- Il primo presupposto che la comunione non sia un cosa (= quid) ma un come (= quomodo): non un valore, non una meta, non un fine, e neppure un principio, ma un modo e non un modo di essere ma un modo di comportarsi, di operare, di attuare, di realizzare, allinterno di una relazione inter-soggettiva. Un modo, per di pi, importante per il Diritto, proprio perch il Diritto stesso riguarda comportamenti, azioni, realizzazioni sociali. lambito delle Scienze dellazione e non dellessere: deontico e non ontico, avrebbe detto T. Jimnez Urresti. Poich gi su questo potrebbe svilupparsi un amplissimo dibattito, trattandosi di questioni in gran parte ancora aperte, pare legittimo assumere – dichiarandola – una specifica prospettiva, senza attardarsi ulteriormente sul tema. Un punto di riferimento comune sulla materia potrebbe tuttavia esser trovato a livello canonistico nellindicare la comunione quale situazione ecclesiale, come sembrano indirizzare i Cann. 96; 149; 171; 194; 204; 205 nella linea del dovere espressamente giuridico, che emerge dal Can. 209.
- Il secondo presupposto riguarda linformazione, approcciata in questa sede nella prospettiva non tanto delle sue dinamiche ma del suo contenuto: i dati. Per quanto, infatti, linformare, il dare informazioni, linformarsi, siano attivit che qualcuno compie, non sfugge a nessuno come quello che in essa conta e rileva, soprattutto in chiave giuridica, ci che si trasmette e/o si riceve o acquisisce. Non di rado, infatti, uninformazione anche qualcosa di autonomo rispetto ai suoi referenti, proprio perch spesso si tratta di meri fatti che esistono anche senza che alcuno li conosca o li riferisca e davanti ai quali ci si pu imbattere anche senza averli cercati. Non di meno: poich un certo numero di fatti interagisce (o interferisce) con la vita ecclesiale dei soggetti (sia personali che istituzionali) essi assumono anche una specifica portata e consistenza espressamente giuridica. Sar pertanto decisivo adottare un concetto di informazione differente da quello comune nel mondo dei mass media, in particolare rispetto al concetto di diritto di informazione, che sarebbe meglio, invece, chiamare di cronaca. Questi pochi tratti portano anche ad indicare che il tema sar trattato dal prevalente punto di vista del governo ecclesiale inteso in chiave amministrativa e non politica, indirizzandosi pertanto ai soli aspetti dellinformazione che coinvolgono direttamente i singoli e non la Comunit ecclesiale nel suo insieme.
- Il terzo presupposto riguarda il governo, inteso come attivit istituzionale ed intenzionale che alcuni soggetti (personali o collettivi) esercitano verso altri, allinterno di specifici contesti antropologici e sociali, tra i quali la stessa Chiesa in quanto Popolo di Dio in hoc mundo ut societas constituta et ordinata (cfr. LG 8b). La prospettiva che si adotter in queste riflessioni riguardo al governo ecclesiale lo vede come lindirizzo ed il coordinamento delle risorse spirituali, morali, personali/umane e materiali di cui la Chiesa (universale e particolare) dispone nelle diverse situazioni, sulla scia di uninteressantissima quanto disattesa riflessione dal Gesuita Jos Luis De Urrutia che risale gi ai primi anni Sessanta del XX secolo. Un indirizzo e coordinamento che si realizzano essenzialmente nel discernimento:
Se, infatti, chi nella Comunit di fede esercita potest di governo compie in realt un servizio (= ministerium) di responsabilit, il suo compito proprio quello del concreto discernimento operativo: comprendere, cio, su quali strade intraprendere gli sviluppi dellannuncio evangelico e come rendere tutto ci concretamente possibile nella quotidianit del vissuto ecclesiale. La sintassi, pertanto, cui si tenter di dare corpo con queste riflessioni sar riferita al ruolo dellinformazione negli Atti di governo ecclesiale, alla luce della comunione, titolo che pare corrisponda adeguatamente alla tematica pi generale allinterno della quale si pone questa XLIII Settimana di studio del G.I.D.D.C.. 2. Natura e finalit del governo tra interessi e comunione Poich in ambito dottrinale canonico accade sempre pi spesso che si inizino a trattare le questioni in modo espressamente intra-ecclesiale finendo per ben presto (pi o meno consapevolmente ed esplicitamente) per assumere dallesterno molti concetti e presupposti teoretici e giuridici da utilizzare nella costruzione del proprio ragionamento – soprattutto in ambito amministrativistico –, pare qui maggiormente adeguato procedere sin dallinizio attraverso un esplicito parallelismo tra il civile (inteso in senso lato, sia intra-statale che sovra-statale) ed il canonico. Non di meno: una trattazione differenziale di problematiche ed istituti giuridici permetter di evitare troppo facili affidamenti a presupposti non immediatamente visibili, ma non per questo assenti, offrendo la possibilit di verificare in itinere la plausibilit e la tenuta delle scelte operate e delle loro eventuali conseguenze. 2.1 La questione preliminare del modello Il netto abbandono della dimensione societaria quale modello ontologico della Chiesa realizzato dal Concilio Vaticano II a vantaggio di una prospettiva pi espressamente istituzionale, ha provocato – ma soprattutto deve provocare – anche labbandono del vocabolario, e pi ancora, delle categorie concettuali dello Ius publicum ecclesiasticum che costruivano la Chiesa e le sue principali funzionalit in stretto parallelismo con gli Stati europei ottocenteschi. La questione pregiudiziale poich decide in limine se esista e quale sia un eventuale modello/tipo cui far riferimento nel comprendere e delineare le strutture e funzioni essenziali della Comunit cristiana. Cos, infatti, avvenne nella disputa antigiurisdizionalista del XIX secolo e fino al Concilio stesso: per competere con gli Stati della tarda Modernit, superiorem non recognoscentes, era – ritenuto(!) – necessario mostrarsi alla loro altezza, averne cio le stesse caratteristiche e strutture, anche ontologiche, cos da poter, apologeticamente, affermare di non aver bisogno di nulla e nessuno per conseguire il proprio fine. Era questo il paradigma della societas necessaria (iuridice) perfecta autonoma ed autarchica, divenuto ben presto una sorta di Gestalt, almeno di fatto incontestabile sia per la Canonistica curiale (codiciale e neoscolastica) che per quella laica (italo-iberica). Non di meno: tal genere di esemplarit fin per essere confermato e quasi rafforzato – per quanto su basi e presupposti radicalmente diversi – nella seconda met del secolo scorso attraverso il cripto-parallelismo tra le moderne democrazie costituzionali, emerse dal secondo conflitto mondiale, ed il Popolo di Dio, ri-proposto dal Vaticano II. Non si pu ignorare in questa sede quanto accaduto proprio negli anni Settanta del Novecento in termini di recezione del Vaticano II, al punto che il Sinodo straordinario dei Vescovi tenutosi nel 1985 per celebrare il 20 anniversario della chiusura del Concilio si trov effettivamente costretto a sostituire loriginaria categoria del Popolo di Dio – ormai estenuata in chiave democraticistica ed anti-istituzionale – con quella di comunione, salvo dover intervenire gi dopo pochi anni la Congregazione per la Dottrina della fede a precisare ulteriormente (sic!) in quale modo tale communio debba essere intesa. Due dinamiche concettuali (quella ecclesiale e quella statale) radicalmente diverse, oltre che antitetiche, che hanno per sollecitato per oltre due secoli il pensiero canonistico – soprattutto in materia costituzionale ed amministrativistica – ad una sorta di rincorsa di quello pubblicistico statale, imponendo di fatto agli autori lobbligo morale/intellettuale di concepire la Chiesa sulla falsa riga degli Stati coevi. Neoscolastica ecclesiastica ed Idealismo laico offrirono ai due fronti i presupposti sistematici per cercare e sostenere una tale – necessaria – identificazione, almeno fino alla met del secolo XX. Neppure il momento attuale, per parte sua, fa sconti a tale parallelismo, in quanto molte delle derive intra-statali – prima tra tutte la progressiva rinuncia alla posizione potestativa rispetto ai cittadini – indotte soprattutto dal Diritto comunitario europeo, sembrano travasarsi con immediatezza nella dottrina canonistica. Una parte significativa delle pubblicazioni amministrativistiche canoniche dellultimo decennio, infatti, fa largo uso di concetti e princpi di palese origine extra-canonica soprattutto in materia di governo ed informazione. In questo contesto non pare censurabile di principio la ricerca (e messa a punto e proposta) di una prospettiva teoreticamente indipendente che cerchi allinterno della Chiesa stessa, della sua identit pi profonda e della sua specificit rispetto alle altre aggregazioni sociali conosciute dallumanit, una chiave di lettura che permetta di capire e gestire, oltre che illustrare, le dinamiche istituzionali intra-ecclesiali, prima tra tutte il governo. Solo entro tale nuovo paradigma epistemologico anche le riflessioni sullinformazione allinterno della Chiesa potranno divenire davvero autonome e specifiche, senza ridursi a mere parafrasi (o peggiori travisamenti) del gi detto in campo civilistico. Fattore differenziale fra il videtur quod della dottrina canonistica dominante ed il novum (= sed contra) entro cui leggere le dinamiche ecclesiali e, soprattutto, i loro fondamenti, la communio quale elemento costitutivo dellaggregazione ecclesiale e, di conseguenza, quale elemento determinante nella concezione del governo stesso della Ecclesia. Una communio che non pu tuttavia trasformarsi in populismo o democraticismo orizzontalista ed a-gerarchico; si consideri in questo la felice espressione Comunit gerarchica utilizzata recentemente da P. Valdrini in riferimento alle articolazioni della struttura ecclesiale di base. Si gi fatto cenno alla comunione come modo di comportarsi allinterno della compagine ecclesiale: situazione e dovere che coinvolge ogni fedele allinterno della Comunit di fede. Tradotta in termini pre-giuridici si potrebbe vedere la comunione come la forza, la relazione, il campo (come lo intende la Fisica moderna), che mantiene connessi i fedeli allinterno della Chiesa: ci che tesse la rete tra i vari soggetti presenti ed operanti. La prospettiva, se accolta, non di poco conto poich pone in immediata evidenza la costitutiva incompatibilit tra un sistema di relazione (tali sono infatti gli Ordinamenti giuridici) basato sulla comunione, comՏ quello ecclesiale, ed uno basato sullinteresse (economico), come sono quelli civili tardo moderni. Non di meno, tra lambito civile e quello canonico si pone unaltra irriducibilit ed incomparabilit: il fedele tale solo aderendo volontariamente alla Ecclesia, mentre il cittadino tale indipendentemente dalla sua volont, cosicch si pu non essere fedeli ma non si pu non essere cittadini (di qualche Stato). Allo stesso tempo, mentre lindividuo portatore di risorse, interessi e pretese individuali che pre-esistono allo Stato, il quale (si dice oggi che) raccoglie, convoglia, armonizza e tutela tali elementi, lo stesso non vale rispetto alla Chiesa: lo Stato, infatti, deriva dagli individui (che poi trasforma in cittadini) prendendo del loro e limitandone lattivit in ragione del bene comune possibile, mentre la Chiesa non deriva affatto da essi e dalle loro risorse individuali ma ad essi si propone offrendo risorse autonome (= Parola di Dio e Sacramenti per la salvezza ultra mondana) altrimenti indisponibili per gli individui. Il dato teologico che vede la Chiesa come portatrice di un annuncio e non di una semplice idea, di una fede e non di una semplice convinzione/credenza va ritenuto costitutivamente insuperabile nel dire che cosa essa sia, soprattutto nel raffronto con le diverse forme di aggregazione umana conosciute sia dalla storia che dallattualit. 2.2 Funzione e presupposti del governo civile Governare una societ civile (uno Stato in primis) significa e comporta raccogliere risorse – anche in modo coattivo come sono i Tributi e le prestazioni personali (p.es.: il servizio militare) – ed imporne, anche con la forza, specifici utilizzi finalizzati alla convivenza pi pacifica possibile tra tutti i con-sociati involontari, senza che il passaggio dallo Stato individualistico ottocentesco a quello sociale contemporaneo (dove attuato) comporti reali differenze in questa prospettiva: aumentando, infatti, le prestazioni offerte ai cittadini (e non) sono aumentate anche le intromissioni statali nella loro sfera privata ed i prelievi patrimoniali visto che i benefici sociali vanno pagati dai cittadini stessi. In questo contesto, due risultano ad oggi i cardini del governo civile nel mondo c.d. occidentale: quello democratico e quello economico, saldamente inter-allacciati.- La sottomissione dello Stato al cittadino, inaugurata dal primo imporsi strutturale della borghesia attraverso le Rivoluzioni americana e francese della fine del XVIII secolo e rafforzata con lattribuzione del suffragio elettorale universale nelle prime decadi del Novecento, ha trovato un proprio apice (e probabile punto di difficile ritorno) nella messa dello Stato sotto doppia tutela, realizzatasi alla met del XX secolo. Una tutela imposta sia dallinterno dello Stato stesso, sia dal suo esterno attraverso: 1) la reazione costituzionalistica anti-totalitaria europea, e 2) la progressiva costruzione sia dellOrganizzazione delle Nazioni Unite che dellUnione Europea. I due eventi, coevi nel loro sorgere nellimmediato dopo-guerra, hanno collaborato ad una sorta di de-ipostatizzazione dello Stato ottocentesco ed alla sua progressiva frantumazione funzionale cos da estenuarne la principale caratteristica moderna (= la puissance) e, pi ancora, il presupposto costitutivo del superiorem non recognoscens che ne rendeva il governo (sia personale del Principe, sia collegiale) a Legibus solutus e quindi irresistibile per chiunque. Ne derivata una sorta di doppio argine per chiunque governi oggi uno Stato occidentale, europeo in particolare: 1) la Costituzione, che limita il Legislatore – anche se parlamentare –, 2) i Trattati internazionali, che impongono lassoggettamento a vere giurisdizioni esterne, non facilmente manipolabili da parte di qualche singolo Stato.
Questa sorta di assioma democratico ha progressivamente eroso sia la legittimazione che la potest degli Stati occidentali contemporanei, obbligando ogni funzione pubblica (denominata o no Pubblica Amministrazione) a rispettare i cittadini e ad assecondarli quanto pi possibile nelle loro pretese, anche semplicemente individualistiche: un fendente letale al presupposto delloperare iure imperii che caratterizzava in modo totalizzante la posizione ed attivit delle Pubbliche Amministrazioni pre-belliche nei confronti dei cittadini; un interminabile piano inclinato lungo il quale quasi ogni attivit pubblica scivola sempre pi verso realizzazioni iure gestionis fino alla vera e propria contrattazione coi cittadini.
- Lesplosione economica del secondo dopo-guerra – coeva e sempre pi chiaramente propulsore delle istanze democratiche sopra illustrate – ha visto il progressivo affermarsi di nuovi soggetti macro-economici (ormai irriducibili al cittadino-proprietario o allimpresario ante-guerra) che hanno imposto agli Stati di starsene fuori dalleconomia e da ogni altro ambito in cui limpresa economica possa realizzare profitti a vantaggio di singoli. Ci ha fatto s che lo Stato si sia ridotto sempre pi, da una parte, a mero erogatore di servizi diffusi e a basso costo (ci che qualcuno ha chiamato Stato sociale competitivo) e dallaltra a semplice garante della concorrenza economica (= la c.d. economia di libero mercato) senza reali possibilit dintervenire in nulla di espressamente economico, generando un sistema in cui la potest di governo si resa ormai solo virtuale, a tutela del mero rispetto delle regole tra i vari competitors nei diversi campi (trasporti, energia, banche, ecc.), mentre la morsa fiscale trae comunque vantaggio sia da ogni acquisto (= le c.d. Imposte indirette, sugli acquisti) che dallutile di gestione (= le c.d. Imposte dirette) delle loro – libere – attivit.
questo lhumus che ha generato negli ultimi decenni la maggior parte degli istituti giuridici progressivamente integrati nei vari Procedimenti amministrativi che molti Stati hanno formalizzato, oltre ai concetti sottesi, primo tra tutti il diritto al buon andamento dellAmministrazione che poggia sulla strutturale dialettica – e concreto conflitto dinteressi – tra cittadino e Stato, oltre che sul presupposto di una irriducibile contrapposizione tra governanti e governati, tra pubblico e privato, tra amministratori (pubblici in quanto legislativamente costituiti) ed amministrati. Daltra parte chi, come cittadino, ha trasferito (anche passivamente, come nei Tributi) allo Stato proprie risorse materiali esige – giustamente – una loro adeguata gestione e soprattutto efficiente restituzione, per quanto in forma non specifica: lo scambio tra libert e sicurezza, tra Tributi e servizi, tra standardizzazioni e concorrenza, ecc. secondo il modello contrattualistico che – unico – continua a legittimare oggi lesistenza e lattivit dei diversi soggetti Stato – quanto a funzione (esecutiva) e non identit (politica) – e permette, per contro, ai cittadini di potersene anche difendere reclamando il proprio (da cui luso della formula diritto a in continua crescita rispetto alloriginario diritto di). In tal modo il precedente potere (anche ampiamente discrezionale) della Pubblica Amministrazione si ormai diluito nelle varie Conferenze di servizi in cui le decisioni pubbliche (ed i Provvedimenti regolativi o dispositivi) vengono concordate tra tutti gli interessati (sia pubblici che privati) alla loro realizzazione, primi tra tutti coloro che in altri tempi – avendo subto una riduzione patrimoniale o non avendo avuto accesso ad un suo potenziale accrescimento (attraverso espropri, Piani regolatori, appalti) – avrebbero interposto Ricorsi e Contenziosi in sede amministrativa contro le decisioni della Pubblica Amministrazione. A questo si unisca la progressiva incapacit di finanziamento delle attivit pubbliche (si vedano: Leggi di stabilit, spending review), le quali gi da tempo necessitano che siano i privati a spendere per la loro realizzazione, annullando di fatto prima che di Diritto, la posizione potestativa della Pubblica Amministrazione che, per conseguire i propri scopi, deve contrattare coi privati il finanziamento delle opere.
- Il consumatore di merci e servizi, cos come il loro produttore/distributore – che a sua volta compra merci e servizi cui aggiunge la propria attivit dimpresa –, costituisce oggi la chiave di volta dellintero sistema civile, gi completamente votato al perseguimento dellinteresse individuale in una dinamica che, abbandonato lapproccio patrimoniale alla realt, vive come galleggiando sulla sua componente reddituale e finanziaria, completamente asservite alle logiche e dinamiche del mercato, divenuto ormai il vero fulcro – diretto o indiretto, mediato o immediato – di ogni attivit civilistica. Non si pu ignorare, infatti, come proprio il consolidarsi di tale nuovo fulcro del vivere sociale sia stato la causa anche della trasformazione dello Stato da tutore e garante della propriet privata – intesa come esclusivit della produzione e fruizione di beni – a tutore e garante della semplice circolazione dei beni stessi, dei loro produttori e consumatori (insieme a lavoratori e capitali), come ben testimoniano i Trattati costitutivi dellUnione Europea. La dipendenza pressoch totale delle attuali attivit di governo statale e sovra-statale da questi presupposti non solo ne illustra le dinamiche ma ne manifesta la stessa identit di mera regolamentazione degli interessi individuali, cui lo Stato contemporaneo ha intrecciato le proprie sorti attraverso la maglia tributaria.
- Il necessario governo del popolo (= democrazia) imposto agli Stati democratici costituzionali del dopo-guerra per evitare nuovi totalitarismi che segnino in modo irreparabile la storia (e leconomia) umana, ha trasformato il cittadino della Dichiarazione del 1789 in mero – ma fondamentale – elettore: colui, cio, che determina con la propria partecipazione alla vita delle Istituzioni democratiche, non solo statali (si pensi al Parlamento Europeo), i diversi bilanciamenti di interessi o almeno di vantaggi concretamente afferenti alla vita individuale quotidiana. Le vicende concernenti le gravi difficolt politiche che attraversano lUnione Europea in questi anni di crisi economica (sic!) ne sono un evidente indicatore. Quando, infatti, le ricadute delle scelte economico-politiche dellUnione risultano inaccettabilmente penalizzanti della vita individuale quotidiana, lattivit elettorale sposta la propria fiducia ed il proprio affidamento verso indirizzi economico-politici in controtendenza la vicenda greca del 2015 palese, cos come lo sono le posizioni dei Paesi europei dellex blocco sovietico rispetto al fenomeno migratorio, oltre al referendum con cui i cittadini inglesi hanno voluto luscita del Regno Unito dallUnione Europea.
2.3 Funzione e presupposti del governo ecclesiale Il discorso risulta radicalmente diverso quando si prenda in esame lidentit, la funzione e la consistenza del governo ecclesiale allinterno del quale, per sua natura, le componenti individualistica, economica, concorrenziale ed elettorale non hanno alcun rilievo n possono legittimamente attendersi considerazione e tutela poich nella Chiesa, anzich ad un originario suum di ciascuno, sempre ultimamente escludente (= il singulare di Guicciardini o il privatum ottocentesco), occorre invece riferirsi ad un succedaneo pro se di tutti, sempre inclusivo. La questione non ideologica ma strutturale: mentre, infatti, i beni terreni sono sempre limitati e fugaci, oltre che soggetti ad usura che ne riduce la quantit e qualit con la fruizione, i beni spirituali, invece, sono illimitati ed inesauribili oltre – spesso – ad accrescersi con luso: tanto pi se condiviso. Si pensi – anche solo evocativamente – al vantaggio che le tre virt teologali conseguono con laumentare dei loro fruitori; lo stesso vale per lannuncio del Vangelo, la santit di vita e la carit, che costituiscono il cuore della stessa vita ecclesiale ed a cui i fedeli sono tenuti a dare il proprio apporto (cfr. Cann. 204 1; 210; 211). In questa prospettiva non va neppure sottovalutato come la Chiesa – di per s – non si appropri di nulla di ci che ciascun fedele ҏ oppure ha in quanto soggetto personale, sia allesterno (in quanto semplicemente uomo) che allinterno (in quanto fedele) del suo Ordinamento. Al contrario: lei stessa che offre e dona ci che le stato consegnato dal suo fondatore e le viene conservato dallazione dello Spirito santo. Sono questi i presupposti di base che motivano e sorreggono il concetto e le dinamiche della communio allinterno della quale deve svolgersi lattivit ecclesiale: in primis quella di governo. In questo lesperienza eucaristica, col suo creare e fare (la) Comunione, costitutiva ed irrinunciabile, palesandosi anche come lespressione pi alta della vita ecclesiale stessa: suo culmen et fons (cfr. Can. 897; SC 10). Proprio la sinassi eucaristica, daltra parte, rappresenta, esprime e realizza la Chiesa come tale nel suo essere assemblea convocata sotto la presidenza (immediata o mediata) del suo Pastore, con la partecipazione dei diversi Ministri legittimamente istituiti, per condividere lascolto e laccoglienza della Parola che salva, per formare un unico corpo insieme e per mezzo del Corpo sacramentale di Cristo stesso, anche attraverso la condivisione di mezzi materiali a servizio delle necessit della comunit stessa (= la questua che nella Messa accompagna la presentazione dei doni). A questo proposito necessario considerare due elementi di rilievo primario: 1) lidentit dei beni in oggetto e 2) il loro rapporto coi soggetti presenti nellOrdinamento canonico. La questione (in realt pi percepita che non approfondita dal Vaticano II) assolutamente teologica e riguarda in modo espresso il rapporto tra fedele e Chiesa: un rapporto assolutamente recettizio e gratuito allinterno del quale non esiste alcun apporto o conferimento individuale ma soltanto grazia: nessun merito e nessun credito, nessuna plausibile pretesa n opera meritoria. Alla redenzione operata da Cristo attraverso il dono totale della sua vita nessuno pu aggiungere nulla, n verso di essa si possono vantare pretese di alcun genere: tutti, infatti, Dio ha rinchiuso sotto il peccato per fare grazia a tutti in ragione della sola fede in Cristo Ges (cfr. Gal 3,22). In tal modo i beni circolanti allinterno della dinamica fedeli-Chiesa mantengono sempre lidentit dellofferta incondizionata in quanto gratuita e preveniente, cosicch vengano messi a disposizione (= dispensatio) come dono e servizio (= munus e ministerium) fuori da ogni forma contrattuale, e se ne possa fruire solo con rendimento di grazie (= eucaristia), lontano da ogni sinallagma e concorrenzialit. Lattivit ecclesiale, tuttavia, non si svolge fuori della storia, in una dimensione eterea, estranea allo spazio ed al tempo, essa infatti coinvolge in modo concreto anche persone e loro cose, allinterno di una dinamica che non prescinde neppure dalla creazione e necessaria gestione di vere e proprie risorse a supporto della comunit credente e della sua attivit di evangelizzazione, anche attraverso la carit. Il vissuto neo-testamentario non lascia dubbi in merito: lannuncio del Vangelo attrae a s persone e (loro) beni materiali da cui lannuncio stesso trarr sostegno, come ben mostra la narrazione lucana sulla Comunit di Gerusalemme (At 2,44-45). Gli stessi Atti degli Apostoli riportano lesperienza paradigmatica di Barnaba, levita originario di Cipro che vende un campo di sua propriet e depone il ricavato ai piedi degli Apostoli (cfr. At 4,36-37); lo stesso Barnaba sar poi inviato, da parte degli Apostoli, ad Antiochia di Siria per dare supporto a quella comunit nascente (cfr. At 11,22); in seguito ricever un ulteriore incarico – questa volta di tipo carismatico – per dedicarsi allattivit missionaria diretta (cfr. At 13,2-3), oltre a doversi fare carico della soluzione di importanti questioni pastorali connesse allevangelizzazione dei pagani (cfr. At 15,2). Lui stesso si dar da fare anche per reperire nuove e migliori risorse per il compito affidatogli dagli Apostoli, andando a cercare Saulo a Tarso (cfr. At 11,25) e rendendolo partecipe della propria attivit ecclesiale. Queste considerazioni non possono neppure trascurare come la Chiesa viva e prolunghi se stessa nella storia attraverso la dinamica – specifica delle aggregazioni religiose – della paradosis (o traditio) allinterno della quale – unicamente – si conserva, accresce e trasmette il patrimonio della fede e della Grazia: quella Parola di Dio e quei Sacramenti che costituiscono i veri beni originari della Chiesa stessa (cfr. Can. 213) e la sua stessa ragione di esistenza nel diffonderli e condividerli. Proprio le dinamiche portanti della traditio costituiscono lelemento strutturante decisivo della Chiesa in quanto comunit di fede (ben prima che societ) che, non solo non pu esonerarsi dalle dinamiche comunionali, ma addirittura deve conservarle e tutelarle al fine di assicurarsi la propria permanenza e continuit. 3. Fondamenti, princpi e diritti dellattivit di governo esecutivo Il raffronto sin qui delineato per sommi capi tra finalit e presupposti dei governi civile ed ecclesiale devessere arricchito dallesame pi specifico delle principali funzionalit in cui si esplicita la loro realizzazione pratica nella c.d. attivit, o funzione, amministrativa che coinvolge quotidianamente individui, soggetti ed Autorit nelluno e nellaltro Ordinamento. il campo degli Atti amministrativi (singolari) attraverso i quali si provvede alla concreta funzionalit della vita ordinaria, sia civile che ecclesiale, per mezzo di Provvedimenti che non strutturano lOrdinamento, come fanno gli Atti normativi generali (sia legislativi che amministrativi), ma guidano le attivit e realizzazioni di rilievo non meramente privatistico o individuale, poich a ci bastano i singoli soggetti sotto la guida generale della Legge. Quanto gi illustrato circa le finalit ed i presupposti delle societ civili e della Chiesa (cio: interessi vs. comunione) permette ora dindividuare alcune linee dominanti che ne caratterizzano – e finiscono per doverne reggere – lattivit pratica: a) partecipazione, trasparenza e pubblicit in campo civile; b) conoscenza e consapevolezza in campo ecclesiale. Lillustrazione, necessariamente sommaria, di tali princpi in relazione ai loro specifici ed originari contesti di riferimento render sufficientemente conto dellindividuazione cos proposta, facendo riferimento alla normativa civile italiana (per i plausibili motivi di spazio ed equilibrio concessi a queste considerazioni) tenuto per conto che, per la stretta integrazione e dipendenza ormai realizzatasi tra i Diritti amministrativi nazionali degli Stati membri e quello comunitario europeo, ci permette comunque una ragionevole generalizzazione e condivisione dei concetti fondamentali a cui ci si limiter di seguito. 3.1 I princpi di partecipazione, trasparenza e pubblicit in ambito civile Quanto accennato per le societ civili in riferimento alla portata costitutiva di democrazia ed economia, quali loro elementi strutturanti, permette di guardare a partecipazione, pubblicit e trasparenza, quali princpi di loro attuazione, utili anche per comprendere ed illustrare fondamenti e funzionalit di molte norme amministrativistiche. 3.1.1 Partecipazione procedimentale NellOrdinamento italiano la partecipazione procedimentale si configura non solo come principio informatore del Diritto amministrativo contemporaneo ma come vero e proprio principio costituzionale derivante dallArt. 97 della Carta fondamentale che, imponendo il buon andamento e limparzialit dellAmministrazione, intende soddisfare una doppia finalit ideale e funzionale: quella democratica e quella anti-contenziosa. Si tratta, per la Pubblica Amministrazione (dello Stato), di conseguire il massimo grado di raggiungimento del benessere da parte della comunit con il minor sacrificio delle posizioni soggettive (= interessi secondari pubblici e/o privati) che con esso interagiscono o confliggono nella fattispecie concreta; ci, tuttavia, col dovere di non discriminare la posizione dei soggetti coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura e di non abusare della propria posizione quando entra in contatto con soggetti terzi. Da un lato, infatti: [a] qualunque soggetto (personale o sociale – cfr. Art. 3 della Costituzione) deve avere le stesse possibilit innanzi allo Stato ed alla sua attivit svolta attraverso la Pubblica Amministrazione ed i c.d. Enti pubblici, evitandosi in tal modo privilegi e/o privazioni per motivi soprattutto politici; dallaltro: [b] le finalit pubbliche devono essere conseguite in modo definitivo e stabile, senza che la necessaria tutela dei cittadini e delle loro legittime posizioni (tutelate dal principio costituzionale di legalit) paralizzi lattivit pubblica attraverso il dilagare di un immotivato ricorso al Contenzioso amministrativo. Rimane significativo, da questo punto di vista, come molti elementi del c.d. Procedimento amministrativo si configurino quasi ab origine in modo espressamente pre-contenzioso, quasi affrontando in anticipo un pi che probabile esito finale effettivamente contenzioso. Se questa era la prospettiva allorigine del nuovo sistema costituzionale, non di meno lungo i decenni i princpi originari di imparzialit e buon andamento si sono progressivamente trasformati in vera partecipazione allesercizio del potere amministrativo, innescando vere dinamiche espressamente legittimatorie e di diluizione del potere. Nel tempo, infatti, la mera partecipazione si emancipata ed ha acquisito un valore a s stante, divenendo autonoma dal contraddittorio e contribuendo a trasformare la struttura del Procedimento dalloriginaria logica bipolare/dialettica (tipica della controversia fra Amministrazione e cittadino) ad una logica multipolare/competitiva (nella prospettiva di rafforzare la legittimazione necessaria al buon funzionamento delle Istituzioni), con evidenti funzioni di controllo politico. Loriginaria funzione di difesa e garanzia del cittadino stata cos arricchita da un approccio collaborativo con gli amministrati dei quali lAmministrazione sempre pi tenuta a considerare gli interessi rilevanti, accentuando la dimensione razionale della decisione e portando ad evidenza giuridica lintero procedimento conoscitivo che sta alla base dellAtto amministrativo, contribuendo in termini conoscitivi allassunzione delle decisioni pubbliche. La partecipazione procedimentale, in tal modo, non fa emergere solo le ragioni di tutela del cittadino, ma anche quelle orientate a fornire allAmministrazione elementi di conoscenza – spesso di altissimo profilo settoriale tecnico – per il pi corretto esercizio dei suoi poteri discrezionali. 3.1.2 Trasparenza amministrativa La trasparenza appare tra i criteri dellattivit amministrativa fissati dalla Legge 241/90, insieme a quelli di economicit, efficacia, imparzialit e pubblicit. In base ad essa lattivit e lorganizzazione della Pubblica Amministrazione Ǐ tenuta ad assicurare la visibilit, la conoscibilit e la comprensibilit delle modalit operative e degli assetti strutturali con cui opera nellassolvimento dei suoi compiti di cura concreta dellinteresse pubblico, cosicch la possibilit dindividuare chiaramente da chi e come il potere viene esercitato permette a chi ne subisce gli effetti di potersene in qualche modo salvaguardare o, comunque, limitarne limpatto negativo. Nel progressivo allontanarsi dellAmministrazione statale dal modello asimmetrico tradizionale, basato sulla contrapposizione tra autorit (pubblica) e libert (privata), il principio di trasparenza si infatti manifestato come coessenziale alla configurazione della democrazia in quanto regime del potere visibile, attraverso il quale si rendono individuabili le sedi in cui effettivamente avviene lesercizio del potere amministrativo, potendo controllare – tanto come elettori che come contribuenti – sia il perseguimento delle funzioni istituzionali che lutilizzo delle risorse pubbliche. Quando infatti [questultima] opera correttamente, impiega bene le risorse e produce risultati positivi per la collettivit, la trasparenza della sua azione diventa un fattore di legittimazione istituzionale, perch le consente di far comprendere ai cittadini il carattere positivo degli interventi operati e di ottenere quindi un maggiore consenso. Si tratta, concretamente, di uno strumento per riequilibrare a favore del cittadino, e della sua accresciuta imprenditorialit rispetto al precedente profilo di sostanziale possidente, la relazione con gli Organi amministrativi dello Stato cosicch, invece di risultare semplice destinatario di comandi – spesso limitativi –, egli divenga protagonista attivo nella cura dellinteresse generale. La possibilit, infatti, da parte dei cittadini di comprendere le dinamiche e le prospettive di sviluppo e crescita pubblici li mette nella condizione di poter contribuire – ed anche partecipare – in modo consapevole al funzionamento democratico delle Istituzioni, senza pagare necessariamente costi ingiustificati. Tutto ci induce a valorizzare in modo autonomo il principio di trasparenza e a distinguerne chiaramente la portata da quella del principio di pubblicit, che assume un carattere pi statico e va riferito in senso stretto alla accessibilit di documenti, di informazioni e di dati. 3.1.3 Pubblicit dellattivit amministrativa Tra i cinque princpi indicati dal Legislatore nella Legge 241/90 per guidare lattivit procedimentale della Pubblica Amministrazione, quello di pubblicit appare il maggiormente indirizzato al cittadino: basta poco, infatti, per cogliere come tali princpi riguardino e coinvolgano in modi differenti gli Organi amministrativi dello Stato ed il cittadino che ad essi si rapporta. Soprattutto risalta il fatto che solo il principio di pubblicit coinvolge direttamente il cittadino concretizzandosi in un espresso diritto: quello di accesso (previsto dagli Artt. 22-28 della stessa Legge) che consiste nel diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi (Art. 22). Nulla, invece, lo stesso cittadino pu attuare in via ordinaria a riguardo del concreto modo di operare dellAmministrazione (che deve essere e risultare economica, efficace, imparziale e trasparente) tranne che in caso di violazione di Legge sul Procedimento che lo veda direttamente penalizzato, principalmente in termini di imparzialit e trasparenza, come potrebbe avvenire in caso di Concorsi o Appalti pubblici. In altri termini: mentre alla pubblicit, attraverso laccesso ai documenti amministrativi, il singolo pu dare direttamente corpo mediante apposita richiesta agli Uffici competenti dellAmministrazione, gli altri princpi possono prendere consistenza solo indirettamente, se fatti oggetto di Ricorso e/o Contenzioso giudiziale (amministrativo). Per quanto, poi, riguarda in modo specifico lestensione del diritto di accesso va – significativamente – osservato un progressivo ampliamento in relazione al suo oggetto il quale, inizialmente limitato soltanto a ci che aveva forma di documento amministrativo (lasciando espressamente escluse tutte le altre informazioni in possesso dellAmministrazione), nelle Leggi successive stato esteso al di l di ogni sua possibile formalizzazione. Ci nonostante, la quantit di espresse esclusioni dal diritto di accesso ai documenti amministrativi risulta ancora tuttaltro che secondaria, finendo per escludere, almeno dal punto di vista pratico, una parte significativa della documentazione interna alla Pubblica Amministrazione stessa, nella sua articolatissima struttura: Sotto questo profilo, da un lato, sono stati individuati limiti connessi alla tutela di interessi pubblici, quali in particolare – oltre al segreto di Stato e agli altri casi di segreto gi disciplinati con apposita normativa – la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; la politica monetaria e valutaria; lordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalit; dallaltro, limiti connessi alla tutela di interessi privati e in particolar modo del diritto alla riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni. Non di meno: lutilizzo dellaccesso non pu essere considerato in modo generico e generalizzato, quasi che ogni dato in possesso della Pubblica Amministrazione sia alla portata di chiunque ed ogni cittadino, per parte propria, possa vantarne la fruizione in ragione del principio di pubblicit. Il diritto – pubblicistico (sic) – di accesso, infatti, va collocato allinterno della sua struttura procedimentale e ponendo quindi attenzione alla legittimazione soggettiva attiva dei richiedenti, a quella passiva delle Amministrazioni che ne devono consentire lo svolgimento, alloggetto dellaccesso, ai limiti previsti e alle modalit specifiche con cui il Procedimento di accesso pu trovare svolgimento. 3.1.4 Globalmente in ambito civile Questo stato di cose, in realt, non suscita alcuna meraviglia poich, in fondo: i princpi di partecipazione, trasparenza e pubblicit si concretizzano nellattribuzione ai cittadini del potere di esercitare un controllo democratico sullo svolgimento dellattivit amministrativa e sulla conformit della stessa agli interessi sociali ed ai precetti costituzionali. Che significa sostanzialmente: ottenere riscontro della parit di trattamento – cio di libera concorrenza o pari opportunit – tra tutti gli aventi interesse nel singolo Procedimento di cui la Pubblica Amministrazione risulta prima di tutto garante, anche nel caso in cui si trattasse diniziativa autonomamente intrapresa, come avviene per Concorsi ed Appalti (finanziati con denaro proveniente dai cittadini attraverso limposizione tributaria). Tutti i potenziali lavoratori, non di meno, hanno interesse ad essere assunti quali dipendenti della Pubblica Amministrazione, cos come tutti i venditori hanno interesse ad accaparrarsi qualche fornitura pubblica. A maggior ragione tale controllo democratico si legittima nei casi in cui la Pubblica Amministrazione debba approvare Piani urbanistici o conseguire la disponibilit di immobili (solitamente terreni) per la realizzazione di opere pubbliche, intervenendo in modo significativo sul valore del patrimonio di singoli cittadini. Concessioni o Autorizzazioni ad esercitare attivit dimpresa in settori specificamente protetti (come trasporti, energia e telecomunicazioni) non si discostano dalle stesse problematiche di verifica delleffettiva libera concorrenza. 3.2 I princpi di conoscenza e consapevolezza in ambito ecclesiale La strutturale assenza nella Chiesa delle componenti economico-concorrenziali e democratico-ugualitarie che reggono lattivit di governo degli Stati contemporanei porta a cercare altrove i fondamenti ed i princpi di riferimento per trattare il tema/problema del rapporto tra informazione e governo ecclesiale: tanto pi che nella Chiesa il presupposto costitutivo della communio impedisce di assumere come fondante la dialettica autorit-libert posta alla radice del Procedimento amministrativo civilistico. Non di meno: le dinamiche espressamente normative proficuamente rilevate in ambito statale inducono, anche per lambito canonico, a cercare tali fondamenti a livello costituzionale, orientando lattenzione al Concilio Vaticano II (in particolare Lumen Gentium) e ai – derivati – princpi di revisione del Codice di Diritto Canonico approvati dal Sinodo dei Vescovi del 1967.- Il primo fondamento rilevabile emerge dal 6 principio di revisione codiciale, laddove sindividua e definisce come una questione veramente grave da risolvere nel futuro Codice il modo in cui debbano essere definiti e tutelati i diritti delle persone visto che lesercizio della potest nella Chiesa non pu essere arbitrario e a ciascun fedele si devono riconoscere e tutelare i diritti, sia quelli contenuti nella Legge naturale o divina positiva, sia quelli che gli derivano debitamente in forza della condizione sociale acquistata e posseduta nella Chiesa. La prospettiva, tuttavia, non meramente funzionale o culturale, secondo il mutare dei tempi, ma espressamente teologica poich dipende con immediatezza dalla radicale uguaglianza che deve esistere fra tutti i cristiani, sia in forza della dignit umana sia in forza del Battesimo (cfr. LG 2).
- Proprio il tema dellarbitrariet del governo ecclesiale costituisce il fondamento del successivo e pi specifico 7 principio di revisione (secondo fondamento) il quale ne impone due rimedi strutturali: 1) la reciproca distinzione delle funzioni di governo (legislativa, esecutiva e giudiziale) e 2) lassoggettabilit dei Provvedimenti singolari – esecutivi – al giudizio di appositi Tribunali amministrativi (non improvvidamente mutuati dagli Ordinamenti statali coevi).
Sia il problema individuato, sia lindirizzo fornito per la sua soluzione risultano dimportanza primaria per lOrdinamento canonico poich la distinzione delle funzioni potestative impone anche – indirettamente ma espressamente – la distinzione dei rispettivi modus agendi (cio Procedimenti e Procedure), rendendone necessaria la specifica messa a punto (secondo quanto indicato dal 6 principio) e, attraverso lintervento dei Tribunali amministrativi, il concreto rispetto e la effettiva tutela. Non di meno: lindirizzo adottato aveva gi ricevuto da poche settimane la propria – prima – concretizzazione pontificia con lerezione della Sectio Altera del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con espresse funzioni in materia contenzioso-amministrativa, per quanto solo nei riguardi della Curia Romana (come rimane a tuttoggi nonostante gli importanti interventi legislativi in materia). Al di l della non implementazione degli strumenti di sua effettiva tutela (= i Tribunali amministrativi locali espunti dal CIC), il principio era per stato annidato nellOrdinamento canonico ed inizi a produrre i propri frutti attraverso liniziale delineazione ed elaborazione di uno Schema De Procedura administrativa (poi anchesso abortito). Il continuo scrollarsi di dosso, da parte del Legislatore, di strumenti troppo stringenti per salvaguardare – finalmente – la qualit del governo ecclesiale sottraendola di principio ad ogni possibile arbitrariet, non ebbe tuttavia pieno successo innanzi alla concreta fissazione del principio del contraddittorio (generalmente indicato e gestito come diritto di difesa) propugnato sulla base del Diritto naturale e pertanto non dispensabile n conculcabile, in linea di principio. Proprio tale diritto fin infatti per costituire lautentico cavallo di Troia attraverso cui nellOrdinamento canonico cominciarono a crearsi spazi e strumenti dintervento e confronto fino ad allora impensabili nellesercizio del governo ecclesiale, come lasciava intendere il 6 principio col suo qualificare la precedente situazione come veramente grave. Proprio lesigenza di eliminare ogni traccia di arbitrariet, espressa attraverso il diritto tecnico di difesa, appare lottica pi appropriata in cui inquadrare linformazione in rapporto al governo ecclesiale, secondo una prospettiva – e fondazione – molto pi ristretta di quella civile, poich non chiamata n a legittimare in itinere il Provvedimento singolare (= trasparenza), n a co-costruirlo insieme allAutorit (= partecipazione) che, nella Chiesa, rimane costituzionalmente personale e gerarchica (oltre che vocazionale e sacramentale), per quanto allinterno della communio. La concezione del governo ecclesiale come gestione delle risorse comuni in unottica di sostanziale discernimento operativo (v. supra), completa poi il quadro sia ermeneutico che euristico allinterno del quale indagare e prospettare che cosa sia – o possa essere – informazione dal punto di vista canonico. Si tratta di una prospettiva diversa dalla visione dottrinale che prospetta linformazione come vero diritto costituzionale dei fedeli in quanto tali. Diritto allinformazione. - Questo diritto connesso con il precedente [diritto alla propria opinione – ndr] e si fonda sulla partecipazione attiva del fedele alla vita della Chiesa. Senza la necessaria informazione non possibile partecipare in modo adeguato alla vita della Chiesa e non possibile formarsi la propria opinione. Il diritto allinformazione delimitato dallinteresse del fedele – cio dal suo grado di effettiva partecipazione alla vita della Chiesa, nellambito, sempre, della potenziale partecipazione che gli stata attribuita dalla volont fondazionale di Cristo – e dal bene comune della Chiesa; il dovere di informare ricade sulla Gerarchia e, ove riguardi il bene comune, sulle Istituzioni e sui singoli fedeli. Anche questo diritto ha riflessi pubblici. Resta sottinteso che costituiscono suo possibile oggetto soltanto ed esclusivamente le materie che si riferiscono ad attivit esterne e sociali; tali non sono le attivit personali e private; e, natura sua, tutto ci che riguarda il foro interno protetto dal segreto. Larticolato percorso fondativo sinora delineato suppone, invece, che a livello costituzionale canonico non vada cercato un diritto prontamente esigibile ma un principio di riferimento e che esso sia – come test dimostrato – la non-arbitrariet dei Provvedimenti nei quali il governo ecclesiale si concretizza. Ci fa dellinformazione non tanto un diritto ma uno strumento la cui portata (come si vedr pi oltre) supera di molto il semplice dovere dinformare, finendo per attraversare lintero Ordinamento canonico e, pi ancora, per condizionare le stesse modalit di governo, proprio nellottica della communio. A cosa, dunque, sarebbe strumentale linformazione cos prospettata? Oppure, ancora: in quali modi essa interverrebbe nel governo ecclesiale? Gi sono state proposte conoscenza e consapevolezza quali plausibili risposte – anche codiciali – a tali questioni.- Parlare di conoscenza in ambito canonico rimanda con immediatezza al tema della verit da cui la vita ecclesiale non pu mai discostarsi: la verit dei fatti, la verit delle circostanze, la verit delle relazioni, la verit degli obiettivi da conseguire. Quella verit che la Chiesa ricerca quasi ostinatamente in tutta la propria attivit giudiziale; quella verit che mantiene valore anche contra rem iudicatam quando si tratta della vita delle persone (= il loro stato canonico di coniugi, chierici o professi). Una verit che, pur riguardando spesso la volont dei singoli, non sidentifica mai con essa, e rimane sempre di fronte a ciascuno appellandone la coscienza. Una verit innanzi alla quale non esistono n Superiori n sudditi, governanti o governati ed anche Autorit e libert perdono ogni propria consistenza, mentre i semplici interessi non lhanno mai ottenuta. questa verit il vero oggetto dellinformazione, da dare e da ricevere, da esplicitare o da richiedere nella Chiesa, affinch la vita delle persone – consacrati e chierici, prima di tutto – non sia esposta allarbitrio di alcuno, neppure ratione fidei e tanto meno ratione conscienti: comՏ stato invece per lunghi secoli allombra di un paternalismo che pretendeva comandare in nome di Dio quanto umanamente non poteva essere chiesto.
- Proprio lapporto strutturante della verit, conosciuta e presa in adeguata considerazione, costituisce il fondamento originario della consapevolezza a riguardo delle decisioni di cui il governo ecclesiale, da una parte, ed i fedeli, dallaltra, devono farsi carico affinch si tratti davvero di una gestione (= oikonomia/dispensatio) di risorse comuni e non di mere disposizioni (= decreta/sententi) in favore o detrimento di qualcuno, o dei suoi interessi. Di conseguenza la verit, conosciuta, accolta e condivisa, diventa la forza, la motivazione, che unisce in un solo volere – anche se spesso mediante attivit diverse – tutti gli interessati: chi chiede un impegno per la missione ecclesiale (= il c.d. Superiore o Autorit) e chi ad esso si rende disponibile (= il fedele, spesso in ragione di un vincolo speciale con la Chiesa stessa).
In tal modo: conoscenza e consapevolezza, adeguatamente condivise, non solo evitano larbitrio ma, molto maggiormente, implementano la communio: il cum-munus condiviso tra tutti i discepoli del Cristo destinatari e protagonisti dellunica missione di annunciare e vivere il Vangelo. Linformazione, per parte sua, costituisce uno degli strumenti generali pi efficaci dellengagement individuale e comunitario e dellI care che mette in gioco tutti e ciascuno. 4. Informazione e governo ecclesiale 4.1 Panoramica generale Trattando di informazione dal punto di vista del governo ecclesiale, la prima evidenza da non potersi trascurare che nel Codice latino vigente linformazione non risulta unicamente una cosa da dare ma anche da cercare: cos di fatto si constata nei Canoni che contengono i lemmi informazione (4 ricorrenze) e notizia (25 ricorrenze), Canoni nei quali – pi che del diritto di essere informati (cfr. Hervada) – occorrerebbe parlare del dovere di informarsi (sic!) ed questo – con probabilit – uno dei plausibili motivi da cui deriva il sostanziale silenzio della Canonistica sino ad oggi sul tema. Considerazioni a parte merita la Notifica (17 ricorrenze) in quanto istituto giuridico di peculiare tecnicit tendenzialmente connesso allambito processuale (11 ricorrenze nel Libro VII); mentre, in termini di informazione, pare utile dedicare qualche spazio pure ai motivi (17 ricorrenze) che si possono addurre per supportare o contrastare una decisione di governo. Dal punto di vista metodologico una lettura critica delle norme codiciali latine consente di osservare, per quanto in modo del tutto generale, alcuni elementi dai quali amministrativisticamente non si pu prescindere almeno per le disposizioni che, stabilendo precise condotte, creano vincoli legali cui lattivit di governo ecclesiale non pu sottrarsi, volendo permanere nella legittimit che, unica, ne tutela lefficacia. Lapproccio normativo si rivela del tutto imprescindibile dal punto di vista pratico (ne esistono altri realisticamente fruibili per il Diritto?) poich sia in sede di Ricorso che di Contenzioso sono le norme effettive ad avere espressa prevalenza sui princpi supposti e la Legge (sic!) impone alla Segnatura Apostolica di giudicare per esclusiva violatio Legis causata da error Iuris, anzich secondo princpi o criteri di vario genere, come spesso accade. Un tale approccio, non di meno, permette anche di prospettare qualche parallelismo con lambito civile traendone, eventualmente, vantaggi esplicativi o applicativi, dopo aver senzaltro evitato troppo facili analogie in ragione di mere assonanze.- Delle 4 ricorrenze codiciali di informazione, tre Canoni prescrivono di raccogliere informazioni (cfr. Cann. 364; 645; 1051) e una di non riceverle affatto (cfr. Can. 1604). Dallanalisi appare che proprio i tre casi in cui si prescrive la raccolta di informazioni sono quelli maggiormente legati ad attivit di governo: il Can. 364 circa il processo informativo da istruire sui promovendi Vescovi; il Can. 645 circa le informazioni che il Superiore pu raccogliere (anche sotto segreto – sic) in vista dellammissione al Noviziato; il Can. 1051 circa le informazioni necessarie per lo scrutinio di ammissione alla sacra Ordinazione.
- Per quanto riguarda le notizie, le 25 ricorrenze nel CIC riguardano nella loro quasi totalit il ricevere notizie di fatti oppure di Atti, soprattutto processuali per i quali – in realt – non si tratta, dal punto di vista tecnico, di informazione ma di notifica; in 2 casi soltanto si tratta di dare notizia (cfr. Cann. 1054; 1122). Al raccogliere notizie del Can. 50 va affiancato il Can. 1717 nel suo imporre allOrdinario di indagare in caso riceva notizia di un probabile Delitto: ci costituisce un fattore chiave del rapporto informazione-governo ecclesiale, profilando in modo chiaro il dovere passivo – anzich attivo – di informazione connesso allattivit di governo.
- Le sole 3 ricorrenze del rendere noto (cfr. Cann. 1132; 1158; 1508) non mostrano un valore specificamente attinente il governo, indicando comunque lattivit di far conoscere, tendenzialmente agli stretti interessati (come sono i nubendi o le parti a livello processuale).
- Poco significative le 9 ricorrenze del vocabolo conoscenza; esse infatti in 6 casi riguardano lo studio (cfr. Cann. 229; 249; 259; 279), in 2 i Sacramenti (cfr. Cann. 865; 913), in 1 caso il Diritto processuale (cfr. Can. 1646).
- La polivalenza del vocabolo motivi – usato spesso come cause o ragioni – (10 ricorrenze) non permette di trarre elementi significativi in termini di informazione, tranne il Can. 1745 in cui, data la natura della cosa, essi possono anche ragionevolmente indicare riferimenti a fatti e circostanze pi o meno conosciuti dagli interessati alle vicende in discussione, potendosi intendere pi come informazioni che come ragioni o cause.
- Questione specifica appare, da ultima, quella della consapevolezza – gi indicata come principio espressamente canonico – (17 ricorsi) a cui il Codice latino rimanda in varie materie dei Libri II, III (obblighi e diritti individuali: Cann. 212; 231; 528; 652; 781) e IV (Sacramenti: Cann. 916; 960; 1125; 1156; 1158) senza immediata attinenza al governo; non di meno: il ricorrere due volte della formula consapevoli della propria responsabilit (cfr. Cann. 212; 652) potrebbe rinviare alle previe conoscenze e correlate informazioni, ricevute o da ricevere.
Rilievo a parte meritano i riferimenti allistituto della Notifica a causa della sua stretta formalizzazione allinterno del Codice, soprattutto in campo giudiziale (12 ricorrenze) e disciplinare (2 ricorrenze: Cann. 692; 700). In proposito giova osservare come in ben 14 casi si tratta di dare Notifica, mentre solo 3 volte ci si riferisce al suo averla ricevuta (cfr: Cann. 700; 1363; 1637). questo uno dei pochi ambiti in cui espressamente la Legge canonica impone alle Autorit ecclesiali di trasmettere ai destinatari qualcosa che li riguarda. La cosa tuttavia non rientra nellattivit di informare propriamente detta poich nella quasi totalit dei casi si tratta non di informazioni come tali ma di Provvedimenti o comunque Atti potestativi (come sono quelli giudiziali). Si gi visto, invece, come per le informazioni relative allambito giudiziale venga utilizzata la formula rendere noto (v. supra). Allistituto della Notifica potrebbero riferirsi (o accostarsi in qualche modo) le questioni connesse alla pubblicit degli Atti. Ci tuttavia appare non privo di difficolt in quanto, come detto, la Notifica di per s riguarda Atti provvedimentali o comunque autoritativi (o potestativi che dir si voglia), limitandosi formalmente ad essi soltanto ed al loro puntuale contenuto (e ai loro destinatari), mentre – alla Notifica – rimane del tutto inaccessibile linsieme degli Atti preparatori e, soprattutto, le informazioni in essi contenute. Se ci, almeno in parte, oggetto di adeguata gestione allinterno del Diritto processuale, che prevede la pubblicazione degli Atti (cfr. Can. 1598), altrettanto non accade in campo esecutivo/amministrativo soprattutto in ragione del fatto che i Decreti (e Precetti) pur dovendo essere motivati lo devono essere solo saltem summarie (cfr. Can. 51) e non prevista alcuna forma di accesso a quelli che processualmente sono gli Atti della Causa, cio – nel caso – gli Atti e documenti preparatori della decisione assunta. Unica eccezione (non terminologica) il Can. 695 riguardante la Procedura di Dimissione dei religiosi: in tali casi, infatti, alle persone in questione permesso conoscere le accuse (o le denunce) mosse nei loro confronti cos da potersene ragionevolmente discolpare (v. infra). Non dissimile dalla Notifica propriamente detta risulta anche la formula latina certius facere ricorrente ben 30 volte nel suo significato di dare informazione certa o anche rendere formalmente noto, far sapere/conoscere: non troppo distante dal certificare (per quanto meno formale dal punto di vista tecnico); significati che ne allontanano il senso rispetto al semplice informare. La formula, inoltre, sindirizza quasi esclusivamente a qualche Autorit che devessere messa a conoscenza di fatti avvenuti: la Sede Apostolica o il romano Pontefice, il Moderator Curi (cfr. Can. 474), il Vescovo/Ordinario, il Parroco, il Giudice (cfr. Cann. 1486; 1675), lautore di un Atto commissorio (cfr. Can. 41). Poich, giunti al termine di questa sommaria ricognizione codiciale, non risulta ancora possibile concludere nulla di significativo circa il rapporto tra informazione e governo ecclesiale – tanto pi in riferimento a eventuali diritti (soggettivi) di essere informati o di sapere –, diventa necessario sondare ulteriormente la materia attraverso lesame di alcuni ambiti specifici dellattivit di governo nei quali lesperienza ha ormai evidenziato limportanza e, pi ancora, la problematicit del tema. 4.2 Informazione, formazione e contestazione delle decisioni di governo Fulcro irrinunciabile dellintera tematica sullinformazione nel governo ecclesiale il Can. 50 del CIC, in strutturale connessione con gli altri Canoni implicitamente connessi alla formazione degli Atti amministrativi singolari, prima di tutto Decreti e Precetti (cfr. Cann. 48-58), senza trascurare i Canoni riguardanti la loro contestazione o, almeno, la resistenza verso di essi (cfr. Cann. 1732-1739). La materia, che paga in modo pesante la bocciatura dello Schema De Procedura administrativa del 1974, risulta di grande disorganicit e non priva di difficolt, non solo teoretiche ma anche pratiche, connesse proprio allinformazione necessaria allemanazione ed esecuzione di Provvedimenti singolari di governo. La tensione, gi in parte emersa nella prospettazione generale delle norme codiciali latine, si pone tra il dovere dellAutorit di raccogliere notizie e linevitabile necessit di una loro verifica in termini di completezza ed adeguatezza sia quantitativa (= tutte quelle realmente utili) che qualitativa (= quelle che davvero descrivono fatti e circostanze), sia oggettiva (= fattuale, sociologica, statistica, ecc.) che soggettiva (= il punto di vista dei soggetti coinvolti), in una prospettiva che nel CIC non emerge dai Canoni sulla formazione dellAtto amministrativo singolare, ma deve dedursi – almeno operativamente – da quanto previsto per leventuale contestazione dellAtto stesso. Contestazione concessa e normata dalla Legge, per quanto non sulla base di qualche diritto (comՏ civilisticamente quello di accesso in ragione del principio di pubblicit) ma in ragione dellonerosit finale del Provvedimento: una onerosit che, tuttavia, pare subentrare in modo quasi estrinseco al Provvedimento stesso, anzich essere integrata quale sua possibile debolezza strutturale gi dalla fase decisionale originaria. La questione, dal punto di vista del Procedimento amministrativo, di chiarezza palmare: nessun Canone latino obbliga espressamente lAutorit a consultare il destinatario del Provvedimento in sede di sua creazione, n chiedendo n fornendo informazioni a suo riguardo; devono invece essere ascoltati – e solo per quanto possibile – coloro i cui diritti possono essere lesi, fattore che, per, costituirebbe un illecito (= Causa iurium) e non un semplice gravame. Quanto lOrdinamento prospetta pertanto un semplice – e molto generico – dovere passivo (e piuttosto indefinito e, pertanto, aleatorio) di informazione da parte dellAutorit, senza che nulla si riconosca al destinatario n in termini di informazione come tale (= dovere attivo di fornirla), n in termini e garanzie di sua spettanza (= diritto di riceverla). Solo, infatti, nel caso in cui tale destinatario si ritenga gravato dal Provvedimento che lo riguarda (cfr. Can. 1733) avr la possibilit di esporre al suo autore i propri motivi a fondamento e sostegno della richiesta – comunque non semplicemente graziosa – di emendamento o ritiro del Provvedimento stesso. Non sfugge come una tale previsione normativa si manifesti del tutto secondaria rispetto alla struttura del Procedimento amministrativo, profilandosi come semplice attivit pre-contenziosa nella piena disponibilit – e spesso vero arbitrio (sic) – dellAutorit esecutiva stessa (= Autotutela) che potrebbe anche lasciar cadere qualunque istanza da parte del destinatario per la revisione dellAtto – ci che spesso avviene, soprattutto in fase di Ricorso gerarchico presso la Curia Romana – al quale non resterebbe, dopo un eventuale sollecito, altra possibilit di resistenza che una oculata, ma efficacissima, non-esecuzione del Provvedimento stesso. Il quadro normativo e circostanziale illustrato pare quindi dimostrare non solo la non esistenza di alcun diritto di informazione (tale perch immediatamente tutelabile), ma anche linammissibilit delleventuale rimando ai presupposti e alle dinamiche della partecipazione, trasparenza e pubblicit che caratterizzano la formazione provvedimentale in campo civile poich, come visto, la loro applicabilit in ambito canonico non trova alcun fondamento costituzionale. N tali princpi civilistici possono essere canonicamente invocati come princpi generali del Diritto (cfr. Can. 19) alla stregua di quelli romanistici o giusnaturalistici, data la loro espressa, intenzionale e circostanziale origine esclusivamente politico-economica. Nessuno spazio di manovra, quindi, affinch il destinatario del Provvedimento canonico possa essere coinvolto nella sua creazione? La risposta canonicamente ammissibile (e come tale da sollecitarsi ancora presso il Legislatore) certamente presente e si fonda su quanto – costituzionalmente – espresso dal 6 principio di revisione codiciale: luguaglianza radicale dei fedeli allinterno dellattivit ecclesiale e la invalicabilit dei limiti posti dalla dignit personale e battesimale, elementi che non pongono in questione le peculiarit dei diversi Uffici ecclesiastici e statuti di funzione, n le specifiche responsabilit anche morali di ciascuno, ma ne richiedono un esercizio effettivamente comunionale (diverso da fusionale e/o consociativistico) secondo lidentit pi profonda della Ecclesia. Proprio la dimensione comunionale, daltra parte, esclude la partecipazione alla formazione del Provvedimento canonico in ragione delle struttura gerarchica e non democratica del governo ecclesiale, le cui Autorit esecutive sono prevalentemente personali (lOrdinario o il Superiore), per quanto non isolate ed autoreferenziali. Il fatto poi che la maggior parte delle materie in questione riguardi il munus docendi, il munus sanctificandi e gli Uffici ecclesiastici – materie specificamente intra-ecclesiali ed indisponibili ai singoli fedeli – non in nulla riconducibile alla portata degli interessi individuali che civilisticamente devono essere bilanciati con quelli pubblici. In ambito, poi, di princpi e diritti da tutelare non si pu trascurare che i principali strumenti di tutela del principio costituzionale canonico di non arbitrariet dei Provvedimenti (= i Tribunali amministrativi locali) non sono mai stati istituiti costituendo un vulnus di fatto e non di Diritto per lOrdinamento. Non di meno: nel CCEO il Can. 1517 (parallelo del Can. 50 CIC) prevede gi espressamente la consultazione dellinteressato, oltre ad un reale coinvolgimento procedimentale di chi legittimamente contraddice (per quanto nei lavori di formulazione della norma non risultino indicazioni specifiche circa i motivi di tale macroscopica differenza intra-ordinamentale): Ǥ1. Prima di emanare un Decreto extragiudiziale, lAutorit ricerchi le notizie e le prove necessarie; ascolti o consulti chi devessere di Diritto ascoltato o consultato; ascolti coloro che il Decreto direttamente raggiunge e specialmente coloro i cui diritti possono essere lesi. 2. LAutorit renda note al richiedente e anche a chi legittimamente contraddice, le notizie e le prove che possono essere conosciute senza pericolo di danno pubblico o privato, e mostri le ragioni che forse sono contrarie dando loro lopportunit di rispondere, anche a mezzo di un Patrono, entro il termine determinato dalla stessa Autorit. 4.3 Informazione e Procedure disciplinari Un secondo ambito del governo ecclesiale interessato alle tematiche dellinformazione da darsi e riceversi nel rapporto tra Autorit di governo e soggetti legittimati quello disciplinare allinterno del quale chi governa interviene per correggere abusi e condotte inadeguate e lesive del bene della Comunit di riferimento (diocesana o religiosa, in primis). Quanto stabilito molto limitatamente (ma comunque in modo paradigmatico a livello di princpi e criteri operativi) dal CIC in questambito ricalca ci che gi stato osservato a livello generale: lunico soggetto attivo a livello di informazione lAutorit che procede allintervento disciplinare (o anche alla fase pre-giudiziale di quello penale: i Rimedi penali) la quale ha il dovere di informarsi raccogliendo ed integrando le prove (cfr. Cann. 697), oppure effettuando unindagine (cfr. Can. 1339 1), oppure indagando con prudenza, anche per mezzo di altri (cfr. Can. 1717), mentre non sussistono previsioni in tema di informazione per nessun altro soggetto che prenda parte alla Procedura; tanto che la condizione giuridica di indagato, a livello canonico, potrebbe anche rimanere del tutto ignota al sospetto delinquente. La sostanziale straordinariet e delicatezza di questo campo dellattivit ecclesiale di governo lo ha avvicinato da sempre a quello processuale-penale soprattutto per quanto concerne le modalit attuative tra cui, in primis, le garanzie da offrire. In tal modo il c.d. diritto di difesa ad assumere la guida sostanziale della Procedura, a prescindere dal fatto che questa sia o meno giudiziale, in quanto attuata da un Giudice oppure dallAutorit esecutiva di governo (cio: Procedura extra-giudiziale o amministrativa, che dir si voglia). questo, di fatto, lunico ambito canonico in cui si profila ed ottiene una qualche gestione il diritto propriamente detto e come tale tutelato (in quanto capace di invalidare – quasi – qualunque Sentenza o Decreto) di essere sentiti oppure di intervenire fornendo una propria versione dei fatti. Un diritto che comporta anche lessere informati a riguardo di fatti e vicende in cui si sia coinvolti in quanto destinatari dellintervento disciplinare in corso. Nei fatti, tuttavia, si rilevano molte incertezze sotto vari profili che coinvolgono anche linformazione come tale.- La domanda maggiore che emerge in tale prospettiva riguarda laccesso alle informazioni del caso: un accesso non regolato in Iure e potenzialmente parziale e reticente poich non esiste norma che stabilisca quali e quante informazioni debbano essere messe a disposizione del soggetto sotto Procedura, al quale semplicemente si devono rendere note laccusa e le prove (cfr. Cann. 695 2; 1720, 1) di quanto gli viene contestato, dandogli la facolt (cfr. Can. 695 2) o la possibilit (cfr. Can. 1720, 1) di difendersi (cfr. Cann. 695; 697; 1720).
- La extra-giudizialit della Procedura non pone soltanto problemi di bilanciamento delle parti (essendo una di esse a decidere e non un terzo) ma – e a maggior ragione – tralascia completamente uno dei cardini strutturali dellinformazione in ambito processuale: la pubblicazione degli Atti (cfr. Can. 1598), attraverso la quale chi deve difendersi ha la certezza – giuridica – di poter visionare tutto quanto costituir informazione utile al verdetto finale e, pertanto, fruibile anche in chiave difensiva. Listituto della pubblicazione degli Atti, inoltre, permette allinteressato di intervenire puntualmente su tutte e ciascuna le informazioni in base alle quali verr giudicato, fino allimpugnazione stessa della Decisione sia nel caso in cui verta su elementi extra Actas, sia su elementi non pubblicati: cosa che in via amministrativa non solo risulta difficoltosa ma, anche, non potr mai essere certa e pertanto realmente opponibile.
4.4 Informazione, Bilanci e sorveglianza gestionale Un terzo ambito del governo ecclesiale interessato in modo speciale alle tematiche dellinformazione quello gestionale, economico e patrimoniale che, pur non ordinariamente sottoposto a specifici Atti provvedimentali di governo, risulta tuttavia particolarmente sensibile alla informazione. Tre sono gli ambiti sostanzialmente implicati in tal genere di informazione: 1) quello dei c.d. Rendiconti, 2) quello dei Bilanci veri e propri, 3) quello delle pratiche necessarie per la richiesta e concessione delle autorizzazioni tutorie per gli atti di amministrazione straordinaria delle persone giuridiche pubbliche nella Chiesa.- La materia dei Rendiconti (cfr. Can. 1287 2) che gli Amministratori di beni ecclesiastici devono in qualche modo comunicare ai fedeli (o, almeno, ai finanziatori delle varie attivit) forse lunica nel Codice latino che imponga a qualcuno di dare informazioni nel senso pi proprio del termine ed in modo anche non individuale. Il tema, per quanto in modo molto impreciso e semplificatorio, riguarda sostanzialmente anche la pubblicazione (in genere annuale) del Rendiconto di gestione o [a] di uno specifico Ente (= Parrocchia, Diocesi, Associazione, Fondazione, ecc.) o [b] di una specifica attivit gestita in modo autonomo (e separato) rispetto agli Enti che ad essa prendano parte: si pensi all8x1000 della Chiesa italiana che la C.E.I. gestisce in modo separato dal proprio Bilancio, cos come anche le singole Diocesi che ne gestiscono una parte, oppure anche ad unattivit di restauro di opere darte o beni architettonici (quali sono le chiese).
Alla base del Rendiconto e delle dinamiche, anche informative, connesse sta un elemento del tutto peculiare: la necessit di dare riscontro diretto ed immediato delluso che stato fatto di denaro liberamente messo a disposizione della Chiesa da parte di fedeli o di Istituzioni (anche non canoniche). Una situazione, la liberalit, che impone, almeno di fatto, un gesto di fiducia in qualche modo corrispondente a quello di cui si stati destinatari; diversa sarebbe infatti la pubblicazione del prospetto dei rendimenti di eventuale patrimonio immobiliare (= affitti) o finanziario (= titoli obbligazionari, azioni e partecipazioni a vario titolo) o di attivit commerciali accessorie che lEnte eserciti in ragione del proprio patrimonio, pi o mesto stabile.
Il confine tra informazione e comunicazione in questambito si fa molto esiguo ed i fatti stessi mostrano come la gran parte di tali Rendiconti venga affidata ordinariamente agli Uffici per le comunicazioni anzich agli Uffici contabili. Daltra parte proprio la comunicazione che in questa materia gioca un ruolo fondamentale, confermando la fiducia ricevuta e chiedendone altra: una dinamica che la mera informazione invece, attraverso la pura messa a disposizione dei dati contabili, non riuscirebbe ad innescare ed alimentare. Questo, per, sposta la tematica ad altri ambiti che esulano dal tema qui in esame.
- Per quanto riguarda i Bilanci propriamente detti, invece, nulla si riscontra a livello codiciale al di l della necessaria duplice approvazione per il solo Ente Diocesi (cfr. Can. 493) di quelli riguardanti questue ed elargizioni, entrate ed uscite, mentre per la generalit delle persone giuridiche pubbliche (Parrocchie in primis, ma anche Associazioni, Fondazioni, Seminari, Santuari, Istituti vari) la Legge universale fissa un semplicistico (sic!) Rendiconto amministrativo (cfr. Can. 1284 2, 8) o anche solo Rendiconto (cfr. Can. 1287 1). Tale falla del sistema canonico di informazione economica e contabile non di poco conto, poich il Bilancio costituisce la principale e pi accreditata forma di informazione circa la situazione patrimoniale e gestionale di un Ente. nel Bilancio, infatti, che non solo si raccolgono i dati contabili come tali ma se ne d anche una lettura intenzionale (o politica) in ragione delle finalit dellEnte di cui si tratta. In questa prospettiva il fatto che il CIC si accontenti di prescrivere per lOrdinario di aver cura di dare norme specifiche sullamministrazione dei beni ecclesiastici (cfr. Can. 1276 2), cos come il suo dovere di vigilanza, senza tuttavia stabilire che (solo) un vero e proprio Bilancio (articolato e completo) ne costituisca lo strumento principale di informazione e controllo si rivela in tutta la sua insufficienza.
- Ulteriore ambito dinformazione in materia gestionale ed economica dei beni ecclesiastici la preparazione delle pratiche finalizzate alla richiesta (ed ottenimento) delle Licenze per compiere atti di amministrazione straordinaria: Licenze che vengono accordate, se del caso, dallOrdinario, spesso col necessario consenso del Collegio dei Consultori e del Consiglio diocesano per gli affari economici (cfr. Can. 1292) al termine di un vero Procedimento la cui parte sostanziale (predisposta sia dallEnte richiedente che dalla Curia) proprio di carattere informativo, con ruoli, incidenze e adempimenti diversi per i differenti protagonisti del Procedimento stesso. [1] Ruolo fondamentale quello dellEnte richiedente, il quale deve predisporre e trasmettere allOrdinario competente tutte le informazioni necessarie ed utili al conseguimento della Licenza in questione, senza che – di per s – nulla sia previsto in materia a livello di normazione universale: il CIC, infatti, esige solo il parere del Consiglio parrocchiale per gli affari economici (o altro Organismo statutario a seconda del tipo di Ente) senza richiedere, p.es., il verbale della riunione di tale Consiglio. Allo stesso modo – per le Parrocchie – non si esige neppure di conoscere il parere del Consiglio pastorale. [2] LOrdinario adito, per poter rilasciare la Licenza, ha il dovere di informarsi circa laffare in oggetto, senza potersi limitare alla mera acquisizione acritica delle informazioni trasmesse dal richiedente; ci potrebbe comportare sia la produzione di informazioni specifiche da parte dei competenti Uffici di Curia, sia la richiesta al richiedente stesso di ulteriori informazioni sulla vicenda. [3] Le informazioni cos raccolte devono poi essere utilizzate dagli Organi diocesani di consultazione per concedere o negare allOrdinario il loro consenso: ci che pone lulteriore doppio tema del rapporto tra fornire e richiedere informazioni. Quali informazioni, infatti, lOrdinario tenuto a trasmettere ai due Organi diocesani (v. infra)? E quali informazioni i membri di tali Organi devono acquisire al fine di esprimere il loro voto, tenuto conto del prescritto del Can. 1292 4?
In questo delicatissimo ambito della vita ecclesiale occorre anche evitare forme di confusione concettuale tra [a] trasparenza dellAmministrazione in quanto conoscibilit dei percorsi decisionali che lAmministrazione in quanto apparato intraprende nel perseguimento dei propri fini (che sono comunque pubblici) e [b] trasparenza nellamministrazione in quanto attivit dellamministrare che anche soggetti privati (come le persone fisiche) effettuano. La trasparenza dellAmministrazione, infatti, deriva dalla necessit democratica del controllo (esterno) del suo operato in termini di imparzialit tra tutti coloro i cui interessi sono coinvolti; la trasparenza nellamministrazione riguarda invece la tracciabilit (interna) delle operazioni, soprattutto commerciali e finanziarie, effettuate e dei soggetti coinvolti (= fornitori, acquirenti, intermediari) permettendo in tal modo un controllo di correttezza ed efficienza dellattivit di gestione cos da evitare sprechi, indebiti favoritismi o, addirittura, reati. 4.5 Informazione concomitante, differenziata o progressiva Sotto il profilo espressamente operativo, il sostanziale parallelismo dellattivit del Collegio dei Consultori col Consiglio diocesano per gli affari economici non solo pone un legittimo interrogativo sulla loro correlazione e, soprattutto, precedenza o concomitanza nellintervenire sulla stessa pratica in rapporto alleventuale consenso concesso o negato dal primo dei due Organi che si radunato ed ha votato, ma evidenzia anche un concreto problema di informazione reciproca. Il tema non meramente procedimentale, dovendosi cio chiarire se un atto di amministrazione straordinaria bocciato dal primo Organo che ha votato, possa o debba essere sottoposto anche allaltro (visto che lOrdinario ha comunque necessit di due consensi per procedere alla concessione della Licenza), ma contiene espressi profili di informazione proprio nei confronti dei due Organi. Senza rifarsi nuovamente alle problematiche gi illustrate, occorre qui considerare alcuni ulteriori elementi specifici di questattivit a duplice realizzazione, chiedendosi: 1) se le informazioni da fornire ai due Organi debbano essere le stesse; 2) se le informazioni riguardo alla riunione e voto del primo Organo che si raduna debbano o – soltanto – possano essere trasmesse al secondo e/o da questo legittimamente richieste o anche pretese.- La questione di informazioni diverse, sia in quantit che qualit, fornite ai due Organi non ha alcun rilievo normativo, mentre per contro palese che lesito di qualsiasi votazione dipende in modo determinante dalle informazioni di riferimento. Ci nonostante si potrebbe osservare che i punti di vista dei due Organi sono tecnicamente molto diversi: pastorale per il Collegio dei Consultori, economico per il Consiglio affari economici, giustificando in tal modo evidenti indirizzi politici diversi forniti ai due Collegi votanti attraverso informazioni differenziate (= parziali), pur senza profilare specifiche illegittimit di condotta da parte dellOrdinario in questione.
- Anche la non concomitanza delle riunioni dei due Organi circostanza adatta a produrre nuove informazioni che riguardano in modo specifico loggetto del consenso richiesto ma che, tuttavia, potrebbero anche non essere portate a conoscenza pi o meno diretta del secondo Organo deliberante. La questione non inutile poich il conoscere dallinizio lesito del voto gi espresso da un altro Organo in grado di condizionare in modo radicale sia landamento del confronto, sia lo stesso voto, soprattutto quando si sappia gi che laltro Organo non ha dato il proprio consenso.
Dal punto di vista comparatistico il problema parrebbe sollecitare sia la prospettiva della trasparenza dellAmministrazione che la pubblicit dellattivit amministrativa in quanto conoscibilit dei percorsi decisionali ed i loro specifici contenuti, utile proprio ad escludere non solo larbitrariet delle decisioni (in questo caso le Licenze tutorie in campo patrimoniale) ma anche la manipolazione dello stesso Procedimento, delineando fattispecie riconducibili allambito della frode alla Legge. Si permetta, tuttavia, di evidenziare come in questo caso non si tratti per di soggetti attivi allinterno dellOrdinamento ma di Organi appartenenti alla stessa struttura e funzionalit di governo esecutivo. Diverso, ma non da escludersi a priori, sarebbe lintervento del richiedente la Licenza (p.es.: un Parroco) che intendesse conoscere chi e perch ne ha negato la concessione: uno dei due Organi, oppure lo stesso Ordinario? 4.6 Informazione e problemi aperti Restano del tutto aperte un certo numero di questioni, connesse soprattutto alle evidenti carenze strutturali che lOrdinamento canonico palesa in materia di informazione, specie in riferimento alle attivit di governo locale (diocesano e religioso in primis). 4.6.1 Pubblicit degli Atti, comunicazione, riservatezza In proposito, da parte della dottrina canonistica, ci si riferirebbe volentieri ai temi della pubblicit degli Atti, della comunicazione, della riservatezza temi che, alla luce del percorso sin qui intrapreso, risultano per scarsamente supportati – e supportabili – da apposite tutele canoniche. Lapproccio comparatistico, per parte propria, ha mostrato come, in assenza di un effettivo diritto di accesso espressamente statuito e regolamentato come tale, la mera pubblicit degli Atti di governo non ottiene alcuna reale fruibilit n per gli Atti che lAutorit non abbia volontariamente fatto pubblicare (sia singolarmente che attraverso Bollettini o Raccolte ufficiali) n per la documentazione preparatoria dei vari Provvedimenti. Tanto pi che il principio costituzionale cui ancorare tale diritto del soggetto non sarebbe la trasparenza o la pubblicit per motivi di non discriminazione (come in campo civile), ma dovrebbe essere la non arbitrariet della decisione, di per s gi parzialmente protetta sia [a] dal diritto di opporre Rimostranza ai Provvedimenti gravosi di cui si sia destinatari, sia [b] dallo strutturale diritto di difesa, che per in ambito amministrativo sarebbe meglio chiamare diritto di replica. Non di meno: in questa prospettiva rimane non ipotizzabile – a partire dagli attuali presupposti costituzionali canonici – alcun diritto di partecipazione del destinatario alla formazione degli Atti provvedimentali, come avviene, invece, in ambito civile partendo dal presupposto economico-concorrenziale. La previsione del Can. 1517 CCEO di coinvolgere il destinatario del Provvedimento in sede di sua formazione non pare infatti provenire dal livello costituzionale (identico a quello latino – sic!) ma dalla diversa storia giuridico-istituzionale dellOriente cristiano, fondamentalmente non segnata dal Sistema beneficiale feudale-germanico. A tal proposito pare utile osservare che la tematizzazione di un pi generico e generale principio procedimentale di pubblicit in riferimento al carattere pubblico generale, che deve connotare lattivit amministrativa (nel senso che non si tratta di unattivit privata) permettendo lesteriorizzazione e la conoscibilit delliter di formazione delle decisione amministrativa in funzione della non arbitrariet dei Provvedimenti, pare non pienamente proporzionato, tanto pi nel suo – preteso – tradursi nel diritto a conoscere gli elementi che sono stati considerati da parte dellAutorit per emettere un Atto amministrativo, intesi cos nella loro totalit. In filigrana infatti continua a porsi, in ambito canonico, il problema dellindividuazione del concetto di pubblico nella sua sostanziale accezione di istituzionale anzich di tutti/collettivo; lo stesso vale per privato che non pu essere ridotto al meramente individuale. Il Procedimento amministrativo, infatti, qualificato come pubblico (cio istituzionale) non perch qualunque sua fase ed informazione sia disponibile a chi ne faccia, pur legittimamente, richiesta ma perch non si tratta di unopzione soggettiva del decidente in quanto tale: attivit di carattere pubblico poich realizzazione istituzionale di un Ufficio ecclesiastico (che ne e rimane il referente) e non individualistica del fedele che lo esercita in casu. In modo correlato, non pare invece porre particolari problemi dal punto di vista canonico il tema della riservatezza delle informazioni, vista non solo la generale carenza dinformazione da cui lOrdinamento stesso risulta caratterizzato, ma anche la necessit di tutelare il diritto alla buona fama dei soggetti (cfr. Can. 220), oltre alla loro legittima autonomia per quanto riguarda le persone giuridiche in genere, a maggior ragione quelle gerarchiche. 4.6.2 Comunicazione ed informazione Per quanto concerne la comunicazione, va osservato che per molti aspetti essa si presenta come complementare o addirittura speculare allinformazione stessa anche se sarebbe maggiormente appropriato ricondurre il tema pi alla dimensione politica del governo che non a quella esecutiva sin qui considerata. Ci nonostante pu meritare qualche attenzione nella prospettiva del governo esecutivo la distinzione ed integrazione tra informazione previa e comunicazione successiva: tra il racconto di quanto serve a decidere ed il racconto di quanto e perch sia stato deciso. Per quanto il tema si ponga al di fuori dello stretto Diritto, non si manifesta per estraneo alle logiche che devono strutturare un autentico governo ecclesiale, offrendogli la solidit della condivisione di cui si alimenta la consapevolezza e, derivatamente, la stessa communio. In fondo si tratta del fondamento stesso della dinamica prevista dal Legislatore nei Cann. 50 e 51 del CIC che impongono allAutorit sia linformazione necessaria a deliberare che la comunicazione necessaria alla comprensione della decisione assunta: due elementi che si richiamano reciprocamente e sono legati da una connessione di qualche portata causale che deve, in qualche modo, essere manifestata affinch colui che dovr eseguire il Provvedimento ne abbia non solo conoscenza ma anche consapevolezza cos da poterlo assumere ed eseguire, piuttosto che dolersene ed opporgli resistenza. Proprio la connessione – e la sua qualit – tra informazione previa e comunicazione successiva costituisce, daltra parte, un sicuro antidoto contro larbitrariet nel governo poich pone in luce il percorso valutativo e discrezionale – realizzato come specifico munus ed Officium di qualcuno – per passare da una concreta situazione di fatto alla decisione che dovrebbe risolverla in modo efficace. In tale prospettiva: il fatto che lAtto amministrativo vada dato in forma scritta e contenga saltem summarie le proprie motivazioni ha lo scopo precipuo di fissare non tanto il Provvedimento in s (= la cosa da fare) ma, pi profondamente, i suoi presupposti e le sue finalit specifiche, realizzando una vera e propria comunicazione che integra i dati meramente informativi con una loro lettura intenzionale e proposta di significato e valore. Dal punto di vista dei princpi costituzionali non si tratta per n di partecipazione n di corresponsabilit ma di communio proprio nellaccezione – gi proposta – di modo consapevole di stare ed operare nella Chiesa. 5. Conclusioni Lindagine comparatistica e codiciale sin qui condotta, per quanto in modalit ancora sostanzialmente ricognitiva, non permette di trarre conclusioni in qualche modo risolutive sul tema affrontato anche se offre loccasione per effettuare qualche riflessione che aiuti ad uscire dagli spazi troppo angusti delineati dal Diritto positivo – ai limiti della pedanteria per quello civile e del qualunquismo per quello canonico – per prendere atto dellassoluta tipicit del governo che nella Chiesa pu e deve essere esercitato, proprio nellottica della communio:- un governo che, avendo obiettivi delineati con una buona precisione a livello di fondazione istituzionale e non a livello sociale, secondo gli umori, i timori, gli interessi di ciascun momento storico, non solo non deve auto-legittimarsi ma neppure deve perseguire risultati troppo ampi e, spesso, del tutto aleatori;
- un governo che si sostanzia nel prevalente coordinamento delle risorse effettivamente disponibili da parte e allinterno della Comunit ecclesiale (poche o tante che esse siano) non potendo andare oltre ci che effettivamente sia disponibile, tanto in termini di persone che di mezzi materiali, e pertanto mai obbligato a forzare la realt, imponendo ai fedeli prestazioni personali ed economiche;
- un governo non di limitazione ma di promozione dei soggetti verso un bene comune (= la santificazione) che anche il bene di ciascun singolo e, quindi, tendenzialmente non conflittuale ma promozionale, per quanto spesso necessitato a chiedere a tutti e ciascuno uno sforzo di ulteriore condivisione e dedizione alla causa comune cosicch ciascun singolo si auto-limiti rendendo disponibili nuove risorse attraverso le quali farsi carico di necessit altrui;
- un governo in cui, alla fine, solo la
consapevolezza di ciascun singolo e
la sua dedizione alla causa del
Vangelo diventano motivazione del reciproco chiedere ed offrire, cosicch il
conoscere lo stato delle cose – che il vero scopo
dellinformazione – diventa il motore della comune assunzione
dimpegno nella missione ecclesiale, ciascuno per la sua parte: ci in cui
consiste, pi radicalmente, la communio.
In: GIDDC
(cur.), Il governo nel servizio della
comunione ecclesiale, coll. Quaderni
della Mendola, n. 25, Milano, 2017, 189-230.