1. Il contesto canonistico di riferimento
La Canonistica ecclesiastica del secondo dopoguerra, superate la
fase precettistica dell800 e quella codicistica del primo 900, stata
attraversata dal vero dilemma teoretico tra [1] la fondazione del Kirchenrecht (improvvidamente inteso
come Diritto ecclesiale) che vide maggiormente impegnati i canonisti dispirazione
germanica, e [2] il rilievo tecnico-dogmatico del Diritto canonico
codiciale che coinvolse maggiormente gli autori sia della c.d. Canonistica
curiale, impegnata nel tte--tte con
la Scuola laica italiana (canonistica ed ecclesiasticistica), sia
dellindirizzo sistematico-ricostruttivo dispirazione spagnola. In tal modo la Canonistica degli anni di preparazione al Concilio
e di quelli successivi (che accompagnarono la revisione del CIC) si ritrov letteralmente divisa
come gli equipaggi di navi che solcano lo stesso oceano ma in emisferi diversi:
ciascuno con un proprio polo e proprie stelle di riferimento, separate
dalla linea equatoriale, tanto evanescente
quanto determinante, soprattutto col
suo impedire la reciproca rapportabilit di qualunque riferimento e
conclusione. Il quadro generale derivatone fin per creare una forbice le cui
punte si allontanarono progressivamente indirizzando i due approcci verso esiti
di tutta incomunicabilit quando non addirittura antitetici, come ha ben
dimostrato la complessa vicenda della Lex
Ecclesi Fundamentalis, dispersa tra i flutti nonostante fosse salpata da
un grande cantiere teoretico impossibilitata, per, ad attraccare a porti
costruiti secondo ben altre misure e caratteristiche strutturali e funzionali. In modo solo orientativo si potrebbe affermare che fondazione e costituzione/ricostruzione furono per decenni le parole dordine
delle due correnti canonistiche dominanti: veri assiomi indubitati e
non-negoziabili che contrapposero di fatto (sebbene la tensione pi
superficiale di quegli anni non abbia permesso ai pi di accorgersene) profondit e stabilit del Diritto della Chiesa. La profondit fondativa e la stabilit
costituzionale/ricostruttiva: teologica
la prima, giuridica la seconda
incomparabili ed insostituibili – proprio come lOrsa minore e la
Croce del Sud per i naviganti dei due emisferi –.
In realt alla base della problematica e dei diversi approcci
dottrinali si poneva la questione, ben pi radicale, delleffettiva consistenza del Diritto canonico: una
consistenza che alcuni ricercarono ab
extra nel fondamento teologico, ed altri ab intra nella completezza dellOrdinamento giuridico. Le
rispettive geografie teoretiche presentarono agli uni ed agli altri differenti
scogli e secche da cui tenersi alla larga, oltre a vere e proprie tempeste,
sia improvvise che preannunciate, alle quali far fronte e tener testa.
Nondimeno ci non imped che tali uomini (come naviganti esperti), quando si
ritrovarono seduti in qualit di Consultori negli stessi Gruppi di studio per
la revisione codiciale, riuscissero a parlare la stessa lingua e a raggiungere
soluzioni pratiche condivise o concretamente compatibili. Il Diritto canonico e la vita della Chiesa, in fondo, erano il
loro mestiere!
N lindirizzo fondazionale n quello
costituzionale/ricostruttivo, tuttavia, affrontarono il vero problema
ripetutamente postosi sia durante la (prima) codificazione canonica che durante
la sua revisione: la consistenza del
Diritto canonico, che comportava la domanda intorno alla sua identit. Di fatto la concentrazione
dottrinale sul perch oppure il come del Diritto canonico portarono ad
evadere sistematicamente – e per decenni – la domanda ben
pi radicale sul cosa del Diritto canonico stesso. Lesistenza materiale del
Diritto canonico, daltra parte, in ambito cattolico non era (mai stata) qustio dubitata, trattandosi di un
fatto coestensivo allesperienza e storia della Chiesa stessa. In dubbio ne
erano invece, soprattutto durante gli anni della revisione codiciale, le
concrete modalit espressive.
Lavvento del nuovo millennio, per parte propria, non ha offerto
apporti significativi capaci di spostare il baricentro tematico verso luno o
laltro campo, nonostante un evento
normativo che, in linea teorica, avrebbe potuto mutare qualche equilibrio
ed aprire nuove prospettive: la creazione – quindici anni
orsono – della Disciplina accademica denominata Teologia del
Diritto canonico. Tristemente – il caso di dirlo –
tale evento, che avrebbe potuto costituire una vera soglia epistemologica per lintera Canonistica, stato riassorbito
dalle suddette correnti che ne hanno immediatamente dirottato le risorse e gli
esiti esattamente nei solchi delle originarie professiones fidei: fondazionale e/o costituzionale/ricostruttiva.
La fides fondazionale, infatti,
dallintroduzione della nuova Disciplina accademica ha tratto energie per
radicare ancora maggiormente la questione stessa in prospettiva teologica; la fides costituzionale/ricostruttiva,
nondimeno, si orientata sui fondamenti (costituzionali) dellOrdinamento
canonico, in gran parte allombra di presupposti e concettualizzazione del
neo-costituzionalismo del secondo Novecento. I programmi didattici ed i testi
adottati in sede accademica per la docenza di tali Discipline non lasciano
dubbi in merito.
Consistenza ed identit del Diritto canonico rimangono
cos a tuttoggi ancora estranee alla riflessione – e
consapevolezza – dottrinale della maggior parte dei canonisti (e non
solo): questione impercettibile e, in fondo, concretamente inutile se in
settantanni – quasi – nessuno se nՏ interessato. Il
quasi nessuno – tuttavia – dobbligo poich in
effetti nella seconda met degli anni Sessanta qualche autore aveva intrapreso
un tentativo in tale direzione affermando lucidamente che
i teologi della Pastorale accusano il Diritto canonico di non
avare una agilit sufficiente e di mancare defficacia strumentale. Essi non
dimenticano che la finalit del Diritto canonico la salvezza delle anime.
Essi sanno che entro questi due poli – la costituzione sociale della
Chiesa, e la salvezza delle anime – il Diritto canonico uno
strumento per la Pastorale, e che come tale si deve continuamente revisionare
la sua fedelt teologica ed il suo adeguamento pastorale. La costituzione sociale
della Chiesa, non essendo immutabile che nelle sue linee sostanziali, rende
questa revisione possibile; e le necessit cangianti della Pastorale la rendono
necessaria. Si comprende che la teologizzazione del Diritto canonico
assolutizza le Leggi canoniche, le immobilizza e le fissa col rigore assoluto
dellimmutabilit della verit teologica, trasmettendo questa stessa immobilit
alla Pastorale, mentre questa per definizione dinamica e agile, come la vita
stessa. Di qui il pregiudizio pastorale che ne deriva.
Un punto di partenza che, lentamente ma senza ripensamenti, diede
origine e sostegno programmatico ad un sentire canonistico consapevolmente
indirizzato ad altri approdi rispetto
a quelli dottrinalmente dominanti, preparando il terreno al consolidarsi di
idee ormai in grado, non solo di tenere il campo, ma di presentarsi come
davvero prospettiche proprio per lidentit stessa del Diritto canonico.
2. Un cambio di passo per il Diritto canonico
Nonostante tale generale ristagno delle prospettive dottrinali, il
cammino di riflessione canonistica intrapreso sul cambio di millennio in chiave
di consistenza ed identit del Diritto canonico ha ricevuto unindubbia
accelerazione con la riforma del Processo giudiziale di dichiarazione della
nullit del Matrimonio operata da Papa Francesco nel settembre 2015: una
riforma della cui strutturalit si sta prendendo coscienza solo in sordina al
di l di molti strepiti spesso meramente
funzionali che ne sono derivati, soprattutto nei primi tempi. In effetti: la materia e lo strumento verso cui sՏ indirizzata la
riforma processuale bergogliana hanno letteralmente spiazzato dal punto di
vista teoretico entrambe le fides
canonistiche post-moderne, mettendone in evidente risalto la comune incapacit
di cogliere e tematizzare un utilizzo
del Diritto – e pertanto una sua consistenza/identit –
diverse sia dalla prospettiva fondazionale che da quella
costituzionale/ricostruttiva. Un intervento radicale di sostanziale modifica (bisognerebbe dire ontologica) del Diritto
canonico come tale e non di semplice aggiustamento
dei suoi Codici, comerano invece stati tutti gli altri interventi novatori
susseguitisi dal 1998: una modifica palesemente ingiustificabile ed
indimostrabile (in termini teoretici e sistematici) sia in prospettiva
fondazionale che costituzionale/ricostruttiva. E tutto senza che in qualche
modo sia stata messa in discussione la potest pontificia di operare in tal
senso sul e attraverso il Diritto canonico: ci che conferma la
rispondenza tra loperato del
supremo Legislatore e lessenza/identit
del Diritto canonico stesso. Nondimeno: le numerosissime critiche alla modifica
codiciale si sono collocate prioritariamente entro lambito tecnico (e
funzionale), letteralmente incapaci, invece, di confrontarsi dal punto di vista
teoretico e sostanziale sia con la riforma che, molto maggiormente, coi suoi
presupposti. N fondazione (teologica), n costituzione/ricostruzione
(ordinamentale), daltra parte, sono in grado di fare davvero i conti con lelemento
che ha letteralmente invaso il campo di gioco ormai abituale da settantanni:
la Pastorale! Il fatto assume tanto maggior rilievo se si tiene in
considerazione che – come anticipato poco sopra – proprio
la Pastorale aveva gi tentato di affacciarsi sullo scenario canonistico
post-conciliare dalle pagine della Rivista Concilium,
finendo per immediatamente fuori gioco rispetto alla bi-polarizzazione
dottrinale gi dominante da qualche decennio. Pochi gli autori che tennero
– variamente – fede a quelloriginaria intuizione
epistemologica (e metodologica), ben presto risospinta fuori campo, dopo aver
collezionato pi fraintendimenti e giudizi (negativi) che non adeguata
attenzione per ci che il Concilio aveva cercato di innescare nella vita
ecclesiale: la pastoralit, appunto.
Proprio la Pastorale, tuttavia, costituisce lorizzonte non solo
ermeneutico ma pure epistemologico della riforma processuale, incastonata
– non a caso – tra le due tappe dei Sinodi dedicati
alla famiglia ed alle profonde problematiche da cui essa scossa in questi
decenni. Daltra parte, che proprio quello sia il Sitz in Leben (e pertanto il motivo) della riforma stessa lo
afferma il testo normativo nella sua parte espositiva:
In questo senso sono anche andati i voti della maggioranza dei
miei Fratelli nellEpiscopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario, che ha
sollecitato Processi pi rapidi ed accessibili. In totale sintonia con tali
desideri, ho deciso di dare con questo motu
proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullit dei
Matrimoni, ma la celerit dei Processi, non meno che una giusta semplicit,
affinch, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei
fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso
dalle tenebre del dubbio.
Come pu, tuttavia, un mero riferimento generico alla Pastorale
risolvere di principio una problematica della portata sopra indicata? Un
riferimento, nondimeno, che il testo del m.p. opera espressamente nei termini
classici della salus animarum (4
volte), mentre pastorale appare (3 volte) come semplice aggettivo per
specificare realt quali: prudenza, esercizio, ufficio. Tanto pi che lo stesso sostantivo Pastorale (ed il correlato
concetto) ha ormai perduto gran parte della sua significativit in ragione
delluso indiscriminato che ne stato fatto proprio a partire dal
post-Concilio: considerato dapprima il toccasana di qualunque situazione, per
poi diventare – sempre pi diffusamente – sinonimo di
mera funzionalit (spesso neppure efficace n competente) quando non anche di
semplice condiscendenza, nonostante i pregevoli sforzi di autentiche scuole di
pensiero impegnate a non lasciar cadere nel nulla ci che il Concilio aveva
intravisto e sollecitato.
In questo contesto, un canonista attuale sar in grado di
riconoscere che, pur nella fragilit del termine e della sua
concettualizzazione, il termine/concetto pastorale esprime per due tensioni
canonisticamente rilevabili ed apprezzabili, di per s assenti sia nellapproccio
fondazionale che in quello costituzionale/ricostruttivo: loperativit ed il futuro.
Due elementi/fattori di estroversione
non riscontrabili (n compatibili) nella profondit
fondativa e nella stabilit
costituzionale/ricostruttiva. Due fattori per che, poich non orientati a
supportare il Diritto canonico in s e per s ma (soltanto – sic) a caratterizzarne la funzione nella vita ecclesiale, ne
possono esprimere efficacemente il fine (= telos), prima che la causa (= arch) o la logica (= ratio):
quello stesso fine che ha motivato il cambio cos radicale del Processo di
nullit matrimoniale.
3. Consistenza, identit e fine del Diritto canonico
Porsi in termini finalistici,
anzich causali, libera per dal
pregiudizio del dover giustificare la presenza/esistenza del Diritto nella
Chiesa, emancipando cos dalla deriva apologetica che ha fortemente
caratterizzato la prospettiva fondazionale, di fatto costruitasi intorno alla
necessit – a suo modo ontologica – di stabilire se il
Diritto stesso una realt cos
essenzialmente insita nella struttura propria della Chiesa, che senza il
Diritto la Chiesa non sarebbe quello che
, secondo listituzione di Cristo, come ben espresso circa quarantanni
fa da Francesco Coccopalmerio.
Volgere lattenzione e linteresse alle finalit offre, inoltre, due grandi vantaggi per la Scienza
canonistica: uno metodologico ed uno ermeneutico. Dal punto di vista metodologico sar sufficiente
– sebbene non sempre immediato – illustrare (ben
diverso da giustificare) come
allinterno della vita ecclesiale si siano gradualmente sviluppare le dinamiche
– prima relazionali, poi istituzionali – che hanno
progressivamente portato a quello che oggi chiamiamo Diritto canonico, e
riconosciamo come Diritto in senso proprio. Dal punto di vista ermeneutico porre al centro
dellattenzione un target, cio un
obiettivo da raggiungere, offre possibilit di comprensione della realt
(storica ed attuale) molto superiori a quelle imposte dalla necessit di dare
corpo ad un sistema assiomatico-deduttivo in qualche modo gi dato, senza che
rilevi granch la sua impostazione fondativa o costituzionale/ricostruttiva. Va considerato pure, soprattutto oggi, che proprio lapproccio finalistico al Diritto canonico risulta
espressamente coerente con la Pastorale: ne costituisce, anzi, la principale
espressione, se la Pastorale identificabile con lattivit di cura e di guida
del Popolo di Dio verso il compimento eterno di quella salvezza che gi opera
entro i limiti della storia umana attraverso la fede in Cristo. In tal modo:
lorizzonte di cui il Diritto canonico parte diventa prima di tutto
ecclesiale e non semplicemente religioso; in secondo luogo: le dinamiche
specificamente intra-giuridiche si manifestano palesemente insufficienti ad
esprimere – e realizzare – la finalit pi autentica del
Diritto di cui la Chiesa si progressivamente dotata.
- Il passaggio dal religioso allecclesiale
quale oggetto/materia di specifica competenza del Diritto canonico
– attuale – essenziale per la sua identificazione e consistenza
poich lecclesiale sostanzialmente connesso e funzionale alla (sola) vita
della Comunit cristiana, mentre il religioso rischia forti derive
ontologistiche, poich riferito/riferibile immediatamente alla divinit ed alle
sue cose (= le res divin/sacr).
Per contro: le autentiche professioni di fede circa la sacralit
– invece della teologicit (sic!) –
del Diritto canonico espresse nella Canonistica nel secolo scorso non lasciano
dubbi circa la sottostante confusione concettuale ed epistemologica tra Diritto
canonico e Morale religiosa. - Pure luscita dagli steccati del
giuridico come sistema logico-tecnico totalizzante, capace di esprimere in s
– anche a priori –
lintera vita ecclesiale alla luce di qualche specifico approccio (sub specie iusti/iustiti, o communionis, ecc.) permette di
riconoscere il Diritto canonico nella sua funzione di stabilizzazione e
consolidamento della vita ecclesiale sia rispetto ad acquisizioni indubitate,
sia innanzi a nuovi scenari, prima antropologici che socio-culturali. Ha
scritto in proposito Papa Francesco in Evangelii
Gaudium:
Nel suo costante discernimento, la Chiesa pu anche giungere a
riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo,
alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono pi
interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non di solito percepito
adeguatamente. Possono essere belle, per ora non rendono lo stesso servizio in
ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo
stesso modo, ci sono Norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto
efficaci in altre epoche, ma che non hanno pi la stessa forza educativa come
canali di vita.
Che le istanze cos espresse possano condurre alla proposta, se
non alladozione immediata, di un nuovo paradigma capace di guidare la
Canonistica ad offrire un efficace e utile servizio alla vita attuale della
Chiesa, pare oggi inevitabile. Un nuovo paradigma che ha ormai radici profonde
nella consapevolezza e comprensione ecclesiali messe in moto dal Concilio
Vaticano II. Un nuovo paradigma che trova nella missione ecclesiale il suo fulcro e nella istituzionalizzazione la propria dinamica di base. Missione ed
istituzionalizzazione che i canonisti dovranno saper cogliere come i due poli
tra i quali si delinea e sviluppa lintera realt ecclesiale sia lungo i
secoli, sia in ciascun luogo e tempo nei quali la Chiesa si renda presente col
suo esserci.
4. Chiesa, Cristo e missione
Al di l del problema – in realt fittizio (almeno
nella prospettiva che qui ci occupa) – del quando o da quale
specifico evento sia nata la Chiesa
(Pentecoste, Pasqua o altro), ci che davvero conta che la sua identit
(= id quod est) chiara ed
irrinunciabile fin dallinizio del ministero di Ges stesso. Un ministero fatto
essenzialmente ed inequivocabilmente di annuncio, a cui quasi immediatamente
sono stati associati dei collaboratori denominati addirittura in modo formale
inviati (= apostoli) scelti espressamente per mandarli a predicare
(cfr. Mc 3,14; 16,20; Mt 10,6; 24,47), in modo simile alla
propria attivit (cfr. Mt 4,17; 11,1;
Mc 1,38-39; Lc 4,44; 8,1). Ges stesso, nondimeno, ha letto la propria vicenda
come missione affidatagli dal Padre; una missione che egli trasmette ai suoi
Apostoli in modo formalizzato ed autorevole: con exousa (cfr. Gv 20,21).
Non basta tuttavia riconoscere ed assumere che lauto-comprensione
di Ges sia stata quella del missionario (cfr. Gv 4,34; 20,21): necessario scendere pi in profondit dal punto
di vista espressamente teologico,
dovendosi ammettere che non tutte le missioni sono uguali e ci non in
ragione degli strumenti o delle modalit ma, molto pi profondamente, in
ragione del loro specifico oggetto. Mos, Samuele, Elia, Isaia, Geremia,
Giovanni Battista, Maria di Nazareth sono stati destinatari di vere missioni
da parte di Dio; nessuna di queste, per, paragonabile a quella di Ges
Cristo, esattamente per ci che ne riguarda il contenuto e loggetto. Un contenuto ed oggetto che non coincidono affatto con qualcosa da
compiere/eseguire/realizzare (comՏ un mandato), fosse anche la Pasqua: qualcosa che si pone
– ancora – nellordine delle cose da fare. Un contenuto ed oggetto che, invece, devessere riconosciuto e colto nellattivit
originaria di Ges stesso: lannuncio della buona notizia, good news si direbbe oggi. Ci che il
primo e lultimo Evangelista (in termini cronologici) hanno ben colto
nellintraprendere la loro opera: Inizio del Vangelo di Ges, Cristo, Figlio
di Dio (Mc 1,1); Dio, nessuno lo ha
mai visto: / il Figlio unigenito, che Dio / ed nel seno del Padre, / lui
che lo ha rivelato (Gv 1,18). Un
oggetto e contenuto che lEvangelista Luca, nella propria peculiare prospettiva
teologica, non esita a rendere davvero costitutivo dellopera di Ges e della
sua stessa identit:
Lo Spirito del Signore sopra di me; / per questo mi ha
consacrato con lunzione / e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto
annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista;
/ a rimettere in libert gli oppressi, / a proclamare lanno di grazia del
Signore (Lc 4,18-19).
Ci in cui consiste in modo originario ed originante
lopera/missione di Ges (= lannuncio della buona notizia) esso stesso
essenzialmente caratterizzato dallessere annuncio:
un annuncio il cui contenuto (fuor da ogni tautologia) lannuncio stesso!
Come una poesia o un brano musicale che sono ci che
contengono/esprimono/comunicano. il gioco sintattico di Marco attraverso
lutilizzo di un genitivo indecidibilmente oggettivo e soggettivo allo stesso
tempo (cfr. Mc 1,1): la buona notizia
di Ges (= quella che Lui stesso ha annunciato, allinizio), ma anche
quella che Lui stesso costituisce, dopo la Pasqua.
Si tratta, qui, di superare – con vero impeto
teologico – i riduzionismi scolastico-metafisici che hanno via via
trasformato la Rivelazione da evento
a – mero – contenuto
informativo: loriginaria buona notizia per lesistenza personale (cfr. Lc 4,18-19) fatta conoscere perch
abbiano la vita e labbiano in abbondanza (Gv
10,10) trasformata in una serie di informazioni sul cosmo intero. Lo stesso
Apostolo Paolo (in persona o pseudo-epigraficamente) aveva gi messo a fuoco e
proposto il corretto approccio e la giusta prospettiva quando identific il
mistero, nascosto da secoli ma rivelato in Cristo, con lespressione, pi
esistenziale che informativa, Cristo
in voi, speranza della gloria (Col
1,27). Un concetto ricorrente nella predicazione paolina, nella quale
– generalmente – mistero non ha portata nozionale ma
riferito allevento Cristo.
Che la missione di Cristo (= ci che egli fece) sia stata
fondamentalmente annuncio e che il
contenuto di tale missione (= ci che egli disse) sia stato, a sua volta,
annuncio non lasciano dubbi sulla identificazione/identit
tra missione ed annuncio: la missione non qualcosa che Cristo affida
– quasi estrinsecamente – agli Apostoli dopo la Pasqua
come se si trattasse di qualcosa di nuovo, ulteriore, successivo. La missione
affidata agli Apostoli esattamente la continuazione
dellattivit evangelizzatrice di Ges stesso! Il buon annuncio (= euanghlion) proclamato inizialmente da
Ges continua ad essere proclamato dai suoi Apostoli e dai discepoli tutti:
questa continuit strutturale
– che lEvangelista Luca evidenzier in modo esplicito –
che rende fondamentalmente inutile la ricerca del momento/fatto preciso dellincipit della Chiesa come tale. Essa,
infatti, come contenuta (= presunta, supposta) nellessenza stessa
dellannuncio che le stato affidato. Daltra parte: un annuncio (= news) che perda il proprio interesse,
il proprio mordente sulla vita dei suoi destinatari e smetta di essere
proclamato e diffuso diventa una semplice informazione (= data): esattamente come accade alle c.d.
notizie che ogni giorno riempiono i giornali e, dal giorno successivo, passano
allarchivio di ci che, semplicemente, ҏ accaduto. In questottica si sono
sviluppate, soprattutto lungo il Novecento, le Teologie basate sullevento Cristo anzich sulla dottrina
proclamata da Cristo.
Un profilo costitutivo e funzionale di questo tipo non
facilmente riconducibile alle dinamiche socio-culturali, n filosofiche, n
propriamente religiose, che lumanit conosce e mette in atto da sempre: le
travalica e le travolge, trasferendo alla Comunit, radunata per ascoltare e
proclamare nuovamente questo annuncio (= la Ekklēsa), la propria stessa dinamicit ed estroversione.
Proprio tale dinamica, nondimeno, ha sempre caratterizzato la vita ed attivit
ecclesiali, impedendo alla Chiesa didentificarsi troppo immediatamente con
ununica etnia (a differenza dellEbraismo) oppure con un unico assetto
socio-politico (a differenza dellIslam). Linarrestabile spinta missionaria
che il Cristianesimo, soprattutto occidentale, ha sempre saputo e continuato ad
esprimere – nonostante i continui tentativi di sua reclusione
entro i confini politici di questo o quellaltro Impero – ne rimane
la contro-prova pi efficace. Il Vangelo non pensiero ma annuncio! Non una idea ma una
notizia! Per questo la missione non pu essere intesa
– semplicisticamente – come una attivit che la Chiesa
svolge, ma come la identit stessa che la Chiesa deve continuamente
ri-scoprire e ri-assumere, non potendo evitare a se stessa di rimanerne profondamente condizionata proprio nella
sua stessa identit e consistenza. stata questa una delle maggiori
consapevolezze maturate e conseguite attraverso il Concilio Vaticano II e
recepite con chiarezza da molta Teologia degli ultimi decenni.
5. Chiesa, missione e Pastorale
Come ben documentato da Severino Dianich gi quarantanni fa: la
connessione tra Chiesa e (sua) missione, al di l di molte presunzioni
post-conciliari, una delle tematiche teologiche portanti del Novecento
europeo, sia riformato che cattolico, gi a partire dagli anni 40 del secolo
scorso. Lautore osservava tuttavia – gi al tempo – che
il dibattito sulla missione della Chiesa si svolge quasi sempre su terreni
diversi da quello dellEcclesiologia, segnatamente ci che oggi di solito
indicato come Teologia politica, evidenziando cos una circostanza in qualche
modo strutturale che ha impedito alla Canonistica, nella sua maggior parte, di
considerare adeguatamente il tema della missione in relazione allidentit (o
natura) ecclesiale, soprattutto negli anni della revisione codiciale
(= gli stessi nei quali lautore scriveva) e della redazione finale del CIC del 1983, che allazione missionaria
della Chiesa dedica espressamente solo 12 Canoni (cfr. Cann. 781-792).
Studiando con attenzione la tematica a partire gi dalle sue radici
prebelliche, lallora giovane ecclesiologo sollecitava la necessit di
ripensare tutta lEcclesiologia per poterla riscrivere facendo della missione
non gi uno dei suoi capitoli, bens la sua dimensione fondamentale, partendo
con rinnovato vigore dai maggiori testi conciliari in materia: LG 17 (v. infra) e AG 2, oltre
che dalla prospettiva sviluppatasi poi a partire soprattutto da Gaudium et Spes in ragione di una
concezione dei rapporti Chiesa-mondo non esattamente continuativa rispetto a
quelli del Concilio precedente, e della mentalit che lo aveva supportato.
Lapproccio va tuttavia ampliato evidenziando un fattore decisivo
per la delineazione e lo sviluppo della tematica, sino ad oggi scarsamente
considerato (almeno dai canonisti): il rapporto
tra missione e Pastorale, che Dianich (in tale sede) non affront espressamente
ma sul quale continua ad offrire un contributo sostanziale attraverso la sua
riflessione, intrapresa a partire dallevoluzione del concetto di missione
ecclesiale.
Quando P. Charles lanciava la formula della plantatio Ecclesi come scopo della missione e sosteneva che il
missionario incaricato non di salvare le anime, ma di instaurare dove ancora
non esiste, il mezzo ordinario della salvezza, ossia la Chiesa visibile,
portava fuori dalle angustie dellindividualismo astorico il tema della
salvezza cristiana aprendolo, se pure con inadeguatezza di strumenti, alla sua
dimensione ecclesiologica.
La prospettiva cos suggerita fondamentale per la Canonistica,
non solo poich scardina dal punto di vista teologico il presupposto indubitato
della salus (singolarum) animarum per
inaugurare una prospettiva propriamente ecclesiologica ma, molto maggiormente,
perch permette di cogliere – riproponendolo a rovescio –
ci che, in realt, aveva causato leffettiva fine della missione nella Chiesa antica, trasformandola nella
Pastorale. Va infatti riconosciuto che
in un quadro di riferimento determinato dalla limitata
conoscenza del pianeta e da una prospettiva storica scorciata, in forza di
unaccentuata escatologia apocalittica, ben presto nella Chiesa del primo
secolo si afferm lidea che la missione, essenziale opera degli Apostoli, era
stata da loro stessi fondamentalmente compiuta. Non si pu neanche escludere
che questa fosse la loro stessa convinzione, se pensiamo che Paolo scrivendo ai
Romani prevede un suo viaggio in Spagna, per il desiderio di raggiungere
lestremo Occidente in modo che la sua opera potesse risultare, in fine,
totalmente compiuta: dallOriente allOccidente.
Partendo cos dal presupposto che la fede cristiana sia gi condivisa
da tutta la popolazione del Paese, non si pone al centro della vitalit della
Chiesa limpegno della comunicazione della fede, ma la cura pastorale dei
credenti. In tal modo per, gi prima del IV-V secolo
lidea della missione compiuta ha comportato una sostituzione, al
centro, di quella che si felicemente chiamata la cura delle anime al posto
dellevangelizzazione vera e propria. Si opera in questo paradigma con il
presupposto che il mondo, o almeno tutta la popolazione del proprio territorio,
cristiana e che il compito della Chiesa, o meglio dei suoi ministri ordinati,
quello di aiutare gli altri cristiani, i laici, a salvarsi lanima. Il
presupposto di operare allinterno di un Paese cristiano porta con s anche il
convincimento che la societ intera, con la sua struttura sociale e politica,
cristiana.
Conseguenza immediata di tale autocomprensione fu lesaurirsi
della missione ecclesiale, ridotta ormai a riprodurre se stessa, cosicch il
lavoro pastorale interno alla Comunit non fu pi inteso propriamente come
parte della missione della Chiesa e tutto fu indirizzato alla suprema Lex della salus animarum, identificando la missione con la sola
– eventualissima – attivit in Partibus infidelium, avendola ormai ridotta alla stretta
finalit della fondazione di nuove Chiese o della cooptazione a s di nuovi
fedeli. Uno stato di cose che, allinterno dei confini del Sacro Romano
Impero, si congel per oltre mille anni, fino alla necessaria presa di
coscienza, dal XVI secolo, dellesistenza di nuovi mondi in cui la Chiesa non
stava ancora esercitando il proprio dovere di salvare con la predicazione del
Vangelo e il Battesimo le anime degli infedeli. Listituzione della
Congregazione De propaganda fide
nel 1622, per di pi, se da un lato arricchiva lopus Ecclesi affiancando (nuovamente) la missione alla Pastorale,
dallaltro fece per della missione un mera attivit da svolgere, in modo
sostanzialmente isolato (= altrove) rispetto alla Pastorale stessa, vista
pure la concezione e attuazione esclusivamente pontificia di tale attivit.
Unattivit, per di pi, affidata quasi esclusivamente ai religiosi attraverso
listituto canonico della Commissio,
giunto quasi alle porte del Vaticano II. Il forte impegno pastorale che segn
lapplicazione del Concilio di Trento nel territori europei contribu
significativamente a fossilizzare la dicotomia, ai limiti della
contrapposizione.
Il forte sviluppo ecclesiologico derivato dal Concilio Vaticano II
– a parziale bilanciamento di quello altrettanto decisamente
sacramentale del Concilio Tridentino – ha costretto, in certo modo,
la Teologia, ma anche lintera autocoscienza ecclesiale a riprendere in mano la
questione allinterno di un quadro dogmatico di maggior respiro ed articolazione.
Tra le chiavi di volta del nuovo corso pu collocarsi il ricupero della idea
ottocentesca del Mhler della Chiesa come continuazione dellIncarnazione
cosicch la missione della Chiesa pi semplicemente e molto pi ampiamente
la stessa missione di Cristo nel mondo. La prospettiva muta radicalmente
poich, in tal modo,
non è che la Chiesa abbia una missione da compiere: essa
semplicemente deve collocarsi sulle strade della storia di Dio, poich la
missione del Figlio e dello Spirito che la crea. Per questo motivo vale
laffermazione [] che non si pu intendere la missione dalla Chiesa ma che al
contrario si dovr intendere la Chiesa dalla missione.
Diventa facile, a questo punto, comprendere – ed
assumere – che la missione è laccadere della Chiesa dentro
il cammino storico del mondo: La missione quindi non è qualcosa di
successivo, di conseguente allevento, ma è levento stesso.
6. Chiesa e costitutivit missionaria
Come gi evidenziato: il rapporto tra Chiesa e (sua) missione non
soltanto identitario e costitutivo (cio in
origine – v. supra) ma
pure costituente (cio in itinere e pro futuro), cosicch sia la dinamica missionaria a svolgere la
funzione di vera e propria configurazione della Chiesa stessa in vista del suo
(continuare ad) esistere ed operare. Il fatto ormai assodato in ambito
teologico, soprattutto dopo la decisa presa di coscienza del Concilio Vaticano
II alla fine del secondo capitolo di Lumen
Gentium:
Come infatti il Figlio stato mandato dal Padre, egli stesso ha
mandato gli Apostoli (cfr. Gv 20,21)
dicendo: Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi
ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del
mondo (Mt 28,19-20). E questo
solenne comando di Cristo di annunziare la verit della salvezza, la Chiesa
lha ricevuto dagli Apostoli per adempierlo sino allultimo confine della terra
(cfr. At 1,8). Essa fa quindi sue le
parole dellApostolo: Guai a me se non predicassi il Vangelo (1Cor 9,16) []. spinta infatti dallo
Spirito santo a cooperare perch sia mandato ad effetto il piano di Dio, il
quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero.
Predicando il Vangelo, la Chiesa attira gli uditori alla fede e alla
professione della fede, li dispone al Battesimo, li toglie dalla schiavit
dellerrore e li incorpora a Cristo, affinch crescano in lui per la carit
fino alla pienezza.
Una presa di coscienza a cui fanno eco teologi dogni
impostazione, specializzazione e prospettiva:
Lessenza della Chiesa intimamente missionaria perch il Regno
cresce, quasi emergendo dal suolo del mondo e gli uomini ne sono
– lo sappiano o meno – co-agonisti. Il protagonista,
Ges Cristo, mostra questa unit originaria di Chiesa-mondo nel disegno di Dio
(cfr. Gv 17,21) perch in Lui e
attraverso di Lui il Regno dei cieli definitivamente in atto. Questo quadro
ecclesiologico tende ad assicurare il dinamismo vitale che solo spiega la
ragion dessere della Chiesa: fa trasparire, in quanto Sacramento, cio segno e strumento dellintima unione con Dio e
dellunit del genere umano (LG
1), il volto stesso di Cristo.
La Chiesa non esiste per se stessa, ma dovrebbe essere lo
strumento di Dio, per radunare gli uomini intorno a lui, per preparare il
momento in cui Dio sar tutto in tutti (1Cor
15,28).
La Chiesa esiste per evangelizzare. Questa non una delle tante
possibili letture della vita della Chiesa che si possono dare: si tratta invece
di una evidenza che emerge dalla stessa nascita della Chiesa e inerisce il suo
mistero al punto tale che possiamo sicuramente dire che se, per assurdo, la
Chiesa smettesse di evangelizzare, non sarebbe pi Chiesa. [] Essa []
organizza la propria struttura dandosi dei ministri dediti alla custodia
dellautentico annuncio. Questo punto iniziale non dice soltanto il primo
momento cronologico della vita ecclesiale, ma ne rivela il profondo
significato: perch lannuncio del Vangelo raggiunga tutti e attraversi la
storia di generazione in generazione necessaria una Istituzione che, a
prescindere dai singoli, sia capace di custodire e trasmettere lannuncio.
Il Concilio Vaticano II ha richiamato il fatto che la Chiesa
[] missionaria per natura sua (cfr. AG
2); e che tutti i soggetti ecclesiali ne sono, perci, responsabili.
Non si tratta, per, di semplici affermazioni – tanto
profonde quanto eteree – ma di vere acquisizioni strutturanti, soprattutto in ambito ecclesiologico, al
punto che:
Se [] lannuncio il principio esplicativo della dinamica
dellecclesiogenesi e se lecclesiogenesi il pi adeguato modello euristico
in Ecclesiologia, ne dobbiamo derivare che tutta la comprensione della Chiesa
passa attraverso la comprensione del suo atto missionario fondamentale, quello
della comunicazione della fede.
Sarebbe assai difficile [] contestare che la comunicazione della
fede sia lelemento essenzialmente costitutivo, la essentia metaphysica rei, della missione: questo un servizio
alluomo che la Chiesa pu rendergli e che nessun altro fuori della Chiesa pu
rendere al mondo.
indubbio che i testi conciliari ci offrono una visione di
missione che si allarga; e che porta a vedere la Chiesa stessa come frutto
della missione divina, chiamata a continuarla nella storia, in modo connaturale al suo stesso essere.
La missione, cio, espressione
dellessere stesso della Chiesa.
La Canonistica pi avveduta, per parte propria, aveva gi proposto
tale approccio con sicurezza, traendone luce per la stessa consistenza
dellesperienza giuridica ecclesiale nella sua specifica collocazione entro i
confini della storia umana, vista la natura espressamente esistenziale (e non nozionale)
dellannuncio evangelico:
La missione divina universale affidata da Cristo alla Chiesa
missione storico-salvifica. In quanto
[] storica o per il fatto di essere
realizzata storicamente riveste la Chiesa della nota di storicit, cio, della
responsabilit di agire con attuazioni di densit e consistenza storica che si
soliti riassumere nellattuazione delle tre funzioni (tria munera), nelle quali rinchiude e trasmette, nellattuarla,
lefficacia salvifica. Tuttavia per questa attuazione, che deve realizzarsi e
solo pu realizzarsi con attuazioni concrete, Cristo lasci alla sua Chiesa la
responsabilit e la necessit di determinare in concreto tali forme concrete
storiche di attuazione. [] Tale fondazione generica responsabilizza
precisamente gli inviati a decidere le forme concrete, il funzionamento
concreto e lordine concreto di compimento di tale missione o attuazione delle
tre funzioni e di quanto esse implicano. Sorge cos uno Ius canonicum, nel cui ambito sistematico entrano decisioni molto
varie in ragione delloggetto – attuazione – a cui si
riferiscono: ai Sacramenti ed allamministrazione dei beni ecclesiastici o al
computo del tempo, per citare alcuni esempi. E determinare il tempo non
qualcosa di sacramentale, anche se i Sacramenti si realizzano necessariamente
in un tempo e in uno spazio concreti.
In tal modo la Chiesa, in quanto strumento efficace dellazione
salvifica di Dio nel mondo e per il mondo,
sorge nella e per
lattuazione o compimento della missione divina, precisamente come esigenza della natura storica di questa
missione divina storico-salvifica e universale ad extra e ad intra: Cristo, nellaffidarla responsabilizz la sua Chiesa
non solo a realizzare o esercitare
storicamente questa missione di efficacia salvifica, ma anche e
specificamente ad attuarla o esercitarla prendendosi
cura della sua efficacia storica, rivestendone lattuazione di efficacia storica []. Il suo storicizzarsi e storicizzare non solo
per mera necessit-legge naturale di contattare i destinatari, ma perch Dio ha
assunto questa necessit-legge per il proprio disegno divino di salvarci
attraverso la via storica della missione. Tra questo principio e lattuazione
storica della missione sta la missione.
Se alla Chiesa non fosse stata affidata tale missione, non avrebbe motivo per
esigere una ragione teologica
specifica per giustificare il fenomeno canonico: poich il fine della storicizzazione di questa missione incarnare lefficacia salvifica della
missione nellattuazione storica di questa stessa missione: questa storia il
veicolo storico della salvezza. E il fine del fenomeno canonico ottenere
che si compia storicamente bene la sua missione.
Tale missione, infatti, non pu essere identificata
con una realt
precostituita, senza rapporto con la storia, da trasferire, poi, nel mondo
come in una regione straniera, quasi come unopera che vi si sovrapponga
dallesterno. Ne deriverebbero, tra laltro – come purtroppo
successo e succede –, la sua inesorabile inincidenza e, per finire,
la sua inutilit. Invece la viva edificazione della Chiesa ha a che fare,
costitutivamente, con la storia, con uomini toccati al cuore della propria
libert dal dono dellevento di Ges Cristo. Al punto trasformati, nel ritmo
quotidiano degli affetti e del lavoro, dalla Sua presenza, da comunicarla
gratuitamente a quanti entrano naturalmente in rapporto con loro.
Ci si trova cos innanzi ad una situazione non puramente fattuale
e contingente, ma costitutiva della realt ecclesiale come tale:
La Chiesa, in quanto popolo della nuova Alleanza conclusa in
Cristo, ha per scopo e compito originali, quasi come propria ragione dessere,
il proseguimento della missione di Cristo.
La Chiesa trae la sua origine dalla missione ed esiste come
missione, per cui il principio organizzativo fondamentale della Chiesa la
missione.
Lapproccio, nondimeno, era stato valorizzato anche sotto altra
prospettiva da chi aveva colto il vero passo avanti conciliare soprattutto a
riguardo del concetto di missione, classicamente inteso quale specifica
attivit ecclesiale (= le missioni). In merito si ben osservato che
la missione
non è uno del fini dellOrdinamento giuridico della Chiesa,
da mettere pi o memo in luce in rapporto a fattori contingenti; la missione è lunico vero scopo della
societ ecclesiale; è un fine intrinseco ed immanente a tutto
lOrdinamento, di cui non pu limitarsi a permeare solo una parte.
7. Levento tipologico: Atti
15
La prospettiva illustrata trova supporto – e
fondamento – non principalmente per via teoretica ma, pi profondamente,
partendo dalle origini stesse del Diritto canonico, come ben evidenzia levento
proto-tipico (nel senso patristico di typos
originario e originante) e sommamente emblematico della normativit
ecclesiale: il c.d. Concilio di Gerusalemme narrato in At 15, da cui scatur la
prima vera Norma canonica, almeno dal punto di vista sostanziale. Una Norma
canonica che Paolo in Gal 6,16 chiama
espressamente col termine kanon
(= misura), senza che in ci rilevi la cronologia tra i due scritti
neotestamentari, n tra gli eventi di loro riferimento: il concetto infatti
che conta a questo livello di approccio. Fu quello il primo e, forse, il pi importante evento che mise in
risalto la costitutivit della missione ecclesiale per lesistenza stessa
della Chiesa e la sua conseguente condotta istituzionale, nel difficile
confronto tra la fedelt alla propria identit (= annuncio della nuova
Alleanza) e la fedelt al proprio passato (= osservanza dellAlleanza
sinaitica). Non solo questo, tuttavia, poich il ricondurre quellevento
allarea/ambito/tematica della missione (extra)ecclesiale anzich della
comunione (intra)ecclesiale offre una peculiare prospettiva non solo di lettura
del testo ma pure di sua comprensione.
Davanti al costituirsi – prima in Asia e poi in
Europa – di intere Comunit cristiane provenienti dal paganesimo,
ben presto numericamente prevalenti, si pose infatti linterrogativo del
rapporto tra tali credenti in Cristo salvatore e coloro che, soprattutto
nelloriginaria Comunit gerosolimitana, provenivano invece dallEbraismo, al
quale erano rimasti sostanzialmente fedeli sotto il profilo rituale. In quel
contesto la Chiesa si vedeva attraversata da questioni concrete e pratiche:
come si diventa cristiani, come ci si comporta da tali? Che cosa, poi,
andava considerato costitutivo, e quindi irrinunciabile, per essere cristiani? Due erano, alla fine, i problemi
di prassi ai quali non ci si poteva pi sottrarre: 1) la
circoncisione, 2) lunicit eucaristica. Due condotte esteriori non meramente
formali, ciascuna delle quali presupponeva e comportava altre condotte ed
impattava direttamente col Battesimo, formalizzazione specifica della missione
affidata dal risorto (Mc 16,15; Mt 28,19-20) ed elemento distintivo ed
identitario della nuova Comunit di fede. Il problema, inoltre, non era solo pratico e circoscrivibile alle
tre attivit direttamente coinvolte: circoncisione, Battesimo, Eucaristia, ma
intaccava potenzialmente la stessa identit
ecclesiale. Se, infatti, per ricevere il Battesimo occorreva essere stati
previamente circoncisi, come dovevano essere considerate le Comunit
pagano-cristiane di fondazione paolina nelle quali la circoncisione non veniva
praticata? Tali Comunit appartenevano alla stessa
fede – e, quindi, alla stessa
Chiesa – delle Comunit giudaico-cristiane? Inoltre: il Vangelo
annunciato da Paolo era quello vero? Questa gente poteva essere davvero
considerata cristiana? Si trattava davvero di fratelli? Come potevano
essere vero Popolo di Dio dei non-circoncisi? Allo stesso tempo, dallaltro
punto di vista: come potevano essere davvero di Cristo coloro che si facevano
circoncidere in vista del Battesimo oppure, eventualmente, dopo di esso? Chi,
dunque, era davvero cristiano? Le questioni, nondimeno, non erano solo
liminari (afferenti, cio, lingresso nella Comunit di fede) ma ricadevano
sulla prassi quotidiana delle Comunit stesse accrescendone la fragilit in
riferimento alla celebrazione eucaristica. La comunione infatti dellunico pane
e dellunico calice (cfr. 1Cor
10,16-17) confliggeva nelle Comunit miste col divieto per i circoncisi di
sedere a mensa coi non-circoncisi, finendo per sollecitare una doppia
celebrazione dellunica Cena del Signore. Si veda in merito la questione del
rimprovero di Paolo a Pietro per la sua condotta ad Antiochia proprio a
riguardo del prendere cibo insieme ai pagani (cfr. Gal 2,12). Paolo, per parte sua, non era in grado di concepire, ed ammettere,
nulla che potesse scalfire o fare ombra alla signoria assoluta di Cristo, alla sua croce e alla salvezza che solo da tale croce era derivata agli
uomini:
Queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una
perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo
della sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore. Per lui ho
lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare
Cristo (Fil 3,7-8).
Nulla avrebbe potuto relativizzare n levento pasquale, n le sue
dirette conseguenze. Nulla avrebbe potuto rendere Cristo semplicemente
complementare di qualsiasi altra realt umanamente accessibile. La
circoncisione del pagano-cristiano, anzi: 1) rischiava di ridurre il
mistero pasquale a mero coronamento di una salvezza di per s gi effettiva,
nel caso del Battesimo successivo; 2) risultava in aperta contraddizione
col Battesimo nel caso gli venisse aggiunta in seguito (cfr. Gal 5,2). In entrambe le prospettive n
Cristo, n il suo Vangelo risultavano definitivi e concludenti, rendendo
pertanto del tutto inutile lazione missionaria: ci a cui lApostolo accenna
quando scrive di non voler correre o aver corso invano (cfr. Gal 2,2). Mettere per in dubbio lattivit missionaria di Paolo avrebbe
significato e comportato bloccare la missione
stessa della Chiesa, interrompere lannuncio del Vangelo e
lamministrazione del Battesimo, non dare pi seguito al comando del risorto di
andare in tutto il mondo ed annunciare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), n allazione dello Spirito
che gi aveva spinto allesterno dIsraele prima Pietro (cfr. At 15,7-11) e poi Paolo e i suoi
compagni di missione (cfr. At
16,6-10). Lintero evento Cristo sarebbe collassato nellannuncio ai soli Ebrei
– seppure in diaspora nel mondo intero – dellinutile venuta del Messia che nulla aveva mutato n della loro
condizione di esuli, n di quella della citt santa ancora in balia dei pagani.
In tale prospettiva il problema non riguardava n lidentit ecclesiale, n la comunione
allinterno della Comunit di fede, ma la vera e propria esistenza della Chiesa stessa. Di qui limportanza e decisivit
della questione e delle numerose vicende connesse. Fu proprio innanzi a questa consapevolezza, sebbene non
esplicitata dal testo lucano, che venne valutato il problema e presa la
correlata decisione di non attribuire alcun valore, n sostanziale n formale,
alla circoncisione (in nessuna delle sue possibilit) legittimando lattivit
missionaria di Paolo e lespansione ecclesiale oltre i confini (personali)
delloriginario Popolo di Dio. Non si trascuri in merito neppure il diffondersi
del Cristianesimo fuori dei confini dIsraele in direzioni e luoghi mai
raggiunti da Paolo ma altrettanto fecondi per la missione evangelizzatrice da
cui sorgeranno il nucleo copto, quello armeno e quello caldeo della fede
cristiana.
Ci che risalta nella complessit delle circostanze e dellevento
stesso la decisivit dellannuncio del Vangelo, nel suo costituire la
missione stessa della Chiesa, la sua finalit pi profonda: questo annuncio
che suscita la fede ed apre al dono della salvezza, gi efficace per la fede
stessa, ma chiamata a crescere ed a radicarsi esistenzialmente allinterno
della Comunit di fede e di salvezza (la Chiesa, appunto).
La Chiesa nasce quindi dalla proclamazione della gloria di Ges
che siede alla destra del Padre, destinato a venire sulle nubi a giudicare il
mondo, e guarda a lui come al proprio buon pastore e come allunico salvatore,
ricordando la sua vicenda in mezzo agli uomini, dalla sua nascita alla sua
morte, e accogliendo con fede la testimonianza degli Apostoli che lo hanno
visto risorto.
Lesperienza di Pietro con la famiglia di Cornelio (cfr. At 10) tipologica in merito; allo
stesso modo che lesperienza di Paolo; e questo non meno dellorigine della
Comunit cristiana di Gerusalemme, sorta intorno ad una semplice
domanda-risposta:
Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E Pietro disse: Pentitevi e
ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Ges Cristo, per la remissione
dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito santo. Per voi
infatti la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani,
quanti ne chiamer il Signore Dio nostro. Allora coloro che accolsero la sua
parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone
(At 2,37b-41).
8. Istituzionalizzazione
Posta sin qui nel necessario rilievo ecclesiologico la missione ed
il suo ricupero negli ultimi decenni, si tratta ora di delineare
– seppur in modo estremamente sommario – ci che riguarda
laltro polo dellesserci
ecclesiale: unaltra dinamica che, sebbene autonoma nel suo configurarsi
rispetto ai contenuti espressamente ecclesiali (= il kerygma), non pu risultare in alcun modo n casuale, n posticcia
per la Chiesa, come ha ben espresso P. Erd affermando che
la missione, il mandato che la Chiesa dei primi tempi aveva
ricevuto in maniera consapevole da Cristo e che concepiva come opera da
compiere quale suo sostituto, costituisce il fattore principale
dellistituzionalizzazione. La partecipazione particolare a questa opera
struttura la Comunit, soprattutto a partire dal II secolo, in maniera pi
chiara e visibile. Il ruolo speciale dei successori degli Apostoli, anche se
non concetto separabile dalla missione dellinsieme della Chiesa, un
principio in certo senso diretto ed autonomo dellorganizzarsi originale della
Chiesa e della sua realt istituzionale.
Unistituzionalizzazione che sinnesca e simpone con inevitabile
naturalezza allinterno della Comunit dei credenti nel Cristo risorto: una
dinamica che non riguarda, prima di tutto, i rapporti con la divinit, sempre
sfuggenti (e spesso arbitrari nella loro formalizzazione, soprattutto rituale),
ma i rapporti tra credenti ; tanto
pi problematici quanto dipendenti da fattori
estrinseci rispetto al nucleo di fede, come furono i numeri
(= migliaia di battezzati alla volta – cfr. At 2), le provenienze socio-culturali (= gli ellenisti, oltre
i giudei – cfr. At 6), la
legittimazione apostolica (= Paolo e le sue Comunit).
La istituzionalizzazione dei rapporti fra i credenti non parte
dalla creazione dei riti, ma dalla regolamentazione della ortodossia della
fede, di cui gi nel Nuovo Testamento abbiamo significati e testimonianze [].
La trasmissione fedele della memoria di Ges, infatti, non poneva tanto
lesigenza di strutture sacerdotali, quanto di istituzioni, come quella dei
Presbiteri-Episcopi, destinate a custodire e trasmettere fedelmente il
deposito della originaria predicazione apostolica. Dalla consapevolezza
dellessenziale importanza della pardosis
nascono i processi di istituzionalizzazione che fissano e regolano in
strutture costanti e capaci di durare nel tempo quella rete di relazioni che
ogni atto comunicativo della fede proposta ed accolta crea intorno a s. []
Soggetto portatore di un tale fenomeno, allora, non pu essere che una
aggregazione sociale stabile ed istituzionalizzata, capace di porre le
condizioni di autenticit della fede e di garantirne la prosecuzione. Soggetto
adeguato al compito non il credente nella sua assoluta singolarit ed
estemporaneit, n un fenomeno di comunicazione dal carattere rapsodico, ma
solo un soggetto collettivo, dotato di una sua forma istituzionale, che
sovrasti il singolo credente e la stessa somma dei credenti, in modo da
sopravvivere allesistenza dei singoli e della stessa loro sommatoria presente
qua o l, in questo o in un altro momento.
La necessit di una stabilizzazione (istituzionale) della nascente
e crescente Ekklēsa si poneva con maggior
decisivit considerando il rischio concretissimo – viste le energie
spese a contrastarlo sia da Paolo che dallEvangelista Giovanni –
che il kerygma venisse ridotto a
semplice gnosi che ciascuno – individualisticamente –
potesse coltivare a proprio uso e consumo. Nella prospettiva degli
evangelizzatori, invece, la comunicazione della fede crea una nuova rete
relazionale che lega profondamente fra di loro le persone coinvolte in
questatto comunicativo, formandone vere e proprie Comunit impegnate nel
praticare la nuova via e nel farla conoscere ed abbracciare ad altri. Si
tratta, in fondo, del concetto di depositum
fidei, intorno al quale si sviluppava la maggior parte dellattivit
apostolica: un depositum da custodire
e tramandare affinch condizioni la vita delle persone, senza restarne
– tuttavia – condizionato (quanto a contenuti). Fu
questa, in effetti, una delle principali dinamiche che videro impegnata la
Comunit cristiana dellepoca apostolica non solo nel diffondere ma anche
– e soprattutto – nel fissare il buon annuncio, leuanghlion, il kerygma.
Lannuncio da cui nasce la Chiesa quindi lannuncio su Ges pi
che lannuncio di Ges stesso. Anzi solo pensandolo in questi termini
lannuncio pu essere rilevato come il principio originante la Chiesa non solo
in assoluto, nel complesso indifferenziato della sua storia, ma in ogni
particolare evento di ecclesiogenesi. Lo fu nel primo evento dellorigine della
comunit di Gerusalemme, come lo in ogni situazione nella quale in un certo
tempo e in un certo luogo un credente comunica la fede e qualcuno laccoglie.
In questi termini possiamo pensare lestendersi della Chiesa nel mondo e il suo
originarsi presso i diversi popoli della terra. [] In un certo senso si potrebbe dire, utilizzando il linguaggio
della Scolastica, che il rapportarsi di un credente, il quale annuncia che Ges
risorto ed il Signore, con un interlocutore che ne accoglie lannuncio la
vera e propria essentia metaphysica rei
della Chiesa, cio quella componente della sua essenza posta la quale si d
la res, mentre mancando la quale la res non esiste. LEucarestia stessa
infatti non avrebbe n senso n sarebbe autentica realt sacramentale se non
fosse sostenuta dalla fede professata e condivisa da coloro che la celebrano.
La salvaguardia e la venerazione delle parole e dellinsegnamento
di Cristo come fonti e regole della fede unidea che sta alla base della
stesura dei Vangeli stessi. [] Lefficacia vincolante del modello consente a
qualche autonomia, ma ha custodi e testimoni autentici. [] Questo dovere non
un fatto secondario anzi primario e scaturisce proprio dalla natura della
Chiesa, perch – come insegna Paolo VI – la Chiesa
esiste al fine di annunciare il Vangelo.
In tali contesto e dinamiche, al di l dei naturalismi che la
Canonistica fondazionale voleva evitare come gravemente insufficienti per
assicurare unorigine divina (pi che teologica) del Diritto canonico (v. supra),
siamo obbligati a pensare che la istituzionalizzazione, nella
forma di una stabile aggregazione sociale, del dono della comunione, appena
essa assume forma visibile attraverso la comunicazione della fede, non pu
essere considerata quasi un incidente di percorso, oppure una inevitabile,
anche e in fondo deprecabile, esigenza antropologica. Il fatto si fonda sulla
forma della Rivelazione propria della fede cristiana: se Dio ci si rivelato
attraverso dei fatti, noi possiamo accoglierne la Rivelazione solo se qualcuno
ce ne ha conservato la memoria, e solo una istituzione che rivesta di stabilit
e di continuit laccoglienza della Parola di Dio il soggetto adeguato della
trasmissione storica della memoria.
Nondimeno, in ambito ecclesiologico ci si era chiesti
– quasi come verifica e
contrario – se fosse mai realmente esistita la possibilit che
la Chiesa non si istituzionalizzasse nella misura in cui lo fece e che
mantenesse un modello molto pi carismatico come quello proposto nelle Comunit
paoline. Una domanda palesatasi ormai soltanto retorica, non potendosi pi
negare che
la struttura carismatica sempre qualcosa di singolare che
risponde ad una situazione straordinaria. Tuttavia precisamente per la sua
singolarit instabile e tende a stabilizzarsi come qualcosa di abituale,
permanente e quotidiano. Con altre parole, il carismatico tende a
istituzionalizzarsi, e il carisma tende a convertirsi in tradizione e
associazione razionale. Lindividuale carismatico cede il passo al disciplinare
collettivo. Questo processo Weber lo qualifica oggettivazione del carisma,
oggettivazione che fa che si passi da una grazia personale ed intrasferibile a
carisma trasmissibile, acquistabile o vincolato ad un incarico. ci che
storicamente si dato con la successione apostolica e con lOrdinazione che
trasmette un carisma ed una capacit per svolgere una funzione o un ministero.
In merito si pure evidenziato, non solo come si debba parlare
dello stesso Ges come di un maestro carismatico: La sua legittimit non
deriva da un sapere religioso istituzionale, molto meno da un apprendimento
teologico o da un incarico istituzionale, ma anche come lo stesso sia valso
per gli Apostoli e le stesse prime Comunit cristiane.
Il carisma determinante per la Chiesa e tutto si sviluppa a
partire dallispirazione dello Spirito, incluse le nuove Scritture. [] La
carismaticit la essenza stessa della Chiesa. [] Eppure non si pu parlare
della carismaticit senza alludere alla sua istituzionalit. Entrambe devono
essere vincolate e interagire tra loro. [] Il carisma puro, senza influssi istituzionali, non esiste, una entelecha impropria della condizione
umana. Mentre, invece, la istituzione interna alla stessa evoluzione del
Cristianesimo. [] Il canone del Nuovo Testamento fu la prima grande
istituzione normativa, norma normante,
attraverso la quale si stabil lidentit della Chiesa. [] Questo porta alla seconda grande istituzione normativa del
Cristianesimo, quella personale degli Apostoli che parlavano con unautorit
basata nella stessa Rivelazione []. La Chiesa non un mero raggruppamento di
individui giustapposti, ma rinvia ad unautorit apostolica. Possiamo anche
menzionare una terza istituzionalizzazione. Quella che giunse a creare una
struttura sacramentale che servisse di alternativa al culto giudaico e pagano
dellImpero romano. Si cre una Liturgia, con il Battesimo e lEucaristia come
Sacramenti maggiori, poich entrambi sintetizzavano la morte e risurrezione di
Ges.
Questo, tuttavia, pu accadere soltanto allinterno di un ambiente
relazionale sufficientemente stabilizzato nei suoi ruoli e nelle sue funzioni,
mansioni e responsabilit: ci in cui consiste
– espressamente – unistituzione dal punto di vista
sociologico ed antropologico.
9. Diritto canonico e missione
Il percorso sin qui svolto ha gi messo in luce, anche sotto
prospettive variegate, lo stretto legame che intercorre nella Chiesa tra missione ed istituzione; qui giunti non resta pertanto che esplicitare il
legame altrettanto solido che lega tra loro istituzione
e Diritto facendone un tuttuno,
secondo la prospettiva proposta (un secolo fa) da Santi Romano con la sua
Teoria ordinamentale (o istituzionale, che dir si voglia). Sia sufficiente in
questa sede ricordare il principio che regge lintera prospettiva cos
delineata: Crediamo che fra il concetto di istituzione e quello di Ordinamento
giuridico, unitariamente e complessivamente considerato, ci sia perfetta
identit, infatti:
Ogni Ordinamento giuridico unistituzione, e viceversa ogni
istituzione un Ordinamento giuridico: lequazione fra i due concetti
necessaria ed assoluta.
Per parte propria, poi, il concetto di Ordinamento giuridico
pienamente sovrapponibile a quello di Diritto, identificandosi con esso nella
sua accezione pi ampia, come ben espresso da Paolo Grossi, secondo il quale il
Diritto altro non sarebbe che ordinamento osservato . Questa, in effetti, proprio lesperienza ecclesiale
lungo i secoli, indipendentemente da come si voglia (o si possa) qualificare
dal punto di vista espressamente tecnico la tipologia normativa (= Canoni
conciliari, Decretali pontificie, Codici canonici) adottata dalla Chiesa lungo
i suoi due millenni di vita – istituzionale –
ininterrotta.
Bastino queste poche sollecitazioni per offrire la sufficiente
solidit a quanto prospettato da T. Jimnez Urresti per il Diritto canonico
proprio nella strutturale circolarit
test illustrata tra missione, istituzione e Diritto:
Ogni societ ha la propria giustificazione, natura, funzioni,
ragion dessere, e principio normativo o
norma originaria o fondamentale, nella propria finalit, secondo il primo principio della logica normativa: il
principio il fine. Ed il fine della societ della Chiesa, quale fondata
da Cristo, la missione che Cristo
le affid: missione universale storico
salvifica. [] In tal modo la storicit della missione ecclesiale ne qualifica
sostanzialmente la socialit, essendo la socialit il mezzo attraverso cui una
persona, un gruppo o un popolo pu fare storia ed incidere nella storia. La
Chiesa dunque, come Popolo di Dio, proprio in ragione della missione
storico-salvifica ricevuta da Cristo, mandataria e responsabile di questo compimento;
con parole della Logica deontica, si dice che la Chiesa ha il titolo (facolt)
ed il dovere (responsabilit) di compiere non solo ci che stato espressamente
– esplicitamente o implicitamente – comandato, ma anche
di compiere quanto implichi di storicamente
necessario il realizzare, cos come realizzare bene, la missione o mandato
originario. [] Di conseguenza il Diritto
canonico, per la sua attitudine strumentale a programmare, ordinare,
organizzare e coordinare nellunit le attuazioni di tutti e di tutta la
Chiesa, trova la propria
giustificazione teologica nel compiere e per compiere la missione
costitutiva della Chiesa stessa.
Il Diritto canonico di pertinenza della socialit, e pertanto della visibilit
della Chiesa. E, per una maggior esattezza: la storicit una nota di esigenza
della stessa nozione di Chiesa pellegrina, ma la sua storicit reale non
appartiene alla sua essenza, quanto solo alla
sua esistenza: la Chiesa pellegrina esiste solo come Chiesa storica, come congregazione o associazione dei credenti in
Cristo dotati della missione divina che Cristo le affid.
Nondimeno, allinterno della stessa Ecclesiologia si era gi
affermato sin dal primo dopo-Concilio che
pensare che basterebbe rifiutare nella Chiesa il Diritto per
ritrovare la Chiesa della carit, sarebbe infilare la strada delle pi rovinose
illusioni. Una Chiesa che ripudiasse il Diritto correrebbe il rischio di essere
non la Chiesa della carit, ma la Chiesa dellarbitrio.
Ne deriva con immediatezza la necessit, per la Teoria generale
del Diritto canonico, di
rivalutare il concetto di missione come fondamento radicale del
Diritto della Chiesa, che si è strutturata in funzione della costruzione
del Regno nel mondo e della possibilit di far presente, in modo efficace,
levento salvifico di cui è portatrice.
partendo da questarticolata prospettiva e consapevolezza che
– circa ventanni fa – si realizzato nella Canonistica
un importante passo avanti dal punto di vista concettuale attraverso la
teorizzazione della norma missionis
quale sostanziale punto di riferimento e sintesi per lintera esperienza
giuridica ecclesiale. Con tale espressione, lungi dal voler congestionare ulteriormente
il panorama concettuale canonico, sintese invece far riferimento in modo
sintetico sia [1] allidentit
(essenza o natura, che dir si voglia) che [2] alla funzionalit peculiari di ci che la Chiesa vive al proprio interno
in modo originariamente e spontaneamente giuridico: ci che da secoli va
sotto il nome di Diritto canonico. La pregnanza ecclesiologica del concetto
– come sin qui ampiamente illustrato – permette altres
dipotizzarne un efficace utilizzo come veicolo interdisciplinare verso la
Teologia in generale, oltre che la Pastorale, alla quale si fatto ampio
riferimento (v. supra).
La sua realt giuridica [della Chiesa – ndr] si presenta fin dalle origini
(mandato prepasquale e postpasquale) come norma
missionis e come tale devessere inteso quanto gli Apostoli e lo Spirito
santo hanno creduto opportuno stabilire.
Il NT e la vita della Chiesa post-apostolica permett[ono] di
riconoscere fin dalle prime origini della Chiesa stessa lemergere e
laffermarsi di una norma finalizzata alla missione evangelica. Cristo ha fondato la sua Chiesa sugli Apostoli, i mandati; la
Chiesa di Cristo (come Cristo stesso) è mandata. La struttura
ontologica della Chiesa è missionaria, rivolta cio allannuncio del kerygma di salvezza; gli Apostoli, prima
che maestri, sono annunciatori e testimoni: uno solo il vostro maestro, il
Cristo (Mt 23,10).
La prospettiva che ne emerge sembra poter rispondere alla
richiesta che lEcclesiologia stessa rivolge – anche – al
Diritto canonico:
Oggi si è sempre pi chiaramente consapevoli che i processi
di istituzionalizzazione appartengono alla fisiologia dellesperienza religiosa
e che quello della contrapposizione fra carisma e istituzione è in realt
un falso problema. La questione veramente seria non è: istituzione
sì - istituzione no; il vero problema è invece quello della qualit dellistituzione
Una qualit che proprio la norma
missionis vorrebbe efficacemente tutelare.
in: Apollinaris, XCI (2018), 83-120