) quali propri strumenti fondamentali. Le cronache quotidiane bastano a comprovare questa lettura volutamente critica. In tuttaltro orizzonte si pone, invece, la persona intesa come soggetto spirituale intenzionale potenzialmente autocosciente, conoscente e relazionale, in grado di rapportarsi con altri soggetti e con la realt, con capacit creativa e di modifica della realt circostante (v. supra), senza che tale linea dindividuazione possa definirla come farebbe una essenza classica o una pi recente Gestalt ma, soprattutto, senza che si possa pensare di ridurla ancora una volta alla definizione boeziana attraverso qualche trasposizione linguistica e pseudo-concettuale anche perch (dicendo che la persona substantia e non ens) il concetto di substantia, in realt, non risolve nulla rispetto al semplice ente, visto che la soggettivit (= lio – la prima persona) rimane comunque esclusa da queste impostazioni. La persona soggetto e non individuo, relazione e non sostanza, si caratterizza per dignit e non per razionalit: su questo non si pu tornare indietro! Per quanto, infatti, sia vero e non possa essere radicalmente negato che (nel pensiero prima di Boezio e poi degli Scolastici) individua e substantia significassero la indivisibilit e la non-incrementabilit, non di meno si rimane sempre inchiodati allinterno delleterna terziet dellessere: lest , e rimane, costitutivamente una terza persona, allo stesso modo delle cose. La substantia – alla fin fine – res, non persona! Classicamente e scolasticamente ci si trova sempre innanzi ad un s e mai ad un io e ad un tu: questo il problema! La persona, invece, sempre – per quanto non solo – un io che si auto-differenzia dalle cose e opera sulle cose. la grande scoperta di Cartesio che finalmente riesce a distinguere tra le varie res una res particolarissima (e si accolga il boeziano individua) che prende le distanze da tutte le altre res (e si accolga anche la boeziana substantia) in ragione del suo singolarissimo ed individuale cogitare (benvenga pure la rationalis natura), mentre tutte le altre res semplicemente si estendono ad occupare la realt come tale. Una realt concreta che il linguaggio scolastico (e le sottostanti categorie!) non era neppure in grado di differenziare tra uno e molti: res sia plurale che singolare! Ed proprio questa ambigua polivalenza anche grammaticale che Cartesio – a modo suo ed embrionalmente – spezza per sempre: allest della realt oggettuale, Cartesio pone innanzi il sum (che non n lego n il self) della realt soggettuale. Non divide la realt, la res (come far invece Kant, aprendo al disastro) ma la differenzia: res cogitans e res extensa. Non la separa, ma la individua. cos che la realt tutta, percepita e concepita sino a quel momento come monodimensionale, improvvisamente esplode divenendo addirittura tridimensionale poich alla terza persona – valida indistintamente per oggetti e soggetti – si affianca la prima persona e, inevitabilmente, la seconda, aprendo definitivamente allintera grammatica dellesistenza e dellesistente. Una grammatica in cui uno e molti (= res), persona e cosa (= sum, est) non saranno mai pi confondibili, n involontariamente (ed indebitamente) assimilabili. Una realt ben pi ampia del soggetto/individuo (= prima persona) – e per giungere qui occorreranno secoli dopo Cartesio! – e delloggetto (= terza persona), una realt popolata di soggetti chiamati – e chiamanti – al reciproco riconoscimento (= seconda persona), per quanto sempre esposti allanonimato dellestraneo: il non-tu, il lui che spesso degrada nellesso. Ed questo – lo si permetta al giurista – il luogo, la sede, la condizione, dei diritti; quanto gi sollecitato a proposito del Diritto di famiglia chiaro in merito: si chiede al Giudice il riconoscimento di diritti quando dalla persona non si ha pi il riconoscimento del tu. Si potrebbe spingere la riflessione pi in profondit considerando ulteriormente che il Diritto come tale non ha attinenze sostanziali (o costitutive) con la prima persona (= lio), neppure plurale (= il noi), ma sempre e solo con la terza persona (= lui, lei, loro). Ci non soltanto poich, sotto il profilo teoretico, Ius est in tertium ma, molto maggiormente, poich laddove si riesca (ancora) ad utilizzare la prima persona plurale, il noi (= io + tu) non cՏ alcuno spazio concreto per il Diritto. Quando, infatti, si utilizza il noi ci si trova innanzi ad un unico soggetto, per quanto plurale: una condizione che, pur sufficiente a livello etico o anche morale, non permette per nulla di sostanzialmente giuridico. La questione chiara, poich lentrare in scena del Diritto si profila sempre con lintervento – richiesto oppure no – del terzo davanti al quale lassenza di riconoscimento del tu d luogo al passaggio dellintera relazione alla terza persona: quella del Giudice (il terzo per antonomasia, impersonale ed estraneo sia ai fatti che alle parti) ma – e soprattutto – il non (pi) riconosciuto come tu: laltra parte. costitutivo del Diritto quanto accade innanzi al Giudice: le parti non si rivolgono pi luna allaltra attraverso la seconda persona, il tu, ma attraverso la mediazione relazionale del Giudice al quale ci si rivolge in terza persona (poich tale egli !) parlandogli in terza persona anche dellaltra parte (= lui, lei) con la quale non si comunica pi direttamente (= tu). In tale prospettiva la persona non in nessun modo una realt (un ente umano scrive ancora qualcuno) incrementale e additiva di caratteristiche, attivit, diritti In quanto soggetto indivisibile e non ampliabile, incomprimibile e non parzializzabile non esiste gradualit alcuna nellessere persona, n alcuna condizione concreta pu intaccare o ridurre tale identit (= id est). questo, in fondo, che si vuole indicare col concetto di dignit in tutte le situazioni in cui il discorso o il ragionamento o la valutazione o il giudizio sulla persona mostra la necessit di porne in risalto il nucleo pi irrinunciabile e costitutivo, al di l di ogni sua possibile manifestazione fenomenica o anche solo funzionale. La questione decisiva per largomento che ci occupa, poich mentre la dignit unitaria, incomprimibile e indivisibile, i diritti (= rights) invece sono sempre parziali e frammentari. 3.2 Dignit e diritti (individuali) Parlare di persona in termini di dignit non risulta tuttavia concludente se prima non si metta adeguatamente a fuoco cosa sia e come funzioni tale concetto cos fondamentale ed ampio gi da individuare, prima ancora che da definire. Si potrebbe trarre vantaggio dal paragonarla ad un altro concetto di grande ampiezza e scarsa definibilit, per quanto a tutti abbastanza familiare: quello di salute. E, in effetti, anche nella dignit, come nella salute, si devono fare i conti con una realt concretamente percepita ma anche concretamente indivisibile ed ingestibile, alla quale non si pu accedere in modo analitico e puntuale se non indirettamente, tramite quegli indicatori formalizzati di cui si gi parlato a proposito dei diritti (= rights). Una realt, per di pi, che non pu in nessun modo essere riassemblata a partire dai suoi indicatori formalizzati poich necessario riconoscere che si tratta di meri indicatori e non di componenti veri e propri. Se si permette loggettivazione: i diritti (= rights) non sono come i componenti di un motore, cosicch quando li si possieda tutti si possa letteralmente costruire tale motore procedendo per semplice assemblaggio, come avviene in officina o, peggio, in catena di montaggio. La questione va ben oltre anche approcci troppo semplicisticamente organicistici o olistici: non questione di percepire che il tutto superiore allinsieme delle parti poich nel nostro caso i diritti (= rights) non sono in nessun modo le parti della persona e tanto meno della sua dignit! La persona non pu essere disassemblata in diritti (= rights) come, invece, un motore nei suoi componenti! Per questo lesperienza comune e costante del mondo giuridico fa continuamente prendere atto che nessun cumulo n combinato disposto di diritti (= rights) riesce mai a ricostruire la vita di nessuno. Si pensi – ancora – al Diritto di famiglia, oppure alle tristissime vicende delle vittime di errori giudiziari, o anche alla improbabile ed ineffettiva riabilitazione di innocenti ingiustamente condannati. Occorre diventare capaci – pi che solo disposti – di infrangere lidentificazione razionalista e borghese tra persona – che non individuo – e suoi diritti (= rights), negando con risolutezza che la Legge – uguale per tutti – coincida col Diritto e questo – a sua volta – sia riducibile al cumulo dei diritti (= rights) in qualche modo fissati [a] nei Codici, di cui quello napoleonico fu lespressione programmatica (per nulla superata dai fenomeni attuali di de-legificazione) oppure [b] nella Giurisprudenza derivata dalle Convenzioni internazionali, comՏ quella della Corte Europea per i Diritti dellUomo (C.E.D.U.). Come la salute attraverso gli esami clinici, cos la dignit attraverso i diritti (= rights), pu essere in qualche modo – solo – verificata per divenire oggetto di consapevolezza, ponendo cos problemi, pi che offrendo soluzioni; infatti noto come il ricorso agli esami clinici appartenga alla fase diagnostica e non a quella prognostica di una patologia. Infatti: lindividuazione di valori clinici fuori norma non individua in s la malattia n, tanto meno, indica quali siano i farmaci da utilizzare Semplicemente porta a fissare lattenzione su di un certo numero di elementi e fattori critici per la salute del soggetto. in questa prospettiva che al rapporto tra dignit della persona e suoi diritti inalienabili pu essere ricondotta la tematica – sociologica e non politica (v. supra) – del sorgere e consolidarsi dei c.d. diritti fondamentali nel Diritto costituzionale moderno, soprattutto anglosassone. In fondo lHabeas corpus Act del 1679 non intendeva fare altro che questo: sottrarre allo strapotere dellAutorit sovrana qualcosa che si riteneva appartenesse in modo cos intimo e strutturante al singolo da non poterglielo strappare in nessun modo e per nessuna ragione che non fosse in qualche modo sovraordinata (= la sicurezza pubblica) e definitiva (= la colpevolezza certa). 3.3 Dignit e coscienza Espressione peculiare – e non solo sintetica o simbolica – della persona e della sua dignit la coscienza: quella coscienza che il Concilio Vaticano II ha finalmente saputo porre in risalto quale elemento costitutivo della persona stessa. Una coscienza che diventa, in qualche modo, il locus stesso della persona, la sua sede, il suo quid o id pi profondo ed imprescindibile: la casa del s di ciascuno, come suggerisce unespressione ormai usata dalle Neuroscienze la sua stessa identit. Proprio questa coscienza il Vaticano II, soprattutto nella Dichiarazione Dignitatis Human, ha congiunto strettamente alla dignit umana facendo delluna lespressione visibile dellaltra: la dignit visibilizza la coscienza. Si trattato di un passo epocale – anche se ancora ignorato dalla maggioranza degli stessi cristiani –; un passo che ha completamente trasformato sia la coscienza in s che la sua relazione con la realt e, pi ancora, il vissuto (e vivibile) umano. Con la Dignitatis Human la coscienza della persona smette di essere poco pi che la fedina penale individuale sulla quale si stratificano – peccato dopo peccato – i segni della vita (im)morale di ciascun singolo, allinterno di una concezione pessimistica di radicale insufficienza dellumano, di chiara reminiscenza platonico-agostiniana. La coscienza riproposta dal Vaticano II la sede della libert umana consapevole e razionale: la sede della scelta e decisione di amare ed anche di soffrire pur di amare; la sede del promettere e del rimanere fedeli alle promesse, costi quel che costi; la sede dellincontro con Dio e della consegna totale di se stessi a Lui. il luogo – o anche il dinamismo o il flusso – in cui conoscenze, desideri, affetti, paure, speranze di ciascuno sincontrano e si confrontano al fine di trovare e fissare quale sia il nome corretto da dare ad ogni cosa della vita (= lidentit), cos da stabilire poi quale debba essere anche il corretto rapporto da stabilire ed intrattenere con ogni cosa (= adquatio). Poco conta che la Chiesa, almeno questa volta, non sia arrivata per prima a questa tappa, come ben si coglie nellaffermazione conciliare secondo cui gli uomini diventano sempre pi consapevoli della dignit della persona umana e cresce il numero di coloro i quali esigono che gli uomini nellagire seguano la loro iniziativa e godano di una libert responsabile, non mossi da coercizione bens guidati dalla coscienza del dovere. [] Considerando diligentemente queste aspirazioni degli animi e proponendosi di dichiarare quanto siano conformi alla verit e alla giustizia, questo Concilio vaticano esamina la sacra Tradizione e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi sempre in armonia con quelli antichi. Limportante il fatto dellacquisizione di tale consapevolezza. In questa prospettiva, in cui coscienza e dignit si corrispondono direttamente, non solo diventa opportuno riesprimere lindivisibilit ed irriducibilit della coscienza (come gi detto per la dignit) ma, ulteriormente, necessario esplicitare altre caratteristiche proprie della coscienza quali la ponderativit e la prudenzialit. La coscienza, infatti, ponderativa e non calcolativa, si muove in via prudenziale ed equitativa, non determinativa e non applicativa. nella coscienza, non di meno, che emerge la persona: nella coscienza che non una cosa, una res, ma un dinamismo, forse, un modo addirittura attraverso cui il soggetto interagisce con la realt personale assieme a quella circostante come un prisma che scompone o ricompone la luce, come una lente che concentra o proietta i raggi che la attraversano, come lacqua che scioglie o pone in sospensione le particelle che incontra. Se questo, per, il centro, il nucleo della persona, n diritti (= rights) n Istituzioni potranno essere mai alla sua altezza, al suo livello, non solo per contenerla o per esprimerla ma tanto meno per promuoverla o tutelarla. La persona, in quanto coscienza e dignit, incontenibile: occorre prenderne atto e cambiare radicalmente il modo dintendere il suo rapporto col Diritto. 3.4 Una conseguenza problematica, in appendice Proprio la radicale incontenibilit ed irriducibilit della persona (in quanto coscienza e dignit) al Diritto in quanto opus hominum oppure Lex ha motivato nei secoli il radicarsi di una formula testuale – divenuta in realt concettuale – di grande problematicit non socio-culturale ma sostanziale: il Diritto naturale. Proprio il Diritto naturale fu infatti utilizzato fin dallAntichit greca come grimaldello per impedire che la persona restasse rinchiusa nella gabbia dello Ius o della Lex, vittima dellimperium/voluntas di qualcuno verso qualcun altro, o molti altri, come ben esprime lAntigone di Sofocle nel suo rifarsi alle Leggi eterne degli dei contro quelle momentanee degli uomini. Una via di fuga, un paracadute, una scialuppa di salvataggio, dunque, affinch la persona e la sua dignit potessero comunque venire salvate rispetto alle pretese delle Istituzioni e del loro Diritto. Cos allorigine, e cos – sostanzialmente – fino alla grande Scolastica. Non di meno: lassioma groziano (secondo cui la natura quanto permarrebbe etsi Deus non daretur) ha inquinato irreparabilmente la sorgente da cui la Modernit giuridica occidentale sta ancora attingendo attraverso varie forme di Giusnaturalismo, continuando ad immettere nella dinamica giuridica, ormai esclusivamente socio-politica ed economica, il Diritto naturale alla pari degli altri Diritti-ordinamento (= Law) e spesso in contrasto coi diritti individualistici (= rights), generando una confusione pressoch totale sia nei singoli che allinterno delle Istituzioni. Di fatto la concezione assolutamente autoreferenziale e positivistica del Diritto moderno (assolutistico nella prima Modernit, radical-borghese nellepoca delle Rivoluzioni, statalistico e demagogico insieme, nella presente contemporaneit) ha fatto s che Diritto naturale (e sottostante Legge naturale), non meno che Diritto divino, siano concepiti e trattati come vero Diritto e vera Legge provenienti dalla divinit convinti che solo in tal modo si possa resistere alle Leggi provenienti dagli uomini. Ne consegue il gravissimo rischio di ritenerli davvero Legge e Diritto come gli altri, ponendoli inevitabilmente sullo stesso tavolo delle trattative parlamentari e dei diversi compromessi dinteresse partitico o ideologico, comՏ, daltra parte, tutta lattivit legislativa occidentale dalla Rivoluzione francese in poi. Quanto sin qui illustrato, invece, proprio in termini di persona, dignit e coscienza, rende assolutamente necessario mantenere questi elementi al di fuori di qualunque deriva riduzionistica verso la giuridicit contemporanea, al fine di continuare a distinguere con forza e lucidit ci che appartiene alla dignit umana e ci che si individua nei diritti (= rights) o nel Diritto (= Law), strappando la protezione e la promozione della persona alla pura attivit giurisdizionale, legislativa e convenzionale/contrattuale cui oggi ridotta spesso proprio in sede giurisdizionale: la C.E.D.U. in primis, continuamente chiamata a giudicare sulla violazione di diritti individuali cos da modellare ormai senza posa il Diritto-ordinamento generale partendo dal guicciardiniano particulare. A questo proposito interessante che Ges stesso, interrogato sul ripudio-divorzio (e non sul ripudio-separazione), non abbia citato affatto la Legge di Dio (= Diritto divino positivo?) fissata nei Comandamenti – il non commetterai adulterio, settimo comandamento di Esodo e Deuteronomio – ma abbia invece ricordato un fatto costitutivo: la creazione operata da Dio. Il positum a Domino costitutivo e non volontaristico! Crea la realt, non la regolamenta. Con il proprio intervento creativo e redentivo il Dio biblico pone ordine o riporta ordine, non: d ordini! Lintervento di Dio nella creazione e nella storia pone leggi strutturali: come sono le c.d. leggi di natura e non le leggi (giuridiche) umane. Riguardano lesse e non lagere (= Etica), n tanto meno il facere (= Diritto). Daltra parte: se di natura si tratta, ci si muove nel campo ontico non in quello de-ontico delle condotte. Nessun dubbio possibile sul fatto che si tratti della trama di cui tessuta la realt ed anche il vivere umano; nessun dubbio pure sul fatto che solo ordendo correttamente tale trama luomo possa tessere la verit del proprio essere ed esistere nessun dubbio per anche sul fatto che Legge e Diritto siano tuttaltro e che nessuna analogia possa in alcun modo realizzare o giustificare una tale operazione non solo anti-semantica ma anche anti-realistica ed anti-teologica. 4. Conclusioni Il momento attuale risulta di grande delicatezza per la sopravvivenza della dignit umana non solo dal punto di vista fattuale ma, molto pi radicalmente, concettuale. Sopravvivenza della dignit che, come detto, coincide concettualmente con la persona stessa, con luomo come ognuno percepisce e pensa se stesso (e chi ama). La disarticolazione dellumano funzionale in diritti individualistici (= rights) stabiliti in sede convenzionale e tutelati in sede giudiziaria a-legislativa, costituisce la maggior minaccia dellumano reale, la persona, mai parzializzabile nella propria dignit e coscienza. Lutilizzo ingenuo del linguaggio e dello strumentario giuridico per promuovere e tutelare la persona si sta gi manifestando come un vero e proprio boomerang il cui ritorno al lanciatore si sta gi realizzando. Purtroppo da temersi, soprattutto in campo ecclesiale, che non si sia ancora capito che le parole sono pi ostinate dei fatti ed il loro uso inadeguato, rispetto alle concettualizzazioni sottostanti, potrebbe risultare fatale ben prima di quanto ci si aspetti.