La prospettiva giuridica del governare



Premessa

Non possibile trattare il tema del governo ecclesiale senza una premessa – necessaria e costitutiva – che renda inequivocabile loggetto della trattazione: una premessa che consiste nella distinzione cristallina che deve rinvenirsi e mantenersi tra governo della Chiesa e governo nella Chiesa; una distinzione di grande rilievo soprattutto dal punto di vista giuridico che ci occupa in questa relazione. La distinzione, cio, tra il governare la Chiesa come tale (cosa a cui sono chiamati i Vescovi, diocesani in particolare) e il governare allinterno della Chiesa, sia nelle sue diverse articolazioni gerarchiche sia nelle sue espressioni anche non-gerarchiche, qual la vita religiosa e associativa in genere.

La questione costitutiva poich la quasi totalit della dottrina canonistica, anche attuale, si accontenta di trattare il solo governo della Chiesa (per intenderci: i Canoni De Ecclesi constitutione hierarchica – Cann. 330-572), attraverso lesercizio della c.d. sacra potestas derivante – si insegna – dal Sacramento dellOrdine, trascurando completamente che anche tale governo – o, forse, soprattutto tale governo – va necessariamente esercitato nella Chiesa, non potendosi pertanto esimere da quanto concerne ogni governo nella Chiesa.

Nulla di strano in questo, poich non ci siamo ancora scrollati dalle spalle secoli di dottrina sacramentaria in cui la Chiesa come tale non centra proprio nulla con la propria vita ed attivit, ed i Sacramenti funzionano in modo autonomo da essa, tanto da valere anche contro la Chiesa stessa (come accade ancor oggi per le Ordinazioni episcopali scismatiche, ritenute valide per ragioni sacramentarie – in realt metafisiche – trascurando completamente quelle ecclesiologiche – sic).

Allo stesso tempo, la tradizione dottrinale canonica giunta fino al Concilio Vaticano II qualificava la potest non strettamente ecclesiastica (detta oggi sacra, un tempo, invece, pubblica) come privata, facendone qualcosa di sostanzialmente estraneo alla realt ecclesiale in s e per s: era il tema della potestas dominativa allinterno delle societates imperfect quali erano soprattutto gli Ordini religiosi (v. infra).

In questa prospettiva, se non si vuol finire fuori strada gi prima della partenza, governo della Chiesa e governo nella Chiesa devono essere percepiti e gestiti come realt teologicamente incommensurabili e irriducibili, poich il governo della Chiesa (quello, cio, gerarchico, o ecclesiastico, anche se – per precisione – bisognerebbe dire clericale) costituisce solo una delle tipologie – possibili – del governo nella Chiesa (cio governo ecclesiale): una specie allinterno del pi ampio genere, una classe allinterno di un insieme pi ampio, cui non pu contraddire.

Posta questa premessa, del tutto costitutiva poich allinterno della Chiesa non si pu parlare sensatamente di un governo che non corrisponda alla natura specifica della Chiesa stessa, lattenzione delle presenti riflessioni sar indirizzata a questo aspetto della tematica in quanto proprio la ecclesialit del governo ci a cui nessuno potr mai sottrarsi allinterno di unautentica vita ecclesiale.

Ne consegue che, in questottica, non ha alcun rilievo di quale governo ecclesiale si tratti, sia esso diocesano o religioso, gerarchico o no. Nellindividuazione e gestione del governo nella Chiesa, non conta nulla la differenza tra lesercizio di una potestas definita – solo ultimamente – sacra e lesercizio di una potestas che potremmo definire convenzionale o statutaria, comՏ quella propria dei religiosi, dovendosi prescindere – per onest intellettuale e scientifica – dalla presenza tra essi di Presbiteri (con tutte le questioni che questo comporta). A tal proposito importante tener sempre presente che quando si vogliano trattare questioni che riguardano la vita religiosa come tale occorre avere davanti a s un unico modello tipologico: lIstituto religioso femminile di Diritto diocesano; in esso, infatti, che sono presenti tutti gli elementi necessari a definire la vita religiosa come tale, senza gli ingombri derivanti dalla qualifica pontificia n – peggio – di quella clericale, utili – forse – a qualificare la potestas ma non certo a definirla, senza che la vera natura del governo ecclesiale in s possa risentirne. Lattenta analisi dei Canoni codiciali sul governo degli IVC (cfr. Cann. 617-640 – Cap. II della Parte III del Libro II CIC) offrir le necessarie conferme legislative a quanto sin qui affermato. Basti per ora evidenziare come il termine Ordinario – proprio del governo della Chiesa (cfr. Can. 134) – non si riscontri in modo significativo allinterno di tale ambito normativo mentre, secondo il Can. 620, sono Superiori maggiori [tutti] quelli che governano lintero Istituto, o una sua Provincia, o una parte dellIstituto ad essa equiparata, o una Casa sui Iuris, e parimenti i loro rispettivi vicari indipendentemente da qualunque altro elemento esterno allIstituto stesso, quali il sesso o lOrdinazione.

1. Termini e concetti di riferimento

Specificato come il tema in trattazione sia quello del governo nella Chiesa, le prospettive da cui guardare allattivit di coloro che governano nella Chiesa (tutti: indipendentemente da come la dottrina ed anche il Diritto qualifichino tale attivit) sono molteplici, come risulta dalla variet del vocabolario generalmente utilizzato dagli autori per indicare larea del governo: dominio, potere, autorit, responsabilit termini spesso percepiti come sostanzialmente equivalenti.

La riflessione alla quale ci si sta applicando suggerisce di distinguere (ed in parte contrapporre, almeno strumentalmente) questi termini/concetti, soprattutto in ambito ecclesiale.

- Il termine dominio fa riferimento alla piena padronanza di una realt. Il dominus (in greco: kyrios – usato nel NT solo per Ges Cristo: lunico Signore) colui che dispone totalmente e pienamente di quanto – appunto – in suo dominio: il potere di vita e di morte del pater familias romano (il dominus per eccellenza). Daltra parte il verbo dominare rende bene lidea sottostante. Non si dimentichi che proprio in questa prospettiva nel Codex pio-benedettino si parlava di potestas dominativa per gli Istituti religiosi.

- Il termine potere fa riferimento alla possibilit effettiva di operare: chi ha potere, pu operare/fare. LItaliano in questo non ci aiuta a capire bene, mentre – p.es. – il Tedesco ha verbi diversi: knnen e drfen per indicare [a] ci che si ha la possibilit materiale/fisica di fare e [b] ci che permesso/lecito fare. Il potere a cui ci si riferisce in questa sede il primo (il knnen): la possibilit concreta, materiale, di fare. Da che mondo mondo il potere sempre stato questo: fare quello che si vuole (si ricordi Dante, secondo cui Dio stesso puote ci che vuole) ed il c.d. potere assoluto degli Stati rinascimentali (e dei loro Principi) era tale proprio perch a Legibus solutus. Non di meno la connessione volere-potere ha segnato radicalmente lultimo quarto della vita ecclesiale sia dal punto di vista morale che giuridico, dopo che teologico, a partire da Francisco Surez, attraverso la successiva mediazione anche dellIdealismo tedesco e della Morale post-tridentina.

- Il termine autorit (da augere), dopo aver fatto riferimento nel mondo romano ad unaggiunta necessaria per completare qualcosa gi esistente in modo autonomo ma inadatto a conseguire le proprie potenzialit a livello sociale/pubblico, nellutilizzo ormai assodato da almeno un millennio (soprattutto in campo sociologico e giuridico) sconta leffetto di un profondo cambio semantico facendo ormai riferimento ad una posizione di protagonismo ed autoreferenzialit (= auto): un ruolo irriducibile del soggetto agente, lio della volont individuale moderna, il self dellattuale Inglese. Lautore colui che crea elementi nuovi della realt, svolgendo unattivit in qualche modo divina e spesso cos ritenuta anche teologicamente.

- Il termine responsabilit – di fatto su un livello completamente diverso – fa riferimento, invece, alla capacit/possibilit di dar risposte sulle motivazioni/cause delle proprie azioni e di assumerne (=farne proprie) le conseguenze, facendosene carico come di cose proprie, in quanto non radicalmente separabili dalla persona che le ha provocate o messe in opera (v. infra).

Termine/concetto del tutto particolare – e, di per s, radicalmente diverso dai quattro gi indicati – quello di potest, divenuto un vero must nella dottrina canonistica e nella terminologia codiciale e dotato di nuova forza – ideologica – attraverso alcune dottrine acriticamente incorporate nel Concilio Vaticano II, sfociate poi negli attuali Codici canonici con accezioni molto prossime sia al potere che allautorit. Proprio sulla potestas, non di meno, pare costruirsi oggi lintero impianto del governo della Chiesa: una potestas che sarebbe sacra in quanto derivante dal Sacramento dellOrdine, meglio se episcopale. In merito si faccia tuttavia tesoro della saggia cautela del Legislatore canonico che nel Codice latino attuale non usa mai la formula sacra potestas. questa potestas che, non di meno, costituisce il nucleo pi solido del concetto di Ordinario del Can. 134 e che, derivatamente dal Can. 129, viene attribuita ai soli chierici come tali, in quanto ordinati, mentre fino al CIC del 1917 compreso, chierici ed ordinati non coincidevano affatto (e si parla di almeno 1500 anni di vita e storia della Chiesa). Lo stesso Can. 129, poi, complica ulteriormente le cose – e le idee – parlando espressamente e soltanto di potestas regiminis, tradotta in Italiano con potest di governo, trascurando completamente Magistero e Ordine, come se riguardassero altro rispetto al governo ecclesiale.

Tanto basta per escludere totalmente il termine/concetto di potestas da queste considerazioni che vogliono vertere – invece – sul governo nella Chiesa.

Trattare di dominio, potere, autorit o responsabilit in chiave di governo – o come suoi sinonimi pi o meno appropriati – impone, tuttavia, qualche ulteriore considerazione, utile anche a chiarire meglio il concetto di governo come tale.

Mentre, infatti, dominio, potere, autorit, sono posizioni attive che impongono ad altri cose da fare e si esercitano su altri (i sudditi o sottoposti o dipendenti o tutelati), nei confronti dei quali si in qualche modo superiori, la responsabilit una posizione tendenzialmente passiva: una posizione che non attribuisce ma assume per s incombenze (si dice, infatti: assumersi una responsabilit) e si esercita verso altri tanto [a] da cui si dipende che [b] dipendenti da s.

La responsabilit, infatti, sempre passiva: deve rispondere! Anche se questa risposta , oggi pi che mai, estremamente ambigua. La responsabilit si caratterizza prima di tutto ed essenzialmente come relazione, impegno verso terzi, i quali sanno/presumono di potersi fidare ed affidare. M. Buber scriveva che la responsabilit

presuppone uno che mi appella primariamente, da una regione indipendente da me, al quale debbo rendere conto. Egli mi parla di qualcosa che mi affidato e mi chiede di prenderne cura. Egli mi appella a partire dalla sua fiducia e io rispondo nella mia fedelt, oppure nella mia infedelt nego la risposta, o ancora, dopo essere caduto nellinfedelt, me ne libero con la fedelt della risposta. [...] Dove nessun appello primario mi pu toccare, perch tutto mia propriet, la responsabilit diventata unombra. E contemporaneamente si dissolve il carattere reciproco della vita. Chi non d pi risposta, non percepisce pi la parola.

Essere responsabili significa avere degli obblighi o, almeno, degli adempimenti e delle incombenze, cui assolvere e di cui rendere-conto. Allinterno, poi, del concetto di responsabilit come impegno (= darsi da fare) ed assunzione (= farsi carico) i contenuti propri della responsabilit stessa diventano tutela e garanzia da assicurare a terzi. Di fatto il responsabile colui che tutela e garantisce: ecco perch la vigilanza (= episcop) ricade tra le incombenze della responsabilit e non del dominio/potere/autorit. Si legge nella Lettera agli Ebrei: Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perch essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinch lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ci non sarebbe di vantaggio per voi (Eb 13,17). Anche san Paolo ai Tessalonicesi scrive: Vi preghiamo, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano tra voi, che vi fanno da guida [= proistamenous] nel Signore e vi ammoniscono; 13trattateli con molto rispetto e amore, a motivo del loro lavoro (1Ts 5,12-13).

Non di meno: anche la responsabilit comporta posizioni in qualche modo attive (si dice anche: esercitare una responsabilit) quali: a) la capacit/possibilit di disposizione tanto di mezzi che dellattivit di altre persone; b) la capacit/possibilit di attuare tutta una serie di comportamenti ed attivit connesse alla tutela e garanzia che si devono assicurare a singoli e collettivit. Si pensi a figure dimportanza crescente nel mondo della vita quotidiana quali sono i responsabili della sicurezza o del personale o del trattamento dei dati, ecc. ai quali nessuno nega la possibilit di decidere e disporre nei confronti di terzi.

per questo che si pu anche mancare nei confronti della propria responsabilit, mentre non si pu mancare nei confronti del proprio dominio, del proprio potere, della propria autorit. Mancare, per, verso la propria responsabilit comporta la possibilit di essere chiamati a risponderne – ambiguamente – a due diversi livelli: a) cur fecisti e b) quia fecisti. Nel primo caso rilevano le motivazioni (= cur) di scelte e condotte; nel secondo, invece, le loro conseguenze (= quia), fino a quella che viene chiamata Azione di responsabilit, almeno per quanto riguarda la parte di danno compensabile allinterno dei vari Ordinamenti giuridici.

In questo contesto non si pu neppure dimenticare che a livello di Vangelo, non solo non esistono preminenze o superiorit di alcun genere, ma sono state espressamente escluse dallo stesso Ges quando ha indicato con certezza che Padre, Rabb, Maestro uno solo e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8-10); di qui la decisa e precisa scelta di san Francesco proprio per il linguaggio – e la concettualit – della fratellanza allinterno del suo movimento, oltre che del governo fraterno. I ruoli, invece, e le gerarchie si misurano in base al servizio ed alla testimonianza: Pietro il primo nel testimoniare la fede e nel confermare in essa i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32).

2. Concetto di governo

Lavvicinamento al tema del governo in termini di responsabilit – intesa come tutela e garanzia – permette di ricuperare la stessa radice semantica (e, pertanto, pi autentica e veritiera) del governo a partire dallorigine di tale terminologia giuridico-istituzionale; unorigine assolutamente non riducibile ad immediati fattori di dominio/potere/autorit, quanto piuttosto di guida sicura ed affidabile.

Gubernum era il timone della nave e gubernator era detto il timoniere (oggi si direbbe lo skipper): colui che con la propria competente e decisa attivit assicurava un frutto adeguato agli sforzi (ben pi umili) dei molti vogatori guidando con sicurezza la nave – tra flutti e tempeste – alla sua meta, gi prefissata in altra sede (cio dallarmatore). Non di meno: ancor oggi nelle regate competitive la maggior parte del (de)merito in gara viene riconosciuta proprio allo skipper che, con le proprie indicazioni (in realt veri e propri ordini), indica momento per momento quali siano le manovre che lequipaggio deve effettuare, ciascuno secondo le proprie competenze e compiti specifici.

Prima, infatti, di diventare lodierno strumento della prepotenza di classe dei politici e dei poteri forti loro sottostanti (cio: dominio e potere), il termine governo ha sempre indicato il far funzionare  la comunit sociale e non veniva affidato a politici (di turno) ma a funzionari (competenti in materia). Non per nulla proprio le moderne teorie politiche sulla gestione del potere (sic) distinguono e differenziano il legislatore (= Parlamento), dallesecutivo (= Governo), dal giudice (= Magistratura) volendoli strutturalmente contrapporre per indebolirli reciprocamente cosicch il potere arresti il potere come voleva Montesquieu poich di veri poteri si tratta ad ogni effetto nelle societ civili.

Il saldo affermarsi nel linguaggio ecclesiale del periodo post-apostolico della non originaria immagine marinaresca non deve per far trascurare come il mondo biblico avesse gi attuato scelte autonome nella stessa direzione, non solo attraverso i sorveglianti (= episcopoi) ed anziani (= presbyteroi) della struttura sinagogale giudaica ma, pi ampiamente, con le figure bibliche (ed evangeliche) del domestico (= oikonomosLc 12,42-44; indirettamente: Lc 16,1-8), utilizzato prevalentemente in riferimento al ministero apostolico (cfr. 1Cor 9,17), e del pastore, utilizzato inizialmente in riferimento personale al solo Ges e passato successivamente agli stessi Apostoli (cfr. Ef 4,11) attraverso i tre pasci (boske, poimaine, boske) detti a Pietro dal Risorto (cfr. Gv 21,15.16.17). Ai quali, non di meno, non passer affatto il termine kyrios.

Per quanto allinterno della vita ecclesiale episcopoi, presbyteroi, oikonomoi e poimenas, indichino certamente figure gerarchiche (= apicali), che spiccano sugli altri soggetti allinterno della Comunit cristiana e possiedono proprie capacit decisionali e dispositive, tali vocaboli vennero utilizzati nella Chiesa con la netta intenzione di evitare qualunque riferimento esemplare/analogico allattuare dei Monarchi in ambito civile (cfr. Mt 20,25-27 – katakurieuousin; Mc 10,42-45 – katakurieuousin; Lc 22,25-27 – kurieuousin; tutti derivanti dalla radice kyrios da cui il latino dominus). Interessante in merito lindicazione di san Pietro ai Presbiteri di pascere il gregge di Dio non come padroni delle persone a loro affidate (1Pt 5,3).

Il vocabolario and progressivamente definendosi e specializzandosi cos che episcopus e presbyter (insieme a diaconus) divennero termini espressamente tecnico-giuridici, mentre pastor e minister, assunsero significati pi generici, per quanto maggiormente profondi a livello concettuale e teologico anche a causa della loro espressa connessione alla cura e al servizio. Linserimento patristico del gubernator complet il quadro terminologico e concettuale, ricuperando e consolidando una certa compatibilit col linguaggio socio-politico, sia coevo che successivo, rimanendo in ogni modo estraneo allambito semantico del comando (= rchein). La progressiva sacerdotalizzazione del cristianesimo (dal V sec.) indirizz il termine minister maggiormente verso lambito cultuale finendo cos per connettere quasi univocamente la funzione di guida ecclesiale ai due termini (pastor e gubernator) divenuti poi tradizionali e canonici, per quanto sotto profili differenti. La dimensione soggettiva della guida ecclesiale (= colui che guida) fu indicata preferibilmente col termine pastor, mentre quella oggettiva (= lattivit di guidare) fu indicata come gubernum. Gubernare, regere e pascere furono i verbi maggiormente utilizzati allinterno dello stesso contesto.

La Patristica dal IV al VI secolo ha poi stabilizzato vocabolario e categorie; basti ricordare qui il Discorso sui pastori di santAgostino e la Regola pastorale di san Gregorio magno. Il monachesimo incrementer il quadro semantico del governo ricuperando limmagine – pi culturale che evangelica – del padre: labba da cui Abate, Abadessa, e – significativamente – Abbazia.

Una certa rilevanza fu mantenuta anche dalloriginaria immagine neotestamentaria delleconomo/dispensatore, per quanto pi a livello operativo (= il verbo dispensare) che non soggettivo (= leconomo, il dispensatore); il sostantivo, infatti, fu sostanzialmente assorbito dal pi generico minister.

Non si pu trascurare, qui giunti, come tali immagini della guida ecclesiale siano tutte chiaramente asimmetriche e, a loro modo, gerarchiche: il gubernator, il pastor, il dispensator e il pater infatti, non sono n marinai n pecore n servi n famigli! Sono tuttavia con loro: hanno la stessa sorte anche se non si identificano, soprattutto perch devono realizzare finalit diverse.

Tanto la nave che il gregge che la casa o la famiglia, a loro volta, sono sia [a] realt olistiche (superiori, cio, alla somma degli elementi costituenti) che [b] organismi (cio: insiemi di elementi differenti che offrono un unico risultato complessivo, distinto dalloperato di ogni singolo componente).

Allo stesso modo anche gubernare, regere, pascere e dispensare risultano di fatto incompatibili con: dominio, potere, autorit; mentre, al contrario, responsabilit (tipica del timoniere) e cura (tipica del pastore) tendono ad identificarsi nelle loro premesse ed implicazioni proprio nella linea della oikonomia/dispensatio. Purtroppo nel linguaggio ecclesiastico occidentale – canonico in particolare – il termine dispensatio acquis in seguito un significato tecnico differente che ancora oggi risulta primario: non pi nella prospettiva incrementale del provvedere erogando ma in quella decrementale del provvedere togliendo ci che sintende nella Canonistica occidentale con dispensare e dispensa concepiti come benevola rimozione di un divieto giuridico. Per contro in Oriente oikonomia/dispensatio mantiene un evidente valore incrementale/erogativo. In effetti, nelluso extra-canonico dispensare significa distribuire/erogare (si considerino i termini: dispensario, dispenser).

Dal punto di vista fondativo, pertanto, il governo ecclesiale va colto e soprattutto attuato non nella logica-dinamica del dominio/potere/autorit, ma della responsabilit/cura, pi proprie delle sue origini bibliche ed ecclesiali-apostoliche.

A questo, in effetti, fanno riferimento i termini utilizzati dal Diritto canonico: munus, officium, ministerium. In essi infatti – e solo in essi – si fonda la c.d. potest di governo nella Chiesa, intesa proprio come leffettiva possibilit di esercitare il proprio impegno di tutela e garanzia di unefficace vita evangelica della Comunit cristiana di cui si sia ricevuto il governo, sia essa una Comunit gerarchica (come la individua P. Valdrini) oppure una Comunit associativa, come sono le Comunit di vita religiosa.

Non si pu neppure trascurare in questa sede come anche in ambito civilistico le cose stiano ormai cambiando in modo significativo rispetto ai paradigmi – ancora ottocenteschi (sic) – che continuano ad ingessare molta dottrina, soprattutto in campo amministrativistico: quello che maggiormente si confronta con le tematiche del potere, dellautorit e del governo. Da una ventina danni, infatti, in ambito tedesco si sta affermando una prospettiva – denominata Nuova Scienza del Diritto amministrativo – che va progressivamente rimodulando sia la terminologia che le concettualizzazioni sottostanti, fino a parlare esplicitamente di politico-timoniere che dirige in modo sicuro la nave dello Stato sul mare.

3. Governo nella Chiesa

3.1 Governo ecclesiale, responsabilit e discernimento

Un governo ecclesiale concepito nella linea della responsabilit e della cura (che si esprimono in attivit di necessaria tutela e garanzia), se non vuol rimanere pura idealit n ridursi a mere tautologie, pu efficacemente essere concepito e declinato in termini di valutazione, indirizzo, direzionamento, assetto, progettazione, programmazione, gestione di risorse ci che, in fondo, stato recentemente proposto attraverso il concetto di discernimento.

Se, infatti, chi nella Chiesa governa in realt non fa altro che esercitare una responsabilit prendendosi cura ed offrendo tutele e garanzie (nellambito proprio), il suo compito proprio quello del concreto discernimento operativo: comprendere, cio, su quali strade intraprendere gli sviluppi dellannuncio evangelico o della vita ecclesiale e come renderli effettivamente possibili nella quotidianit del vissuto attraverso lindirizzo ed il coordinamento delle risorse spirituali, morali, personali e materiali di cui la Chiesa, sia universale che particolare – oltre allo specifico mondo della vita religiosa – dispone nelle diverse situazioni tanto storiche che socio-culturali.

Un tale discernimento significa, allora, interrogarsi ed interrogare su quali strumenti operativi concreti (= quali risorse personali e materiali) utilizzare per unefficace evangelizzazione dellumanit e sua santificazione.

Interrogarsi, interrogare, valutare e decidere in vista della necessaria assegnazione di compiti o operativit (= disposizione) a coloro che partecipano – secondo le specifiche e peculiarit di ciascuno – della stessa finalit o missione, senza che lessere o no chierici possa fare alcuna reale differenza nel definire la natura e le funzionalit essenziali del governo stesso nella Chiesa. Non di meno questo lunico profilo realmente in grado di assorbire anche la differenza tra maschile e femminile nella Chiesa, poich in realt (ci che viene ricondotto alla potestas) non affatto una questione di sesso ma di Sacramento dellOrdine. Gli stessi Canoni codiciali riguardanti la vita religiosa sono evidenti in merito: pur scritti al maschile, si applicano ex quo a tutte le realt di vita religiosa femminili, senza reticenza n restrizione alcuna. Allo stesso modo le questioni connesse alla potestas regiminis dipendono dalla condizione clericale (cfr. Can. 134 1).

Da questo punto di vista lattenzione alla vita religiosa nella delineazione del concetto giuridico di governo ecclesiale non formale, per mera completezza, ma imprescindibile e addirittura costitutiva poich proprio la vita religiosa dedita in pienezza e radicalmente alla realizzazione della chiamata universale alla santit (cfr. LG 40) e alla sua diffusione nel mondo attraverso lannuncio evangelico e la c.d. promozione umana, di cui il Vangelo stesso ha necessit per poter attecchire e portare frutti duraturi. Ci che coincide con la stessa missio Ecclesi.

Per di pi, la vita religiosa si manifesta in modo eminente come lambito ecclesiale in cui maggiormente – e per propria natura – si esercita vero e proprio governo sia in chiave quantitativa che qualitativa, mentre oggettivo il fatto che il resto della vita ecclesiale (anche quella clericale) non raggiunge in alcun modo intensit di tale portata. Parlare – o peggio, teorizzare – intorno al governo nella Chiesa trascurando questa realt in qualche modo originaria non pi possibile. Gli stessi numeri non lasciano scappatoie. Se, infatti, si paragonassero quelle che possono essere individuate come concrete e reali istanze di governo riferibili ai 54.665 religiosi e alle 721.935 religiose dei nostri giorni (anno 2010), con quelle relative ai 39.564 diaconi, 412.236 presbiteri e 5.104 vescovi e, ulteriormente, al 1.195.671.000 di cattolici nel mondo, emergerebbe con chiarezza come il campo per eccellenza del governo nella Chiesa sia quello della vita religiosa. Proprio, tuttavia, questambito, grazie alla chiarezza e puntualit della propria identificazione (= persone), specificit di missione (= carisma) e delimitazione delle risorse disponibili (= patrimonio ed opere), quello in cui maggiormente risalta come lattivit di governo sia – e debba essere – discernimento. Dominio, potere, autorit – e la stessa potest –, infatti, non hanno palesemente alcuna possibilit di esercitarsi allinterno di un sistema chiuso di risorse, soprattutto personali e materiali, comՏ lIstituto religioso. Tanto pi quando chi esercita il governo lo fa per un periodo di tempo determinato, per pochi anni, su base elettiva, soggiacendo allimperativo del Can. 624 2 secondo cui non si deve rimanere troppo a lungo in uffici di governo senza interruzione. Si aggiunga, per necessaria completezza, che le soggettivit di governo nella vita religiosa sono strutturalmente due: quella permanente ed ordinaria, di carattere personale, e quella temporanea e straordinaria, di carattere collegiale, con unassoluta preminenza del governo collegiale (= i Capitoli) su quello personale (= i Superiori) che ne risulta – a molti effetti – semplicemente un organo esecutivo permanente, oltre che subordinato.

Per contro: leffettivo governo esercitato (e concretamente esercitabile) sui circa 450.000 chierici nel mondo ben minore di quello esercitato sui religiosi, se si d fiducia allesperienza diffusa secondo cui il numero di Provvedimenti ordinari (= trasferimenti, p.es.) di cui destinatario un religioso durante la propria vita molto maggiore rispetto a quelli di cui sia destinatario un chierico. La quantit e frequenza, infatti, delle c.d. obbedienze indirizzate ai religiosi non paragonabile (ad oggi) alle assegnazioni di Uffici ecclesiastici ai chierici. A maggior ragione tali considerazioni vanno applicate al governo nei confronti dei fedeli laici, Dispense sacramentali comprese, come pu confermare lesperienza di ogni addetto di Curia.

Lidentificare il proprium del governo nella Chiesa col discernimento permette anche di porre nuovamente in evidenza la radicale irriconducibilit del governo ecclesiale a quello socio-politico e, pi ancora, ai suoi modelli e princpi.

Nelle societ politico-statali – infatti – lattivit di governo risulta strutturante lo stesso vivere sociale e non sembra rinunciabile la gestione di un vero e proprio potere quale strumento necessario per il perseguimento (spesso coattivo) del bene comune, stabilito di volta in volta per via politica in base alle maggioranze del momento. Un potere che risulta, pertanto, costituente la societ statale stessa, oltre che sempre complementato da una gestione diretta della forza e coercizione fisica, senza della quale nessuno Stato potrebbe esser ritenuto tale. Tanto pi che spesso affinch si possa parlare di governo non si richiede nullaltro che leffettivo controllo del territorio e delle persone in esso presenti (= potere); come ben evidenziano le vicende politiche conseguite alla c.d. primavera araba dellanno 2013 oppure, pi profondamente, lattuale fenomeno del se dicente Califfato islamico.

Nella Chiesa, al contrario, la funzione di governo risulta assolutamente accessoria e strumentale: un vero compito (= munus) cui non ci si pu sottrarre, mentre Parola di Dio e Sacramenti appaiono maggiormente come doni direttamente offerti dal Cristo perch ogni uomo – accogliendoli – giunga alla salvezza della propria esistenza personale (cfr. Can. 213). Non un caso, quindi, che i titoli dei c.d. Superiori nella Chiesa non siano, di per s, altisonanti n – soprattutto – pretenziosi come quelli civili: vescovo, presbitero, rettore, ministro, guardiano, commissario, direttore, ispettore, abate, priore lo stesso S. Ignazio di Loyola – militare – non fond una legione ma una compagnia che non ha comandanti ma commissari.

Nella Chiesa, inoltre, non esiste neppure un vero potere nella disponibilit degli uomini: si parla infatti – per quanto inadeguatamente – di (sola) potest, tralasciando spesso di illustrarla nella sua costitutiva natura e portata di mera abilit e legittimit di condotta intra-ecclesiale. Daltra parte la funzione costitutiva ecclesiale lannuncio evangelico e la conseguente santificazione dei credenti: scopi cui tutti e ciascuno sono ugualmente chiamati a corrispondere in relazione al proprio status ecclesiale, in base a cui la condotta/attuazione di tutti e ciascuno, allinterno di un cammino libero e consapevole di realizzazione della comune missione, assume nella Chiesa una fisionomia del tutto propria.

Il Vangelo, infatti, ed il suo annuncio sono stati affidati da Cristo non a tanti singoli ma alla Chiesa come tale: il mandato missionario un dono/compito comunitario (= cum munus/communio) e come tale devessere svolto dallinterno della Comunit di fede attraverso la partecipazione di tutti e ciascuno, secondo i diversi doni di Dio.

Limpressione – ma anche la portata effettivamente – novatoria di queste considerazioni intorno al governo nella Chiesa si giustifica col loro prescindere completamente dai princpi propri dello Ius publicum ecclesiasticum preconciliare che riconoscevano vero governo solo allinterno della societas necessaria iuridice perfecta (= la Chiesa gerarchica come tale), negandolo invece nelle societates arbitrari iuridice imperfect, quali erano Universitates ed Istituti religiosi. La derivata dicotomia e contrapposizione tra potestas publica e potestas privata (o communis) aveva portato infatti a sviluppare lintera tematica del governo ecclesiale soltanto in chiave pubblicistica, cio gerarchica e quindi ecclesiastica/clericale (= dei chierici), facendone unespressione non solo peculiare ma anche – presuntamente – esclusiva dei soli chierici. Scrive in merito il padre Andrs: Ǐ praticamente impossibile che la potest comune, chiamata prima dominativa, abbia natura, fini e divisioni radicalmente differenti da quella ecclesiastica di regime.

Labbandono di tali presupposti teoretici, sollecitato – per quanto indirettamente – dal Concilio Vaticano II, esige oggi la capacit di rivedere lintera materia fondandola su basi del tutto differenti – ed anche, spesso, incompatibili – che risultino finalmente coerenti sia coi princpi ecclesiologici generali di Lumen Gentium che con lorganicit dellOrdinamento canonico oggi vigente.

Per il passato, non di meno, bastano i libri di storia a mostrare leffettiva attivit di governo nella Chiesa esercitata da Abati ed Abadesse durante tutto il secondo millennio nellet classica del Diritto canonico. Si mantenga in merito anche la considerazione del fatto – tuttaltro che iconografico soltanto – che nellambiente monastico sia san Benedetto che santa Scolastica vengono regolarmente rappresentati col pastorale esattamente come i Vescovi; allo stesso modo che i Riti di consacrazione dellAbate e dellAbadessa sono, ancor oggi, identici.

3.2 Governo ecclesiale come Ufficio

Il percorso sin qui tracciato nel tentativo dindividuare che cosa – oggi – possa essere governo nella Chiesa porta ad una nuova tappa, assolutamente fondamentale per tale tematica e punto qualificante e specifico dellapproccio giuridico: la consapevolezza che il governo nella Chiesa sempre, ex ipsa natura rei, espletamento di un Ufficio ecclesiastico, nel senso specifico di incarico, costituito stabilmente [] da esercitarsi per un fine spirituale, come esposto dal Can. 145 1 del CIC. Anche sotto questo profilo, il mutare della species da un Ufficio allaltro non ne cambia affatto il genus, cos che sia realmente ipotizzabile e sostenibile pensare (ed affermare) che gli Uffici di governo non clericali non siano, in realt, veri Uffici di governo nella Chiesa, n che essi – in fondo – siano davvero ecclesiastici.

Tanto pi che il riferimento allUfficio di governo anzich allo status personale del suo titolare, non solo [a] pone in evidenza ancora una volta la concreta irrilevanza dellOrdine sacro ai fini dellesercizio del governo nella Chiesa, ma [b] continua pure a confermare la vera esemplarit del governo della vita religiosa nel definire il concetto stesso di governo ecclesiale. In questo gli elementi propri dei vari Istituti religiosi o dei loro fondatori (san Francesco in primis) hanno ancora molto da dire e da dare.

Il governo nella Chiesa non risulta pertanto unattribuzione (= una qualifica diretta) della persona come tale, ma una funzione da essa svolta in ragione dellUfficio ricoperto per di pi: [a] secondo quanto stabilito dal Diritto per ciascun Ufficio ecclesiastico e [b] fintanto che permane la titolarit dellUfficio stesso, [c] senza reali differenze tra Uffici gerarchici o non-gerarchici, clericali o laicali.

La questione, in realt, risulta chiara gi dallepoca neotestamentaria quando ancora si stavano muovendo i primi passi della strutturazione ecclesiale. lo stesso Apostolo Paolo ad affermare con chiarezza (in Gal 2,9) che non si tratta di persone – proprio perch Dio stesso che non fa questione di persone (e questo un elemento teologico costitutivo!) – ma di ruoli e funzioni nella Chiesa. In tal senso Cefa, Giovanni e Giacomo ritenuti le colonne, proprio in tale ruolo legittimano la missione paolina ad gentes. Si noti a tal proposito come Paolo scriva che i tre Apostoli sono ritenuti le colonne utilizzando un linguaggio che oggi si riconduce al campo delle conoscenze e convinzioni e non a quello della natura/essenza delle cose. In tal senso Paolo non dice affatto che i tre Apostoli come tali sono le colonne ma, semplicemente, sono ritenuti... anche da lui! E per questa loro funzione egli stesso considera il loro operato come risolutivo allinterno della difficile situazione ecclesiale venutasi a creare nei suoi confronti, anche a causa loro, ma proprio la percezione della differenza tra persona e suo ruolo che permette di usare correttamente due pesi e due misure per il fratello e per la Autorit.

Questo, per, sollecita un ulteriore passo avanti proprio nella concettualizzazione del governo nella Chiesa: un governo che impone la rigida distinzione – tipicamente giuridica – tra persona e sue funzioni. Nel Diritto canonico, infatti, le funzioni sono sempre qualcosa di molto parziale rispetto alla persona che le esercita, cos come la persona stessa risulta essere sempre parziale (bisognerebbe, forse, dire: insufficiente) rispetto alle funzioni affidatele. Tra persone e funzioni non esistono mutue immanenze/interiorit, o altre connessioni in qualche modo reciprocamente costitutive o di co-implicazione neppure quando sia stata scelta labilit specifica della persona (cfr. Cann. 43; 44; 132 2; 137 2; 479 3), visto che ci pu darsi solo per casi specifici e riguarda le abilit della persona e non la sua identit.

questa, in fondo, la consapevolezza e la richiesta espressa – per quanto in modo non ottimale ed inequivoco – nel settimo Principio per la revisione del Codice canonico latino: a) distinguere prima di tutto persona (del Superiore ecclesiale) e sue funzioni; b) distinguere, poi, tra loro le diverse funzioni in cui si articola il governo. Scopo della doppia distinzione era lespressa esclusione (dellinsorgenza) di ogni arbitrariet nel governo ecclesiale attraverso la sconfessione delle logiche e dinamiche del dominio/potere/autorit tipiche, invece, dellidentificazione tra persona e ruoli propria dei regimi assolutistici in cui persona e funzioni del Principe sidentificavano, come ben esprime laffermazione di Luigi XIV di Francia lՃtat cest moi. interessante valutare in questa linea il fatto – ma anche parte della concezione che lo ha reso possibile – delle dimissioni di Papa Benedetto XVI: essere Papa non una questione di persone ma di ruoli e funzioni (= lUfficio ecclesiastico di romano Pontefice). Lo scandalo che ancora sconquassa ampi ambienti ecclesiali a tal riguardo indica palesemente il ristagnare delle concezioni – assolutistiche – pregresse, centrate sulla persona e non sullUfficio.

Non di meno: dal punto di vista giuridico moderno (anche canonico), la capacit dintervenire giuridicamente sulla e nella vita delle persone mutandone almeno alcuni elementi giuridici (= pubblici, relazionalmente rilevanti, istituzionalmente sanzionabili), come fa lattivit di governo, non appartiene alle persone come tali ma a qualcuna delle funzioni loro attribuite ratione Officii, nella logica dellabilit e legittimit cui va ricondotta la c.d. potestas.

Per i religiosi la cosa chiara: dal punto di vista giuridico un ex-superiore maggiore – generale compreso – uguale ad ogni altro membro dellIstituto e nulla gli pi dovuto da nessuno ratione Officii; in realt la cosa identica anche per qualunque Vescovo non diocesano!

La questione, tra laltro, riguarda di principio la stessa articolazione interna del munus regendi (= le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziale – cfr. Can. 135) poich quanto il Codice attribuisce direttamente al Vescovo diocesano non glielo attribuisce Episcopati causa ma Officii causa, valendo allo stesso modo per i Prelati equiparati, anche se non Vescovi (cfr. Cann. 134 1; 368) e, mutatis mutandis, per altri Organi (unipersonali o pluripersonali) tipici della vita religiosa con funzioni capitali nel proprio ambito, come avviene per i supremi Moderatori (maschili e femminili) ed i Capitoli degli Istituti religiosi. Tanto pi che questo si verifica non solo nellambito esecutivo (che rimane comunque quello maggioritario e prevalente) ma anche in quello legislativo, visto che la maggior parte dei Capitoli ha la possibilit di disporre a livello statutario (= attivit legislativa). In ambito esecutivo, addirittura, lomogeneit qualitativa tra il governo gerarchico e quello degli Istituti religiosi stabilita per Legge dal Can. 596 1 e 3 che rimanda ai Cann. 131, 133, 137-144 proprio per lesercizio generale di tale ambito.

Ci dimostra che – nonostante la dottrina pressoch unanime (nel disimpegno teoretico e sistematico!) – il governo nella Chiesa non strutturalmente connesso alle persone ma soltanto alle loro funzioni, sempre distinte e temporanee, senza che il permanente substrato sacramentale dellOrdine costituisca un reale – e convincente – presupposto per lesercizio della maggioranza delle componenti del governo stesso.

Lunica discontinuit si riscontra in ambito giudiziale poich, quando non si tratti di Istituti clericali di Diritto pontificio – i cui Superiori maggiori, quindi, sono qualificati come Ordinari dal Can. 134, pur non essendo Vescovi – il Can. 1427 3 indica quale prima Istanza il Tribunale diocesano competente in base ai Cann. 1410-1413; vigendo di fatto la convinzione – pi che il fondato principio – che la c.d. potest giudiziale da esercitarsi in nome proprio richieda lOrdinazione presbiterale (necessaria per essere Ordinario), unico elemento – alla fine – effettivamente discriminante. In merito non si pu ritenere una semplice incongruit – ma una vera aporia ordinamentale – il fatto che chi pu stabilire Norme con valore di Legge (= Capitolo) ed urgere lapplicazione della Legge stessa anche con precetto penale, oltre che procedere disciplinarmente alla sua sanzione (= Superiore maggiore), non possa emettere una Sentenza negli stessi ambiti.

Dal punto di vista espressamente giuridico, inoltre, ladeguata distinzione tra persona e sue funzioni permette dindividuare chi governa nella Chiesa non come un procuratore (= che opera in nome e per conto di un altro), n tanto meno come un vicario o un delegato di Dio stesso, ma come suo semplice mandatario: egli riceve non un potere da esercitare in nome di Dio (sic!) ma una finalit/missione da realizzare un esito da conseguire secondo la volont di Dio stesso e da consegnare a Dio in quanto mandante e causa ultima di quellattivit (= la missione evangelica).

Tutto questo, non di meno, non toglie nulla allopzione – forse addirittura principio – ecclesiale che privilegia con continuit ininterrotta il carattere eminentemente personale dellesercizio del governo ecclesiale ordinario; questo infatti, a suo modo, Ǐ una garanzia della ragionevolezza degli Atti di governo in rapporto allunit e comunione della Chiesa che devono promuovere, al di l ed al di fuori delle contrapposizioni di partiti, schieramenti e fazioni, tipiche del governo socio-politico: molto pi pericolose per la vita della Chiesa di qualche decisione arbitraria o poco plausibile, spesso anche contestabile e ricorribile.

3.3 La questione del buon governo nella Chiesa

La portata ed il tenore delle presenti riflessioni appaiono utili per una sottolineatura critica rispetto ad una categoria giuridico-amministrativistica che sta riscuotendo un certo successo allinterno della dottrina canonistica dominante che, in queste tematiche, mutua volentieri le proprie categorie da quelle civilistiche, teorizzando – anche nella Chiesa – un vero diritto al buon governo.

In merito si permetta di osservare come questa prospettiva ecclesiologicamente non abbia realistiche possibilit di fondamento teoretico. Qualche considerazione in merito.

- Se di diritto si trattasse, dovrebbe essere diritto al governo tout-court in quanto ministero e responsabilit-cura, senza che la specifica buon possa apportare elementi aggiuntivi: un ministero, infatti, una responsabilit-cura (come tutela e garanzia) che non siano intrinsecamente buoni sarebbero davvero ci che i loro nomi indicano?

- Che poi un riferimento costitutivo al governo non risulti adeguato in ambito canonico, poich nella Chiesa (a differenza che nello Stato) tale funzione del tutto accessoria e meramente coordinativa dellaccesso a risorse comuni altrimenti non disponibili, gi stato messo in evidenza (v. supra).

- Non di meno: il binomio diritto e buon presuppone una strutturale dialettica tra governanti e governati, tra pubblico e privato, tra amministratori (pubblici in quanto gerarchicamente costituiti) ed amministrati, comprensibile – e forse addirittura necessaria – in campo civile ma chiaramente non collocabile a livello ecclesiale, dove tali polarizzazioni non hanno ragioni teologiche desistere.

In realt la ratio sottesa a questimpostazione in ambito ecclesiale non radicalmente dissimile da quanto avviene a livello civile: poich infatti nessun cittadino pu nulla contro lo Stato e le sue differenti articolazioni, gli si concede almeno di poterne esigere – di qui il diritto – unattivit virtuosa: il buon governo, appunto, che si concretizza in economicit, efficacia, semplificazione, per quanto riguarda lAmministrazione come tale (= al proprio interno) e imparzialit, pubblicit, trasparenza, partecipazione, responsabilit nei confronti dei soggetti (privati) che con lAmministrazione devono interfacciarsi.

Il diritto al buon governo, infatti, sorge allinterno della tensione strutturale tra lo Stato – ridotto ormai a puro regolatore locale di prevalenti interessi (economici) privati – ed i cittadini, che lo Stato stesso dovrebbe esprimere, oltre che tutelare e promuovere. Daltra parte chi, come cittadino, ha trasferito (anche passivamente, come nei Tributi) allo Stato proprie risorse esige – giustamente – una loro adeguata gestione e soprattutto efficiente restituzione, per quanto in forma non specifica: la questione della limitazione della libert in cambio della sicurezza, dei Tributi in cambio di servizi, delle standardizzazioni in cambio della concorrenza, ecc. secondo il modello contrattualistico che – unico – continua a legittimare lesistenza e lattivit dei diversi soggetti Stato e permette, per contro, ai cittadini di potersene anche difendere reclamando il proprio (da cui luso del termine diritto a). La natura, per, espressamente fondazionale (= da Cristo ai fedeli) e non consociativa (= dai fedeli a Cristo) della Chiesa non permette n tollera nulla del genere, a nessun livello.

Non di meno, gli elementi tipicamente ecclesiali sin qui illustrati ed espressi superano di gran lunga – ex ipsa natura rei – qualunque esigenza di riferirsi ad extra per rinvenire categorie, logiche, dinamiche ed istituzioni in grado di esprimere e supportare il governo ecclesiale.

4. Caratteristiche giuridiche del governo nella Chiesa

Per non apparire teorico (o addirittura ideologico), quanto sin qui illustrato in tema di governo nella Chiesa, soprattutto a riguardo delle sue qualit e modalit costitutive, merita una conferma anche per via legislativa attraverso il riscontro delle indicazioni che il Codice di Diritto canonico latino offre a coloro che in sommo grado esercitano la maggior parte del governo ecclesiale: Vescovi diocesani (ed equiparati) e Superiori religiosi (tutti). Lesemplarit sin qui riconosciuta alla vita religiosa far da guida anche a questo livello dindagine.

4.1 Il governo nella vita religiosa

I gi citati Canoni generali sul governo degli Istituti religiosi (Cann. 617-630) mettono in risalto gli elementi fondamentali per la concettualizzazione di tale attivit nella Chiesa tutta.

4.1.1 Fondamenti

- Il primo elemento da evidenziare il principio (comunemente definito di legalit) che indica in modo tassativo, per quanto generico, lestensione ed i limiti del governo esercitabile dai Superiori: le sole Norme del Diritto stabilite o riconosciute dalla Chiesa (cfr. Can. 617), senza che altri elementi o fattori possano influire sul cosa, quanto e come i Superiori possono esigere dai membri degli Istituti religiosi. Il non-previsto/normato non legittimamente esigibile n dovuto, confermando lesclusione sia di quanto riferibile a dominio/potere/autorit, sia del riferibile alla persona del Superiore come tale: gusti, interessi, sensibilit manie (v. supra). A questo proposito, non si dimentichi lintervento di Paolo VI nellEsortazione apostolica Evangelica Testificatio in cui ammette una legittima disobbedienza quando il Superiore agisca contro il Diritto divino e naturale e nella sua azione non rimanga dentro i confini della sua potest.

- Il secondo elemento di cui tener conto a livello di principio generale il riferimento divino della potest esercitata dai Superiori un riferimento che, per, vincola il Superiore come tale ben prima che i membri dellIstituto. Sono infatti i Superiori, proprio perch la potest che esercitano stata ricevuta – si badi: non conferita – da Dio a dover essere docili alla volont di Dio nelladempimento del proprio incarico (cfr. Can. 618). La volont di Dio, in tal modo, non la fonte ma la finalit di quanto il governo ecclesiale deve perseguire (v. supra: il riferimento al mandato). In coerenza col primo principio enunciato, si afferma poi che la potest di cui i Superiori godono non immediatamente riferibile a Dio – in modo personale/oracolare – ma transita mediante il ministero della Chiesa, rimandando cos alle disposizioni del Diritto, soprattutto in relazione allUfficio ecclesiastico ricoperto (v. supra) ed al principio di legalit.

- Il terzo elemento in qualche modo strutturante il governo ecclesiale la non-autoreferenzialit del suo esercizio: i Superiori, infatti devono avere il proprio Consiglio [] e nellesercizio del proprio Ufficio sono tenuti a valersi della sua opera (Can. 627 1), senza che – in realt – la differenza tra parere e consenso richiesti dal Diritto nei diversi casi (cfr. Can. 127) possa rendere in alcun modo superflua la presenza e la funzione del Consiglio stesso. Questo per, a ben vedere, mette in risalto come il governo ecclesiale risponda effettivamente alle dinamiche proprie del discernimento (v. supra).

4.1.2 Modalit

Caratteristico della Normativa canonica il suo non limitarsi alla mera enunciazione di attivit o condotte imposte, possibili o vietate e neppure a semplici formalit oggettive di loro esecuzione. In Diritto canonico, infatti, normale – e forse costitutivo – esplicitare anche modalit soggettive (= veri e propri atteggiamenti) connesse alladempimento di quanto richiesto dal Diritto stesso; ci risponde, infatti, alla radice personalistica e non individualistica del Diritto canonico.

in questottica che il Legislatore pone esplicite richieste comportamentali – in realt sostanziali obblighi – a coloro che esercitano il governo allinterno della vita religiosa; richieste comportamentali che, attraverso specifiche condotte e, pi ancora, concrete attivit da realizzare, declinano puntualmente la concezione del governo come responsabilit e cura (attraverso tutela e garanzia). Ed proprio in ragione di tale responsabilit che a coloro che governano devessere comunque riconosciuta lautorit loro propria di decidere e di comandare ci che va fatto (Can. 618).

Basti in questa sede unelencazione sommaria, corrispondente ai Cann. 618, 619, 626 e 628.

Secondo il Legislatore canonico lesercizio del governo nella vita religiosa della Chiesa comporta:

- reggere i sudditi quali figli di Dio,

- suscitare la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana,

- ascoltare volentieri e promuovere altres la concorde collaborazione per il bene dellIstituto e della Chiesa,

- adoperarsi insieme per costruire in Cristo una comunit fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa,

- dare di persona e con frequenza ai religiosi il nutrimento della Parola di Dio,

- indirizzare alla celebrazione della sacra Liturgia,

- essere di esempio nel coltivare le virt e nellosservare le Leggi e le tradizioni del proprio Istituto,

- provvedere in modo conveniente a quanto personalmente occorre a ciascuno,

- visitare gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie,

- riprendere gli irrequieti, confortare i timidi,

- essere pazienti con tutti,

- astenersi da qualunque abuso o preferenza di persone nel conferire Uffici ed incarichi, nullaltro avendo di mira che Dio e il bene dellIstituto,

- nominare o eleggere le persone che nel Signore si riconoscono veramente degne e adatte,

- rifuggire dal procurare in qualunque modo voti per s o per altri, nelle elezioni, sia direttamente sia indirettamente,

- visitare le Case e i singoli.

4.2 Il governo nella vita delle Chiese particolari

La ricognizione legislativa si sposta ora sulle Norme pi generali fissate dal Codice latino per guidare i Vescovi diocesani (e gli equiparati ad essi) nellesercizio dello specifico governo loro affidato nella Chiesa (cfr. Cann. 381-402); un governo che abbraccia orizzonti ampi quanto lintera vita ecclesiale, rivolgendosi alla generalit delle persone e delle realt presenti entro i confini della Diocesi (o altra Circoscrizione equiparata), compresi gli stessi Istituti religiosi di Diritto diocesano. Un governo che, per quanto in nulla paragonabile a quello della vita religiosa sia in ragione degli oggetti che dei soggetti interessati, tuttavia – con evidenza – non muta le caratteristiche sostanziali e costitutive del governo ecclesiale gi indicate.

Poich la diversa struttura codiciale di queste Norme rispetto a quelle sui Superiori religiosi non permette un ragionevole parallelismo di trattazione, soprattutto a livello di fondamenti, si far riferimento alle sole Norme riguardanti le modalit di esercizio del governo gerarchico ecclesiale principalmente attraverso i Cann. 383-387, 389, 392 e 394, che vanno per integrati con altre Norme rubricate come riguardanti la Chiesa particolare o altri ambiti giuridici, comՏ per i Consigli diocesani, tenendo conto anche del fatto che in relazione al Vescovo diocesano il Codice preferisce indicare luso di veri e propri Istituti giuridici consolidati dalla tradizione canonica che non di soli atteggiamenti.

Per contro, non sar difficile ricondurre le concrete attivit prescritte al Vescovo diocesano agli stessi presupposti gi illustrati in tema di [a] non-dominio/potere/autorit, [b] discernimento, [c] responsabilit e cura (attraverso tutela e garanzia), con una nettissima prevalenza proprio di questa specifica componente.

Dal punto di vista della responsabilit e soprattutto cura, nella propria attivit di governo il Vescovo diocesano deve:

- mostrarsi sollecito nei confronti di tutti i fedeli che sono affidati alla sua cura, provvedendo anche alle necessit spirituali dei fedeli di Rito diverso,

- avere un atteggiamento di umanit e di carit nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche lecumenismo,

- considerare affidati a s nel Signore i non battezzati,

- seguire con particolare sollecitudine i Presbiteri,

- difendere e curare i diritti dei Presbiteri in modo che adempiano fedelmente gli obblighi propri del loro stato e in modo che abbiano a disposizione i mezzi e le Istituzioni di cui hanno bisogno per alimentare la vita spirituale e intellettuale,

- fare in modo che si provveda al loro onesto sostentamento e allassistenza sociale,

- favorire in sommo grado le vocazioni ai diversi ministeri e alla vita religiosa,

- proporre e spiegare ai fedeli le verit di fede che si devono credere e applicare nei costumi, predicando personalmente con frequenza,

- curare che si osservino fedelmente le disposizioni e i Canoni che riguardano il ministero della Parola, soprattutto lomelia e la formazione catechetica,

- difendere con fermezza lintegrit e lunit della fede che si deve professare,

- impegnarsi a promuovere con ogni mezzo la santit dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno,

- adoperarsi di continuo perch i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti e perch conoscano e vivano il mistero pasquale,

- presiedere frequentemente alla celebrazione della santissima Eucarestia,

- promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perci urgere losservanza di tutte le Leggi ecclesiastiche,

- vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della Parola, nella celebrazione dei Sacramenti e dei Sacramentali, nel Culto di Dio e dei santi e nellamministrazione dei beni,

- favorire nella Diocesi le diverse forme dellapostolato e curare che tutte le opere di apostolato siano coordinate sotto la sua direzione,

- sollecitare ladempimento del dovere, a cui sono tenuti i fedeli, di esercitare lapostolato secondo la condizione e lattitudine di ciascuno ed esortarli a partecipare e a sostenere le varie opere di apostolato, secondo le necessit di luogo e di tempo,

- visitare ogni anno la Diocesi.

Dal punto di vista pi specifico del discernimento, nella propria attivit di governo il Vescovo diocesano deve poi:

- ascoltare i Presbiteri come aiutanti e consiglieri,

- costituire il Consiglio diocesano per gli affari economici (Can. 492) e giovarsene a norma di Diritto,

- nominare lEconomo diocesano (Can. 494),

- costituire il Consiglio presbiterale (Can. 495) e giovarsene a norma di Diritto,

- nominare il Collegio dei Consultori (Can. 502) e giovarsene a norma di Diritto,

- costituire – se lo suggerisce la situazione pastorale – il Consiglio pastorale (Can. 511) e giovarsene a norma di Diritto.

Dal punto di vista del non-dominio/potere/autorit, nella propria attivit di governo il Vescovo diocesano deve:

- offrire un esempio di santit nella carit, nellumilt e nella semplicit di vita.

5. Per concludere

Il percorso proposto in queste riflessioni ha cercato di soffermarsi maggiormente sulle caratteristiche e modalit del governo nella Chiesa piuttosto che illustrarne le varie tipologie regolamentate dal Diritto, nella convinzione che la maggior parte dei problemi connessi al governo ecclesiale non derivino dalle strutture ma dalle modalit, non dalle Istituzioni ma dagli uomini da quello che viene chiamato anche stile e che caratterizza cos profondamente ogni persona, prima di tutto nel suo rapportarsi con gli altri.

Proprio lattenzione alle modalit ha permesso di fare un discorso abbastanza unitario, espressamente volto a superare molte delle distinzioni e questioni tradizionali connesse al governo ed ai suoi presupposti pi formali, cercando anche di offrire alla Canonistica del nostro tempo linee e prospettive di sviluppo che tengano conto della realt ben prima che delle opinioni, per quanto sistematiche.

Il Diritto canonico, daltra parte, non un insieme di Norme e disposizioni (spesso attribuite direttamente a Dio stesso), ma un modo di organizzare e gestire la vita comunitaria dei discepoli di Cristo, dando indicazioni pi che precetti, cosicch siano la comprensione delle motivazioni e la condivisione delle finalit a formare le scelte e sostenere le decisioni e la loro assunzione anche quelle pi difficili e costose, tanto per la Comunit che per i singoli, in una prospettiva che non richiede n autorit n obbedienza ma corresponsabilit, essendo tutti implicati nel conseguimento della stessa missione.


in: G. GURCIULLO - E. STRINO (curr.), Governo fraterno. La novit di Francesco d'Assisi nella societ delle relazioni liquide, Bologna, 2018.