Bilancio canonistico sulla norma missionis
Paolo Gherri
Sommario
1. Superamento
di unambiguit. 2. Strumentalit del concetto.
Ci che pu ritenersi adeguatamente conseguito al termine della
XIII Giornata canonistica interdisciplinare la consapevolezza che la norma missionis non costituisca la mera
riproposizione di una – pi o meno romantica e datata –
ideologia della missione, quanto invece una prospettiva (sia ermeneutica che
euristica) dalla quale guardare alloperativit soprattutto istituzionale della
Chiesa cattolica (tale, infatti, il Diritto canonico) la quale proprio da
questa missione (stata) costituita e ad essa finalizza le proprie energie ed
attivit. In questa prospettiva utile evidenziare come, se da un lato diversi
contributi della Giornata hanno posto in luce i rischi sottesi alla missione
intesa come opus faciendum, come
attivit, realizzazione, programma dallaltro lato hanno ugualmente
evidenziato limpossibilit per la Chiesa di concepirsi in modalit
semplicemente statica, come potrebbe darsi per una mera Istituzione di
carattere (soltanto) spirituale o cultuale, o semplicemente culturale come oggi vengono pi spesso
percepite a livello socio-politico le Religioni nel loro complesso.
1. Superamento di unambiguit
Il modo forse pi efficace – oltre che atteso dalla
dottrina degli ultimi anni – di portare ad esito la riflessione
proposta attraverso la Giornata canonistica pare quello di superare
(finalmente) lambiguit sin qui rimasta costantemente sottesa alla (in parte
enigmatica) formula latina
norma
missionis, utilizzata sino ad oggi senza che nulla ne sia (mai) stato
detto in modo specifico. Unambiguit (in realt, spesso,
polivalenza) che accompagna strutturalmente luso del genitivo
ponendo il dilemma sintattico, e logico, tra la sua interpretazione oggettiva o
soggettiva.
Gli apporti della Giornata canonistica, soprattutto a livello pi
espressamente concettuale, permettono in questa sede di affermare con decisione
che si tratta di un genitivo soggettivo:
(quel)la
norma che la missione!
Non si tratta, cio, di porre in risalto lapporto che (anche) il
Diritto canonico offre alla missione della Chiesa, nella sostanziale
prospettiva pastorale ritornata di moda
ai tempi di Papa Francesco, come gi nel dopo-Concilio si cerc la
legittimazione di tale Diritto per via teologica (
sic!), quanto piuttosto di riconoscere che ҏ la stessa missione a
costituire in modo imperativo il
quid
Ecclesi, divenendone cos la norma nel suo senso pi vero!
La Chiesa non ha una missione, al pari di qualunque Istituzione,
Ente, Azienda o altra realt umana operante nella storia.
La Chiesa ҏ missione, in quanto Comunit (intrastorica) di
salvezza (escatologica)! I gi abbondanti elementi messi in gioco dai diversi
contributi, insieme alla significativa bibliografia addotta, lhanno
evidenziato con chiarezza, secondo il metodo della ecclesiogenesi: Ges
Cristo non ha fondato (cio: eretto formalmente in senso giuridico) la Chiesa
per affidarle –
solo in
seguito – una/la missione.
accaduto, invece, il contrario: Ges Cristo ha affidato ai
suoi la missione e in essa (cio nel suo svolgersi) ha preso corpo la
Chiesa nel suo costitutivo essere Comunit radunata dallascolto del buon
Annuncio e nellassunzione vitale di questo Annuncio di salvezza nella storia,
verso leternit, sostenuta dallazione costante dello Spirito.
Non si trattato, e continua a non trattarsi, di una
res (= la Chiesa) che pone in
essere un
opus (= la missione),
ma di una
dynamis (= lAnnuncio)
che coinvolge, addensa e coagula risorse di una certa specificit
indirizzandone in modo unitario lattivit risultante. Come lEvangelista Luca
mostra bene nei suoi Atti di Apostoli: allinizio (= Pentecoste) fu
soltanto la parola di Pietro e degli altri undici a suscitare richiamo,
attenzione e conversione (cfr.
At
2,14-41). Significativamente il verbo usato dallEvangelista per indicare ci
che stava formandosi aggiungere (=
prostthemi
– cfr.
At 2,41; 2,47; 5,14;
11,24). Fu questa dinamica a creare quella realt nuova che Luca, allinizio,
non neppure in grado di nominare: la
Ekklēsa
(cfr.
At 5,11), che nei Vangeli era
stata nominata appena due volte dal solo Matteo (cfr.
Mt 16,18; 18,17).
Ges Cristo, in altri termini, non ha creato la Chiesa come una
sorta di contenitore al quale si accede e dentro il quale, eventualmente,
si entra: lidea lucana dell
aggiungersi
o
essere aggiunti lo evidenzia con
efficacia. Cristo ha invece affidato la prosecuzione di un Annuncio
– a Lui stesso affidato originariamente dal Padre (cfr.
Gv 6,57; 17,18; 20,21) – che,
se e
quando accolto, indirizza lungo uno stesso cammino coloro che ne
fanno la meta della propria esistenza: cos che ci si sente radunati
divenendo assemblea, convocazione (=
ekklēsa). La Chiesa deve infatti se stessa alla missione del
Figlio e dello Spirito ad opera del Padre, la cui intenzionalit ultima la
salvezza escatologica dellumanit tutta, come ben esplicitato dal n. 2 di
Ad Gentes: La Chiesa peregrinante per
sua natura missionaria, in quanto trae origine dalla missione del Figlio e
dalla missione dello Spirito santo, secondo il disegno di Dio Padre.
questo il senso teologico pi autentico dellespressione
la missione che fa la Chiesa,
cosicch non si pu intendere la missione
dalla
Chiesa, ma al contrario si dovr intendere la Chiesa
dalla missione: il resto poco pi che antropologico, Diritto
compreso.
Questa prospettiva (e consapevolezza) della dinamicit e
quotidianit della missione trova supporto, oltre che ulteriore fondamento,
nellattivit ecclesio-genetica dello Spirito santo altro
Consolatore/Parclito dei discepoli entro la storia (cfr.
Gv 14,15), messa sempre pi in risalto dalle Ecclesiologie non
gerarchiche succedute al Cristocentrismo delle concezioni pre-conciliari.
Se, pertanto, in questa prospettiva che devessere compresa la
missio che genera e consolida la Chiesa,
diventa pressoch immediato comprendere come proprio tale
missio costituisca anche la
norma,
cio la direzione di sviluppo, per le-sistere e con-sistere della Chiesa come
tale: La missione strettamente connessa all
esserci stesso della Chiesa, in qualunque luogo e in qualunque
contesto essa si trovi a vivere.
Ispirandosi al linguaggio della Genetica si potrebbe dire che la
missio il corredo cromosomico
dellintero organismo ecclesiale, che
presiede
normativamente al delinearsi delle varie configurazioni ed attivit
attraverso le quali lintera Chiesa [1] si forma, [2] cresce,
[3] vive, [4] raggiunge la sua pienezza e [5] si proietta nel
futuro. In tale prospettiva la
norma
missionis svolge le funzioni pi immediatamente operative proprie del DNA
di tale organismo, modellandone ed indirizzandone ogni espressione e funzione
– soprattutto in termini di sviluppo ed interazioni –,
senza per mai sostituirsi con immediatezza ad alcun istituto giuridico, n
Istituzione n, tanto meno, Norma giuridica propriamente tale.
quanto si voluto esprimere con lindicarla quale concetto
meta-giuridico, di portata giuridico-costituzionale, visto che
non si pu evidentemente immaginare che la
norma missionis concerna a questo punto soltanto qualche aspetto o
dimensione del vivere ecclesiale. Essa dovr riguardare il tutto della vita
della Chiesa.
2. Strumentalit del concetto
Quella grammaticale non tuttavia lambiguit maggiore circa il
modo dintendere (e riferirsi a) la
norma
missionis, soprattutto da parte della dottrina di questi ultimi tempi:
occorre infatti risolvere – o anche solo porre in luce –
altre ambiguit pi radicali che potrebbero
neutralizzare
il concetto o, peggio,
strumentalizzarlo,
allontanandolo cos dalla sua identit e consistenza originarie. Si tratta
soprattutto delle tendenze dottrinali che stanno prendendo piede evocando
sempre pi spesso la
natura e portata
missionaria del Diritto canonico, oppure un rilancio del c.d. Diritto
missionario, o anche la creazione di Norme di apertura dellOrdinamento
canonico alle relazioni esterne alla vita ecclesiale, fino al rilancio anche
del Diritto particolare (soprattutto nazionale o continentale) quale modalit
di
inculturazione istituzionale della
Chiesa.
Tenuto conto di tali indirizzi interpretativi, necessario in
questa sede chiarire – e fissare –, invece, che
non si tratta di rendere missionario
il Diritto canonico, n di sviluppare nuovi ambiti normativi, soprattutto nelle/per
le periferie ecclesiali (geografiche o esistenziali che siano), confondendo
– sia fattualmente, sia teoreticamente – missione e
Pastorale, ma di assumere la
norma
missionis come
criterio
epistemologico di base, utile sia [1] in chiave ermeneutica a capire
perch la Chiesa abbia risolto in
passato un certo tipo di problemi attraverso un determinato tipo di Norme, sia
[2] in chiave euristica per saggiare la
compatibilit delle possibili scelte operative generali
(= Norme) attraverso le quali la Chiesa – oggi e
domani – potrebbe conseguire (nuove) soluzioni sia agli stessi
problemi che a problemi finora inimmaginati.
In questo modo la
norma
missionis non soddisfa nessuna delle due attese che pi immediatamente
potrebbero coinvolgerla: 1) n quella che la collocherebbe, genericamente,
sullo sfondo dellattivit giuridica ecclesiale, come una sorta dispirazione
indiretta, a mo di spirito del Diritto canonico; 2) n quella che ne
farebbe volentieri unaltra finalit del Diritto canonico stesso, dopo (e al
posto de) la
salus animarum o la
communio.
In realt, non si tratta di nulla di davvero nuovo rispetto alle
maggiori consapevolezze gi espresse lungo i secoli dalla stessa attivit
evangelizzatrice della Chiesa: dalliniziale non imporvi altro obbligo al di
fuori di queste cose necessarie di
At
15,29 (tre cose soltanto rispetto allintera precettistica giudaica), ai
criteri spesso ribaditi ai missionari dalla stessa Congregazione
de Propaganda Fide, come quelli
suggeriti da mons. Ingoli ai Vicari apostolici dellAsia orientale nel 1659.
Assumere la
norma missionis
come concetto metagiuridico, di portata costituzionale, con funzione di
criterio epistemologico di base permette invece di offrire alla Scienza
canonistica un nuovo
strumento concreto
ed operativo utile per
validare le
Norme canoniche (passate, presenti e future), commisurandole in modo
peculiare ed appropriato con ci che la Chiesa ҏ nella propria identit pi
profonda ed irrinunciabile.
Proprio il suo essere criterio – anzich
principio – garantisce la sua strumentalit e concreta utilit
poich, separando [a] il sostanziale (= lAnnuncio) dal contingente
(= i comportamenti), [b] limperativo teologico dalla regola
canonica, [c] la
norma fidei
dalla
norma communionis, permette di
mantenere inalterata la rotta del discepolato cristiano, nonostante la
diversa direzione in cui soffiano i venti del vivere umano spesso
– purtroppo – di bolina anzich in poppa.
in: APOLLINARIS, XCI (2018), 599-607.