Diritto canonico e Pastorale: la norma missionis

1. Il contesto canonistico di riferimento

La Canonistica ecclesiastica del secondo dopoguerra, superate la fase precettistica dell800 e quella codicistica del primo 900, stata attraversata dal vero dilemma teoretico tra [1] la fondazione del Kirchenrecht (improvvidamente inteso come Diritto ecclesiale) che vide maggiormente impegnati i canonisti dispirazione germanica, e [2] il rilievo tecnico-dogmatico del Diritto canonico codiciale che coinvolse maggiormente gli autori sia della c.d. Canonistica curiale, impegnata nel tte--tte con la Scuola laica italiana (canonistica ed ecclesiasticistica), sia dellindirizzo sistematico-ricostruttivo dispirazione spagnola.

In tal modo la Canonistica degli anni di preparazione al Concilio e di quelli successivi (che accompagnarono la revisione del CIC) si ritrov letteralmente divisa come gli equipaggi di navi che solcano lo stesso oceano ma in emisferi diversi: ciascuno con un proprio polo e proprie stelle di riferimento, separate dalla linea equatoriale, tanto evanescente quanto determinante, soprattutto col suo impedire la reciproca rapportabilit di qualunque riferimento e conclusione.

Il quadro generale derivatone fin per creare una forbice le cui punte si allontanarono progressivamente indirizzando i due approcci verso esiti di tutta incomunicabilit quando non addirittura antitetici, come ha ben dimostrato la complessa vicenda della Lex Ecclesi Fundamentalis, dispersa tra i flutti nonostante fosse salpata da un grande cantiere teoretico impossibilitata, per, ad attraccare a porti costruiti secondo ben altre misure e caratteristiche strutturali e funzionali.

In modo solo orientativo si potrebbe affermare che fondazione e costituzione/ricostruzione furono per decenni le parole dordine delle due correnti canonistiche dominanti: veri assiomi indubitati e non-negoziabili che contrapposero di fatto (sebbene la tensione pi superficiale di quegli anni non abbia permesso ai pi di accorgersene) profondit e stabilit del Diritto della Chiesa. La profondit fondativa e la stabilit costituzionale/ricostruttiva: teologica la prima, giuridica la seconda incomparabili ed insostituibili – proprio come lOrsa minore e la Croce del Sud per i naviganti dei due emisferi –.

In realt alla base della problematica e dei diversi approcci dottrinali si poneva la questione, ben pi radicale, delleffettiva consistenza del Diritto canonico: una consistenza che alcuni ricercarono ab extra nel fondamento teologico, ed altri ab intra nella completezza dellOrdinamento giuridico. Le rispettive geografie teoretiche presentarono agli uni ed agli altri differenti scogli e secche da cui tenersi alla larga, oltre a vere e proprie tempeste, sia improvvise che preannunciate, alle quali far fronte e tener testa. Nondimeno ci non imped che tali uomini (come naviganti esperti), quando si ritrovarono seduti in qualit di Consultori negli stessi Gruppi di studio per la revisione codiciale, riuscissero a parlare la stessa lingua e a raggiungere soluzioni pratiche condivise o concretamente compatibili. Il Diritto canonico e la vita della Chiesa, in fondo, erano il loro mestiere!

N lindirizzo fondazionale n quello costituzionale/ricostruttivo, tuttavia, affrontarono il vero problema ripetutamente postosi sia durante la (prima) codificazione canonica che durante la sua revisione: la consistenza del Diritto canonico, che comportava la domanda intorno alla sua identit. Di fatto la concentrazione dottrinale sul perch oppure il come del Diritto canonico portarono ad evadere sistematicamente – e per decenni – la domanda ben pi radicale sul cosa del Diritto canonico stesso. Lesistenza materiale del Diritto canonico, daltra parte, in ambito cattolico non era (mai stata) qustio dubitata, trattandosi di un fatto coestensivo allesperienza e storia della Chiesa stessa. In dubbio ne erano invece, soprattutto durante gli anni della revisione codiciale, le concrete modalit espressive.

Lavvento del nuovo millennio, per parte propria, non ha offerto apporti significativi capaci di spostare il baricentro tematico verso luno o laltro campo, nonostante un evento normativo che, in linea teorica, avrebbe potuto mutare qualche equilibrio ed aprire nuove prospettive: la creazione – quindici anni orsono – della Disciplina accademica denominata Teologia del Diritto canonico. Tristemente –  il caso di dirlo – tale evento, che avrebbe potuto costituire una vera soglia epistemologica per lintera Canonistica, stato riassorbito dalle suddette correnti che ne hanno immediatamente dirottato le risorse e gli esiti esattamente nei solchi delle originarie professiones fidei: fondazionale e/o costituzionale/ricostruttiva. La fides fondazionale, infatti, dallintroduzione della nuova Disciplina accademica ha tratto energie per radicare ancora maggiormente la questione stessa in prospettiva teologica; la fides costituzionale/ricostruttiva, nondimeno, si orientata sui fondamenti (costituzionali) dellOrdinamento canonico, in gran parte allombra di presupposti e concettualizzazione del neo-costituzionalismo del secondo Novecento. I programmi didattici ed i testi adottati in sede accademica per la docenza di tali Discipline non lasciano dubbi in merito.

Consistenza ed identit del Diritto canonico rimangono cos a tuttoggi ancora estranee alla riflessione – e consapevolezza – dottrinale della maggior parte dei canonisti (e non solo): questione impercettibile e, in fondo, concretamente inutile se in settantanni – quasi – nessuno se nՏ interessato. Il quasi nessuno – tuttavia – dobbligo poich in effetti nella seconda met degli anni Sessanta qualche autore aveva intrapreso un tentativo in tale direzione affermando lucidamente che

i teologi della Pastorale accusano il Diritto canonico di non avare una agilit sufficiente e di mancare defficacia strumentale. Essi non dimenticano che la finalit del Diritto canonico la salvezza delle anime. Essi sanno che entro questi due poli – la costituzione sociale della Chiesa, e la salvezza delle anime – il Diritto canonico uno strumento per la Pastorale, e che come tale si deve continuamente revisionare la sua fedelt teologica ed il suo adeguamento pastorale. La costituzione sociale della Chiesa, non essendo immutabile che nelle sue linee sostanziali, rende questa revisione possibile; e le necessit cangianti della Pastorale la rendono necessaria. Si comprende che la teologizzazione del Diritto canonico assolutizza le Leggi canoniche, le immobilizza e le fissa col rigore assoluto dellimmutabilit della verit teologica, trasmettendo questa stessa immobilit alla Pastorale, mentre questa per definizione dinamica e agile, come la vita stessa. Di qui il pregiudizio pastorale che ne deriva.

Un punto di partenza che, lentamente ma senza ripensamenti, diede origine e sostegno programmatico ad un sentire canonistico consapevolmente indirizzato ad altri approdi rispetto a quelli dottrinalmente dominanti, preparando il terreno al consolidarsi di idee ormai in grado, non solo di tenere il campo, ma di presentarsi come davvero prospettiche proprio per lidentit stessa del Diritto canonico.

2. Un cambio di passo per il Diritto canonico

Nonostante tale generale ristagno delle prospettive dottrinali, il cammino di riflessione canonistica intrapreso sul cambio di millennio in chiave di consistenza ed identit del Diritto canonico ha ricevuto unindubbia accelerazione con la riforma del Processo giudiziale di dichiarazione della nullit del Matrimonio operata da Papa Francesco nel settembre 2015: una riforma della cui strutturalit si sta prendendo coscienza solo in sordina al di l di molti strepiti spesso meramente funzionali che ne sono derivati, soprattutto nei primi tempi.

In effetti: la materia e lo strumento verso cui sՏ indirizzata la riforma processuale bergogliana hanno letteralmente spiazzato dal punto di vista teoretico entrambe le fides canonistiche post-moderne, mettendone in evidente risalto la comune incapacit di cogliere e tematizzare un utilizzo del Diritto – e pertanto una sua consistenza/identit – diverse sia dalla prospettiva fondazionale che da quella costituzionale/ricostruttiva. Un intervento radicale di sostanziale modifica (bisognerebbe dire ontologica) del Diritto canonico come tale e non di semplice aggiustamento dei suoi Codici, comerano invece stati tutti gli altri interventi novatori susseguitisi dal 1998: una modifica palesemente ingiustificabile ed indimostrabile (in termini teoretici e sistematici) sia in prospettiva fondazionale che costituzionale/ricostruttiva. E tutto senza che in qualche modo sia stata messa in discussione la potest pontificia di operare in tal senso sul e attraverso il Diritto canonico: ci che conferma la rispondenza tra loperato del supremo Legislatore e lessenza/identit del Diritto canonico stesso. Nondimeno: le numerosissime critiche alla modifica codiciale si sono collocate prioritariamente entro lambito tecnico (e funzionale), letteralmente incapaci, invece, di confrontarsi dal punto di vista teoretico e sostanziale sia con la riforma che, molto maggiormente, coi suoi presupposti. N fondazione (teologica), n costituzione/ricostruzione (ordinamentale), daltra parte, sono in grado di fare davvero i conti con lelemento che ha letteralmente invaso il campo di gioco ormai abituale da settantanni: la Pastorale! Il fatto assume tanto maggior rilievo se si tiene in considerazione che – come anticipato poco sopra – proprio la Pastorale aveva gi tentato di affacciarsi sullo scenario canonistico post-conciliare dalle pagine della Rivista Concilium, finendo per immediatamente fuori gioco rispetto alla bi-polarizzazione dottrinale gi dominante da qualche decennio. Pochi gli autori che tennero – variamente – fede a quelloriginaria intuizione epistemologica (e metodologica), ben presto risospinta fuori campo, dopo aver collezionato pi fraintendimenti e giudizi (negativi) che non adeguata attenzione per ci che il Concilio aveva cercato di innescare nella vita ecclesiale: la pastoralit, appunto.

Proprio la Pastorale, tuttavia, costituisce lorizzonte non solo ermeneutico ma pure epistemologico della riforma processuale, incastonata – non a caso – tra le due tappe dei Sinodi dedicati alla famiglia ed alle profonde problematiche da cui essa scossa in questi decenni. Daltra parte, che proprio quello sia il Sitz in Leben (e pertanto il motivo) della riforma stessa lo afferma il testo normativo nella sua parte espositiva:

In questo senso sono anche andati i voti della maggioranza dei miei Fratelli nellEpiscopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario, che ha sollecitato Processi pi rapidi ed accessibili. In totale sintonia con tali desideri, ho deciso di dare con questo motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullit dei Matrimoni, ma la celerit dei Processi, non meno che una giusta semplicit, affinch, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio.

Come pu, tuttavia, un mero riferimento generico alla Pastorale risolvere di principio una problematica della portata sopra indicata? Un riferimento, nondimeno, che il testo del m.p. opera espressamente nei termini classici della salus animarum (4 volte), mentre pastorale appare (3 volte) come semplice aggettivo per specificare realt quali: prudenza, esercizio, ufficio.

Tanto pi che lo stesso sostantivo Pastorale (ed il correlato concetto) ha ormai perduto gran parte della sua significativit in ragione delluso indiscriminato che ne stato fatto proprio a partire dal post-Concilio: considerato dapprima il toccasana di qualunque situazione, per poi diventare – sempre pi diffusamente – sinonimo di mera funzionalit (spesso neppure efficace n competente) quando non anche di semplice condiscendenza, nonostante i pregevoli sforzi di autentiche scuole di pensiero impegnate a non lasciar cadere nel nulla ci che il Concilio aveva intravisto e sollecitato.

In questo contesto, un canonista attuale sar in grado di riconoscere che, pur nella fragilit del termine e della sua concettualizzazione, il termine/concetto pastorale esprime per due tensioni canonisticamente rilevabili ed apprezzabili, di per s assenti sia nellapproccio fondazionale che in quello costituzionale/ricostruttivo: loperativit ed il futuro. Due elementi/fattori di estroversione non riscontrabili (n compatibili) nella profondit fondativa e nella stabilit costituzionale/ricostruttiva. Due fattori per che, poich non orientati a supportare il Diritto canonico in s e per s ma (soltanto – sic) a caratterizzarne la funzione nella vita ecclesiale, ne possono esprimere efficacemente il fine (= telos), prima che la causa (= arch) o la logica (= ratio): quello stesso fine che ha motivato il cambio cos radicale del Processo di nullit matrimoniale.

3. Consistenza, identit e fine del Diritto canonico

Porsi in termini finalistici, anzich causali, libera per dal pregiudizio del dover giustificare la presenza/esistenza del Diritto nella Chiesa, emancipando cos dalla deriva apologetica che ha fortemente caratterizzato la prospettiva fondazionale, di fatto costruitasi intorno alla necessit – a suo modo ontologica – di stabilire se il Diritto stesso una realt cos essenzialmente insita nella struttura propria della Chiesa, che senza il Diritto la Chiesa non sarebbe quello che , secondo listituzione di Cristo, come ben espresso circa quarantanni fa da Francesco Coccopalmerio.

Volgere lattenzione e linteresse alle finalit offre, inoltre, due grandi vantaggi per la Scienza canonistica: uno metodologico ed uno ermeneutico. Dal punto di vista metodologico sar sufficiente – sebbene non sempre immediato – illustrare (ben diverso da giustificare) come allinterno della vita ecclesiale si siano gradualmente sviluppare le dinamiche – prima relazionali, poi istituzionali – che hanno progressivamente portato a quello che oggi chiamiamo Diritto canonico, e riconosciamo come Diritto in senso proprio. Dal punto di vista ermeneutico porre al centro dellattenzione un target, cio un obiettivo da raggiungere, offre possibilit di comprensione della realt (storica ed attuale) molto superiori a quelle imposte dalla necessit di dare corpo ad un sistema assiomatico-deduttivo in qualche modo gi dato, senza che rilevi granch la sua impostazione fondativa o costituzionale/ricostruttiva.

Va considerato pure, soprattutto oggi, che proprio lapproccio finalistico al Diritto canonico risulta espressamente coerente con la Pastorale: ne costituisce, anzi, la principale espressione, se la Pastorale identificabile con lattivit di cura e di guida del Popolo di Dio verso il compimento eterno di quella salvezza che gi opera entro i limiti della storia umana attraverso la fede in Cristo. In tal modo: lorizzonte di cui il Diritto canonico parte diventa prima di tutto ecclesiale e non semplicemente religioso; in secondo luogo: le dinamiche specificamente intra-giuridiche si manifestano palesemente insufficienti ad esprimere – e realizzare – la finalit pi autentica del Diritto di cui la Chiesa si progressivamente dotata.

- Il passaggio dal religioso allecclesiale quale oggetto/materia di specifica competenza del Diritto canonico – attuale – essenziale per la sua identificazione e consistenza poich lecclesiale sostanzialmente connesso e funzionale alla (sola) vita della Comunit cristiana, mentre il religioso rischia forti derive ontologistiche, poich riferito/riferibile immediatamente alla divinit ed alle sue cose (= le res divin/sacr). Per contro: le autentiche professioni di fede circa la sacralit – invece della teologicit (sic!) – del Diritto canonico espresse nella Canonistica nel secolo scorso non lasciano dubbi circa la sottostante confusione concettuale ed epistemologica tra Diritto canonico e Morale religiosa.

- Pure luscita dagli steccati del giuridico come sistema logico-tecnico totalizzante, capace di esprimere in s – anche a priori – lintera vita ecclesiale alla luce di qualche specifico approccio (sub specie iusti/iustiti, o communionis, ecc.) permette di riconoscere il Diritto canonico nella sua funzione di stabilizzazione e consolidamento della vita ecclesiale sia rispetto ad acquisizioni indubitate, sia innanzi a nuovi scenari, prima antropologici che socio-culturali. Ha scritto in proposito Papa Francesco in Evangelii Gaudium:

Nel suo costante discernimento, la Chiesa pu anche giungere a riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono pi interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non di solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, per ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo stesso modo, ci sono Norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche, ma che non hanno pi la stessa forza educativa come canali di vita.

Che le istanze cos espresse possano condurre alla proposta, se non alladozione immediata, di un nuovo paradigma capace di guidare la Canonistica ad offrire un efficace e utile servizio alla vita attuale della Chiesa, pare oggi inevitabile. Un nuovo paradigma che ha ormai radici profonde nella consapevolezza e comprensione ecclesiali messe in moto dal Concilio Vaticano II. Un nuovo paradigma che trova nella missione ecclesiale il suo fulcro e nella istituzionalizzazione la propria dinamica di base. Missione ed istituzionalizzazione che i canonisti dovranno saper cogliere come i due poli tra i quali si delinea e sviluppa lintera realt ecclesiale sia lungo i secoli, sia in ciascun luogo e tempo nei quali la Chiesa si renda presente col suo esserci.

4. Chiesa, Cristo e missione

Al di l del problema – in realt fittizio (almeno nella prospettiva che qui ci occupa) – del quando o da quale specifico evento sia nata la Chiesa (Pentecoste, Pasqua o altro), ci che davvero conta che la sua identit (= id quod est) chiara ed irrinunciabile fin dallinizio del ministero di Ges stesso. Un ministero fatto essenzialmente ed inequivocabilmente di annuncio, a cui quasi immediatamente sono stati associati dei collaboratori denominati addirittura in modo formale inviati (= apostoli) scelti espressamente per mandarli a predicare (cfr. Mc 3,14; 16,20; Mt 10,6; 24,47), in modo simile alla propria attivit (cfr. Mt 4,17; 11,1; Mc 1,38-39; Lc 4,44; 8,1). Ges stesso, nondimeno, ha letto la propria vicenda come missione affidatagli dal Padre; una missione che egli trasmette ai suoi Apostoli in modo formalizzato ed autorevole: con exousa (cfr. Gv 20,21).

Non basta tuttavia riconoscere ed assumere che lauto-comprensione di Ges sia stata quella del missionario (cfr. Gv 4,34; 20,21): necessario scendere pi in profondit dal punto di vista espressamente teologico, dovendosi ammettere che non tutte le missioni sono uguali e ci non in ragione degli strumenti o delle modalit ma, molto pi profondamente, in ragione del loro specifico oggetto. Mos, Samuele, Elia, Isaia, Geremia, Giovanni Battista, Maria di Nazareth sono stati destinatari di vere missioni da parte di Dio; nessuna di queste, per, paragonabile a quella di Ges Cristo, esattamente per ci che ne riguarda il contenuto e loggetto. Un contenuto ed oggetto che non coincidono affatto con qualcosa da compiere/eseguire/realizzare (comՏ un mandato), fosse anche la Pasqua: qualcosa che si pone – ancora – nellordine delle cose da fare. Un contenuto ed oggetto che, invece, devessere riconosciuto e colto nellattivit originaria di Ges stesso: lannuncio della buona notizia, good news si direbbe oggi. Ci che il primo e lultimo Evangelista (in termini cronologici) hanno ben colto nellintraprendere la loro opera: Inizio del Vangelo di Ges, Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1); Dio, nessuno lo ha mai visto: / il Figlio unigenito, che Dio / ed nel seno del Padre, / lui che lo ha rivelato (Gv 1,18). Un oggetto e contenuto che lEvangelista Luca, nella propria peculiare prospettiva teologica, non esita a rendere davvero costitutivo dellopera di Ges e della sua stessa identit:

Lo Spirito del Signore sopra di me; / per questo mi ha consacrato con lunzione / e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / a rimettere in libert gli oppressi, / a proclamare lanno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).

Ci in cui consiste in modo originario ed originante lopera/missione di Ges (= lannuncio della buona notizia) esso stesso essenzialmente caratterizzato dallessere annuncio: un annuncio il cui contenuto (fuor da ogni tautologia) lannuncio stesso! Come una poesia o un brano musicale che sono ci che contengono/esprimono/comunicano. il gioco sintattico di Marco attraverso lutilizzo di un genitivo indecidibilmente oggettivo e soggettivo allo stesso tempo (cfr. Mc 1,1): la buona notizia di Ges (= quella che Lui stesso ha annunciato, allinizio), ma anche quella che Lui stesso costituisce, dopo la Pasqua.

Si tratta, qui, di superare – con vero impeto teologico – i riduzionismi scolastico-metafisici che hanno via via trasformato la Rivelazione da evento a – mero – contenuto informativo: loriginaria buona notizia per lesistenza personale (cfr. Lc 4,18-19) fatta conoscere perch abbiano la vita e labbiano in abbondanza (Gv 10,10) trasformata in una serie di informazioni sul cosmo intero. Lo stesso Apostolo Paolo (in persona o pseudo-epigraficamente) aveva gi messo a fuoco e proposto il corretto approccio e la giusta prospettiva quando identific il mistero, nascosto da secoli ma rivelato in Cristo, con lespressione, pi esistenziale che informativa, Cristo in voi, speranza della gloria (Col 1,27). Un concetto ricorrente nella predicazione paolina, nella quale – generalmente – mistero non ha portata nozionale ma riferito allevento Cristo.

Che la missione di Cristo (= ci che egli fece) sia stata fondamentalmente annuncio e che il contenuto di tale missione (= ci che egli disse) sia stato, a sua volta, annuncio non lasciano dubbi sulla identificazione/identit tra missione ed annuncio: la missione non qualcosa che Cristo affida – quasi estrinsecamente – agli Apostoli dopo la Pasqua come se si trattasse di qualcosa di nuovo, ulteriore, successivo. La missione affidata agli Apostoli esattamente la continuazione dellattivit evangelizzatrice di Ges stesso! Il buon annuncio (= euanghlion) proclamato inizialmente da Ges continua ad essere proclamato dai suoi Apostoli e dai discepoli tutti: questa continuit strutturale – che lEvangelista Luca evidenzier in modo esplicito – che rende fondamentalmente inutile la ricerca del momento/fatto preciso dellincipit della Chiesa come tale. Essa, infatti, come contenuta (= presunta, supposta) nellessenza stessa dellannuncio che le stato affidato. Daltra parte: un annuncio (= news) che perda il proprio interesse, il proprio mordente sulla vita dei suoi destinatari e smetta di essere proclamato e diffuso diventa una semplice informazione (= data): esattamente come accade alle c.d. notizie che ogni giorno riempiono i giornali e, dal giorno successivo, passano allarchivio di ci che, semplicemente, ҏ accaduto. In questottica si sono sviluppate, soprattutto lungo il Novecento, le Teologie basate sullevento Cristo anzich sulla dottrina proclamata da Cristo.

Un profilo costitutivo e funzionale di questo tipo non facilmente riconducibile alle dinamiche socio-culturali, n filosofiche, n propriamente religiose, che lumanit conosce e mette in atto da sempre: le travalica e le travolge, trasferendo alla Comunit, radunata per ascoltare e proclamare nuovamente questo annuncio (= la Ekklēsa), la propria stessa dinamicit ed estroversione. Proprio tale dinamica, nondimeno, ha sempre caratterizzato la vita ed attivit ecclesiali, impedendo alla Chiesa didentificarsi troppo immediatamente con ununica etnia (a differenza dellEbraismo) oppure con un unico assetto socio-politico (a differenza dellIslam). Linarrestabile spinta missionaria che il Cristianesimo, soprattutto occidentale, ha sempre saputo e continuato ad esprimere – nonostante i continui tentativi di sua reclusione entro i confini politici di questo o quellaltro Impero – ne rimane la contro-prova pi efficace.

Il Vangelo non pensiero ma annuncio! Non una idea ma una notizia! Per questo la missione non pu essere intesa – semplicisticamente – come una attivit che la Chiesa svolge, ma come la identit stessa che la Chiesa deve continuamente ri-scoprire e ri-assumere, non potendo evitare a se stessa di rimanerne profondamente condizionata proprio nella sua stessa identit e consistenza. stata questa una delle maggiori consapevolezze maturate e conseguite attraverso il Concilio Vaticano II e recepite con chiarezza da molta Teologia degli ultimi decenni.

5. Chiesa, missione e Pastorale

Come ben documentato da Severino Dianich gi quarantanni fa: la connessione tra Chiesa e (sua) missione, al di l di molte presunzioni post-conciliari, una delle tematiche teologiche portanti del Novecento europeo, sia riformato che cattolico, gi a partire dagli anni 40 del secolo scorso. Lautore osservava tuttavia – gi al tempo – che il dibattito sulla missione della Chiesa si svolge quasi sempre su terreni diversi da quello dellEcclesiologia, segnatamente ci che oggi di solito indicato come Teologia politica, evidenziando cos una circostanza in qualche modo strutturale che ha impedito alla Canonistica, nella sua maggior parte, di considerare adeguatamente il tema della missione in relazione allidentit (o natura) ecclesiale, soprattutto negli anni della revisione codiciale (= gli stessi nei quali lautore scriveva) e della redazione finale del CIC del 1983, che allazione missionaria della Chiesa dedica espressamente solo 12 Canoni (cfr. Cann. 781-792). Studiando con attenzione la tematica a partire gi dalle sue radici prebelliche, lallora giovane ecclesiologo sollecitava la necessit di ripensare tutta lEcclesiologia per poterla riscrivere facendo della missione non gi uno dei suoi capitoli, bens la sua dimensione fondamentale, partendo con rinnovato vigore dai maggiori testi conciliari in materia: LG 17 (v. infra) e AG 2, oltre che dalla prospettiva sviluppatasi poi a partire soprattutto da Gaudium et Spes in ragione di una concezione dei rapporti Chiesa-mondo non esattamente continuativa rispetto a quelli del Concilio precedente, e della mentalit che lo aveva supportato.

Lapproccio va tuttavia ampliato evidenziando un fattore decisivo per la delineazione e lo sviluppo della tematica, sino ad oggi scarsamente considerato (almeno dai canonisti): il rapporto tra missione e Pastorale, che Dianich (in tale sede) non affront espressamente ma sul quale continua ad offrire un contributo sostanziale attraverso la sua riflessione, intrapresa a partire dallevoluzione del concetto di missione ecclesiale.

Quando P. Charles lanciava la formula della plantatio Ecclesi come scopo della missione e sosteneva che il missionario incaricato non di salvare le anime, ma di instaurare dove ancora non esiste, il mezzo ordinario della salvezza, ossia la Chiesa visibile, portava fuori dalle angustie dellindividualismo astorico il tema della salvezza cristiana aprendolo, se pure con inadeguatezza di strumenti, alla sua dimensione ecclesiologica.

La prospettiva cos suggerita fondamentale per la Canonistica, non solo poich scardina dal punto di vista teologico il presupposto indubitato della salus (singolarum) animarum per inaugurare una prospettiva propriamente ecclesiologica ma, molto maggiormente, perch permette di cogliere – riproponendolo a rovescio – ci che, in realt, aveva causato leffettiva fine della missione nella Chiesa antica, trasformandola nella Pastorale. Va infatti riconosciuto che

in un quadro di riferimento determinato dalla limitata conoscenza del pianeta e da una prospettiva storica scorciata, in forza di unaccentuata escatologia apocalittica, ben presto nella Chiesa del primo secolo si afferm lidea che la missione, essenziale opera degli Apostoli, era stata da loro stessi fondamentalmente compiuta. Non si pu neanche escludere che questa fosse la loro stessa convinzione, se pensiamo che Paolo scrivendo ai Romani prevede un suo viaggio in Spagna, per il desiderio di raggiungere lestremo Occidente in modo che la sua opera potesse risultare, in fine, totalmente compiuta: dallOriente allOccidente.

Partendo cos dal presupposto che la fede cristiana sia gi condivisa da tutta la popolazione del Paese, non si pone al centro della vitalit della Chiesa limpegno della comunicazione della fede, ma la cura pastorale dei credenti. In tal modo per, gi prima del IV-V secolo

lidea della missione compiuta ha comportato una sostituzione, al centro, di quella che si felicemente chiamata la cura delle anime al posto dellevangelizzazione vera e propria. Si opera in questo paradigma con il presupposto che il mondo, o almeno tutta la popolazione del proprio territorio, cristiana e che il compito della Chiesa, o meglio dei suoi ministri ordinati, quello di aiutare gli altri cristiani, i laici, a salvarsi lanima. Il presupposto di operare allinterno di un Paese cristiano porta con s anche il convincimento che la societ intera, con la sua struttura sociale e politica, cristiana.

Conseguenza immediata di tale autocomprensione fu lesaurirsi della missione ecclesiale, ridotta ormai a riprodurre se stessa, cosicch il lavoro pastorale interno alla Comunit non fu pi inteso propriamente come parte della missione della Chiesa e tutto fu indirizzato alla suprema Lex della salus animarum, identificando la missione con la sola – eventualissima – attivit in Partibus infidelium, avendola ormai ridotta alla stretta finalit della fondazione di nuove Chiese o della cooptazione a s di nuovi fedeli.

Uno stato di cose che, allinterno dei confini del Sacro Romano Impero, si congel per oltre mille anni, fino alla necessaria presa di coscienza, dal XVI secolo, dellesistenza di nuovi mondi in cui la Chiesa non stava ancora esercitando il proprio dovere di salvare con la predicazione del Vangelo e il Battesimo le anime degli infedeli. Listituzione della Congregazione De propaganda fide nel 1622, per di pi, se da un lato arricchiva lopus Ecclesi affiancando (nuovamente) la missione alla Pastorale, dallaltro fece per della missione un mera attivit da svolgere, in modo sostanzialmente isolato (= altrove) rispetto alla Pastorale stessa, vista pure la concezione e attuazione esclusivamente pontificia di tale attivit. Unattivit, per di pi, affidata quasi esclusivamente ai religiosi attraverso listituto canonico della Commissio, giunto quasi alle porte del Vaticano II. Il forte impegno pastorale che segn lapplicazione del Concilio di Trento nel territori europei contribu significativamente a fossilizzare la dicotomia, ai limiti della contrapposizione.

Il forte sviluppo ecclesiologico derivato dal Concilio Vaticano II – a parziale bilanciamento di quello altrettanto decisamente sacramentale del Concilio Tridentino – ha costretto, in certo modo, la Teologia, ma anche lintera autocoscienza ecclesiale a riprendere in mano la questione allinterno di un quadro dogmatico di maggior respiro ed articolazione. Tra le chiavi di volta del nuovo corso pu collocarsi il ricupero della idea ottocentesca del Mhler della Chiesa come continuazione dellIncarnazione cosicch la missione della Chiesa pi semplicemente e molto pi ampiamente la stessa missione di Cristo nel mondo. La prospettiva muta radicalmente poich, in tal modo,

non è che la Chiesa abbia una missione da compiere: essa semplicemente deve collocarsi sulle strade della storia di Dio, poich la missione del Figlio e dello Spirito che la crea. Per questo motivo vale laffermazione [] che non si pu intendere la missione dalla Chiesa ma che al contrario si dovr intendere la Chiesa dalla missione.

Diventa facile, a questo punto, comprendere – ed assumere – che la missione è laccadere della Chiesa dentro il cammino storico del mondo: La missione quindi non è qualcosa di successivo, di conseguente allevento, ma è levento stesso.

6. Chiesa e costitutivit missionaria

Come gi evidenziato: il rapporto tra Chiesa e (sua) missione non soltanto identitario e costitutivo (cio in originev. supra) ma pure costituente (cio in itinere e pro futuro), cosicch sia la dinamica missionaria a svolgere la funzione di vera e propria configurazione della Chiesa stessa in vista del suo (continuare ad) esistere ed operare. Il fatto ormai assodato in ambito teologico, soprattutto dopo la decisa presa di coscienza del Concilio Vaticano II alla fine del secondo capitolo di Lumen Gentium:

Come infatti il Figlio stato mandato dal Padre, egli stesso ha mandato gli Apostoli (cfr. Gv 20,21) dicendo: Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (Mt 28,19-20). E questo solenne comando di Cristo di annunziare la verit della salvezza, la Chiesa lha ricevuto dagli Apostoli per adempierlo sino allultimo confine della terra (cfr. At 1,8). Essa fa quindi sue le parole dellApostolo: Guai a me se non predicassi il Vangelo (1Cor 9,16) []. spinta infatti dallo Spirito santo a cooperare perch sia mandato ad effetto il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero. Predicando il Vangelo, la Chiesa attira gli uditori alla fede e alla professione della fede, li dispone al Battesimo, li toglie dalla schiavit dellerrore e li incorpora a Cristo, affinch crescano in lui per la carit fino alla pienezza.

Una presa di coscienza a cui fanno eco teologi dogni impostazione, specializzazione e prospettiva:

Lessenza della Chiesa intimamente missionaria perch il Regno cresce, quasi emergendo dal suolo del mondo e gli uomini ne sono – lo sappiano o meno – co-agonisti. Il protagonista, Ges Cristo, mostra questa unit originaria di Chiesa-mondo nel disegno di Dio (cfr. Gv 17,21) perch in Lui e attraverso di Lui il Regno dei cieli definitivamente in atto. Questo quadro ecclesiologico tende ad assicurare il dinamismo vitale che solo spiega la ragion dessere della Chiesa: fa trasparire, in quanto Sacramento, cio segno e strumento dellintima unione con Dio e dellunit del genere umano (LG 1), il volto stesso di Cristo.

La Chiesa non esiste per se stessa, ma dovrebbe essere lo strumento di Dio, per radunare gli uomini intorno a lui, per preparare il momento in cui Dio sar tutto in tutti (1Cor 15,28).

La Chiesa esiste per evangelizzare. Questa non una delle tante possibili letture della vita della Chiesa che si possono dare: si tratta invece di una evidenza che emerge dalla stessa nascita della Chiesa e inerisce il suo mistero al punto tale che possiamo sicuramente dire che se, per assurdo, la Chiesa smettesse di evangelizzare, non sarebbe pi Chiesa. [] Essa [] organizza la propria struttura dandosi dei ministri dediti alla custodia dellautentico annuncio. Questo punto iniziale non dice soltanto il primo momento cronologico della vita ecclesiale, ma ne rivela il profondo significato: perch lannuncio del Vangelo raggiunga tutti e attraversi la storia di generazione in generazione necessaria una Istituzione che, a prescindere dai singoli, sia capace di custodire e trasmettere lannuncio.

Il Concilio Vaticano II ha richiamato il fatto che la Chiesa [] missionaria per natura sua (cfr. AG 2); e che tutti i soggetti ecclesiali ne sono, perci, responsabili.

Non si tratta, per, di semplici affermazioni – tanto profonde quanto eteree – ma di vere acquisizioni strutturanti, soprattutto in ambito ecclesiologico, al punto che:

Se [] lannuncio il principio esplicativo della dinamica dellecclesiogenesi e se lecclesiogenesi il pi adeguato modello euristico in Ecclesiologia, ne dobbiamo derivare che tutta la comprensione della Chiesa passa attraverso la comprensione del suo atto missionario fondamentale, quello della comunicazione della fede.

Sarebbe assai difficile [] contestare che la comunicazione della fede sia lelemento essenzialmente costitutivo, la essentia metaphysica rei, della missione: questo un servizio alluomo che la Chiesa pu rendergli e che nessun altro fuori della Chiesa pu rendere al mondo.

indubbio che i testi conciliari ci offrono una visione di missione che si allarga; e che porta a vedere la Chiesa stessa come frutto della missione divina, chiamata a continuarla nella storia, in modo connaturale al suo stesso essere. La missione, cio, espressione dellessere stesso della Chiesa.

La Canonistica pi avveduta, per parte propria, aveva gi proposto tale approccio con sicurezza, traendone luce per la stessa consistenza dellesperienza giuridica ecclesiale nella sua specifica collocazione entro i confini della storia umana, vista la natura espressamente esistenziale (e non nozionale) dellannuncio evangelico:

La missione divina universale affidata da Cristo alla Chiesa missione storico-salvifica. In quanto [] storica o per il fatto di essere realizzata storicamente riveste la Chiesa della nota di storicit, cio, della responsabilit di agire con attuazioni di densit e consistenza storica che si soliti riassumere nellattuazione delle tre funzioni (tria munera), nelle quali rinchiude e trasmette, nellattuarla, lefficacia salvifica. Tuttavia per questa attuazione, che deve realizzarsi e solo pu realizzarsi con attuazioni concrete, Cristo lasci alla sua Chiesa la responsabilit e la necessit di determinare in concreto tali forme concrete storiche di attuazione. [] Tale fondazione generica responsabilizza precisamente gli inviati a decidere le forme concrete, il funzionamento concreto e lordine concreto di compimento di tale missione o attuazione delle tre funzioni e di quanto esse implicano. Sorge cos uno Ius canonicum, nel cui ambito sistematico entrano decisioni molto varie in ragione delloggetto – attuazione – a cui si riferiscono: ai Sacramenti ed allamministrazione dei beni ecclesiastici o al computo del tempo, per citare alcuni esempi. E determinare il tempo non qualcosa di sacramentale, anche se i Sacramenti si realizzano necessariamente in un tempo e in uno spazio concreti.

In tal modo la Chiesa, in quanto strumento efficace dellazione salvifica di Dio nel mondo e per il mondo,

sorge nella e per lattuazione o compimento della missione divina, precisamente come esigenza della natura storica di questa missione divina storico-salvifica e universale ad extra e ad intra: Cristo, nellaffidarla responsabilizz la sua Chiesa non solo a realizzare o esercitare storicamente questa missione di efficacia salvifica, ma anche e specificamente ad attuarla o esercitarla prendendosi cura della sua efficacia storica, rivestendone lattuazione di efficacia storica []. Il suo storicizzarsi e storicizzare non solo per mera necessit-legge naturale di contattare i destinatari, ma perch Dio ha assunto questa necessit-legge per il proprio disegno divino di salvarci attraverso la via storica della missione. Tra questo principio e lattuazione storica della missione sta la missione. Se alla Chiesa non fosse stata affidata tale missione, non avrebbe motivo per esigere una ragione teologica specifica per giustificare il fenomeno canonico: poich il fine della storicizzazione di questa missione incarnare lefficacia salvifica della missione nellattuazione storica di questa stessa missione: questa storia il veicolo storico della salvezza. E il fine del fenomeno canonico ottenere che si compia storicamente bene la sua missione.

Tale missione, infatti, non pu essere identificata

con una realt precostituita, senza rapporto con la storia, da trasferire, poi, nel mondo come in una regione straniera, quasi come unopera che vi si sovrapponga dallesterno. Ne deriverebbero, tra laltro – come purtroppo successo e succede –, la sua inesorabile inincidenza e, per finire, la sua inutilit. Invece la viva edificazione della Chiesa ha a che fare, costitutivamente, con la storia, con uomini toccati al cuore della propria libert dal dono dellevento di Ges Cristo. Al punto trasformati, nel ritmo quotidiano degli affetti e del lavoro, dalla Sua presenza, da comunicarla gratuitamente a quanti entrano naturalmente in rapporto con loro.

Ci si trova cos innanzi ad una situazione non puramente fattuale e contingente, ma costitutiva della realt ecclesiale come tale:

La Chiesa, in quanto popolo della nuova Alleanza conclusa in Cristo, ha per scopo e compito originali, quasi come propria ragione dessere, il proseguimento della missione di Cristo.

La Chiesa trae la sua origine dalla missione ed esiste come missione, per cui il principio organizzativo fondamentale della Chiesa la missione.

Lapproccio, nondimeno, era stato valorizzato anche sotto altra prospettiva da chi aveva colto il vero passo avanti conciliare soprattutto a riguardo del concetto di missione, classicamente inteso quale specifica attivit ecclesiale (= le missioni). In merito si ben osservato che la missione

non è uno del fini dellOrdinamento giuridico della Chiesa, da mettere pi o memo in luce in rapporto a fattori contingenti; la missione è lunico vero scopo della societ ecclesiale; è un fine intrinseco ed immanente a tutto lOrdinamento, di cui non pu limitarsi a permeare solo una parte.

7. Levento tipologico: Atti 15

La prospettiva illustrata trova supporto – e fondamento – non principalmente per via teoretica ma, pi profondamente, partendo dalle origini stesse del Diritto canonico, come ben evidenzia levento proto-tipico (nel senso patristico di typos originario e originante) e sommamente emblematico della normativit ecclesiale: il c.d. Concilio di Gerusalemme narrato in At 15, da cui scatur la prima vera Norma canonica, almeno dal punto di vista sostanziale. Una Norma canonica che Paolo in Gal 6,16 chiama espressamente col termine kanon (= misura), senza che in ci rilevi la cronologia tra i due scritti neotestamentari, n tra gli eventi di loro riferimento: il concetto infatti che conta a questo livello di approccio.

Fu quello il primo e, forse, il pi importante evento che mise in risalto la costitutivit della missione ecclesiale per lesistenza stessa della Chiesa e la sua conseguente condotta istituzionale, nel difficile confronto tra la fedelt alla propria identit (= annuncio della nuova Alleanza) e la fedelt al proprio passato (= osservanza dellAlleanza sinaitica). Non solo questo, tuttavia, poich il ricondurre quellevento allarea/ambito/tematica della missione (extra)ecclesiale anzich della comunione (intra)ecclesiale offre una peculiare prospettiva non solo di lettura del testo ma pure di sua comprensione.

Davanti al costituirsi – prima in Asia e poi in Europa – di intere Comunit cristiane provenienti dal paganesimo, ben presto numericamente prevalenti, si pose infatti linterrogativo del rapporto tra tali credenti in Cristo salvatore e coloro che, soprattutto nelloriginaria Comunit gerosolimitana, provenivano invece dallEbraismo, al quale erano rimasti sostanzialmente fedeli sotto il profilo rituale. In quel contesto la Chiesa si vedeva attraversata da questioni concrete e pratiche: come si diventa cristiani, come ci si comporta da tali? Che cosa, poi, andava considerato costitutivo, e quindi irrinunciabile, per essere cristiani?

Due erano, alla fine, i problemi di prassi ai quali non ci si poteva pi sottrarre: 1) la circoncisione, 2) lunicit eucaristica. Due condotte esteriori non meramente formali, ciascuna delle quali presupponeva e comportava altre condotte ed impattava direttamente col Battesimo, formalizzazione specifica della missione affidata dal risorto (Mc 16,15; Mt 28,19-20) ed elemento distintivo ed identitario della nuova Comunit di fede.

Il problema, inoltre, non era solo pratico e circoscrivibile alle tre attivit direttamente coinvolte: circoncisione, Battesimo, Eucaristia, ma intaccava potenzialmente la stessa identit ecclesiale. Se, infatti, per ricevere il Battesimo occorreva essere stati previamente circoncisi, come dovevano essere considerate le Comunit pagano-cristiane di fondazione paolina nelle quali la circoncisione non veniva praticata? Tali Comunit appartenevano alla stessa fede – e, quindi, alla stessa Chiesa – delle Comunit giudaico-cristiane? Inoltre: il Vangelo annunciato da Paolo era quello vero? Questa gente poteva essere davvero considerata cristiana? Si trattava davvero di fratelli? Come potevano essere vero Popolo di Dio dei non-circoncisi? Allo stesso tempo, dallaltro punto di vista: come potevano essere davvero di Cristo coloro che si facevano circoncidere in vista del Battesimo oppure, eventualmente, dopo di esso? Chi, dunque, era davvero cristiano? Le questioni, nondimeno, non erano solo liminari (afferenti, cio, lingresso nella Comunit di fede) ma ricadevano sulla prassi quotidiana delle Comunit stesse accrescendone la fragilit in riferimento alla celebrazione eucaristica. La comunione infatti dellunico pane e dellunico calice (cfr. 1Cor 10,16-17) confliggeva nelle Comunit miste col divieto per i circoncisi di sedere a mensa coi non-circoncisi, finendo per sollecitare una doppia celebrazione dellunica Cena del Signore. Si veda in merito la questione del rimprovero di Paolo a Pietro per la sua condotta ad Antiochia proprio a riguardo del prendere cibo insieme ai pagani (cfr. Gal 2,12).

Paolo, per parte sua, non era in grado di concepire, ed ammettere, nulla che potesse scalfire o fare ombra alla signoria assoluta di Cristo, alla sua croce e alla salvezza che solo da tale croce era derivata agli uomini:

Queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo (Fil 3,7-8).

Nulla avrebbe potuto relativizzare n levento pasquale, n le sue dirette conseguenze. Nulla avrebbe potuto rendere Cristo semplicemente complementare di qualsiasi altra realt umanamente accessibile. La circoncisione del pagano-cristiano, anzi: 1) rischiava di ridurre il mistero pasquale a mero coronamento di una salvezza di per s gi effettiva, nel caso del Battesimo successivo; 2) risultava in aperta contraddizione col Battesimo nel caso gli venisse aggiunta in seguito (cfr. Gal 5,2). In entrambe le prospettive n Cristo, n il suo Vangelo risultavano definitivi e concludenti, rendendo pertanto del tutto inutile lazione missionaria: ci a cui lApostolo accenna quando scrive di non voler correre o aver corso invano (cfr. Gal 2,2).

Mettere per in dubbio lattivit missionaria di Paolo avrebbe significato e comportato bloccare la missione stessa della Chiesa, interrompere lannuncio del Vangelo e lamministrazione del Battesimo, non dare pi seguito al comando del risorto di andare in tutto il mondo ed annunciare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), n allazione dello Spirito che gi aveva spinto allesterno dIsraele prima Pietro (cfr. At 15,7-11) e poi Paolo e i suoi compagni di missione (cfr. At 16,6-10). Lintero evento Cristo sarebbe collassato nellannuncio ai soli Ebrei – seppure in diaspora nel mondo intero – dellinutile venuta del Messia che nulla aveva mutato n della loro condizione di esuli, n di quella della citt santa ancora in balia dei pagani. In tale prospettiva il problema non riguardava n lidentit ecclesiale, n la comunione allinterno della Comunit di fede, ma la vera e propria esistenza della Chiesa stessa. Di qui limportanza e decisivit della questione e delle numerose vicende connesse.

Fu proprio innanzi a questa consapevolezza, sebbene non esplicitata dal testo lucano, che venne valutato il problema e presa la correlata decisione di non attribuire alcun valore, n sostanziale n formale, alla circoncisione (in nessuna delle sue possibilit) legittimando lattivit missionaria di Paolo e lespansione ecclesiale oltre i confini (personali) delloriginario Popolo di Dio. Non si trascuri in merito neppure il diffondersi del Cristianesimo fuori dei confini dIsraele in direzioni e luoghi mai raggiunti da Paolo ma altrettanto fecondi per la missione evangelizzatrice da cui sorgeranno il nucleo copto, quello armeno e quello caldeo della fede cristiana.

Ci che risalta nella complessit delle circostanze e dellevento stesso la decisivit dellannuncio del Vangelo, nel suo costituire la missione stessa della Chiesa, la sua finalit pi profonda: questo annuncio che suscita la fede ed apre al dono della salvezza, gi efficace per la fede stessa, ma chiamata a crescere ed a radicarsi esistenzialmente allinterno della Comunit di fede e di salvezza (la Chiesa, appunto).

La Chiesa nasce quindi dalla proclamazione della gloria di Ges che siede alla destra del Padre, destinato a venire sulle nubi a giudicare il mondo, e guarda a lui come al proprio buon pastore e come allunico salvatore, ricordando la sua vicenda in mezzo agli uomini, dalla sua nascita alla sua morte, e accogliendo con fede la testimonianza degli Apostoli che lo hanno visto risorto.

Lesperienza di Pietro con la famiglia di Cornelio (cfr. At 10) tipologica in merito; allo stesso modo che lesperienza di Paolo; e questo non meno dellorigine della Comunit cristiana di Gerusalemme, sorta intorno ad una semplice domanda-risposta:

Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E Pietro disse: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Ges Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito santo. Per voi infatti la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamer il Signore Dio nostro. Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone (At 2,37b-41).

8. Istituzionalizzazione

Posta sin qui nel necessario rilievo ecclesiologico la missione ed il suo ricupero negli ultimi decenni, si tratta ora di delineare – seppur in modo estremamente sommario – ci che riguarda laltro polo dellesserci ecclesiale: unaltra dinamica che, sebbene autonoma nel suo configurarsi rispetto ai contenuti espressamente ecclesiali (= il kerygma), non pu risultare in alcun modo n casuale, n posticcia per la Chiesa, come ha ben espresso P. Erd affermando che

la missione, il mandato che la Chiesa dei primi tempi aveva ricevuto in maniera consapevole da Cristo e che concepiva come opera da compiere quale suo sostituto, costituisce il fattore principale dellistituzionalizzazione. La partecipazione particolare a questa opera struttura la Comunit, soprattutto a partire dal II secolo, in maniera pi chiara e visibile. Il ruolo speciale dei successori degli Apostoli, anche se non concetto separabile dalla missione dellinsieme della Chiesa, un principio in certo senso diretto ed autonomo dellorganizzarsi originale della Chiesa e della sua realt istituzionale.

Unistituzionalizzazione che sinnesca e simpone con inevitabile naturalezza allinterno della Comunit dei credenti nel Cristo risorto: una dinamica che non riguarda, prima di tutto, i rapporti con la divinit, sempre sfuggenti (e spesso arbitrari nella loro formalizzazione, soprattutto rituale), ma i rapporti tra credenti ; tanto pi problematici quanto dipendenti da fattori estrinseci rispetto al nucleo di fede, come furono i numeri (= migliaia di battezzati alla volta – cfr. At 2), le provenienze socio-culturali (= gli ellenisti, oltre i giudei – cfr. At 6), la legittimazione apostolica (= Paolo e le sue Comunit).

La istituzionalizzazione dei rapporti fra i credenti non parte dalla creazione dei riti, ma dalla regolamentazione della ortodossia della fede, di cui gi nel Nuovo Testamento abbiamo significati e testimonianze []. La trasmissione fedele della memoria di Ges, infatti, non poneva tanto lesigenza di strutture sacerdotali, quanto di istituzioni, come quella dei Presbiteri-Episcopi, destinate a custodire e trasmettere fedelmente il deposito della originaria predicazione apostolica. Dalla consapevolezza dellessenziale importanza della pardosis nascono i processi di istituzionalizzazione che fissano e regolano in strutture costanti e capaci di durare nel tempo quella rete di relazioni che ogni atto comunicativo della fede proposta ed accolta crea intorno a s. [] Soggetto portatore di un tale fenomeno, allora, non pu essere che una aggregazione sociale stabile ed istituzionalizzata, capace di porre le condizioni di autenticit della fede e di garantirne la prosecuzione. Soggetto adeguato al compito non il credente nella sua assoluta singolarit ed estemporaneit, n un fenomeno di comunicazione dal carattere rapsodico, ma solo un soggetto collettivo, dotato di una sua forma istituzionale, che sovrasti il singolo credente e la stessa somma dei credenti, in modo da sopravvivere allesistenza dei singoli e della stessa loro sommatoria presente qua o l, in questo o in un altro momento.

La necessit di una stabilizzazione (istituzionale) della nascente e crescente  Ekklēsa si poneva con maggior decisivit considerando il rischio concretissimo – viste le energie spese a contrastarlo sia da Paolo che dallEvangelista Giovanni – che il kerygma venisse ridotto a semplice gnosi che ciascuno – individualisticamente – potesse coltivare a proprio uso e consumo. Nella prospettiva degli evangelizzatori, invece, la comunicazione della fede crea una nuova rete relazionale che lega profondamente fra di loro le persone coinvolte in questatto comunicativo, formandone vere e proprie Comunit impegnate nel praticare la nuova via e nel farla conoscere ed abbracciare ad altri. Si tratta, in fondo, del concetto di depositum fidei, intorno al quale si sviluppava la maggior parte dellattivit apostolica: un depositum da custodire e tramandare affinch condizioni la vita delle persone, senza restarne – tuttavia – condizionato (quanto a contenuti). Fu questa, in effetti, una delle principali dinamiche che videro impegnata la Comunit cristiana dellepoca apostolica non solo nel diffondere ma anche – e soprattutto – nel fissare il buon annuncio, leuanghlion, il kerygma.

Lannuncio da cui nasce la Chiesa quindi lannuncio su Ges pi che lannuncio di Ges stesso. Anzi solo pensandolo in questi termini lannuncio pu essere rilevato come il principio originante la Chiesa non solo in assoluto, nel complesso indifferenziato della sua storia, ma in ogni particolare evento di ecclesiogenesi. Lo fu nel primo evento dellorigine della comunit di Gerusalemme, come lo in ogni situazione nella quale in un certo tempo e in un certo luogo un credente comunica la fede e qualcuno laccoglie. In questi termini possiamo pensare lestendersi della Chiesa nel mondo e il suo originarsi presso i diversi popoli della terra. []

In un certo senso si potrebbe dire, utilizzando il linguaggio della Scolastica, che il rapportarsi di un credente, il quale annuncia che Ges risorto ed il Signore, con un interlocutore che ne accoglie lannuncio la vera e propria essentia metaphysica rei della Chiesa, cio quella componente della sua essenza posta la quale si d la res, mentre mancando la quale la res non esiste. LEucarestia stessa infatti non avrebbe n senso n sarebbe autentica realt sacramentale se non fosse sostenuta dalla fede professata e condivisa da coloro che la celebrano.

La salvaguardia e la venerazione delle parole e dellinsegnamento di Cristo come fonti e regole della fede unidea che sta alla base della stesura dei Vangeli stessi. [] Lefficacia vincolante del modello consente a qualche autonomia, ma ha custodi e testimoni autentici. [] Questo dovere non un fatto secondario anzi primario e scaturisce proprio dalla natura della Chiesa, perch – come insegna Paolo VI – la Chiesa esiste al fine di annunciare il Vangelo.

In tali contesto e dinamiche, al di l dei naturalismi che la Canonistica fondazionale voleva evitare come gravemente insufficienti per assicurare unorigine divina (pi che teologica) del Diritto canonico (v. supra),

siamo obbligati a pensare che la istituzionalizzazione, nella forma di una stabile aggregazione sociale, del dono della comunione, appena essa assume forma visibile attraverso la comunicazione della fede, non pu essere considerata quasi un incidente di percorso, oppure una inevitabile, anche e in fondo deprecabile, esigenza antropologica. Il fatto si fonda sulla forma della Rivelazione propria della fede cristiana: se Dio ci si rivelato attraverso dei fatti, noi possiamo accoglierne la Rivelazione solo se qualcuno ce ne ha conservato la memoria, e solo una istituzione che rivesta di stabilit e di continuit laccoglienza della Parola di Dio il soggetto adeguato della trasmissione storica della memoria.

Nondimeno, in ambito ecclesiologico ci si era chiesti – quasi come verifica e contrario – se fosse mai realmente esistita la possibilit che la Chiesa non si istituzionalizzasse nella misura in cui lo fece e che mantenesse un modello molto pi carismatico come quello proposto nelle Comunit paoline. Una domanda palesatasi ormai soltanto retorica, non potendosi pi negare che

la struttura carismatica sempre qualcosa di singolare che risponde ad una situazione straordinaria. Tuttavia precisamente per la sua singolarit instabile e tende a stabilizzarsi come qualcosa di abituale, permanente e quotidiano. Con altre parole, il carismatico tende a istituzionalizzarsi, e il carisma tende a convertirsi in tradizione e associazione razionale. Lindividuale carismatico cede il passo al disciplinare collettivo. Questo processo Weber lo qualifica oggettivazione del carisma, oggettivazione che fa che si passi da una grazia personale ed intrasferibile a carisma trasmissibile, acquistabile o vincolato ad un incarico. ci che storicamente si dato con la successione apostolica e con lOrdinazione che trasmette un carisma ed una capacit per svolgere una funzione o un ministero.

In merito si pure evidenziato, non solo come si debba parlare dello stesso Ges come di un maestro carismatico: La sua legittimit non deriva da un sapere religioso istituzionale, molto meno da un apprendimento teologico o da un incarico istituzionale, ma anche come lo stesso sia valso per gli Apostoli e le stesse prime Comunit cristiane.

Il carisma determinante per la Chiesa e tutto si sviluppa a partire dallispirazione dello Spirito, incluse le nuove Scritture. [] La carismaticit la essenza stessa della Chiesa. [] Eppure non si pu parlare della carismaticit senza alludere alla sua istituzionalit. Entrambe devono essere vincolate e interagire tra loro. []

Il carisma puro, senza influssi istituzionali, non esiste, una entelecha impropria della condizione umana. Mentre, invece, la istituzione interna alla stessa evoluzione del Cristianesimo. [] Il canone del Nuovo Testamento fu la prima grande istituzione normativa, norma normante, attraverso la quale si stabil lidentit della Chiesa. []

Questo porta alla seconda grande istituzione normativa del Cristianesimo, quella personale degli Apostoli che parlavano con unautorit basata nella stessa Rivelazione []. La Chiesa non un mero raggruppamento di individui giustapposti, ma rinvia ad unautorit apostolica. Possiamo anche menzionare una terza istituzionalizzazione. Quella che giunse a creare una struttura sacramentale che servisse di alternativa al culto giudaico e pagano dellImpero romano. Si cre una Liturgia, con il Battesimo e lEucaristia come Sacramenti maggiori, poich entrambi sintetizzavano la morte e risurrezione di Ges.

Questo, tuttavia, pu accadere soltanto allinterno di un ambiente relazionale sufficientemente stabilizzato nei suoi ruoli e nelle sue funzioni, mansioni e responsabilit: ci in cui consiste – espressamente – unistituzione dal punto di vista sociologico ed antropologico.

9. Diritto canonico e missione

Il percorso sin qui svolto ha gi messo in luce, anche sotto prospettive variegate, lo stretto legame che intercorre nella Chiesa tra missione ed istituzione; qui giunti non resta pertanto che esplicitare il legame altrettanto solido che lega tra loro istituzione e Diritto facendone un tuttuno, secondo la prospettiva proposta (un secolo fa) da Santi Romano con la sua Teoria ordinamentale (o istituzionale, che dir si voglia). Sia sufficiente in questa sede ricordare il principio che regge lintera prospettiva cos delineata: Crediamo che fra il concetto di istituzione e quello di Ordinamento giuridico, unitariamente e complessivamente considerato, ci sia perfetta identit, infatti:

Ogni Ordinamento giuridico unistituzione, e viceversa ogni istituzione un Ordinamento giuridico: lequazione fra i due concetti necessaria ed assoluta.

Per parte propria, poi, il concetto di Ordinamento giuridico pienamente sovrapponibile a quello di Diritto, identificandosi con esso nella sua accezione pi ampia, come ben espresso da Paolo Grossi, secondo il quale il Diritto altro non sarebbe che ordinamento osservato . Questa, in effetti, proprio lesperienza ecclesiale lungo i secoli, indipendentemente da come si voglia (o si possa) qualificare dal punto di vista espressamente tecnico la tipologia normativa (= Canoni conciliari, Decretali pontificie, Codici canonici) adottata dalla Chiesa lungo i suoi due millenni di vita – istituzionale – ininterrotta.

Bastino queste poche sollecitazioni per offrire la sufficiente solidit a quanto prospettato da T. Jimnez Urresti per il Diritto canonico proprio nella strutturale circolarit test illustrata tra missione, istituzione e Diritto:

Ogni societ ha la propria giustificazione, natura, funzioni, ragion dessere, e principio normativo o norma originaria o fondamentale, nella propria finalit, secondo il primo principio della logica normativa: il principio il fine. Ed il fine della societ della Chiesa, quale fondata da Cristo, la missione che Cristo le affid: missione universale storico salvifica. []

In tal modo la storicit della missione ecclesiale ne qualifica sostanzialmente la socialit, essendo la socialit il mezzo attraverso cui una persona, un gruppo o un popolo pu fare storia ed incidere nella storia. La Chiesa dunque, come Popolo di Dio, proprio in ragione della missione storico-salvifica ricevuta da Cristo, mandataria e responsabile di questo compimento; con parole della Logica deontica, si dice che la Chiesa ha il titolo (facolt) ed il dovere (responsabilit) di compiere non solo ci che stato espressamente – esplicitamente o implicitamente – comandato, ma anche di compiere quanto implichi di storicamente necessario il realizzare, cos come realizzare bene, la missione o mandato originario. []

Di conseguenza il Diritto canonico, per la sua attitudine strumentale a programmare, ordinare, organizzare e coordinare nellunit le attuazioni di tutti e di tutta la Chiesa, trova la propria giustificazione teologica nel compiere e per compiere la missione costitutiva della Chiesa stessa.

Il Diritto canonico di pertinenza della socialit, e pertanto della visibilit della Chiesa. E, per una maggior esattezza: la storicit una nota di esigenza della stessa nozione di Chiesa pellegrina, ma la sua storicit reale non appartiene alla sua essenza, quanto solo alla sua esistenza: la Chiesa pellegrina esiste solo come Chiesa storica, come congregazione o associazione dei credenti in Cristo dotati della missione divina che Cristo le affid.

Nondimeno, allinterno della stessa Ecclesiologia si era gi affermato sin dal primo dopo-Concilio che

pensare che basterebbe rifiutare nella Chiesa il Diritto per ritrovare la Chiesa della carit, sarebbe infilare la strada delle pi rovinose illusioni. Una Chiesa che ripudiasse il Diritto correrebbe il rischio di essere non la Chiesa della carit, ma la Chiesa dellarbitrio.

Ne deriva con immediatezza la necessit, per la Teoria generale del Diritto canonico, di

rivalutare il concetto di missione come fondamento radicale del Diritto della Chiesa, che si è strutturata in funzione della costruzione del Regno nel mondo e della possibilit di far presente, in modo efficace, levento salvifico di cui è portatrice.

partendo da questarticolata prospettiva e consapevolezza che – circa ventanni fa – si realizzato nella Canonistica un importante passo avanti dal punto di vista concettuale attraverso la teorizzazione della norma missionis quale sostanziale punto di riferimento e sintesi per lintera esperienza giuridica ecclesiale.

Con tale espressione, lungi dal voler congestionare ulteriormente il panorama concettuale canonico, sintese invece far riferimento in modo sintetico sia [1] allidentit (essenza o natura, che dir si voglia) che [2] alla funzionalit peculiari di ci che la Chiesa vive al proprio interno in modo originariamente e spontaneamente giuridico: ci che da secoli va sotto il nome di Diritto canonico. La pregnanza ecclesiologica del concetto – come sin qui ampiamente illustrato – permette altres dipotizzarne un efficace utilizzo come veicolo interdisciplinare verso la Teologia in generale, oltre che la Pastorale, alla quale si fatto ampio riferimento (v. supra).

La sua realt giuridica [della Chiesa – ndr] si presenta fin dalle origini (mandato prepasquale e postpasquale) come norma missionis e come tale devessere inteso quanto gli Apostoli e lo Spirito santo hanno creduto opportuno stabilire.

Il NT e la vita della Chiesa post-apostolica permett[ono] di riconoscere fin dalle prime origini della Chiesa stessa lemergere e laffermarsi di una norma finalizzata alla missione evangelica.

Cristo ha fondato la sua Chiesa sugli Apostoli, i mandati; la Chiesa di Cristo (come Cristo stesso) è mandata. La struttura ontologica della Chiesa è missionaria, rivolta cio allannuncio del kerygma di salvezza; gli Apostoli, prima che maestri, sono annunciatori e testimoni: uno solo il vostro maestro, il Cristo (Mt 23,10).

La prospettiva che ne emerge sembra poter rispondere alla richiesta che lEcclesiologia stessa rivolge – anche – al Diritto canonico:

Oggi si è sempre pi chiaramente consapevoli che i processi di istituzionalizzazione appartengono alla fisiologia dellesperienza religiosa e che quello della contrapposizione fra carisma e istituzione è in realt un falso problema. La questione veramente seria non è: istituzione sì - istituzione no; il vero problema è invece quello della qualit dellistituzione

Una qualit che proprio la norma missionis vorrebbe efficacemente tutelare.


in: Apollinaris, XCI (2018), 83-120