Paolo Gherri
Sommario
1. Un primo approccio. 2. Diritto, Pastorale e persona. 3. Matrimonio e questione antropologica. 4. Antropologia e vocazione matrimoniale. 5. Un Diritto matrimoniale antropologicamente fondato?
Summary
1. A first approach. 2. Law, Ministry and person. 3. Marriage and anthropological question. 4. Anthropology and marriage vocation. 5. An anthropologically grounded Matrimonial Law?
1. Un primo approccio
Se si volesse utilizzare una sorta di slogan per indicare in modo incisivo lapprodo della Dodicesima Giornata canonistica interdisciplinare, si potrebbe affermare che il canonista, ed il Giudice ecclesiastico in modo speciale, si occupa di persone e tratta la persona, non si occupa – invece – di diritti n tratta i diritti, neppure in Tribunale.
In effetti se non si realizza questo, si fuori dal campo del Diritto e della giuridicit: lontani da ci che il Diritto ha sempre costituito – ben prima che rappresentato – in qualunque esperienza che lumanit ne abbia fatto, tanto pi in quella ecclesiale. Di conseguenza il giurista – e devessere – custode dellumanit integrale, perch servitore attento della vita concreta di ogni persona (cos come il politico lo devessere per ogni societ umana): quella vita concreta che troppo spesso si trova privata del suo stesso protagonista, divenuto di colpo semplice comparsa su di un palcoscenico che non pi quello su cui aveva cominciato a mettersi in gioco e mosso, spesso con entusiasmo e fiducia, i suoi primi passi.
Sebbene lorizzonte in cui si collocano affermazioni di questa consistenza e portata appaia qui molto pi ampio di quanto ci si aspetterebbe nel presente contesto, nondimeno: non paiono esistere reali alternative alla necessit di un cos radicale ricupero della persona nella sua pienezza e completezza rispetto a qualsiasi sua formalizzazione e riduzione, come nella maggior parte dei casi risultano essere ormai divenuti i c.d. diritti e loro pretese tutele.
Lapprodo in questione, in realt, si pone, necessariamente a due differenti livelli: 1) quello connesso alla considerazione del Diritto come concreto strumento di accoglienza sociale delle persone, 2) quello connesso alla considerazione della persona come tale allinterno delle funzionalit giuridiche di maggior impatto esistenziale (a cui ci si interessa in queste brevi note). A maggior ragione se, quando e quanto – come avviene in ambito canonico – ci che diventa oggetto dellintervento giudiziale non riguarda delle cose ma la persona e sue relazioni esistenzialmente significative, come sono quelle che, nella Chiesa, riguardano il suo essere sposa/o, consacrata/o, chierico Che cosa, daltra parte, potrebbe ricevere maggior attenzione e tutela nella Chiesa se non la verit della vocazione (nei Sacramenti che la realizzano) e la fedelt ad essa alla quale ciascuno chiamato?
Certamente risulta pi facile [1] il rapporto con e la gestione di teorici rapporti di giustizia tra semplici soggetti o entit che [2] il rapporto con e la gestione di una concreta persona in carne ed ossa, con le sue vicende, immaturit, paure, frustrazioni, timori, delusioni, speranze, attese, progetti Sarebbe, per, come voler identificare un quadro di Picasso o di Mantegna coi millilitri di colore utilizzati, soffermandosi eventualmente a disquisire con acribia se ci si debba riferire al Pantone Matching System (coi suoi oltre 3.000 colori) o alla semplice quadricromia di base (CMYK) da cui gli stessi colori possono comunque essere ricavati e composti.
Lapproccio talmente diverso da risultare spesso antitetico: tanto, infatti, plastico e generico il Diritto, quanto sono rigide e specifiche le – singole – persone; tanto semplice – spesso – la soluzione in Iure, quanto complessa quella in facto. Tanto pi che, a differenza delle soluzioni giuridiche (e giudiziali) enunciate nelle Sentenze – sempre teoriche – le soluzioni concrete che impattano sulla quotidianit di ciascuno abbisognano sempre della loro effettiva messa in atto (= esecuzione) da parte del loro destinatario. Una messa in atto che nella Chiesa (priva di effettiva coercibilit fisica) dipender in gran parte dal convincimento che i coinvolti potranno raggiungere e/o condividere. Norme, ragioni e decisioni, per parte loro, finiscono per collocarsi spesso su di un piano anche parecchio distante dalleffettiva realt dei fatti che dovrebbero realizzarle, come gi la consapevolezza dei giuristi romani aveva espresso nelladagio: summum Ius, summa iniuria mentre – entro i confini storici – non esiste altro summum che la persona creata ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26).
2. Diritto, Pastorale e persona
In questo contesto, che vede confrontarsi la singola persona e decisioni (sociali, come sempre sono quelle giuridiche) che riguardano direttamente la sua vita concreta, emergono facilmente tensioni – o, almeno, dialettiche – tra Diritto e Pastorale, come ben mostrano molte delle reazioni – spesso scomposte – ai due Sinodi dei Vescovi sulla famiglia e alla conseguente Esortazione apostolica Amoris Ltitia. Diritto da una parte e Pastorale dallaltra come due antagonisti in lotta per occupare e possedere lintero campo della concreta vita ecclesiale senza rendersi conto che, in realt, n luno n laltra sono effettivamente interessati a tale posizione egemonica nei confronti dei (singoli) membri del Popolo di Dio. Sia il Diritto che la Pastorale, infatti, non possono (n devono) uscire dalla loro identit di meri strumenti a servizio di ci che davvero conta nella Chiesa: lannuncio del Vangelo e la santificazione degli uomini; i due impegni, doveri, compiti, ecclesiali fondamentali: munus Ecclesi docendi, munus Ecclesi sanctificandi.
Basti per questo unosservazione, semplice, seppure non consueta: diritto, pastorale, annuncio e santificazione sono soltanto parole astratte, concetti, enti di ragione realt che non esistono l fuori, nel mondo e nella vita reale di donne ed uomini. Purtuttavia: annuncio e santificazione si riferiscono ad attivit concrete, effettuabili, indicate dai verbi annunciare e santificare; al contrario diritto e pastorale si riferiscono, invece, a qualit: agli aggettivi giuridico e pastorale. A questo, daltra parte, servono gli aggettivi: a qualificare, spesso in modo (solo) descrittivo, le cose oppure le condotte/attivit che interagiscono con la vita umana.
In questottica: giuridico e pastorale indicano soltanto, ma anche in modo peculiare, due differenti modalit operative secondo cui realizzare nella Chiesa (e da parte della Chiesa) i munera docendi e sanctificandi a lei affidati, nella piena consapevolezza – cos ulteriormente rafforzata – sia della non equipotenzialit, sia del non antagonismo dei due modi di operare. Unacquisizione che si presenta non solo in grado di sciogliere le inutili dialettiche e tensioni nuovamente sollecitate negli ultimi anni, ma pure di inaugurare nuovi spazi di operativit congiunta in vista dellunico fine comune: la santificazione della persona, il suo accompagnamento fino alla misura della pienezza di Cristo (cfr. Ef 4,13) cosicch si realizzi pienamente la chiamata, linvito, che il buon annuncio intende suscitare in coloro che lo accolgono (cfr. Ef 4,1.4). Va considerata, infatti, la ricorrente sottolineatura da parte dello stesso Ges del frutto che lincontro evangelico deve produrre nella (e per la) vita delle persone: parabole, allegorie (cfr. Gv 15,1-8), discorsi (cfr. Gv 15,16) ed esperienze concrete riportate dai Vangeli non lasciano dubbi in merito. Il Vangelo va annunciato perch porti frutto e tale frutto rimanga (cfr. Gv 15,16): un frutto che nella mente di Cristo chiaramente non coincide con la sola salvezza dal fuoco della Geenna ma, prima di tutto, col diventare suoi discepoli (cfr. Gv 15,8) e stare sempre con Lui.
Stando cos le cose, presentandosi cio il cristianesimo principalmente come appello/chiamata ad un discepolato (allo stesso tempo intra-storico e meta-storico), non ci si pu sottrarre allurgenza di mettere di nuovo a fuoco lo scopo, la meta, il fine, della vita ed attivit ecclesiale, dopo che per troppo tempo lo si considerato innanzitutto come contenuto/dottrina/dogma: un vocabolario anzich una biografia Questa, nondimeno, rimane pure la querelle di fondo – se non addirittura la radicale petitio principii – intorno (e dentro) alla quale si agitano da oltre un secolo le onde della tarda Modernit che violentemente scuotono e a volte sommergono la barca di Pietro. Queste erano le pregiudiziali combattute dal pensiero c.d. intransigente e dallantimodernismo, queste sono e rimangono le istanze sostanziali pro o contro il Concilio pastorale (= il Vaticano II), questi anche gli entusiasmi o gli attacchi verso il pontificato attuale.
Una realt, per, non pu pi rimanere in ombra o essere negata: il fatto che la persona sia il referente unico ed unitario sia dellannuncio evangelico che del discepolato cristiano. Una persona che pu concepirsi [1] (ancor oggi) come anima incarcerata nella carne ed esiliata nel tempo, in attesa della propria definitiva ammissione alleternit; oppure [2] come soggetto spirituale chiamato alla relazione col Dio incarnato, glorificato e glorificante; oppure ancora [3] come complessa risultante di fattori elettro-bio-chimici partecipante attivamente allautocostruzione di s, come ormai pienamente atteso quale esito dellIntelligenza Artificiale; oppure [4] in tanti altri modi variamente delineati anche in ambito meramente giuridico.
Lorizzonte potrebbe inutilmente ampliarsi, contribuendo in ogni modo a confermare quanto sia decisiva lidea/immagine di persona alla quale si suppone di annunciare il Vangelo e dalla quale attendersi una risposta esistenziale a tale annuncio, senza ignorare neppure il fatto che – come ben emerso e sancito in riferimento alle varie questioni dottrinali circa il c.d. libero arbitrio sorte durante la storia (Riforma protestante, compresa) –: solo una persona davvero cosciente e libera pu necessitare di salvezza e da essa trarre vantaggio per la propria esistenza, sia intra-storica che eterna. Fuori da questo contesto lintero contenuto ed annuncio evangelico perderebbe qualunque consistenza e correlata effettivit. Senza coscienza e libert, infatti, non si genera peccato mortale; ma in assenza di peccato mortale svaniscono gli stessi concetti di giudizio, redenzione, ecc., svuotando completamente il buon annuncio della salvezza escatologica, come ben messo in evidenza fin dalla prima missione cristiana, dallaffermazione di Paolo secondo cui se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare pi di tutti gli uomini (1Cor 15,19).
3. Matrimonio e questione antropologica
Lespresso riferimento alla missione evangelizzatrice quale elemento costitutivo e costituente della stessa realt ecclesiale porta per, concretamente, a dover riconoscere una sostanziale dipendenza dellessere stesso della Chiesa (= la sua identit: id quod est) dalla visione antropologica assunta: fattore in realt strutturante per qualsiasi Religione.
Quanto emerso ed illustrato nei diversi apporti della Giornata canonistica sufficiente a delineare sia [1] lampiezza dellorizzonte entro il quale collocare le diverse prospettive di fondo che oggi si contendono lareopago e lagor culturali (ed epistemologici) del mondo occidentale, sia [2] la profondit e radicalit dei presupposti di tali visuali, sia [3] la portata delle loro conseguenze nei modi concreti di relazionarsi con gli esseri umani.
questa consapevolezza (ancora timida in molti anche se solidamente fondata sia teologicamente che scientificamente) che deve rafforzarsi e crescere nellapproccio canonistico (e giuridico in generale) alle vicende che cambiano la vita delle persone ciascuna a modo suo, secondo dinamismi e percorsi mai calcolabili a priori, sebbene spesso illustrabili e comprensibili a cose fatte, secondo i maggiori esiti degli approcci c.d. psicodinamici.
In particolare si tratta, per il canonista, di cogliere in quale modo lhumanum interagisca concretamente col divinum – e viceversa – nella relazione sponsale, chiamata nel tempo della storia ad essere segno visibile e realizzazione concreta (seppur parziale) dellunione tra Cristo e la sua Chiesa in cui consiste il Matrimonio in quanto Sacramentum, nel senso tuttavia teologico di mysterion (cfr. Ef 5,32) e non giuridico di iusiurandum che lungo i secoli si sono via via reciprocamente assimilati, non senza creare difficolt sostanziali ancora non evidenti (o accettabili) ai pi, oltre che non risolvibili se si mantiene il riferimento terminologico e concettuale fermo a santAgostino. Nondimeno il superamento, solo negli ultimi tempi (ed ancora molto parziale), della necessit di esemplare il Matrimonio in quanto Sacramento sul modello ilemorfico tripartito degli altri Sacramenti pone, oggi pi che mai nel passato, la necessit di rileggere con estrema cura lassoluta originalit del quid (diverso da res!) che costituisce lelemento visibile attraverso cui si compie lazione di Grazia in cui consiste il Sacramento stesso. Si tratta, in altri termini, di non cercare pi – come fu per gli Scolastici delle varie generazioni – quale sia la materia del Sacramento e – di fatto contemporaneamente anche – loggetto del contratto matrimoniale, ma di individuare quali, tra le molteplici dinamiche relazionali che caratterizzano la coppia sponsale e la rendono tale, siano davvero sufficienti a dare origine, consistenza e durata al matrimoniale fdus in direzione del quale Gaudium et Spes ha reindirizzato programmaticamente la comprensione e concezione del Matrimonio sacramentale. Tanto pi che, dal punto di vista espressamente dogmatico, lassenza di una qualsivoglia materia per questo Sacramento certa: visto che il Concilio di Firenze del 1439 oper in merito un evidentissimo salto logico e qualitativo passando, appunto, dalla materia del Sacramento (dichiarata ed illustrata per cinque Sacramenti dei sette) alla sua sola e mera causa efficiente.
Non sia inutile neppure evidenziare la non piena comparabilit tra uno ius ed un fdus: tra il disporre e limpegnarsi, il coinvolgere e il coinvolgersi in una relazione rivolta al futuro e di cui unaltra persona costitutivamente parte, assolutamente simmetrica: osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne (Gn 2,23), ma non propriamente sinallagmatica.
Bastano questi pochi elementi e fattori ad evidenziare in questa sede (sommaria) la sostanziale inadeguatezza delle dottrine tradizionali sul Matrimonio Sacramento a dare oggi ragione della loro effettiva attendibilit innanzi alla complessit del principale degli elementi in gioco: la relazione sponsale, appunto. Quella relazione sponsale (= il quid Sacramenti) che non pu sorgere ed assumere consistenza prescindendo dal qui di coloro che a tale relazione danno concretamente corpo col proprio personale coinvolgersi. tale qui, nondimeno, che spalanca le porte alla questione antropologica propriamente detta, nel dover delineare chi siano i concreti protagonisti di ciascuna di tali relazioni, ben al di l di quanto sin qui formalizzato a livello legale: un uomo ed una donna (cfr. Can. 1055 1), di una determinata et (cfr. Can. 1083), di una specifica identit religiosa (cfr. Can. 1086), non astretti da peculiari vincoli sacri (cfr. Cann. 1085; 1087; 1088), non legati da vincoli di sangue o parentele (cfr. Cann. 1091; 1092; 1094), non condizionati da comportamenti inadeguati (cfr. Cann. 1089; 1090; 1093), non impediti nellesercizio di alcune specifiche attivit (cfr. Can. 1084). Sono questi, in gran parte, i c.d. Impedimenti matrimoniali che riguardano direttamente lidentit (= il chi) dei nubenti, costituendo da secoli il nucleo principale (statico) del c.d. Diritto matrimoniale sostanziale, come ben dimostra la costante manualistica (e correlata dottrina) in materia. Del tutto minoritario lungo i secoli, seppure di fatto esploso negli ultimi decenni, era stato laltro nucleo di tutela giuridica del Matrimonio canonico: le questioni riguardanti i c.d. vizi – si badi bene – del Consenso (= un quid), adatti ad infirmare il Matrimonio come tale ma non a delineare lidentit (= il chi) dei suoi protagonisti. Nondimeno: una parte preponderante – almeno a livello giurisprudenziale – di tali vizi riguardano in realt, ancora una volta, la persona coinvolta e la sua identit (cfr. Cann. 1095; 1096; 1097) ben prima che sue particolari condotte (cfr. Cann. 1098; 1101; 1103).
Ognuno e ciascuno, tuttavia, se concepito ed approcciato come persona e non come semplice soggetto giuridico, risulta cos profondamente caratterizzato dal proprio vissuto esistenziale (e dalla relazionalit che ne deriva) da profilarsi non solo unico ed irripetibile in s e per s, ma anche rispetto agli altri e per gli altri, con le inevitabili ricadute sulla stessa relazione sponsale che riuscir o non riuscir a porre (e mantenere) in atto.
4. Antropologia e vocazione matrimoniale
La singolarit personale o antropologica (che, a questo punto, finiscono per rivelarsi concetti del tutto equivalenti) assume un rilievo assolutamente primario pure allinterno della concezione – dinamica – del patto (= fdus) e non – statica – del semplice contratto matrimoniale: una concezione prospetticamente intenzionale (pi che puntualmente intenzionata) capace di cogliere una vera e propria destinazione sia della relazione, sia del Sacramento che la sancisce e corrobora, non diversamente dallaltro Sacramento vocazionale costituito dallOrdine.
Anche lOrdine infatti, a ben vedere, mostra una doppia articolazione temporale: la celebrazione del Sacramento in tutta la sua puntualit (= luogo, data, ora – in facto esse) e la sua realizzazione nel resto diffuso dellesistenza dellordinato stesso (= in acto esse). Una realizzazione che, non soltanto sgorga dalla celebrazione, ma la giustifica e motiva radicalmente (= intenzionalit) costituendone lesito, la destinazione, lo scopo ed il significato. Come, infatti, lOrdinazione assoluta (= pro se) non ha alcun significato n teologico n esistenziale (e tanto meno ecclesiale) ed vietata sin dai tempi pi antichi, altrettanto non ragionevolmente pensabile un Matrimonio assoluto (= pro se) limitantesi allacquisizione – seppur performativa – del mero status di coniuge. Tanto pi che il Catechismo della Chiesa cattolica accomuna i due Sacramenti ponendoli a servizio della comunione e della missione ecclesiale, affermando che, sebbene contribuiscano – anche – alla salvezza personale (= pro se), tuttavia – in linea di principio – essi sono ordinati alla salvezza altrui (= pro aliis).
In tale prospettiva espressamente teologica: come unOrdinazione che non diventi ministero (= pro aliis) manca di fondamento sostanziale, allo stesso modo un Matrimonio che non diventi sponsalit (= pro altera/o). Tanto pi che la consapevolezza ecclesiale, ben al di l delle mere dispute concettuali di Scuola (Bologna vs. Parigi), ha riconosciuto che il Matrimonio sorto da Consenso valido ma non realizzatosi neppure nellespressione minima della sponsalit (la c.d. consumazione non di fatto tuttavia, ma humano modo – cfr. Can. 1061 1), non raggiunge la propria identit sostanziale cos che, su istanza di parte, possa essere dispensato nelle sue conseguenze giuridiche (= il vincolo). La cosa rileva tanto maggiormente se si tiene conto che il Can. 1096 riconosce e sanziona come vulnus strutturale del Consenso stesso anche la sola ignoranza di quello che, di fatto, costituisce tale espressione minima della sponsalit: la cooperatio aliqua sexualis la quale, pur distinta e non certamente assimilabile alla ordinatio ad procreationem prolis, assume per rilievo addirittura sostanziale (in riferimento al Matrimonio) rispetto allordinatio stessa, di cui e rimane a tutti gli effetti mero strumento.
Forse, prescindendo dalle categorie sin qui utilizzate dalla dottrina e dogmatica matrimonialistiche (sempre pi inadeguate sia a leggere la realt, sia a suggerirne sviluppi e soluzioni plausibili), varrebbe la pena considerare che, in fondo, ci che almeno buona parte dellumanit ha cercato nei secoli di fissare e garantire per il Matrimonio stata, semplicemente, la sua stabilit e durata. Una stabilit e durata assolutamente costitutive, riguardando di fatto la vita intera delle persone coinvolte e delle societ di riferimento (= famiglia, clan, villaggio, ecc.). Una stabilit e durata che storicamente (e culturalmente) non si stati in grado di proteggere se non attraverso due delle maggiori esperienze e loro categorizzazioni di ogni tempo: giuramento e contratto, entrambe adatte a creare un vincolo giuridicamente sanzionabile. Esattamente ci che ancora oggi si continua canonisticamente a trattenere come uniche vere categorie di riferimento anche per il settimo dei Sacramenti cristiani entro lultramillenaria ambiguit e polivalenza di un approccio [1] sia religioso: il giuramento che – lo si ricorda – e vale canonicamente come atto di Culto (cfr. Can. 1199), [2] sia sociale: il contratto (a rilevanza pubblica).
questa ad ogni effetto la linea strutturale ed interpretativa ad oggi ancora fissata nel vigente Diritto matrimoniale canonico in cui – lo si noti bene – il sacramentum al quale si riferisce il c.d. bonum (categoria concettuale non codiciale!) in realt pienamente riferibile (e di fatto riferito) al giuramento e non al mysterion, come ben risalta dal suo esplicito contenuto espresso dal Can. 1056, secondo cui le propriet essenziali del Matrimonio sono lunit e lindissolubilit, che nel Matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilit in ragione del Sacramento. Esattamente la stabilit alla quale sempre si voluto dare protezione, supportata dal sacramentum: un sacramentum, tuttavia, da doversi intendere principalmente come giuramento, visto che la fede teologale – aporeticamente – non risulta essere richiesta, in linea di principio, per accedere al dono di Grazia divina proprio del Sacramento cristiano (= mysterion).
Se, consapevoli di questo, si riuscisse anche oggi ad assumere una prospettiva (realistica o pragmatica che dir si voglia) come fu quella storica, si potrebbe tener fisso lesito costitutivo della stabilit e durata del Matrimonio (= il vincolo) pur cercando modalit di loro categorizzazione differenti da giuramento e contratto. Categorizzazioni maggiormente espressive ed efficaci – oltre che attualmente plausibili e realmente compatibili col Vangelo del Matrimonio e della famiglia (cfr. AL 89; 293) – come, nel caso specifico: la promessa (= sponsio) da cui deriva – tuttaltro che casualmente – lintera semantica sponsale. Una promessa oggi espressamente ripresa nello stesso Rito del Matrimonio come nucleo della formalizzazione del Consenso nuziale, dopo essere stata abbandonata per secoli (sic!) a favore di un semplice – contrattualistico – vis accipere – volo. La promessa infatti, non meno del contratto, si presenta come capace di dare stabilit e durata (= vincolo) alla relazione sponsale, giovandosi sia [a] delle grandi potenzialit della sua propensione al futuro, sia [b] della necessit di darle comunque fondamento nellidentit dei promettenti e, soprattutto, nella loro effettiva capacit di promettere. In questo modo entrerebbero finalmente in gioco i due elementi ad oggi maggiormente trascurati a livello dogmatico canonistico: 1) identit specifica dei nubenti e 2) futuro della relazione sponsale, aprendo proprio tale relazione sia sul passato che sul futuro, anzich fissarla istantaneamente sulla mera abilit a contrarre, cosicch tutto sidentifichi col solo valido consenso stipulativo, di cui il Matrimonio in acto esse sarebbe soltanto – e tristemente – lesecuzione dovuta (in giustizia cio per contratto!) anzich la finalit, la destinazione voluta.
Dal punto di vista antropologico, come inteso nel contesto della Dodicesima Giornata canonistica, ci significherebbe spostare – finalmente – lattenzione del Diritto matrimoniale canonico dallabilit soggettiva ad esercitare un diritto inconculcabile (= il c.d. ius connubii) attraverso un atto contrattuale tipico, alla capacit individuale di promettere s e la propria relazionalit: una capacit individuale propria di ogni singola persona e pertanto strettamente connessa con la sua personalit, biografia e maturit. Una capacit di promettere che, unica, in grado di performare gli sposi in quanto promettenti-s.
5. Un Diritto matrimoniale antropologicamente fondato?
Evidenziato ormai che il tema fondamentale riguardo alla verit del Matrimonio (nozione molto pi ampia della sua mera validit) non pu continuare ad essere il quid Matrimonii ma il qui, sia dei suoi protagonisti (= gli sponsi) che della coppia come tale, in questa direzione che dovrebbe ormai indirizzarsi lattenzione canonistica del terzo millennio. Attenzione canonistica e non dei canonisti semplicemente, poich non si tratta principalmente – e soltanto (seppure necessariamente) – di destare interesse o attivare attenzioni nei confronti di ciascuna persona che intraprenda un cammino di coppia indirizzandosi verso la pienezza della sponsalit, ci che costituirebbe gi un grande risultato rispetto alla situazione concretamente in essere (ed in aumento) a tuttoggi.
La vera necessit giuridica e teologica, infatti, che si presenta e con la quale occorre fare i conti in modo strategico (e non tattico soltanto, come pu darsi col mutamento di sole Norme procedurali) riguarda la ridelineazione completa – ab imis fundamentis – del Sacramento del Matrimonio cristiano, attivando finalmente la fase antropologica della concezione del Matrimonio, dopo quella morale e quella ontologica sancite dalle dottrine post-tridentine ad oggi ripetute de plano. Semplicemente!
Si tratta, in concreto, di porsi nel giusto atteggiamento che permetta di cogliere pienamente il significato e la portata prima di tutto teologici del c.d. Matrimonio naturale (cfr. Gn 2,24 a cui lo stesso Ges ha fatto espressi riferimenti), che tuttavia sarebbe pi adeguato individuare e teorizzare come antropologico, come gi valorizzato agli inizi stessi della fede cristiana e della sequela Christi, quando di Sacramento del Matrimonio non si parlava affatto. Ci permetterebbe di comprendere anche il vero significato – tuttaltro che formale (sic) – della sua elevazione a Sacramento per (tutti) i battezzati attribuita al Concilio di Trento, facendo – eventualmente anche – maggiormente tesoro dellesperienza (pastorale) originaria dellannuncio evangelico nella societ e cultura pagana del I-II sec. Societ e cultura maggiormente vicine a quelle attuali rispetto a quella normalizzata (solo giuridicamente) della successiva societas christiana in cui cultura-societ-religione formavano ununica realt, tanto solida quanto monistica, sebbene spesso solo in modo formale.
Tre diventano allora i problemi sostanziali da affrontare oggi con lucidit in ambito di Diritto matrimoniale canonico sostanziale: la questione morale, la questione ontologica, la questione propriamente sacramentale, alle quali val qui la pena dedicare, con parresia, qualche sommario – sebbene del tutto inusuale – accenno.
1) Innanzitutto la questione morale, che non si pone tuttavia nei confronti del solo adulterio (come si potrebbe superficialmente credere a partire dal Decreto Tametsi) ma, molto pi ampiamente, della fornicazione, poich anche nel caso di Matrimonio – cristianamente – invalido lattivit sessuale tra i non-sposi risulterebbe tale. La Chiesa, per parte propria, non potendo avallare il rischio che una grande quantit di unioni non matrimoniali possa porre i fedeli in uno stato permanente di peccato oggettivo (con conseguente periculum anim), ha deciso di validare a priori – in modo del tutto presuntivo – il maggior numero possibile di unioni, sancendole come matrimoniali. Si tratta della ratio peccati vitandi che impone al Diritto canonico di evitare che le condotte giuridiche richieste o imposte o anche solo permesse (quindi legittimate) ai fedeli possano risultare contrarie di principio alla loro salus anim. Lasciare che i fedeli liberamente contraggano unioni invalide (= attentato Matrimonio) significherebbe esporli strutturalmente al peccato oggettivo contra Sextum. Per contro: bastata la semplice creazione di una mera prsumpio Iuris di validit di tali unioni (cfr. Can. 124 2) per ritenere scongiurata de Iure tale inammissibile ipotesi. Una semplicit – del tutto formalistica – di soluzione che continua, per, a porre in modo radicale la domanda su che cosa resti, in tale prospettiva, del Vangelo del Matrimonio (v. supra) se questo continua ad essere a tutti gli effetti (soltanto) il sostanziale remedium concupiscenti.
Il problema, dal punto di vista espressamente morale, dovrebbe venir posto – ai nostri giorni – tenendo adeguatamente conto (anche) del fatto che il peccato soggettivamente grave – quello che ad ogni effetto influisce sulla salus anim – richiede lo specifico animus peccandi: la piena consapevolezza, cio, ed il deliberato consenso (mentre pochi dubbi si danno in questambito circa la materia grave). La questione potrebbe – o forse dovrebbe – poter essere affrontata oggi con maggior tranquillit che in passato, grazie anche agli accenti posti da Amoris Ltitia sulla [1] imputabilit soggettiva (cfr. AL 302), [2] la progressivit di accoglienza pratica dei valori evangelici e [3] la gradualit nella Pastorale (cfr. AL 293-295), proprio in ambito matrimoniale. Nondimeno: un adeguato ricupero del Matrimonio antropologico (o naturale che dir si voglia) potrebbe risolvere la gran parte di questi problemi estendendo la copertura morale a tutti i Matrimoni effettivamente tali (come avviene pleno Iure et corde per i non battezzati, oltre che in alcune espressioni dellOrtodossia). Tanto pi che proprio il Tametsi ha distinto con estrema chiarezza lo status Iuris dallo status facti condannando espressamente i detrattori della validit dei c.d. Matrimoni clandestini, sebbene vstosi al tempo stesso costretto – a causa dei gravi peccati che hanno origine da questi Matrimoni clandestini – ad imporre una prassi contraddittoria rispetto al dogma cos fissato (sic). Contraddizione espressamente formalizzata proprio dallincipit del Decreto stesso: sebbene. Ci lascia aperte (nelloggi e per domani) un certo numero di possibili soluzioni diverse da quella post-tridentina ancora recepita nei Codici canonici vigenti, tenendo ulteriormente conto di due fattori strutturalmente integranti questi elementi, sebbene di natura espressamente fattuale: 1) la clausola fino a che la Chiesa non li avr resi invalidi (cfr. Tametsi, n. 1813), 2) lamplissima non applicazione del Tametsi stesso per oltre tre secoli in vastissimi spazi dEuropa. Due garanzie (o, se piace maggiormente: confessioni) della consapevole sostanziale inconsistenza dogmatica della prassi – e derivate dottrine e Norme – post-tridentine (sic).
2) La questione ontologica non comporta riflessioni e, soprattutto fondamenti, di minor portata, dovendo prendere atto con rigore che – a livello dogmatico cattolico, stricto sensu – non esiste la materia del Sacramento del Matrimonio concepito secondo lo schema ilemorfico tripartito validato dal Concilio di Firenze circa seicento anni fa. In quella sede, infatti, si evit del tutto tale approccio per il Matrimonio, accontentandosi di definire la sua sola causa efficiens, ben consapevoli della radicale ed insuperabile differenza che intercorre tra acqua, pane, vino, olio e relazione sponsale. Non solo ci, tuttavia, ma anche la necessaria forma (ilemorfica) dello stesso Sacramento risulta assolutamente disattesa, non essendo affatto stata identificata in quella sede n con la formula del Consenso, n in alcun altro modo, non potendosi neppure riferire semplicisticamente alla – ben altra e differente concettualizzazione della – c.d. Forma canonica imposta (in modo del tutto indiretto se non addirittura improprio) a Trento attraverso il Decreto Tametsi. Il fatto, poi, che i ministri del sacramentum/sponsio (agostinianamente inteso – sic) siano coloro che – di fatto – giurano (cio gli sponsi) e non chi opera facendo ci che la Chiesa intende fare, completa la totale difformit strutturale del settimo Sacramento cristiano rispetto a (quasi) tutti gli altri Sacramenti della Chiesa, sia cattolica che ortodossa. N materia, n forma, n ministro trovano sussistenza e consistenza, oltre che menzione a livello dogmatico! La situazione di totale disallineamento sistematico e strutturale – teologicamente parlando – rispetto agli altri Sacramenti non cambia se si applicano i princpi e criteri posti alla base della c.d. riforma liturgica del Vaticano II in base alla quale i Sacramenti sono strumento e supporto per la vita di Grazia dei fedeli e non modalit formali per evitare la damnatio terna, come anche ribadisce il Can. 840 CIC:
I sacramenti del Nuovo Testamento, istituiti da Cristo Signore e affidati alla Chiesa, in quanto azioni di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita, si rende Culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la comunione ecclesiastica.
3) Per quanto riguarda, infine, la questione propriamente sacramentale/antropologica, non si pu pi evitare di porsi il problema di come sia possibile che un Sacramento della fede cristiana, in quanto strumento mediante il quale lo Spirito santo diffonde la Grazia di Cristo , per di pi non solo pro se, possa avere qualche consistenza (esistenziale, oltre che ontologica) indipendentemente dalla volont – in questo caso addirittura del ministro stesso (sic) – che effettivamente si realizzino sia la res che la virtus del Sacramento.
Che la stretta tridentina sulla necessit di tutelare a qualunque costo (ed in qualunque modo) la verit eucaristica indipendentemente da qualsiasi fattore interferente con la validit del Sacramento stesso ed il suo realismo, distinguendo validit da efficacia (attraverso la dottrina dellex opere operato), abbia esercitato per secoli il proprio influsso anche sulla modellizzazione e categorizzazione di tutti gli altri Sacramenti un fatto evidente e conosciuto. Che oggi tuttavia, soprattutto considerando la questione ontologica (su esposta), non si voglia porre la questione circa la verit del Sacramento sponsale in nessun altro modo, al fine di esigere unesplicita voluntas Sacramenti christiani, rischia di trasformarsi in questione del tutto ideologica. Il passaggio, nondimeno, dei nubenti da ministri a principali destinatari del Sacramento e suoi protagonisti porrebbe finalmente in risalto il ruolo ed il compito irrinunciabile di ogni persona che intraprenda la via del Sacramento del Matrimonio cristiano, nella Chiesa e con essa, restituendo pure consistenza alla celebratio non pi intesa come mero atto pubblico ma, pi profondamente, come attivit eminente della Chiesa in cui tutti e ciascuno gli intervenienti esercitano ci che loro pi specifico a partire dal Battesimo.
Probabilmente al canonista non concesso di andare oltre nei riguardi del rapporto tra Antropologia e Sacramento del Matrimonio cristiano, smarrendosi tra approcci, dinamiche e prospettive filosofiche e psicologiche.
Nondimeno: lacquisizione certa di questo genere di prospettive in materia matrimoniale dovrebbe fin da subito mutare radicalmente lapproccio giuridico verso i protagonisti della vicenda coniugale, quasi indipendentemente [1] dallesito finale della stessa, oltre che [2] dalla (ancora mancata) revisione dellintera categorizzazione del Matrimonio canonico.