La Teologia del Diritto canonico a quindici anni dalla sua nascita: status qustionis dal punto di vista epistemologico

Paolo Gherri

Sommario

1. La Teologia del Diritto canonico come Disciplina accademica autonoma. 2. La Teologia del Diritto (canonico) e la riforma degli studi canonistici. 3. La recezione dominante della nuova Disciplina. 4. Ulteriori istanze epistemologiche. 5. Elementi per un rilancio epistemologico.

Summary

1. Theology of Canon Law as an autonomous academic Discipline. 2. Theology of (Canon) Law and the reform of canonical studies. 3. The dominant reception of the new Discipline. 4. Further epistemological instances. 5. Elements for an epistemological revival.

Col termine dellanno 2017 prende corpo il quindicesimo anniversario della firma del Decreto Novo Codice (2 settembre 2002) che, modificando Sapientia Christiana, ha mutato in modo significativo la struttura degli studi canonistici non solo per quanto riguarda i tempi per conseguire la Licenza in Diritto canonico ma, pi profondamente, inserendo in tali studi anche materie fino ad allora escluse dalla proposta didattica e, subordinatamente, accademica. il caso, tutto specifico, della Teologia del Diritto canonico alla quale risulta ormai necessario dedicare qualche attenzione dal punto di vista espressamente epistemologico, distinguendo – in quanto e per quanto possibile – lidentit della Disciplina rispetto ai suoi contenuti. Quindici anni di docenza accademica, daltra parte, sembrano sufficientemente significativi per delineare un secondo status qustionis, dopo quello sostanziale delineatosi – pur informalmente – nel decennale del Decreto e che costituisce a tuttoggi lunica tappa significativa sotto lo specifico profilo epistemologico (e didattico).

1. La Teologia del Diritto canonico come Disciplina accademica autonoma

La quarta riforma degli studi canonistici nellarco di soli ottantacinque anni (1919; 1931; 1979; 2003) costituisce una tappa di grande importanza per la portata delle modifiche introdotte, [a] non soltanto alliter accademico canonistico, che risulta allungato nei tempi (= cinque anni per la Licenza), ma [b] soprattutto alla natura degli studi canonistici come tali, a partire proprio dalla struttura generale di tale specializzazione e dalla tipologia delle Discipline dinsegnamento. Studiare Diritto canonico, infatti, comporta oggi un orizzonte epistemologico – prima che didattico – sensibilmente diverso dal passato: oggetto di studio diventato il Diritto canonico come tale e non soltanto il suo Codice (latino), come fu dal 1917, sebbene con successive sensibili correzioni di orientamento operate in corso dopera.

Di fatto dalla riforma operante dallautunno 2003 nasce ufficialmente la Disciplina accademica denominata Teologia del Diritto canonico con una propria autonomia formale e sostanziale (seppur non ancora chiarita in modo sufficiente), di per s capace di superare la precedente complicata e controversa situazione dottrinale e didattica a riguardo dei rapporti tra Teologia e Diritto canonico. Rapporti divenuti patrimonio comune nel post-Concilio pi come tematica/materia di cui trattare che come vera Disciplina scientifica da praticare.

A ben vedere: gi nel 1979, anche a seguito della revisione codiciale ormai sostanzialmente conclusa, le Ordinationes applicative di Sapientia Christiana avevano previsto, per la prima volta, linsegnamento nelle Facolt giuridiche ecclesiastiche di Elementi di sacra Teologia (specialmente di Ecclesiologia e di Teologia sacramentaria), indicando cos quali avrebbero dovuto essere i contenuti teologici irrinunciabili da offrire ai futuri canonisti. Iniziava in tal modo a ricomporsi, seppur timidamente, quella sorta di divorzio epistemologico e dogmatico tra Canonistica e Teologia che si era introdotto con la promulgazione del CIC pio-benedettino e delle conseguenti Norme per il suo insegnamento. In merito va infatti accolta lopinione secondo cui il Codex Iuris Canonici del 1917 aveva costituito il punto di massima separazione fra Canonistica e Teologia, Diritto e Morale.

Occorre altres considerare come al tempo della promulgazione di Sapientia Christiana la c.d. Teologia del Diritto (canonico) manifestasse unevidente giovinezza (e fragilit teoretica), come testimoniato dagli stessi suoi cultori. Di questa Disciplina come tale, infatti, difficile trovare tracce significative nella dottrina e nella manualistica di buona met del XX sec. e la sua generica fondamentazione veniva fatta riposare per la maggior parte su discorsi di Paolo VI sia ai canonisti in genere, che alla Pontificia Commissione per la revisione del CIC ed alla Rota Romana, nei quali il Pontefice (anche canonista!) richiamava – in modo del tutto generico, seppure chiaro – il valore teologico del Diritto canonico, allinterno di un ambiente culturale e dottrinale che aveva visto nella rivendicazione della qualificazione teologica del Diritto canonico e della Canonistica una scorciatoia per superarne la crisi.

Pu sembrare strano e ingenuo, ma in un momento storico caratterizzato da una profonda difficolt del Diritto della Chiesa e della Canonistica con un sostanziale rifiuto da parte del Popolo di Dio e, di contro, da un diffuso consenso e valorizzazione ecclesiale della Teologia, poter dire che il Diritto canonico ha un fondamento teologico, ha basi teologiche ecc. e che la Canonistica – magari sui generis – una Scienza teologica, era come affermare che Diritto e Canonistica sono qualcosa che valgono nella Chiesa.

Il semplicismo dellargomentazione pu far sorridere: eppure almeno parte del dibattito sulla teologicit del Diritto canonico stata condizionata, pi o meno implicitamente, da questa impostazione o, se si vuole, da questo desiderio di riabilitare il Diritto, la Canonistica e [] i canonisti, dando a tutto e a tutti una generica, ma ambita, qualificazione teologica.

Evidentemente una tale impostazione non porta lontano: non spiega, al di l del termine, in che cosa consista la teologicit della Canonistica; non porta a dare unautentica e convincente fondazione al Diritto ecclesiale; non inserisce in maniera seria ed efficace la Canonistica nel quadro delle Scienze teologiche.

In tale contesto, lintroduzione nel 1979 degli Elementi di sacra Teologia tra le Discipline (obbligatorie) complementari a quelle codiciali (la c.d. schola textus) non costituiva altro che unapplicazione delle direttive conciliari di Optatam Totius, integrando gli indirizzi esegetici e storici di base (gi prescritti) con quelli, soprattutto ecclesiologici, espressi dal Vaticano II principalmente nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium.

In merito va segnalato senza reticenze o dissimulazioni il fatto che la prescrizione, tuttavia, non fu sostanzialmente recepita dai suoi destinatari, confermando lo stato di confusione – sia epistemologica, sia didattica – che regnava sul tema. Molte Facolt canonistiche, infatti, si contentarono semplicemente dinserire tra le Discipline accademiche un non meglio determinato Corso di Philosophia et Theologia Iuris, spesso di sostanziale natura filosofica, senza dar effettiva esecuzione al contenuto (innovativo) della riforma nella sua componente pi espressamente teologica in senso proprio. Alcune Facolt ed Istituti, poi, ignorarono completamente la Norma limitandosi ad introdurre Corsi sui fondamenti(?) del Diritto canonico.

La difficile recezione della disposizione regolamentare, in realt, esprimeva nei fatti la reale portata della discussione degli anni Sessanta e Settanta circa le componenti teologiche e giuridiche del Diritto canonico: quella discussione che aveva condotto alla pretesa nascita della Teologia del Diritto (canonico) come nuova materia canonistica alla quale molti, incoraggiati anche dai menzionati interventi pontifici, iniziavano a far concreto riferimento ed affidamento – seppure pi dottrinale che didattico-accademico –, sullonda degli insegnamenti seguiti a quello di K. Mrsdorf, oppure in modo del tutto autonomo, comera stato per D. Composta.

Dal punto di vista dello sviluppo dellidea di una Teologia del Diritto (canonico) va comunque accolto il fatto che [a] non solo tale (pretesa) nuova materia canonistica rimase completamente ignorata dalle disposizioni sia papali che curiali del 1979 (non riuscendo in quelloccasione a guadagnarsi la qualifica di Disciplina accademica), ma pure che [b] anche la prassi concreta disattese ampiamente la possibile apertura didattica appena introdotta sotto forma di Elementa sacr Theologi. La materia dovette cos accontentarsi di rimanere in limine, non solo rispetto al nuovo ordinamento degli studi canonistici, ma alla stessa Scienza canonistica, anche a causa della grande frammentazione che caratterizzava tale ambito scientifico in quei decenni. Si noti pure che ci avvenne al di l del fatto che nel 1975 proprio la Congregazione per i Seminari avesse dedicato un numero monografico della Rivista ufficiale (= Seminarium) allinsegnamento del Diritto canonico e che proprio in quelloccasione fosse stato chiamato ad intervenire con un proprio articolo K. Mrsdorf.

2. La Teologia del Diritto (canonico) e la riforma degli studi canonistici

Partendo da queste osservazioni sul mancato riconoscimento accademico della Teologia del Diritto (canonico) alla fine degli anni Settanta, la semplice introduzione nel nuovo ordinamento degli studi dellanno 2003 di una Disciplina denominata Teologia del Diritto canonico non pare autorizzare sotto il profilo espressamente epistemologico (a riguardo, cio, dellidentit scientifica della Disciplina) la sua pronta identificazione con alcuna delle prospettive dottrinali e teoretiche che popolavano lorizzonte canonistico del Novecento. Non solo.

Uno sguardo strutturale ed organico alle prescrizioni della riforma,

- non evidenzia, in primo luogo, alcun ruolo espressamente contenutistico della nuova Disciplina accademica che, al contrario, si trova preceduta (nel Primo Ciclo) da una lunga lista di vere e proprie Teologie, di ben altra portata e significativit quanto a contenuti; mentre Sapientia Christiana aveva ritenuto sufficienti i generici Elementa sacr Theologi ;

- pure laffiancamento ad una Filosofia del Diritto, anchessa preceduta (nello stesso Primo Ciclo) da Corsi di specifico contenuto filosofico, contribuisce a suggerire per queste due Discipline un profilo di livello contenutistico inferiore rispetto alle Teologie e Filosofie propriamente dette, presupposte allo studio tecnico-giuridico: un livello difficilmente identificabile con quello fondazionale;

- nondimeno: la struttura stessa della riforma degli studi canonistici fa delle Discipline teologiche levidente contenuto precipuo del solo Primo Ciclo (esteso su quattro semestri), restituendo alla Licenza (su cinque semestri lettivi) e al Dottorato in Diritto canonico la specifica, ed assodata, natura di specializzazione rispetto alla – costitutiva – formazione teologica gi conseguita, come avviene per tutte le altre Scienze sacre.

Tale analisi strutturale (quasi esegetica) della riforma del 2003 mette in luce sotto il profilo teoretico costitutivo che prima di iniziare gli studi canonistici occorre conoscere la Teologia vera e propria, poich ci che caratterizza come proprium il Diritto canonico non qualche contenuto teologico interno allo stesso Diritto canonico ma la Teologia (= fides qurens intellectum) che lo precede, rendendolo possibile nella sua identit di fides qurens actionem, secondo linsegnamento di L. rsy. Si conferma in tal modo il principio che la specializzazione in Diritto canonico presuppone una vera – seppur generale – formazione e competenza espressamente teologica.

Qualche ragguaglio sullo sviluppo dellinsegnamento del Diritto canonico lungo il XX sec. potr risultare utile per comprendere meglio sia le plausibili cause, sia la portata dellintroduzione della nuova Disciplina accademica.

2.1 Il contesto post-codiciale degli studi canonistici

Uno sguardo retrospettivo lungo il XX sec. consente dindividuare alla radice del sorgere e consolidarsi della Teologia del Diritto (canonico) allinterno del mondo cattolico lirrinunciabile necessit e volont di riaffermare la profonda radice teologico-dogmatica del Diritto canonico fortemente attenuatasi nella crisi codificatorio-esegetica di cui fu espressione e, al contempo, causa il CIC pio-benedettino.

Il Codice del 1917 infatti, riportando la sola parte disciplinare delle Norme (spesso estrapolata dai testi ben pi articolati e complessi delle Decretali pontificie), sanciva, sotto il profilo teoretico, la massima separazione fra Diritto e Teologia, facendo del Codice una sorta di distillato giuridico che, quia iussum ab eo qui curam communitatis [spiritualis] habet, acquistava valore nella societ del tempo proprio in ossequio alle dottrine positivistiche imperanti: col CIC anche la Chiesa cattolica (societas iuridice perfecta al pari degli Stati moderni) possedeva finalmente la propria Legge scientifica (= razionale, assoluta e completa), secondo la volont esplicita del proprio supremo Legislatore!

In tale prospettiva va riconosciuto come la codificazione canonica, accentuando il principio che la Legge (in ragione dellAutorit promulgante) vale per se stessa e non per la sua motivazione – normalmente non espressa nei Canoni –, abbia concretamente favorito una sostanziale riduzione prospettica e motivazionale della normativit canonica: dal cur iussum (della ordinatio e della ratio di Tommaso) al quia iussum (del prceptum e della voluntas di Surez), impoverendo irreversibilmente il Diritto canonico dal punto di vista contenutistico (e, quindi, inevitabilmente teologico) e facendo prevalere il mero aspetto applicativo-procedurale (razionalista e moderno) su quello decisamente pi sapienziale dello Ius vetus contenuto nelle Decretali. Il duro, ma accorato, giudizio di J. Gaudemet esprime bene la situazione creatasi col Codice del 1917:

la Teologia ne quasi assente. [] il Codice della Chiesa, vista come una societ perfetta. Dio ne quasi assente. I Sacramenti sono messi tra le cose! I Benefici ecclesiastici occupano cento Canoni.

Il Codice, per, pur essendo oggi la fonte unica ed esclusiva di tutta la disciplina generale, non fu il tutto di quella svolta epocale della giuridicit della Chiesa: ad esso si affiancarono ben presto altri fattori che giocarono un ruolo complementare nel rafforzare i presupposti teoretici della codificazione: in primis le indicazioni per linsegnamento del Diritto canonico, proprio a partire dal Codex. In questottica infatti, a pochi mesi dalla promulgazione del Codex la Congregazione per i Seminari e gli studi universitari, nella propria prescrizione del 7 agosto 1917 sullinsegnamento del Diritto canonico nelle Facolt ecclesiastiche aveva imposto il metodo dellesegesi come unico approccio lecito al testo codiciale, escludendo espressamente altre possibili metodologie non rispettose della struttura e dellordine del Codice:

Ipso Codicis ordine ac titulorum Capitumque serie religiosissime servata, singulos Canones diligenti explanatione interpretari [] id sancte retinendum, ut non eius libri ordini ordo Codicis, sed huic ille aptetur et accommodetur.

Il nuovo indirizzo didattico (e dogmatico) impartito con tanta forza allindomani della promulgazione del CIC ed imposto allinsegnamento nelle Facolt ecclesiastiche port ben presto ad un evidente impoverimento della Canonistica, divenuta il pi delle volte semplice codicistica, basata sulla sola esegesi testuale, sostanzialmente dimentica della Storia e sganciata dalla Teologia, tanto che a poco pi di un decennio si dovette intervenire, ai massimi livelli, per unautorevole correzione di rotta. Fu, infatti, nel Piano degli studi approntato nel 1931 dalla stessa Congregazione nelle Norme applicative della Costituzione Deus Scientiarum Dominus di Papa Pio XI che vennero indicate, questa volta senza alcuna ulteriore specifica in merito alla metodologia esegetica, materie quali: Introduzione alla Scienza giuridica (Diritto naturale e Filosofia del Diritto), i cinque Libri del CIC, Ius publicum ecclesiasticum, Istituzioni di Diritto romano, Diritto concordatario, Elementi di Diritto civile vigente, Storia del Diritto canonico (Fonti, istituti e Scienza), riproponendo di fatto – a posteriori – lo schema di docenza canonistica tradizionale fino al XIX sec.

Le disposizioni didattiche imposte dalla Congregazione nel 1917 costituirono tuttavia un passo decisivo ed irreversibile nellorizzonte ecclesiale: un passo che venne accolto non senza contraccolpi allinterno del panorama delle Discipline teologiche del tempo. Larea che maggiormente risent della novit codiciale fu senza dubbio quella normativa: Diritto, Morale e Liturgia che, al tempo, avevano spesso trattazione comune o, comunque, accomunata dal (moralistico) dover fare – ben prima che dal dover essere –, allinterno della pi generica Teologia pratica, in unimpostazione che rimase dominante fino agli anni del Vaticano II.

Si scriveva (e pensava) in quegli anni (non a Roma – sic):

Il Diritto canonico non che il rivestimento sotto il quale la Chiesa si presenta nel piano dellattivit di governo, come le costruzioni teologiche sono il rivestimento sotto il quale il dogma si presenta sul piano della conoscenza razionale, come le cerimonie liturgiche la portano a manifestazioni sensibili sul piano del Culto. Teologia, Liturgia, Diritto canonico: tre Diritti frammentari, ma complementari e per conseguenza solidali, triplice manifestazione delle facolt umane associate nel servizio della verit, triplice via daccesso alla contemplazione del mistero, sotto il lume della fede!.

Davanti alla nuova situazione del condensarsi, ormai senza possibilit di ritorno, della giuridicit canonica nellassetto codiciale – dopo la prima emozione, ed una volta smaltita leuforia della novit –, un certo numero di studiosi e docenti di Diritto canonico inizi tuttavia a provare disagio per la – esigua – qualit della Normativa codiciale, e pi ancora della Scienza ad essa legata, rispetto a quella del Corpus Iuris canonici cui erano stati abituati. Non si pot pertanto non denunciare la formale rottura con la precedente tradizione canonistica, nonostante il tentativo di evidenziare la continuit con le sue Fonti e prescrizioni che il Codice – formalmente – sanciva rispetto al Diritto precedente (cfr. CIC-17, Can. 6).

Proprio laggiornamento della monumentale opera di F.X. Wernz operato da P. Vidal in seguito alla promulgazione del Codice pio-benedettino pu essere una valida testimonianza della volont di assecondare i contenuti (= le Norme) del nuovo corso della giuridicit canonica senza tuttavia dismettere un metodo canonistico di grande efficacia.

Nei tre decenni seguiti alla promulgazione del CIC pio-benedettino un crescente disagio caratterizz progressivamente la Canonistica ecclesiastica: lidentificazione Diritto-Codice e la progressiva esclusione dallambito giuridico di tutto ci che era meta-codiciale (al Card. P. Gasparri viene attribuita laffermazione: quod non est in Codice non est in mundo) causarono lirreversibile scissione, allinterno della generica normativit ecclesiastica, tra giuridico e teologico: Diritto e Morale, a quel tempo ancora insegnate dagli stessi docenti e con modalit analoghe (= la c.d. casuistica). La crisi della Canonistica codiciale era ormai iniziata, anche se – specie negli ambienti di Curia – non era possibile riconoscerlo n ammetterlo. Nel frattempo levento bellico congel sia le difficolt che le prospettive.

2.2 I presupposti teoretici della nuova Disciplina

Come ormai noto dal punto di vista storico: le prime riflessioni cattoliche sul tema dei rapporti tra Diritto canonico e Teologia si svilupparono a met Novecento in ambiente accademico germanico, prendendo le mosse da quanto andava realizzandosi in ambito protestante, finendo tuttavia per porre a carico del Diritto canonico istanze teoretiche (= quelle fondazionali) del tutto estranee alla tradizione canonistica cattolica.

Mentre, infatti, in ambito cattolico (come testimonia chiaramente lesperienza medioevale dello Ius commune e dellutrumque Ius) il Diritto – in ciascuna delle sue forme – non aveva mai rappresentato un problema, ben diversa era stata la situazione nel mondo della Riforma. Per il protestantesimo infatti Teologia e Diritto (epigoni di Grazia e Legge) non potevano coesistere allinterno di uno stesso sistema unitario, secondo il presupposto dogmatico della dottrina luterana dei due Regni dalla quale derivava la profonda distinzione tra Diritto naturale spirituale e Diritto naturale secolare, senza pi alcuna participatio Legis tern nella ragione umana (comera stato, invece, per san Tommaso): per Lutero la Legge naturale spirituale solo una volont giuridica di Dio che comanda e giudica alla fine del mondo e, pertanto, (estrinsecamente) fuori della storia. In tal modo

se luomo non pu pi raggiungere Dio con la ragione ma solo nella fede, Dio pu invece raggiungere luomo con la sua volont e la sua Legge; essa per diventa vincolante solo con ladesione interiore delluomo. Il Diritto naturale secolare prodotto dalla ragione segnato totalmente, anche se voluto da Dio, dalla logica umana e dalla giustizia delluomo; la giustizia del Decalogo, della Lex Moysis non appartiene pi per Lutero al Diritto divino naturale, essendo solo unimmagine antropomorfica e torbida della giustizia di Dio. []

Poich il Diritto della Chiesa visibile regola solo i rapporti tra Chiesa e individui e degli individui tra di loro, esso si situa sullo stesso piano del Diritto statale.

Quando, per, la convivenza pi o meno pacifica della giuridicit statuale con quella ecclesiale riformata si ruppe definitivamente in occasione delle Leggi razziali naziste del 1933 lo stesso mondo protestante si trov nella necessit di dar legittimamente vita ad uno specifico Diritto anche per la Chiesa visibile, oltre che trovare una fondazione adeguata pure per quello dello Stato, dimostratosi del tutto inadeguato al sommo compito affidatogli dalla tarda Modernit di essere la fonte – unica – dellEtica (sociale e civile). La divaricazione concettuale e teoretica rispetto alla concezione cattolica era massima. Da secoli, infatti, i cattolici erano abituati a concepire i due Diritti in modo sostanzialmente autonomo (seppur variamente interfacciato), come la vigente Teoria dello Ius publicum ecclesiasticum testimoniava efficacemente, prevedendo addirittura il possibile conflitto inter-ordinamentale a tutela della libertas Ecclesi. Per i protestanti al contrario, poich il Diritto era – di principio – un unicum di pertinenza e competenza statuale, la crisi dellun ramo coinvolgeva immancabilmente lintera radice, rendendo necessario che della questione si facessero espressamente carico (anche) i teologi. Esattamente ci da cui doveva sgorgare (e sarebbe sgorgata) la Rechtstheologie quale capostipite di un nuovo ambito epistemologico, in aperta opposizione alla (filosofica) politische Theologie tardo moderna. Fu questo contesto strutturale che nel secondo dopoguerra – in Germania (!) – fece assumere al Diritto come tale unirrinunciabile portata etico-teologica, facendone un polo primario dinteresse per la stessa Teologia dogmatica, tanto da generare una vera e propria riflessione e teorizzazione espressamente teologica sul Diritto come tale che, invece, non aveva nessuna ragion dessere in una prospettiva cattolica, n legami specifici con le Discipline giuridiche del tempo. In tale contesto, nella visione protestante della societ, il tema del Diritto fin per coincidere con quello espressamente politico – e cos continua sostanzialmente a tuttoggi – identificandosi col rapporto Chiesa-mondo. Per questo, la Teologia del Diritto

tocca profondamente la vita cristiana. Essa contiene – e ci nel modo teologicamente pi radicale – una questione di nuovo dibattuta appassionatamente nellopinione cristiana: quella del come dei rapporti tra Chiesa e mondo politico, tra Chiesa e Stato, ed anche quella, pi concreta e concernente in modo personale ogni cristiano, dellagire cristiano autentico nellambito del sociale e politico:

ci che – con maggior correttezza e propriet epistemologica – J. B. Metz chiam, appunto: Teologia politica.

Sotto la pressione di tali stimoli, a partire da K. Mrsdorf, e basandosi – di fatto – sulle dottrine degli autori (soprattutto protestanti) attivi in materia, anche la ricerca cattolica (e la didattica) si era indirizzata a dedurre lesistenza e la legittimit dello stesso Diritto canonico (cattolico) – ormai abbondantemente in crisi nella sua forma codificata dal Gasparri – da princpi espressamente teologici tra cui, dopo il Vaticano II, soprattutto la nozione di communio, strutturandosi ed operando in vista di una duplice finalit:

costruire nellambito della Canonistica una Disciplina che si occupi dellaspetto fondazionale, sempre da un punto di vista teologico, del Diritto canonico, chiamata Teologia del Diritto canonico;

e quella di considerare la Canonistica una Disciplina teologica, con metodo giuridico, o meglio teologico.

In tal modo tuttavia – come ben evidenzia Erd – si fin ambiguamente per utilizzare la Teologia del Diritto canonico invece della Teoria generale del Diritto, non ammissibile per il Diritto canonico (secondo i discepoli di Mrsdorf, e pi ancora secondo Corecco) a causa dei fondamenti filosofici da cui tale Disciplina promana.

Di fatto, per quanto riguardava linsegnamento del Diritto canonico in ambito cattolico, la situazione dottrinale e didattica degli anni Sessanta-Settanta non differiva di molto da quella di cinquantanni prima: semplicemente alla societas perfecta (dello Ius publicum ecclesiasticum) si era sostituita pressoch in ogni circostanza la communio e, in suo nome, sinizi un progressivo ma inesorabile processo di erosione del giuridico nella Chiesa a favore di un teologico, rivelatosi per pi volte, spiritualistico o sacrale. Da allora, negli ambienti dinfluenza teologica tedesca (Italia in primis), divenne sempre pi difficile parlare di Diritto canonico – pervicacemente e puntigliosamente sostituito da Diritto ecclesiale, mala traduzione di Kirchenrecht – e si pretese di coniugare questa linea con quella del Concilio: lEcclesiologia conciliare sembrava infatti trovare nello Ius communionis il suo giusto coronamento istituzionale, in linea col principio (indiscusso) della natura eminentemente teologica del Diritto nella Chiesa.

2.3 Lattuale stato delle cose tra materia dinteresse e Disciplina scientifica

In realt, come continua a dimostrare in modo eloquente anche la dottrina pi recente, questo grande magma teoretico tuttoggi in ebollizione non ancora stato in grado di produrre qualcosa di epistemologicamente (e, quindi, scientificamente) accettabile, al di l di innumerevoli asserzioni e petizioni di principio, ancora incapaci tuttavia di prendere forma concreta nella delineazione di una vera Disciplina scientifica caratterizzata da un autonomo e plausibile statuto epistemologico, in relazione soprattutto al suo oggetto materiale e metodo fondamentale di studio e correlata didattica.

Di fatto: se pur vero che la nascita della Teologia del Diritto canonico come Disciplina accademica autonoma non stata un fulmine a ciel sereno ma stata lungamente preparata gi dagli anni successivi al Vaticano II, non meno vero che pure coloro i quali ritengono

indubbio che lintroduzione di tale nuova Disciplina nel Secondo Ciclo, ovvero nel Ciclo della specializzazione, dice implicitamente che per conoscere il Diritto non basta transitare attraverso una propedeutica formazione teologica,

oppure anche che: lintento evidente della riforma orientato a una presa di coscienza circa la natura stessa del Diritto canonico, non riescono per a dare un corpo materiale a questo nous/logos che continua ad aleggiare sulla vita ecclesiale. Dopo, infatti, aver affermato la congruit di leggere lintroduzione della Teologia del Diritto canonico negli studi canonistici come una precisa scelta di campo sul merito, ovvero sulla natura del Diritto ecclesiale e di conseguenza sulla Canonistica quale Disciplina accademica, non si in grado di procedere oltre; quasi legittimandosi col fatto che i documenti del Magistero non indicano, come ovvio, un programma di studi n delineano passaggi obbligati per cogliere al meglio la specificit della materia.

Non restano cos che affermazioni di principio, tanto sfuggenti per la pratica didattica – in cui una Disciplina scientifica deve comunque esprimersi – quanto esigenti a livello dogmatico:

quando si parla di Teologia del Diritto canonico si deve far riferimento prima di tutto al senso teologico dellesperienza giuridica umana e alla sua rilevanza nelleconomia della salvezza, poi del suo senso allinterno della realt misterica della Chiesa.

Stando cos le cose, pur condividendo pienamente che

di fatto questo insegnamento costituisce uno degli indicatori pi importanti per comprendere la mens di una Facolt ecclesiastica, ovvero il modo in cui si intende studiare il Diritto della Chiesa e lorizzonte sul quale esso va a collocarsi,

non pare tuttavia accettabile che lunico esito (non) concreto dellintera problematica si risolva – ancora una volta – nella mera affermazione che

non infatti secondaria per chi conduce studi giuridici la domanda perennemente aperta sul significato del Diritto ecclesiale, domanda posta con insistenza negli anni dellultima codificazione e successivamente in parte abbandonata in nome di uno studio del Diritto pi pratico-pastorale.

Allo stesso tempo: non trova riscontri strutturali (oltre che supporti normativi) la pretesa che un apporto teoretico cos fondamentale e strutturante per la comprensione della natura stessa del Diritto della Chiesa ed il suo studio costituisca soltanto un Corso complementare (seppur obbligatorio), per di pi con un peso per quanto concerne i crediti formativi riconosciuti alla sua frequentazione e superamento dellesame, pari della quasi totalit degli altri Corsi previsti. Lo stesso dicasi del fatto che in pi Istituzioni accademiche il Corso stesso venga erogato in modo ciclico, anzich costituire la soglia stessa per laccesso agli studi canonistici.

Occorrerebbe invece riconoscere la differenza epistemologica – ancora insuperata – che intercorre tra una, pur significativa, materia dindagine e discussione (anche filosofica o scientifica), oppure – addirittura – una convinzione (sic), ed unautentica Disciplina scientifica: una differenza espressamente tecnica, dipendente in gran parte da fattori non soggettivi e basata su elementi di espressa comunicabilit con le Scienze e Discipline scientifiche gi (ritenute) tali. Una differenza basata in gran parte su di un fattore espressamente operativo ed euristico attraverso cui analizzare la realt (anche sociale o culturale o spirituale) per farne emergere informazioni – ed applicazioni – sempre nuove, senza limitarsi invece a ripetere, pur trasformisticamente, concetti ritenuti perenni.

Proprio questa sostanziale incapacit di fare il necessario salto epistemologico potrebbe trovarsi alla base del perdurare anche nel nuovo millennio di una certa attenzione per la materia, seppur mai effettivamente tecnica. Nellultimo decennio, infatti, si assistito alla pubblicazione sia di riedizioni, sia di nuove monografie, sia di raccolte di saggi gi editi separatamente, allinterno di unattivit che permane per disorganica fino ai limiti della contraddizione, come dimostra il confronto – inconcludente – ancora in atto tra le proposte di: a) una fondazione teologica del Diritto come tale, b) una fondazione – teologica o no – del Diritto canonico, c) una – pur minoritaria – Teologia della Legge, da cinquantanni in bilico tra Teologia morale, Antropologia teologica e/o filosofica, Filosofia del Diritto, Ecclesiologia, Ontologia e quantaltro.

3. La recezione dominante della nuova Disciplina

Come anticipato in apertura: sebbene sia il quadro epistemologico della Disciplina, sia il suo inquadramento didattico permangano confusi e piuttosto disorganici, tuttavia i gi citati saggi pubblicati nel decennale della riforma degli studi canonistici offrono materiale col quale confrontarsi proficuamente – dopo ulteriori cinque anni – proprio in chiave didattico-epistemologica. Tanto pi che tali apporti, pur nella loro specificit anche formale, si propongono espressamente di delineare lo stato dellarte della Teologia del Diritto (canonico?): necessit, finalit, istituzionalizzazione, fino ai contenuti della sua stessa docenza, offrendo ai sui cultori uninteressante visione (sebbene evidentemente parzializzata) dellattuale momento epistemologico.

3.1 La denominazione

Il prospetto offerto da Visioli sulla Rivista veneziana (che, per il contesto in cui inserito, riguarda soltanto la riforma degli studi canonistici e non lintero tema della Teologia del Diritto) evidenzia il permanere, a livello istituzionale, della gi illustrata situazione di solo parziale recezione della riforma, visto che nelle diverse Facolt pontificie attive (in Italia) permangono ben tre denominazioni della Disciplina: Teologia del Diritto canonico, Fondamenti del Diritto canonico e Teoria fondamentale del Diritto canonico.

La questione non puramente formale poich, se giustamente il nome dice un modo di intendere questa Disciplina, le tre formulazioni indicano con una certa immediatezza concezioni affatto diverse:

La denominazione Teologia del Diritto canonico ha il pregio di indicare un diretto riferimento al dato rivelato, una scelta di campo che pone nellorizzonte della Rivelazione cristiana il contenuto a cui attingere il senso del Diritto ecclesiale. []

La denominazione Fondamenti o Teoria fondamentale del Diritto canonico dice una espressa volont di indagare il contesto fondativo del Diritto ecclesiale, esplicitando ci che costituisce il presupposto a ogni studio giuridico canonico.

Nondimeno, secondo lautore, tali denominazioni (in realt: identificazioni) della Disciplina evidenziano anche possibili derive: nel primo caso quello di perdere di vista la specificit di metodo dindagine proprio di questa Disciplina e di farne una semplice branca della Teologia, nel secondo caso la problematicit di riferirsi, per il Diritto ecclesiale, a un fondamento non necessariamente di carattere teologico, comՏ la giustizia.

Proprio la denominazione costituisce unesplicita problematica per lautore, cogliendo bene come si tratti di una questione costitutiva dal punto di vista non solo didattico ma, pi radicalmente, epistemologico. Il problema (correttamente individuato) riguarda il genitivo (= Iuris canonici): un genitivo che, da una parte, sollecita peculiare attenzione in ambito teologico, dallaltra, viene ridimensionato per non privare di adeguato valore la componente giuridico-canonistica.

La questione presenta una propria consistenza poich, sebbene si ritenga irrinunciabile una prospettiva comunque fondazionale – teologica per alcuni, filosofica per altri –, non si vuole per perdere la specificit giuridica della nuova Disciplina accademica. Se, infatti, il Diritto canonico diventasse oggetto di studio della Teologia, come accaduto dagli anni Sessanta del secolo scorso per molte realt mondane (le c.d. Teologie del genitivo), la sua appartenenza costitutiva ai presupposti stessi della fede (= sacralit, divinit del Diritto, non solo canonico) ne risulterebbe irreversibilmente compromessa. Allo stesso tempo: se smettesse di essere vero Diritto (sebbene peculiarissimo) ne resterebbe compromessa la portata costitutiva rispetto alla Chiesa come tale (= sacralit, divinit del Diritto, non solo canonico). Un bisticcio fattuale e non teoretico (di concretezza, cio, e non di logica) che continua a porre in evidenza le vere aporie sottese alla materia come nata e cresciuta negli ottantanni della sua esistenza: sempre orientata al fondamento divino e sempre necessitata alla intrinseca doverosit. In tale prospettiva importante segnalare anche luso frequente del termine teologico in riferimento a Dio (con significato, quindi, di divino!) anzich alla Teologia: fattore mimetico che permette – proprio attraverso il bilinguismo denunciato da T. Jimnez Urresti – di ricomporre lunit fondazionale in un vero e proprio Diritto divino (positivo per alcuni, naturale per altri).

Cattaneo – giustificando la propria posizione – sostiene che il motivo per il quale la nuova Disciplina stata chiamata Teologia del Diritto canonico si deve al fatto che essa si occupa degli aspetti pi propriamente teologici, in quanto pi prossimi allEcclesiologia; nondimeno, tuttavia,

da questo punto di vista, la nuova Disciplina potrebbe essere denominata pi adeguatamente come Fondamenti del Diritto canonico o Questioni fondamentali del Diritto canonico,

tanto pi che, a proposito della riforma degli studi canonistici, egli stesso afferma che ci che sicuramente si voluto promuovere fra gli studenti la conoscenza dei fondamenti ecclesiologici delle Norme e degli istituti giuridici della Chiesa, mentre il fatto di denominare ora questa nuova Disciplina Teologia del Diritto canonico non contribuisce a specificarne il contenuto. In tal modo anche il canonista ticinese – di fatto – rafforza la dimensione irrinunciabilmente fondazionale della Disciplina: In ogni modo, entrambe le posizioni tendono a considerare che la nuova Disciplina deve occuparsi dei fondamenti (o delle questioni fondamentali) del Diritto canonico, insistendo sul fatto che pare che tra gli autori esista un certo accordo nel considerare che la nuova Disciplina deve studiare i fondamenti del Diritto canonico autori non considerati, a parte (sic!).

3.2 I contenuti

La non chiarezza epistemologica evidenziata a livello di denominazione della Disciplina non manca di ricadere a livello di proposta effettiva di suoi possibili contenuti, individuabili a parere di Visioli, valutando sommariamente i Programmi degli studi della Teologia del Diritto canonico nelle Universit e Facolt ecclesiastiche: unanalisi da cui emerge come frequentemente questa Disciplina passi attraverso due fasi: una storica e laltra sistematica.

In merito va esplicitato come, tuttavia, tale delimitazione contenutistica avvenga per saltum, nei confronti – cio – di un oggetto disciplinare diverso rispetto a quelli sin qui menzionati: la Canonistica. infatti questa – intesa spesso come Dottrina o Teoria generale del Diritto canonico – loggetto principale della maggior parte delle trattazioni (anche didattiche) poste il pi delle volte sotto il titolo di Teologia del Diritto canonico a cui Visioli si riferisce.

La fase storica porta il canonista a percorrere la concezione del Diritto della Chiesa negli ultimi secoli, generalmente affidando a una lettura storica ad ampio spettro i secoli che vanno dalla nascita della Canonistica (fine primo millennio) alla Riforma protestante e moderna, e addentrandosi con maggiore acutezza nella analisi delle Scuole canonistiche dal XIX secolo in avanti. Spesso la Scuola del Diritto pubblico ecclesiastico costituisce uno spartiacque importante per segnare un passaggio epocale dopo il quale la Teologia, da strettamente dogmatica, diventa orizzonte di senso di alcuni movimenti di pensiero canonistico.

La parte storica del Corso passa frequentemente attraverso il pensiero della Riforma, tappa obbligata per comprendere le domande di senso che sono state poste al Diritto e conseguentemente alla Canonistica. Cos figurano spesso nel Programma il processo di codificazione del 1917, lepopea del Concilio Vaticano II [] e la rinnovata Ecclesiologia che ne scaturisce, il Codice 1983 e il Magistero pontificio successivo.

Significativamente va osservato che il problema del cambio di oggetto disciplinare si evidenzia specificamente in relazione alla parte sistematica dei Corsi nella quale si affronta la questione del metodo, delloggetto, del contenuto della Canonistica in relazione al concetto di Diritto che si ritiene opportuno proporre: in questo senso gli approcci sono i pi differenti, in riferimento al concetto di Diritto e alla conseguente Scienza canonistica.

Non radicalmente diversa – n affrancata dal medesimo problema del cambio delloggetto disciplinare – risulta la posizione di Cattaneo a livello di contenuti. Anchegli infatti individua due grandi aree tematiche:

la prima fa riferimento al Diritto canonico (costituzione, natura e finalit), mentre la seconda si riferisce alla Scienza del Diritto canonico (evoluzione storica, Epistemologia, metodologia e relazione con le altre Scienze),

coerentemente con la sua particolare visione epistemologica secondo cui ci che si scrive Teologia si deve leggere Fondamenti.

Innanzi a tale prospettazione dellinsegnamento e – derivatamente – delle concezioni attuali della Teologia del Diritto canonico, una reale panoramica epistemologica reclama tuttavia assenze concettuali di primordine: T. Jimnez Urresti e L. rsy, con la loro prospettiva espressamente metodologica anzich contenutistico-fondazionale. Una prospettiva che viene puntualmente ignorata oppure di fatto delegittimata; ne scrive, infatti, Visioli:

Una tale prospettiva, così formulata, porta dunque a una conclusione addirittura opposta alla premessa. Sembrerebbe quasi che il Decreto del 2002 introduca ex novo e su istanza delle maggiori Scuole canonistiche mondiali una nuova Disciplina (peraltro richiesta da pi parti quale conseguenza della riflessione teologico-giuridica degli ultimi 20 anni) chiamata Teologia del Diritto canonico semplicemente per definire la natura esclusivamente teologica della Teologia e giuridica del Diritto, stabilendone così la totale distinzione epistemologica e volendo semplicemente creare una interazione tra le due. Ci risulta poco sostenibile allevidenza.

Se infatti la Teologia fosse solo contestuale, la prima conseguenza di una tale prospettiva riguarderebbe i contenuti dellinsegnamento della Teologia del Diritto: non indagine sul dato rivelato, come proprio della Teologia, ma Disciplina metodologica, prevalentemente con funzioni interdisciplinari, al fine di individuare le connessioni tra i due saperi (Teologia e Diritto). La Teologia del Diritto sarebbe come camminare su un crinale a metà tra due valli distinte e separate, alla ricerca di valichi di interconnessione. Ma quale Scienza potrebbe assumere come suo proprium solo una azione interdisciplinare?.

4. Ulteriori istanze epistemologiche

4.1 La giuridicit nella Chiesa

Una prima consapevolezza, non ancora adeguatamente assunta nella dottrina canonistica, riguarda il problema della giuridicit nella Chiesa o, comunque, della normativit allinterno della vita di fede. In proposito necessario prendere atto che per non si tratta, prima di tutto, di un problema n metodologico n filosofico: si tratta, invece, di una delle tematiche portanti della Teologia fondamentale.

compito infatti della Teologia fondamentale lindagare in quali modi ed a quali condizioni la Rivelazione divina, attestata nella Tradizione affidata alla Chiesa (alla quale appartiene anche la sacra Scrittura), raggiunga luomo allinterno della sua storia e come questa chiamata alla salvezza eterna interagisca con la creaturalit umana segnata dal peccato. il grande problema della natura della salvezza/giustificazione a cui cattolici e protestanti danno soluzioni affatto differenti, coinvolgendo in ci anche la maggior parte dei concetti teologici fondamentali per la trattazione di tutte le altre problematiche pi specifiche: Legge-Vangelo, Diritto-Grazia, giustizia-giustificazione, ecc.

Appartiene a questambito anche il tema, pregiudiziale, della relazione tra Norma e carisma su cui scivolato R. Sohm, e chi – almeno di fatto – lo ha seguito lungo tali percorsi.

4.2 Il ricorso alla Filosofia

Il problema del ricorso alla Filosofia – o, pi appropriatamente, a categorie filosofiche – nellapprocciare il Diritto canonico (in quanto fenomeno storicamente determinato e constatabile) non pu soggiacere ad un rifiuto pregiudiziale, come quello di derivazione barthiana, che veda la ragione essenzialmente opposta alla fede (secondo la dialettica post-kantiana, fatta propria dalla Teologia dialettica). Lutilizzo, infatti, a livello esplicativo e strutturale di categorie filosofiche (appartenenti come tali alla creazione) non comporta necessariamente la scelta di fondare il Diritto (o il giuridico) sulle ragioni della ragione, trovando in esse i princpi genetici del Diritto (come fece il c.d. Giusnaturalismo, sia classico che moderno) anzich – soltanto – le sue linee di sviluppo logico nellottica della storicit delluomo (seppure chiamato alla salvezza/vita eterna). In caso diverso la storicit risulterebbe per luomo un puro accidens, del tutto trascurabile ma, con la storicit, cadrebbe anche il Diritto, nel suo essere incontestabilmente fenomeno umano.

Va, pertanto, condivisa la posizione secondo cui nella ricerca non si deve, quindi, escludere luso dei concetti della Filosofia della societ e della Filosofia del Diritto, nella consapevolezza che tale uso deve comunque essere subordinato ai dati che emergono dalla riflessione teologica di cui le Norme e gli istituti canonici raccolgono le ricadute nella vita ecclesiale.

La stessa Teologia, daltra parte, ha sempre avuto necessit – funzionale – di appoggiarsi a qualche sistema filosofico di riferimento (si pensi, p.es., alle diverse Scolastiche) per essere aiutata a procedere in modo rigoroso nello svolgimento delle – del tutto – proprie riflessioni. Il richiamo di Fides et Ratio sotto questo profilo decisivo e irrinunciabile:

necessario, dunque, che la ragione del credente abbia una conoscenza naturale, vera e coerente delle cose create, del mondo e delluomo, che sono anche oggetto della Rivelazione divina; ancora di pi, essa deve essere in grado di articolare tale conoscenza in modo concettuale e argomentativo (FR 66).

Alla luce di queste considerazioni, il rapporto che deve opportunamente instaurarsi tra la Teologia e la Filosofia sar allinsegna della circolarit. Per la Teologia, punto di partenza e fonte originaria dovr essere sempre la Parola di Dio rivelata nella storia, mentre obiettivo finale non potr che essere lintelligenza di essa via via approfondita nel susseguirsi delle generazioni. Poich, daltra parte, la Parola di Dio Verit, alla sua migliore comprensione non pu non giovare la ricerca umana della verit, ossia il filosofare, sviluppato nel rispetto delle leggi che gli sono proprie (FR 73).

La Teologia ha sempre avuto e continua ad avere bisogno dellapporto filosofico. Essendo opera della ragione critica alla luce della fede, il lavoro teologico presuppone ed esige in tutto il suo indagare una ragione concettualmente e argomentativamente educata e formata. La Teologia, inoltre, ha bisogno della Filosofia come interlocutrice per verificare lintelligibilit e la verit universale dei suoi asserti (FR 77).

4.3 Lapporto della Rivelazione

Tra gli elementi oggi di maggior portata per impostare unadeguata relazione tra Teologia e Diritto canonico si pone anche la determinazione del corretto approccio teologico da utilizzare: un approccio che, non solo far riferimento alla Teologia fondamentale (gi menzionata), ma dovr anche saper riconoscere le proprie fonti peculiari, nella consapevolezza della strutturale diversit che deve caratterizzare, p.es., il modo canonistico di accedere alla sacra Scrittura rispetto a quello di altri cultori delle Scienze teologiche. Linteresse del canonista, infatti, riguarda prioritariamente le esigenze comunitarie dei fedeli in quanto membri della Comunit di fede come tale, rispetto a quelle individuali dei fedeli in quanto tali: questo, daltra parte, differenzia in modo costitutivo il Diritto canonico dalla Morale e dalla Spiritualit. Nonostante infatti, sotto il profilo pastorale ed operativo, si sia sempre data la preminenza alla salus uniuscuiusque anim, lattenzione sostanziale del canonista sindirizza invece allidentit ecclesiale, sia in riferimento ai contenuti della fede (= Magistero, predicazione, catechesi, eresia), sia in riferimento alle condotte dei fedeli a maggior impatto comunitario (= Sacramenti, status canonico, Uffici ecclesiastici, delitto, scisma). Lo esprimeva con chiarezza il primo principio di revisione codiciale indicando come rilevanti per la Chiesa i diritti dei fedeli in quanto riguardanti il Culto e la salvezza delle anime.

In tal modo non risulta affatto n scontato n automatico che quanto rileva per le Discipline teologiche, morali o spirituali rilevi anche per il Diritto canonico e viceversa. In particolare, dovr costantemente risaltare come il soggetto di cui sinteressa il canonista sempre la Comunit credente, mentre il singolo fedele entra nella considerazione canonistica in ed attraverso la Chiesa come tale. Ci, p.es., rende difficoltosi di principio i riferimenti veterotestamentari che, invece, risultano spesso decisivi per altre Discipline: lAntropologia teologica e la Teologia morale in primis.

Il principio vale anche nei confronti delle singole Discipline dogmatiche, le cui teorizzazioni – o anche conclusioni –, poich riguardanti intenzionalmente Dio e le realt a Lui direttamente connesse, non godono di immediata importabilit canonistica.

4.4 Un nuovo metodo

In questottica i legittimi appelli affinch i canonisti ricerchino pi profondamente nella sacra Scrittura e nella Teologia le ragioni della propria dottrina non vanno necessariamente interpretati come esigenza della creazione di nuove Discipline canonistiche quanto, molto pi efficacemente, come acquisizione di una nuova consapevolezza metodologica in grado di scandire appropriatamente i passaggi da un ambito disciplinare in qualche modo sacro (perch riguardante il rapporto con Dio) agli altri legittimamente attinenti la materia trattata: nulla di nuovo rispetto alladagio plurisecolare canonista sine civilista parvum, canonista sine theologus nullum.

Col Concilio Vaticano II si definitivamente chiuso il tempo in cui certi canonisti ricusavano di considerare laspetto teologico delle Discipline studiate, o delle Leggi da essi applicate. Oggi impossibile compiere studi di Diritto canonico senza una seria formazione teologica []. Il rapporto intimo tra Diritto canonico e Teologia si pone dunque con urgenza; la collaborazione tra canonisti e teologi deve farsi pi stretta; nessun dominio della Rivelazione pu rimanere ignorato, se si vuole esprimere e approfondire nella fede il mistero della Chiesa, il cui aspetto istituzionale stato voluto dal suo Fondatore e appartiene di essenza al suo carattere fondamentale sacramentale.

Proprio il fatto che dopo il Concilio il Diritto canonico non pu non essere in relazione sempre pi stretta con la Teologia e le altre Scienze sacre, richiede al canonista non una visione proprietaria del teologico-normativo e delle sue modalit di accesso, costruita dallinterno della Canonistica stessa, ma una corretta relazione e collaborazione con gli altri specialisti delle diverse Discipline sacre in unottica di vera sintesi, evitando la sola estrapolazione di qualche categoria concettuale adatta ai singoli scopi che puntualmente ci si possano prefiggere, come fu per la salus animarum, lo Ius divinum, la plenitudo potestatis, la quitas, il periculum anim, la ratio peccati vitandi, il tolerari potest, ecc.

4.5 Una nuova Canonistica

In base alla rinnovata impostazione della quale emerge progressivamente la necessit, non risulta pertanto condivisibile il principio secondo cui

oggetto dellindagine del canonista devessere innanzitutto la considerazione globale del posto che ha lattivit giuridica nel mistero complessivo della Chiesa, quindi lo studio di quel giuridico dommatico, che costituisce il Diritto divino rivelato, da cui scaturisce la definizione dei rapporti fondamentali tra i fedeli e della loro obbligatoriet non solo nella sfera della coscienza, ma dellesterno vivere sociale della comunit ecclesiale.

Il posto dellattivit giuridica, infatti, la sua collocazione e considerazione globale proprio nel mistero complessivo della Chiesa riguardano ex suapte natura lEcclesiologia, come pi volte autorevolmente segnalato.

Parimenti non pare assumibile un concetto di Canonistica concepita come – semplice – Scienza teologica in ragione del fatto che la Rivelazione stessa chiede di essere investigata interamente anche con la chiave di accesso propria di questa Scienza; premessa per giungere a concludere che il Diritto positivo non è che lultima fase, per quanto specifica, di questa indagine.

Ai canonisti invece, secondo il mandato esplicito dello stesso Legislatore che ha promulgato il Diritto positivo codiciale, spetta in modo specifico il compito di tradurre in linguaggio canonistico i dati irrinunciabili che la Teologia dogmatica pone alla base della vita ecclesiale: la Norma teologica – assoluta – di cui parlava lEditoriale di Concilium. Compito dei tecnici del Diritto canonico, infatti, non il semplice studio e la spiegazione

nel loro senso e applicazione pratica [di] quelli che nellOrdinamento canonico attuale sono gli elementi che ne fanno parte, cio le Leggi e le Norme vigenti, nonch le Istituzioni, nella loro singolarit e insieme complessa relazione,

quanto – molto pi profondamente ed utilmente – il ricondurre la Normativa vigente e lOrdinamento canonico tutto (= lo Ius conditum/vigens) allinterno di un corretto approccio biblico e dellEcclesiologia proposta dal Vaticano II (cfr. OT 16), oltre al continuo sforzo di conformare sempre pi le diverse, contingenti, espressioni della vita ecclesiale (= lo Ius condendum) allo stesso spirito espresso dallAssise conciliare e mai compiutamente traducibile attraverso il linguaggio giuridico, come ben indic Giovanni Paolo II promulgando il Codice del 1983:

Se poi impossibile tradurre perfettamente in linguaggio canonistico limmagine della Chiesa, tuttavia a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi, come a esempio primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto possibile, per sua natura.

Si colloca, oggi, in questa stessa prospettiva quello che devessere colto e recepito come un compito peculiare – espressamente metodologico – affidato da Papa Francesco, seppur in modo collaterale, alla giovane Disciplina con laffermazione che

la Chiesa pu anche giungere a riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono pi interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non di solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, per ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo stesso modo, ci sono Norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche, ma che non hanno pi la stessa forza educativa come canali di vita.

5. Elementi per un rilancio epistemologico

5.1 La Teologia del Diritto canonico tra fondazione e metodo

I diversi elementi e fattori sin qui posti in gioco – a maggior ragione nellottica del pontificato attuale – sollecitano a proporre una Teologia del Diritto canonico capace di far s che la specificit e praticit proprie del Diritto canonico offrano alla riflessione ecclesiale stimoli e richieste veramente concreti – oltre che esistenzialmente significativi – ai quali trovare una risposta corretta sul piano teologico sostanziale. Si tratta, in altri termini, dinterrogarsi non tanto sul perch la Chiesa sia giuridica, e neppure dove si fondi il giuridico (umano ed) ecclesiale, quanto piuttosto sul come debba essere fondato dal punto di vista teologico ci che si propone ai fedeli come concreta modalit di essere Chiesa e di vivere in essa da protagonisti.

Si tratta, in altri termini, di porsi finalmente le domande rimaste inevase cinquantanni fa sul rapporto tra la regola canonica: relativa a tempi, spazi, culture, situazioni sociali, ecc. e la norma teologica: invalicabile poich connessa allidentit stessa del Dio rivelatosi pienamente in Cristo. La recente riforma del Processo di nullit matrimoniale, scaturita dalla consapevolezza che i tempi e gli uomini non sono pi quelli degli anni Sessanta e sia le persone che i loro rapporti sono qualitativamente diversi, spinge con forza in tale direzione. Allo stesso tempo va assunta con determinazione la rinnovata consapevolezza dellurgenza di portare davvero al mondo doggi il buon annuncio, sia di Ges Cristo in s, che di alcune specificit della fede in Lui, comՏ per il c.d. Vangelo della famiglia e ci che – motivatamente – pu (e deve) derivarne per la stessa vita ecclesiale. Una concezione del Diritto creato direttamente da Dio e posto come sorgente immediata dellidentit umana – di sempre – non pu che faticare a reggere un tal colpo da parte del supremo Legislatore ecclesiale, seppur pienamente coerente con la consolidata tradizione canonica del rispondere alle concrete necessit della vita ecclesiale. Cos, infatti, fu per il Codice del 1983 rispetto a quello del 1917 sul ruolo processuale delle parti private nel Processo di nullit matrimoniale; cos era stato per il m.p. Omnium in Mentem sulla validit del Sacramento per ogni battezzato; cos oggi per labolizione della doppia Sentenza conforme ed il Processus brevior, in ragione delle istanze pastorali di prossimit e celerit emerse dal Sinodo del 2014, indipendentemente – nondimeno – da chi sia ministro del Sacramento stesso.

Non solo il campo matrimoniale, tuttavia, coinvolto nella prospettiva metodologica anzich fondativa. Si pensi, p.es., alla quantit e qualit di domande operative che possono concretamente scaturire in riferimento alla richiesta di Battesimo per un bimbo nato da maternit surrogata ed adottato da persone dello stesso sesso, domande – probabilmente – da estendersi anche in riferimento ai proposti madrina e padrino. Mentre n lEcclesiologia, n la Sacramentaria o la Liturgia si pongono – spontaneamente – tal genere di questioni, e neppure parrebbero – ad oggi – abilitate ad offrire risposte concludenti visto che: un Battesimo un Battesimo la Teologia del Diritto canonico potrebbe, invece, sia [a] impostare adeguatamente lintero quadro delle situazioni e circostanze, sia [b] proporre alle suindicate Discipline teologiche (e non a queste soltanto) le corrette domande secondo le specifiche competenze, sia [c] prospettare soluzioni effettivamente plausibili affinch quel Battesimo non sia soltanto un Battesimo qualunque ma assuma, almeno, qualche rilevanza per lincontro con Cristo e la vita rinnovata da Lui offerta a chiunque lo voglia seguire.

5.2 Insufficienza dellautoreferenzialit disciplinare

Se sono questi, oggi, i presupposti e le istanze di fondo a cui necessario rispondere affinch non solo lo studio del Diritto canonico ma, pi radicalmente, la sua funzione e quindi identit, risultino autenticamente ecclesiali, la Teologia del Diritto canonico non pu che indirizzarsi alla cura della corretta e strutturata interconnessione tra Teologia e Diritto canonico. Uninterconnessione che non pu pi rimanere generica e solo di principio ma che deve passare dal trascendentale (della creazione e redenzione, in s) al categoriale (dellospedale da campo): dallintellectus alla actio concreta, esperibile, esistenzialmente salvifica.

In fondo: quello che gi – a Concilio appena concluso – aveva proposto la Rivista Concilium tentando di spingere reciprocamente teologi e canonisti verso una sintonia comune sul piano operativo, sollecitando i canonisti a

collaborare coi teologi della Pastorale e dellecumenismo, cos come coi Legislatori, per presentare la Chiesa e le sue funzioni con un aspetto canonico che la renda progressivamente pi attraente e munita di un apparato legislativo sempre pi adeguato ai segni di ciascun tempo, come la voleva Giovanni XXIII.

Lo stesso Giovanni Paolo II, a ventanni dalla promulgazione del Codice latino e in contemporaneit con la riforma degli studi canonistici, aveva stimolato i canonisti a seguire tale strada di

unautentica interdisciplinarit tra la Scienza canonistica e le altre Scienze sacre. Un dialogo davvero proficuo deve partire da quella realt comune che la vita stessa della Chiesa. Pur studiata da angolature diverse nelle varie Discipline scientifiche, la realt ecclesiale rimane identica a se stessa e, come tale, pu consentire un interscambio reciproco fra le Scienze sicuramente utile a ciascuna.

Interdisciplinarit, dialogo, interscambio, da gestirsi senza reciproche censure ma neppure indebite commistioni: questo loggetto materiale che la Teologia del Diritto canonico pu oggi assumere tra la Teologia e la Canonistica, profilandosi come disciplina autonoma. Strettamente connessa ad entrambe, ma inconfusa; con funzioni dinterfacciamento, interscambio, traduzione e conversione dalluna allaltra Scienza, evitando accuratamente – allo stesso tempo – fondamentalismi e corto-circuiti metodologici.

Tale voleva essere, nondimeno, la proposta sostanziale del crinale avanzata gi al momento della nascita della nuova Disciplina accademica, scartata in dottrina chiedendosi retoricamente: Ma quale Scienza potrebbe assumere come suo proprium solo una azione interdisciplinare?. 


in: Apollinaris, LXXXX (2017), 463-499