Episcopato ed Episcopati: Chiese ed ecclesialit




Il tema Episcopato ed Episcopati: Chiese ed ecclesialit intende porre in evidenza un problema concreto col quale il giurista ecclesiale si trova spesso a fare i propri conti: propri perch riferiti a questioni normalmente non rilevate da altri operatori ecclesiali se non attraverso qualche disagio (spesso del tutto contingente) che non raggiunge quasi mai lintensit del problema al quale dare soluzioni o, almeno, sul quale attivare adeguate ricerche. Canonisticamente, in effetti, il tema mostra uno spessore sempre meno trascurabile soprattutto in questi anni nei quali riforme (effettuate) e riformabilit (possibili) finiscono per coinvolgere sempre maggiormente i Vescovi, sebbene a titoli spesso molto diversi e non sempre prontamente individuabili, n evidentemente intrinseci.

Tra gli scolia che si stagliano allorizzonte cresce la visibilit di un vero iceberg: il rapporto tra Vescovi e Chiese, sia individualmente (= Vescovi diocesani Chiese particolari) che pluralmente (= Vescovi – diocesani e no – raggruppamenti di Chiese Chiesa universa), in un dinamismo che, almeno di fatto, sembra trovare oggi nella c.d. sinodalit – comunque intesa/invocata – un catalizzatore di estrema efficacia, sebbene spesso solo formale, oltre che a rischio di nuove derive ideologiche, come accadde per la communio in relazione al Vaticano II. Si rischia infatti di tessere una tela su un ordito troppo debole per supportarla, vista lesiguit sostanziale degli elementi sui quali si regge.

Lungi dalla velleit di offrire qui un nuovo studio sulla tematica, si proceder invece a proporre un nuovo approccio alla tematica stessa, convinti che un opportuno cambio di orizzonte, per dirla con Bernard Lonergan, possa rendere pi efficace la ricerca. Sono infatti le domande a preparare la qualit delle possibili risposte; se queste, infatti, possono risultare false (anzich vere), le domande, invece, possono essere (anche radicalmente) sbagliate o inutili. questa, daltra parte, la funzione peculiare degli strumenti preparatori alle attivit di ricerca: sollecitare, interrogare fondatamente.

1. Il problema di fondo

Assistiamo in questi anni a un evidente scivolamento sia del linguaggio ecclesiale (ecclesiastico e magisteriale), sia di un certo numero di concettualizzazioni, dallambito della collegialit episcopale (fortemente ancorata al Vaticano II) a quello della sinodalit ecclesiale (maggiormente legato allattuale vocabolario pontificio): una tendenza palese anche nella recente Costituzione apostolica Episcopalis Communio proprio sul Sinodo dei Vescovi, la quale coinvolge in modo ricorrente non solo la Chiesa come tali (alla quale ben si riferisce lEpiscopato in quanto status sacramentale, nellottica della collegialit) ma pure le Chiese particolari significate dai loro Vescovi e strutturalmente coinvolte nella nuova fase iniziale del Sinodo che la Costituzione apostolica denomina consultazione (cfr. Artt. 6-7).

Di fatto: la rinnovata ed accresciuta attivit sinodale della Chiesa universa, intensificata nei ritmi e capillarizzata a livello ecclesiale generale nel pontificato in corso, evidenzia una prassi non immediatamente deducibile dalle affermazioni del Vaticano II in tema di Episcopato e di Chiese particolari. Nondimeno il forte depotenziamento – di fatto e di Diritto – delle tradizionali strutture e funzionalit coinvolgenti le Chiese particolari a livello sovradiocesano (Metropolie e Concili particolari, prima di tutto) a favore di una crescente attivit espressamente episcopale (= Vescovi titolari, Conferenze di Vescovi, Sinodo dei Vescovi) fa risaltare prassi fortemente indirizzate, mostrando come ormai i rapporti [1] tra Vescovi e Chiese particolari, [2] tra Episcopato e Chiesa universa, esigano consapevolezze, fondamenti – e probabili istituti giuridici – che le dottrine e prassi post-conciliari impostate prevalentemente in termini di sola collegialit non offrono ancora in modo soddisfacente, n un eventuale viraggio in termini di sinodalit pare capace di compensare.

In questo contesto i presenti spunti di riflessione non sono diretti al Vescovo come tale n alla delineazione della sua figura in s e per s, ma soltanto alla verifica del suo ruolo nei confronti della Chiesa: 1) quella universa e 2) quella a lui affidata (oppure no, per i Vescovi titolari). questa infatti la principale sorgente della problematicit della sua attuale posizione allinterno della dinamica ecclesiale, dovendosi decidere per una consistenza assoluta oppure correlata (relativa non renderebbe adeguatamente lidea) dellEpiscopato (anche per quanto riguarda il Vescovo come tale). Oggetto della presente riflessione, daltra parte, lEpiscopato nella sua genericit e generalit: solo in questo modo, infatti, che se ne pu cogliere il vero profilo e la peculiarit rispetto alle molte cose (spesso troppo specifiche) delle quali la dottrina ormai sovrabbonda facendo perdere la necessaria visione dinsieme.

La problematica risalta soprattutto nellattivit episcopale al di fuori della Chiesa particolare: ambito nel quale non facile comprendere la ratio standi et agendi dei Vescovi variamente coinvolti. Curia Romana, Conferenze episcopali, attivit peculiari come la Diplomazia pontificia: situazioni molto differenziate nelle quali [1] si realizza – certamente di fatto e spesso per Legge – la presenza episcopale ed [2] i Vescovi operano (insieme o singolarmente) senza che ne risaltino peculiari motivazioni e fondamenti espressamente teologici o sacramentari (v. infra).

Di fatto ormai necessario constatare che la forte auto-affermazione dellEpiscopato nel Vaticano II e nei decenni successivi si realizzata allinsegna della nuova concezione adottata – e delineata – in quelloccasione, ed in seguito sviluppata, nellottica della collegialit episcopale, senza tuttavia preconizzare che proprio tale prospettiva avrebbe potuto – come in effetti accadde – spostare laccento dallOfficium episcopale (= pro Ecclesiis – particularibus) al suo solo status (= in Ecclesia – universa). Va osservato, al tempo stesso, come oltre un terzo (= 36%) dei Vescovi presenti al Concilio non fossero Vescovi diocesani (residenziali si diceva allora): fattore che ha certamente contribuito a far s che le affermazioni sullEpiscopato come status potessero emanciparsi dalla prospettiva dellOfficium (diocesano) e diventare autonome, assolute, acquistando cos una propria virtus peculiaris in ragione della sola Ordinazione (v. infra). Daltra parte: questo era il problema rimasto aperto al Vaticano I in relazione al nuovo profilo del Primato pontificio, specificato magisterialmente (= linfallibilit) ma non completato rispetto allo status ed Officium episcopale (ai quali avrebbe dovuto dar risposta la Costituzione De Ecclesia, che non raggiunse per lAula conciliare).

Il quadro si ampia poi a causa dellevidente necessit per il canonista di dare rilievo alla distinzione concettuale, e ancor pi, reale – pur senza farne una questione di (sole) parole – tra Episcopato ed Episcopati. Sono, infatti, realt che possono risultare anche molto diverse tra loro, pur rimanendo il fatto che si tratta – soltanto – di differenti espressioni e modulazioni di una stessa realt sostanziale: un altro dei poliedri di cui ama parlare Papa Francesco. Una realt tuttavia non solo estremamente complessa ma anche estremamente articolata, oltre che – e qui sta il presente accento – disarmonica, al limite della disorganicit.

Il termine Episcopato, infatti, dopo il Concilio Vaticano II indica da un lato e prima di tutto, [1] un Sacramento (= Ordinatio episcopalis); allo stesso tempo indica pure il vero e proprio [2] Ordo di coloro che hanno ricevuto tale Sacramento (= Ordo Episcoporum); nondimeno esso indica anche un [3] ministero da esercitarsi allinterno della vita ecclesiale (= Officium episcopalis), cos come [4] linsieme di coloro che di fatto lo esercitano concretamente in un determinato contesto ecclesiale (= Ctus Episcoporum), prevalentemente geografico (= Episcopato tedesco o indiano, p.es.). Un unico genus che si esprime in varie species.

Quattro significati correnti, utilizzati spesso in modo cumulativo e volutamente polivalente, se non addirittura ambiguo, rendendo difficile poter comprendere – in alcuni contesti tuttaltro che marginali per la vita ecclesiale – a che cosa, di volta in volta, ci si stia concretamente riferendo. La letteratura riguardante, p.es., il Sinodo dei Vescovi della Chiesa universa – particolarmente ampia in questi anni – ne d una plausibile percezione; tanto pi a seguito della recente ridelineazione legislativa di tale Istituzione, che continua a rimanere ancora pienamente pontificia, anzich episcopale.

La questione, al tempo stesso, si presenta come abbastanza nuova nella riflessione e prassi ecclesiali poich il Concilio ha introdotto nella dinamica tradizionale inerente lEpiscopato elementi e fattori innovativi che oggi costituiscono veri cardini della tematica globalmente intesa, come [1] la sacramentalit specifica dellEpiscopato, insieme a concrete prassi operative non prive di ambiguit come [2] la surrogazione delle Conferenze episcopali (soprattutto infra-nazionali) alla tradizionale strutturazione provinciale/metropolitana delle Chiese particolari.

Tra i vari elementi che concorrono alla complessit della questione sembra inoltre doversi individuare – seppure senza immediatezza – il vero e proprio binario sancito di fatto dal Concilio Vaticano II attraverso la sostanziale doppia delineazione della figura episcopale (v. infra) realizzata in due delle sue tre Costituzioni dogmatiche: Sacrosanctum Concilium e Lumen Gentium nelle quali lo stesso Vescovo viene presentato secondo prospettive integranti e concorrenti che non risultano tuttavia n organizzate n sistematizzate in modo adeguato, lasciando aperti problemi anche ai limiti dellaporia.

Ne deriva la necessit – o, almeno, lutilit – di approcciare lEpiscopato in ottica metodologicamente differenziale secondo il miglior insegnamento scolastico: distinguendum est. Questo, daltra parte, lo spirito pi peculiare delle Giornate canonistiche interdisciplinari: la explicatio terminorum.

2. Quale identit episcopale?

La necessit di distinguere tra le due componenti sostanziali del complesso profilo episcopale presentato dal Concilio risponde non solo a unesigenza logico-metodologica ma anche espressamente giuridica, non potendosi trascurare in nessun modo la stessa delineazione della figura del Vescovo nei Codici canonici vigenti. sufficiente un primissimo approccio esclusivamente numerico al Codice latino per rilevare che su 374 Canoni espressamente menzionanti il Vescovo, 213 si trovano nel Libro II e 62 nel Libro IV, senza trascurare che pure i rimanenti Libri del Codice trattano tutti materie inerenti il governo ecclesiale (Libro I: 7 Cann.; Libro V: 13 Cann.; Libro VI: 6 Cann.; Libro VII: 46 Cann.). Non si considera in tale computo n il reale contenuto dei Canoni cos enumerati (una piccolissima parte dei quali riguardano i Vescovi non diocesani), n tutte le ricorrenze dellOrdinario (ch tale il Vescovo diocesano suapte natura – cfr. Can. 134) che, in quanto tale non svolge per ruoli e funzioni liturgicamente connotati.

Il prospetto che ne emerge mostra un evidentissimo sbilanciamento della figura episcopale sul governo (cfr. LG) anzich sulla Liturgia (cfr. SC): circa tre quarti dei Canoni riguardanti lEpiscopato (285 su 374; 76%) trovano la propria consistenza nellesercizio del munus regendi anzich nel munus sanctificandi, mentre il munus docendi, altro pilastro della letteratura in materia episcopale non riesce, in effetti, ad andare oltre la soglia dei soli 27 Canoni nel Libro III. In proposito: non intenzione di queste considerazioni soggiacere pigramente alla dottrina canonistica tradizionale che ha collocato la questione della c.d. potestas Magisterii, ora allinterno della potestas Iurisdictionis ora entro la potestas Ordinis; si ritiene invece che la questione, nellottica di studio intrapresa, sia semplicemente complementare. ferma inoltre, nella presente prospettiva, lespressa volont di evitare di perdersi per lennesima volta nel ginepraio inerente la potestas, che nessun vantaggio porterebbe alla riflessione in corso. La riflessione sul Vescovo sar pertanto indirizzata a rispondere ad una sola domanda fondamentale: an Episcopus sit principaliter Pontifex aut Pastor, identificando, seppure sommariamente, tali posizioni rispettivamente con quella assoluta (= pontifex) e con quella correlata (= pastor) (v. supra), dovendosi – tuttavia – prendere atto che, contrariamente ad aspettative solo teoretiche e formulazioni meramente letterarie, il pontifex (= dimensione assoluta) fa maggiormente riferimento a Lumen Gentium mentre il pastor  (= dimensione correlata), invece, a Sacrosanctum Concilium, al di l della – nostra – spontanea identificazione del pontifex col sacerdos, mentre nella Costituzione sulla Liturgia il pastor come tale a costituire il liturgo per eccellenza (cfr. SC 41). Il discorso sulla Chiesa particolare infatti, nella Costituzione sulla Liturgia, viene svolto in modo costitutivo in dipendenza dalla trattazione dei rapporti intercorrenti fra la Chiesa e lEucaristia; secondo SC 41, infatti:

bisogna che tutti diano la pi grande importanza alla vita liturgica della Diocesi intorno al Vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il Popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dal suo Presbiterio e dai ministri.

2.1 Il Pontifex

Tra gli elementi e fattori che meritano immediata considerazione sotto questo profilo deve collocarsi, innanzitutto, la consapevolezza della non originariet dellindividuazione della funzione espressamente cultuale del Vescovo come tale, sia nel Nuovo Testamento che negli scritti immediatamente sub-apostolici, senza che in questo possa dire alcunch la traduzione (tardiva – sic) del biblico sommo sacerdote (greco: archiereus) col romanistico pontifex riferita – si badi bene – al solo Cristo stesso nella Lettera agli Ebrei entro un contesto (= quello templare gerosolimitano) radicalmente diverso, oltre che teologicamente straordinario sia per il Nuovo Testamento che per la Chiesa antica. Tale funzione/individuazione, infatti, risulta prendere piede gradualmente dal III sec. per affermarsi in modo sostanziale con la fine del IV sec. quando lEditto di Tessalonica (dellanno 380 d.C.) pose la base per lo slittamento a carico dei Vescovi di quella che fino a quel momento era stata la funzione dei Pontifices dei Culti pagani legati alla struttura e funzione politica dellImpero Romano: funzioni pubbliche ad ogni effetto, di natura sociale e politica, tanto da essere considerati veri e propri Magistrati.

Tale configurazione cultuale si affianc al precedente, originario, profilo episcopale dellepoca sub-apostolica ponendo progressivamente in secondo piano liniziale funzione, sebbene senza mai fagocitarla n indebolirla oltremodo.

Il fatto rileva teologicamente in modo tanto maggiore quanto si debba osservare il netto cambio di referenzialit che ne deriv per il ministero episcopale, che pass dal sostanziale servizio della Comunit di fede (= episkop) al sostanziale servizio della divinit (= sacerdotium). Fu la scintilla che innesc definitivamente la sacerdotalizzazione dei ministri cristiani e delle loro funzioni, sebbene modellata – per una sorta di pudore e per motivi pastorali – sulla struttura veterotestamentaria ebraica anzich su quella pagana coeva, dalla quale sarebbe stato necessario differenziarsi per almeno altri cinque secoli, nel contesto della lotta al paganesimo. Il Presbitero divenne cos sacerdos ed il Vescovo, data la preminenza ormai acquisita rispetto al Presbiterium, divenne pontifex, questo per a causa della sua preminenza istituzionale e non per motivi espressamente cultuali o sacramentali, che dir si voglia, visto che egli rimaneva comunque e sostanzialmente sacerdos (e tale giunse, di fatto, al Vaticano II). Lassunzione – analogica/allegorica – del sacerdozio veterotestamentario offr la possibilit di mantenerne i tre gradi: leviti, sacerdoti e sommi sacerdoti, divenuti: Diaconi, Presbiteri e Pontefici.

Ne prova linterminabile querelle che neppure il Vaticano II ha definitivamente sedato circa la reale differenza (proprio sacramentale) tra Episcopato e Presbiterato (cfr. LG 21), ancora ordinariamente indistinti nel loro comune essere essenzialmente sacerdotes, soprattutto in riferimento alla peculiarissima funzione di Eucharistiam conficere, rispetto alla quale – dal punto di vista ontologico – nessuna differenza data tra i due gradi del sacerdozio. Per contro: occorre prendere atto che proprio la specifica funzione di Caput su Ecclesi rende il Vescovo determinante dal punto di vista ecclesiologico nel suo Eucharistiam prsidere (cfr. SC 41) quando, cio, lattenzione passi dal Corpo sacramentale (= Eucaristia) al Corpo mistico (= Chiesa) di Cristo: dalla funzione sacerdotale a quella pastorale.

Di grande interesse in merito, a causa della sua antichissima origine, risulta pure lattribuzione al Vescovo (diocesano) della piena titolarit – seppure non esclusiva – di quella specifica azione sacramentale che, una volta impostosi il Battesimo dei bambini ratione eorum tern salutis, port a delineare, e poi configurare, il Sacramento della Confermazione come espressamente e tipicamente episcopale proprio per motivi peculiarmente ecclesiologici (= lintroduzione/accoglienza nella Chiesa). Significativamente la ratio del sorgere autonomo del Sacramento non si colloca a livello sacerdotale, visto che anche il Presbitero pu amministrare tale Sacramento (cfr. Cann. 530; 566; 866; 882; 887), ma espressamente ecclesiologico volendo – quasi istintivamente – veder sorgere anche il legame fisico tra il Vescovo e ciascun fedele affidato alla sua cura pastorale.

Senza che possa essere ridotta a mera formalit, occorre anche ricordare come linsegna espressamente liturgica (= pontificale) del Vescovo sia la mitra che egli pu portare sempre, anche quando non presieda le celebrazioni e pure fuori della propria Diocesi; ben diversa risulta – invece – la gestione del bastone pastorale, luso del quale limitato alle sole presidenze domestiche (v. infra).

2.2 Il Pastor

Di tuttaltra consistenza, ma soprattutto originariet, risulta la vera e propria connaturalit – non tautologica! – tra Episcopato ed episkop: la vigilanza sulla vita ecclesiale nella quale consistita dagli inizi la caratterizzazione propria dellEpiscopo (v. infra).

Bastino in apertura due note circostanziali: i c.d. segni che contraddistinguono ininterrottamente la figura dellEpiscopus: 1) anello e 2) bastone pastorale; due indicazioni esplicite della natura essenzialmente non-liturgica ma pastorale (nel senso di governativa) delle sue funzioni e della sua conseguente (?) concettualizzazione.

- Per quanto concerne lanello di tutta evidenza ancor oggi che non si tratta di una fede nuziale (secondo lallegoria – pi che analogia – sponsale a tuttoggi ancora divulgata) ma di un vero e proprio sigillo predisposto per confermare di Atti di governo o comunque ufficiali. Un sigillo che rimane tale ancor oggi a tutti gli effetti ed in sommo grado quando si tratti di quello papale: lanulus piscatoris ordinariamente utilizzato – almeno formalmente – per confermare Provvedimenti papali e la cui distruzione fa parte dei riti connessi alla cessazione nellUfficio petrino. Lanello episcopale si porta, tra laltro, non nellanulare sinistro, come quello sponsale (sic!), ma nel destro: nella mano, cio, con cui (abitualmente) si firmano (anche) documenti ed Atti.

- Per quanto riguarda il c.d. bastone pastorale si tratta, invece, dello strumento proprio del pastore (ovino): ci che il Salmo 23 (22) chiama vincastro differenziandolo dal semplice bastone (da viandante col quale aiutarsi nel cammino o difendersi da qualche aggressione animale). Questa infatti la funzione originaria del caratteristico e necessario ricciolo che chiude in altro tale insegna e che qualche bastone pastorale, in effetti, continua ad evidenziare. Che linsegna non sia affatto liturgica – sebbene oggi venga utilizzata solo in tale sede – risulta palese anche dalle Norme che non permettono lutilizzo ordinario del bastone pastorale al di fuori della propria Diocesi, essendo tale insegna connessa non allOrdine (= status, come la mitra) ma allOfficium episcopale (la Iurisdictio, bisognerebbe dire).

Lo scorcio sommariamente prospettato permette di affermare con piena consapevolezza la strutturale correlazione – di fatto biunivoca – tra Episcopato e governo/guida della Comunit cristiana, esattamente nella prospettiva secondo la quale: il Vescovo quello diocesano; colui, cio, che esercita prima di tutto ed in grado sostanzialmente insostituibile (= proprio) lepiscop su di una Chiesa particolare.

3. Episkop ed Episcopato

In questa prospettiva occorre considerare in modo specifico come fin dallinizio nella Comunit cristiana si sia fatta strada ed affermata una specifica funzione (mutuata dalla struttura operativa delle Sinagoghe della Diaspora giudaica) chiamata episkop (da cui Episcopus e poi Vescovo): visita, vigilanza, soprintendenza, valutazione, giudizio, sia con accezione positiva (= cura, accompagnamento) che negativa (= condanna). Il termine operativo affiancato dal sostantivo personale episkopos le cui ricorrenze neotestamentarie sono numericamente significative (= oltre la decina), pur se non paragonabili allaltra radice istituzionalmente rilevante: presbyter (da cui Presbitero) che ricorre circa settanta volte, sebbene spesso in modo del tutto generico (nel senso comune di anziano). Proprio tale sbilanciamento semantico permette di cogliere un differente ruolo/funzione tra i due proto-ministeri ecclesiastici (che diventeranno in seguito gradi del Sacramento dellOrdine), soprattutto considerando che il primo indica espressamente unattivit (= lazione di vigilare/visitare/verificare/custodire/curare) e finanche un vero Ufficio, mentre il secondo principalmente una condizione effettiva o formale (= lessere anziano), sebbene a tale condizione corrisponda poi, in seconda battuta, un certo numero di attribuzioni anche operative e funzionali. In questottica non inutile evidenziare come i due termini siano utilizzati nel Nuovo Testamento per indicare persone e loro funzioni divenute diverse nel tempo, soprattutto nelle c.d. Lettere pastorali (deutero-paoline): lEpiskopos il successore dellApostolo (cos Tito e Timoteo), mentre i Presbyteroi sono coloro che hanno compiti di responsabilit e guida allinterno delle Comunit (coloro che lo stesso Apostolo stabil nelle diverse Comunit dellAsia minore rientrando dal primo viaggio missionario – cfr. At 14,23). inoltre interessante lutilizzo di episkop fatto in Lc 19,44 e 1Pt 2,12 espressamente come visita in senso valutativo giudiziale: la visita/venuta escatologica del Messia, coincidente, di fatto, col giudizio stesso di Dio.

Il dato ecclesiale originario mostra con chiarezza come, al di l dei rivestimenti e delle stratificazioni (pastorali, sacrali, spirituali e teologiche) dei secoli a venire, lEpiscopus – prima di diventare pastor, sacerdos e pontifex – era colui che visitava/vigilava nei confronti della vita delle Comunit cristiane. Un ruolo che, almeno inizialmente, non coincideva in toto con quello di guida e referente ultimo della Comunit (= il Pastore). Le Lettere di santIgnazio dAntiochia allinizio del II sec., in realt, danno gi prova dellavvenuta identificazione delle diverse funzioni nellunica persona/ministero del Vescovo. In questo modo la precocissima sovrapposizione ed identificazione delle due originarie funzioni, al di l del nome, lasci ben poco delloriginaria funzione quando, con laffermarsi dellEpiscopato monarchico, il Vescovo divenne prima di tutto il successore degli Apostoli, Capo della Comunit cristiana (almeno di fatto, cittadina/urbana), referente primo ed ultimo di quanto avveniva in ciascuna Chiesa locale (tendenzialmente nella citt di): funzione ben diversa da quella sacerdotale/pontificale. Quando poi, dal IV sec., progressivamente la sua figura e le sue referenze e funzioni assunsero portata giuridica sempre pi generale anche in ambito civile (per concessione in Oriente, per necessit in Occidente) la sua divenne sempre pi auctoritas e potestas, facendone lAutorit apicale ed il Giudice nativo allinterno della propria Chiesa, inglobando di fatto loriginaria funzione ispettiva entro quelle pi genericamente di governo: una funzione apicale massimamente visibile nella presidenza liturgica in quanto precipua espressione dellidentit della Chiesa (ekklesia = assemblea convocata) e sua vita. Proprio tale funzione espressamente ecclesiologica motiv al tempo stesso liniziale riserva episcopale di un certo numero di Sacramenti: Battesimo (dei Catecumeni), Penitenza (pubblica), Ordine, Eucaristia (cittadina), in una prospettiva ben pi ecclesiale/pastorale che non sacerdotale/pontificale.

Passando dalla funzione in s, nella sua forma originaria, al suo specifico oggetto maturato progressivamente nella prassi lungo i tempi, va considerato come nei primi secoli cristiani il Vescovo non fosse, prima di tutto, il censor dei costumi o delle attivit individuali o di quelle che non erano ancora vere Istituzioni ecclesiali; la sua presenza era fondamentale, invece, quale garanzia della qualit ecclesiologica delle attivit ecclesiali: a questo, infatti, sindirizzavano le sue principali preoccupazioni.

Prima, infatti, di assumere – in epoca alto-medievale – le caratteristiche pi proprie dellAbbas, vero responsabile anche in coscienza della santificazione (oltre che salvezza eterna) dei suoi monaci, il Vescovo era stato colui che doveva garantire e difendere lintegrit della fede comunitaria e la comunione ecclesiale, come ben visibile nella Chiesa antica. Questa fu infatti la sua funzione pi evidente fino almeno al VII sec., sia nelle questioni dogmatiche che impegnarono Sinodi e Concili, sia nel consolidamento della struttura istituzionale ecclesiastica e del suo ordinato funzionamento, soprattutto con laumentare del numero di chierici ed il loro trasferirsi dalle citt verso le campagne, a distanze sempre maggiori dal Vescovo. Proprio questa funzione paterna (= da Abate), maggiormente morale, si conferm ed accrebbe durante il millennio di vigenza del c.d. Sistema beneficiale nel quale progressivamente il legame teologico e pratico tra Vescovi e Presbiteri si allent a causa della connessione strutturale che si venne instaurando – invece – tra Officium e Beneficium a riguardo del ministero sacerdotale, ormai indirizzato quasi esclusivamente alla salus singolarum animarum pi che alla cura Ecclesi. Ci a maggior ragione per il fatto che, lontano da Roma (e dal c.d. Patrimonium Beati Petri), la maggior parte dei Benefici (come, p.es., la chiesa propria dorigine germanica) erano distituzione laicale, essendo tale la provenienza prevalente dei beni conferiti per costituire il Beneficio curato (dal quale derivarono poi la maggior parte delle Parrocchie post-tridentine). Lo stesso dicasi per le pensioni ed altri c.d. Benefici manuali, comerano molte Cappellanie signorili, nobiliari, ma anche quelle connesse alle migliaia di Confraternite e pie volont che dal Cinquecento si costituirono in tutte le citt europee su base devozionale, pi che propriamente liturgica.

Testimonianza istituzionale dellinvoluzione della struttura ecclesiastica, primancora che della sua funzionalit, ma soprattutto dellallentamento teologico e giuridico del rapporto Vescovo-chierici, la cessazione delloriginario vincolo di ascrizione diocesana del clero (= lattuale Incardinazione) a vantaggio del solo Titulus Ordinationis (che permase fino al Vaticano II) che la maggior parte dei chierici si procacciava in modo pressoch autonomo quale condizione previa per la stessa Ordinazione (cfr. Cann. 979; 981 CIC-1917).

Ne deriv che per circa un millennio al Vescovo competessero praticamente soltanto [1] lOrdinazione dei chierici, [2] la vigilanza morale sulla loro condotta di vita e [3] la vigilanza sui luoghi di Culto e le celebrazioni, in una posizione di fatto praticamente parallela rispetto al sistema dei Benefici come tale (ed Uffici annessi). Senza tacere come egli stesso fosse titolare di un Beneficio ampiamente dotato (= la c.d. Mensa episcopalis), oltre che, spesso, di Prebende e Commende varie e, non raramente, di veri Uffici feudali (Vescovo-Principe, Vescovo-Conte, ecc.) che lo ponevano sensibilmente ai margini della vita ecclesiale propriamente intesa.

In proposito non si pu neppure trascurare la portata strutturale e fondante di questa situazione rispetto alla politica e condotta di Gregorio VII che, esattamente nel pieno – e a causa – della crisi per il conferimento (= Investitura) dei Feudi imperiali delle grandi citt della Renania, era intervenuto cos drasticamente nei confronti dellEpiscopato avocando unicamente a s – sottraendola allImperatore – lInvestitura episcopale, come poi sanc il Concordato di Worms del 1122. Fu questo fatto che determin in Occidente, per via extra-ecclesiale, la fine delle relazioni Papa-Vescovi-Chiese particolari tipiche del primo millennio ed inaugur lassetto completamente differente del secondo, nel quale il legame episcopale fondamentale non pi quello con la Chiesa particolare ma col romano Pontefice. Uno sbilanciamento ulteriormente rinforzato a Trento con lassunzione dei Vescovi diocesani – anche – come delegati pontifici, scavalcando in tal modo lostacolo posto alla riforma cattolica da parte delle miriade di Istituti (religiosi) esenti dalla potest episcopale poich di Diritto pontificio.

Lo stesso periodo post-tridentino nellapplicazione del Concilio da parte dei Vescovi cattolici fu pi volte segnato dallinevitabile necessit di sostenerli da Roma nei confronti di situazioni locali difficili non solo dal punto di vista dottrinale ma soprattutto politico, a causa del progressivo affermarsi delle Monarchie nazionali fortemente tentate da atteggiamenti giurisdizionalistici, Gallicanesimo e Febronianesimo in primis, fino al Giuseppinismo asburgico, per limitarci allambito cattolico. Un assetto generale che non mut nel pendolo tra Rivoluzione e Restaurazione nel corso dellOttocento, come ben dimostra anche la novit dei Concordati pontifici con le varie Nazioni cattoliche, sempre con lintento di proteggere [1] lEpiscopato dallinfluenza politica locale e [2] lunit della Chiesa dal crescente spirito nazionalistico: la c.d. libertas Ecclesi. Non si dovrebbe neppure sottovalutare, allinterno di questo complesso contesto socio-politico, il fatto che

la figura del papato, così come oggi la conosciamo, si sviluppa, non a caso, soprattutto dopo la Rivoluzione francese, che viene a sconvolgere il millenario assetto dellordine sociale in Europa.

Quanto questo lungo stato di cose – del tutto estraneo allEcclesiologia e allecclesialit come tali – abbia pesato sulla concezione e delineazione del Vescovo (oltre che del – correlato – Primato papale) consolidatasi nel secondo millennio in Europa occidentale rimane ancora da studiare in gran parte; certo che non ha per nulla giovato a conservarne ed accrescerne le componenti pi espressamente teologiche e pastorali e, di conseguenza, giuridico-canoniche.

Questo, tuttavia, costituiva al tempo stesso il background e la maggior problematica che giunsero al Concilio Vaticano I e che, per la sua violenta interruzione, rimasero latenti (seppure attivi) nel quasi secolo successivo (1870-1962) senza palesi variazioni (formali).

4. Vescovi, Episcopato, Episcopati

4.1 Vescovi ed Episcopato

Si gi accennato alla polivalenza del termine Episcopato, in grado dindicare sia [1] il pi alto grado del Sacramento dellOrdine (cfr. Can. 1009 1), sia [2] lOrdo/Corpus di tutti coloro che tale Sacramento hanno ricevuto, sia [3] lo specifico ministero da esercitarsi allinterno della Chiesa particolare della quale si Pastori, sia [4] partizioni interne allOrdo/Corpus, tendenzialmente di carattere geografico. Al di l delle parole si pongono per significativi problemi di adeguata – e pure necessaria – concettualizzazione soprattutto in ragione della strutturale bivalenza (= il binario – v. supra) di ci che oggi tale ambito semantico veicola: [1] lo status, da una parte, [2] lOfficium, dallaltra. Un Officium che tuttavia, per lEpiscopato, non pare possibile identificare n col munus n col ministerium comunemente intesi, poich entrambi risultano di fatto (oggi) assorbiti nello status in ragione della comprensione collegiale dellEpiscopato stesso: quale Episcopato, tuttavia? Ed questo il problema da delineare con maggior efficacia possibile, cos da poterne poi cercare una plausibile soluzione.

A ben vedere si tratta del rapporto tra dimensione assoluta (alla quale si riferisce lo status) e dimensione correlata (alla quale si riferisce lOfficium): rapporto che chiede di essere correttamente posto e compreso, poich non pare che in questo caso si possa troppo facilmente ricorrere ai concetti di inerenza o di inadeguata distinzione ordinariamente utilizzati per far fronte ad altre tensioni strutturali che lesperienza ecclesiale conosce: potest primaziale vs. potest collegiale, Chiesa particolare vs. Chiesa universale, pubblico vs. privato, foro interno vs. foro esterno, per citarne solo alcune significativamente esposte in dottrina.

Inadeguato risulterebbe anche il ricorso alla bi-partizione tra Sacramentum e Missio, visto che tutti i Vescovi lecitamente ordinati e pertanto membri del Corpus Episcoporum sono (stati) destinatari di Missio canonica (cfr. LG 24), seppure fittizia, poich essa coincide di fatto con quello che rimane – a tutti gli effetti – un/il (mero) Titulus Ordinationis. Ci si ritroverebbe comunque entro la prospettiva della dimensione assoluta, poich nessuna effettiva relatio con una specifica Portio Populi Dei (= Chiesa particolare) verrebbe creata ed il munus/ministerium (divenuto nel frattempo, semplicemente, Titulus) sarebbe la (sola) sollicitudo per tutte le Chiese genericamente intese e globalmente riferite allunica Chiesa universa (cfr. LG 23). Dovendosi altres considerare la distanza (sia concettuale che pratica) che intercorre tra una concreta cura (e gestio) ed una (generica) sollicitudo, tanto pi dovendosi tener conto che gi il primo Concilio di Costantinopoli (381 d.C.) aveva ben fissato la radicale differenza tra le due attribuzioni episcopali, distinguendo le questioni locali da quelle universali.

Nella stessa prospettiva, e allinterno della medesima cornice sostanziale, sarebbe necessario anche prendere atto della – triste, ma soprattutto realistica – necessit che ha sollecitato (o, addirittura, reso necessario) linevitabile sdoppiamento teoretico della c.d. collegialit episcopale, tanto enfatizzata nel post-Concilio, in effettiva ed affettiva, dovendosi inevitabilmente constatare che la collegialit come tale (pertanto: effettiva?) in realt non riesce (o: non pu?) n a manifestarsi n, tanto meno, a realizzarsi conformemente al suo non essere un quid (= res), ma soltanto un mero quomodo nel deliberare, laddove il conventus degli aventi diritto vota pro capite, decidendo a maggioranza. Questo, daltra parte, un collegium, che per tra i Vescovi risulta comunque imperfectum poich la maior pars deve comunque contenere anche il Caput Collegii.

Non meno problematica, n da sottovalutarsi precipitosamente, lacuta osservazione – quasi di principio – secondo la quale

limpressione che si ricava dalla lettura dei documenti conciliari che vi si descriva un Vescovo ideale, ma di fatto inesistente, perch la struttura odierna della Diocesi non gli permette di avere quel tipo di rapporti con la sua Comunit, che secondo questi testi dovrebbero caratterizzarlo. Se passiamo infatti dalla Lumen Gentium alla lettura del Decreto sul ministero e la vita sacerdotale, possiamo osservare che, se escludiamo il carattere di autorit con il quale il Vescovo agisce sulla Chiesa, tutte le molteplici attivit nelle quali si distende il ministero della Parola, il servizio della celebrazione dei Sacramenti e delle altre celebrazioni liturgiche, il compito di costruire e di guidare pastoralmente la Comunit, vengono attribuite alla figura dei Presbiteri i quali le compiono in nome del Sacramento ricevuto. Si direbbe quindi che ad essi, non al Vescovo, compete la habitualis seu cotidiana cura ovium.

Daltra parte sotto gli occhi di tutti che leffettivit della cura pastoralis esercitata nella sua quasi totalit dai Presbiteri (Parroci in primis), sebbene sotto lautorit dei loro Vescovi (cfr. Can. 515 1); comՏ altrettanto evidente che nessuno potrebbe esercitare lOfficium di Vescovo diocesano (cio la cura pastoralis di una Portio Populi Dei) se non adeguatamente supportato dal ministero di un Presbiterio, tanto che, secondo il Can. 369, Vescovo e Popolo di Dio – da soli – non bastano a dar corpo ad una Diocesi, forma tipologica della Chiesa particolare (cfr. Can. 368).

4.2 Vescovi ed Episcopati

Sullaltro versante, che non si pu correttamente considerare opposto, si pone il concreto esercizio di ci in cui, fin dallinizio, consistito lEpiscopato: la specifica funzione esercitata allinterno – e nei diretti confronti – di una peculiare (ed esclusiva) Portio Populi Dei della quale il Vescovo Pastore in modo proprio talmente proprio da diventarne (misticamente) consorte – pi che sposo – in ragione del legame reciprocamente costitutivo che intercorre tra gregge e suo Pastore.

Esattamente a questo profilo funzionale (al di l della natura propriamente individuale dellOfficium di Vescovo diocesano) sta conferendo valore – seppure indirettamente – la crescente importanza acquisita negli ultimi decenni dallattivit delle Conferenze episcopali nella Chiesa latina. La portata che gli insiemi di Vescovi legati ai singoli territori – spesso indicati come Episcopati – stanno assumendo nei riguardi della Chiesa (universa) evidenzia infatti come lapproccio ratione status/Sacramenti (= assoluto) non sia sufficiente a dire e mostrare la realt pi peculiare dellattuale operare dellEpiscopato. In effetti il legame col territorio e la sua popolazione (= la Portio Populi Dei) che esprime e realizza la strutturale dimensione correlata dellEpiscopato: una dimensione effettiva sia ad intra (tra Vescovo e sua/quella Chiesa) che ad extra (tra Vescovi delle Chiese viciniori). nella stessa prospettiva, nondimeno, che anche la Curia Romana si sta progressivamente muovendo nel gestire i propri rapporti con crescente preferenza per le Conferenze episcopali anzich i Vescovi diocesani individualmente presi. La stessa base territoriale servita, e continua a servire, per lulteriore creazione ed istituzione di Organismi sopranazionali e/o continentali di Vescovi diocesani a partire dalle loro Conferenze e Strutture gerarchiche (per le Chiese cattoliche orientali): il notissimo C.E.Lam., il C.C.E.E, ecc.

questa una dinamica nuova sia nelle forme che nei presupposti. Per quanto riguarda la forma, infatti, si tratta di raggruppamenti istituzionali (= Conferenze) e non volontari (= Associazioni) di Vescovi diocesani come tali. Il presupposto, invece, va cercato nella collaborazione paritaria tra le persone dei Vescovi, anzich nella struttura gerarchica tra le Chiese particolari, comera per Provincie o Metropolie (di per s ancora esistenti, sebbene funzionalmente, ormai, azzerate). Una dinamica che evidenzia il passaggio da una relazionalit maggiormente strutturale (= la Provincia, gerarchicamente organizzata) ad una pi operativa (= la Conferenza, che vede tutti i Vescovi alla pari); una dinamica che, nondimeno, assume con maggior evidenza le caratteristiche della collegialit effettiva, oltre che della comune sollecitudine pastorale di tutti i membri per tutti i fedeli coinvolti (cfr. Can. 447).

Una dinamica tuttavia che, se da una parte esprime autentica collegialit poich non esiste un Primus istituzionale, dovendosi eleggere il Presidente ad tempus della Conferenza, dallaltra, oltre a prevedere che non tutti i Vescovi del territorio siano membri (cfr. Can. 450), ammette al voto deliberativo ordinario anche Prelati non Vescovi (cfr. Can. 454 1) e pu escludere da tale voto i Vescovi non esercitanti lOfficium diocesano (cfr. Can. 454 2). A ci si aggiunga la totale assenza dei Vescovi (diocesani) emeriti (cfr. Cann. 447-459), con evidente relativizzazione dello status episcopale rispetto allOfficium. Il contrario di ci che accade, invece, a livello di intero Ordo Episcoporum (v. supra).

5. Vescovi e Chiese

Sondata a grandi linee la consistenza originaria della figura episcopale ed individuati alcuni dei suoi maggiori elementi evolutivi, necessario dare spazio allaltro polo dinteresse della riflessione che qui ci occupa: le Chiese, particolari (e universa), senza delle quali nessuno potrebbe essere (o rimanere?) Vescovo.

Dal punto di vista metodologico le questioni alle quali occorre dare attenzione in questambito hanno la portata dellapplicazione concreta di un teorema, rispetto agli assiomi e postulati del sistema (geometrico) di riferimento previamente espressi: se e quando i conti non tornassero, dopo aver meticolosamente escluso lerrata applicazione del teorema, sarebbe infatti necessario procedere alla verifica della sua effettiva validit generale (lessere, cio, davvero teorema), dovendo eventualmente concludere che non si tratta per nulla di uneffettiva regola generale ma limitata solo ad un certo numero di casi, seppur numerosi, cosicch non ci si trovi affatto dinanzi ad una vera e propria Norma. In tal modo la prevalenza statistica (= Vescovi diocesani) non relegherebbe a mera eccezione ci che, in effetti, non risponda al risultato atteso (= Vescovi titolari), mentre continuerebbe a porsi la necessit di spingere pi oltre la riflessione sugli assiomi e postulati dai quali il sistema prende forma a meno che non si tratti di elementi estranei al sistema di riferimento – sebbene compatibili – che si sono progressivamente inserti in esso, prosperandovi indisturbati, in quella che, biologicamente, verrebbe chiamata simbiosi. In tal caso sarebbe per necessario riconoscere le dinamiche, passate ma anche attuali, che permettono questa convivenza – se non anche sinergia – per valutare se integrarle o meno allinterno del sistema stesso causandone, per, una mutazione in ragione del cambio degli assiomi e postulati.

In questa prospettiva, dalla lunga ed articolata storia del Sacramento dellEpiscopato basti ritenere lirrinunciabile legame tra ciascun Vescovo e una singola e specifica Chiesa particolare (= Officium): reale, storica o anche solo fittizia (sic!). Lo status episcopale, infatti, non mai (stato) absolutus ma, come richiede che si tratti di un maschio in stato matrimoniale libero per essere conferito (cfr. Cann. 1024; 1042), allo stesso modo richiede/presuppone lesistenza di una Chiesa particolare per la quale essere ordinato fictio Iuris ammessa (sino ad oggi)!

Daltra parte: come gi visto in tema di episkop, non esistono dubbi sul fatto che lEpiscopato sia un nomen actionis e non un nomen rei! La visita, la vigilanza, la guida, la presidenza sono attivit, non cose! LEpiscopato – in quanto essere Vescovo – indica lespletamento (o almeno la finalizzazione ad esso) di un certo numero di concrete funzioni ed attivit che, come tali, riguardano uno specifico destinatario: una Chiesa particolare. Nondimeno gi stato evidenziato come il termine pastore – ormai indiscutibilmente utilizzato per indicare il Vescovo in primis ed in modo proprio ed originario (cfr. LG 20) – non abbia consistenza alcuna se non in presenza di una quantit anche solo minima di destinatari dei quali prendersi cura, e come solo la presenza della persona che eserciti tale attivit dia origine ad una realt specifica (ulteriore a ciascun partecipante) denominabile gregge.

In merito stato ben evidenziato come lo spostamento da tale certezza teoretica – tuttora! – irrinunciabile e costitutiva, allattuale stato di fatto nel quale quasi la met dei Vescovi (46%) non esercitano lEpiscopato come Officium, pur appartenendo allOrdo Episcoporum, vada ricondotto ad alcuni elementi che, pur strettamente connessi alla realt sacramentale in s e per s, allo stesso tempo le risultano per (o cos dovrebbero!) collaterali (v. supra: sistema, teoremi, assiomi).

- Si tratta, prima di tutto, della ontologizzazione sacramentaria progressivamente consolidatasi dal V sec. allAlta Scolastica e sancita monumentalmente dal Concilio tridentino verso i Riformatori: il riconoscimento, infatti, della piena realt (ontologica) dei Sacramenti e non di una loro mera funzionalit li ha progressivamente resi indipendenti ed autonomi rispetto alla vita ecclesiale. Di fatto: ben oltre lactio Ecclesi (pura causa efficiens) senza della quale nessun Sacramento potrebbe accadere (da solo), lactio Christi (vera causa formalis) nella quale il Sacramento alla fine consiste, lo rende res metaphisica in senso strettissimo (ben prima che theologica/mistica), travalicando ogni e ciascun elemento accidentale, soprattutto di carattere umano. Si aggiunga, poi, lattenzione totalizzante indirizzata alla (mera) validit dei Sacramenti stessi (per garantire a chiunque ed in qualunque modo laccesso alla salus propri anim), per trovarsi letteralmente intrappolati in meccanicismi fisicistici per i quali, p.es., la consacrazione delle Specie eucaristiche con espressa finalit sacrilega comunque valida, cos come lo lOrdinazione episcopale scismatica, cio contra Ecclesiam ipsam. In tal modo il persistente rapporto inadeguato tra le intenzioni: generale e particolare, remota ed immediata, fa s che rilevi soltanto lultima espressa (quella cio connessa alla immediata forma Sacramenti), senza che sia ritenuta necessaria – e, come tale, ontologicamente esigita – alcuna loro gerarchia e coerenza, cosicch lagere in malum Ecclesi o contra Ecclesiam ipsam (= finis operantis) non riesca ad impedire leffetto dellactio stessa (= finis operis) rendendo cos latto inesistente poich ontologicamente contraddittorio a causa della costitutiva discrasia tra finis operis e finis operantis. Come se (assumendo tale paradigma) fosse pensabile – e possibile – che Cristo operi contro se stesso visto che di actio Christi realizzata in persona Christi si tratta! Nella stessa ottica ci si potrebbe chiedere se il finis operantis (o anche causa finalis) dellOrdinazione episcopale sia: [1] aumentare i membri dellOrdo Episcoporum pro Ecclesia universa (ad quid?), oppure [2] dare ad una Portio Populi Dei il Pastor proprius del quale abbisogna? Ordinare un Vescovo (forse) come creare un Cardinale?

- Il secondo elemento/fattore problematico deriva direttamente dal precedente: lontologizzazione sacramentale ha fatto s che lEpiscopato, una volta ricevuto, non sia pi nomen actionis ma diventi puro status person, con tutte le conseguenze del caso connesse al fenomeno dei Vescovi titolari, in gran parte tali (= Vescovi) al di fuori della logica sacramentaria che lega in modo costitutivo Vescovo diocesano e Chiesa particolare. Questapproccio – insolito – in chiave di status person permette di percepire con chiarezza come, nella maggior parte dei casi, si tratti di una sostanziale onorificenza – seppure non in senso formalistico – espressamente finalizzata [1] in alcuni casi a mettere sullo stesso piano, [2] in alcuni altri ad evitare che ci avvenga, persone che nella complessa ed articolata vita ecclesiale svolgono funzioni espressamente connesse alla potest esecutiva di governo (e non a quella sacerdotale/pontificale), sebbene normalmente esercitata non proprio nomine (come invece il Vescovo diocesano – sic!). Ci che accade spesso, p.es., nella Curia Romana per chi deve rapportarsi operativamente con Cardinali e/o Vescovi diocesani; lo stesso che si verifica allinterno di Organismi episcopali cos da operare alla pari. Nella maggior parte dei Vescovi ausiliari (significativamente titolari di altra Chiesa inesistente come tale – sic!) si tratta, invece, di rafforzare (?!) ratione status person il sostanziale ruolo di Vicario generale o episcopale (come accade soprattutto nelle grandi Diocesi urbane) attraverso uno stacco creato da un elemento di natura diversa (= lOrdinazione episcopale) dalla mera potest di governo (mai propria) alla quale, di fatto, si funzionalizzati e che in nulla diversa da quella comunemente esercitata da un semplice Presbitero che eserciti lo stesso Ufficio. Significativo in merito anche il fatto che la sola presa di possesso del Vescovo ausiliare non gli conferisca affatto tale potest di governo a Iure (cfr. Can. 404 2) ma il Vescovo ausiliare debba espressamente venir nominato Vicario generale/episcopale (cfr. Can. 406 1), nonostante il Can. 405 2 stabilisca che egli assiste il Vescovo diocesano in tutto il governo della Diocesi e lo supplisce se assente o impedito.

            Autonomo, ma coerente a tale dinamica, pure ci che viene realizzato per la Diplomazia pontificia nella quale lo status person parifica sia ad intra Ecclesi che ad extra. La questione non pare porsi, invece, in modo sostanziale per i – numerosissimi – Vescovi emeriti poich il loro effettivo (oltre che affettivo) legame con la Diocesi che hanno servito per ultima spesso rimane anche oltre la cessazione dallUfficio potestativo, permanendone pure il Titulus (sebbene da emeriti).

- Si delinea cos lultimo stadio della problematica: quello che esige una specifica collocazione teologica di tutti coloro che sono Vescovi in senso sacramentale (= status), ma non fanno i Vescovi in senso proprio (= Officium). Sono (proprio – sic) essi che, di fatto, evidenziano la necessit – che in tal modo diventa strutturale – di far riferimento alla Chiesa universa per esercitare in qualche modo il loro status sacramentale seppure come semplice sollicitudo (affettiva?) e non come vera cura (effettiva?). lambito dellOrdo/Corpus Episcoporum al quale si viene aggregati attraverso il solo fatto dellOrdinazione episcopale e in ragione della quale si entra comunque a partecipare della funzione pi propria dellOrdo/Corpus stesso di costituire (nella sua integrit, cio cum et sub Petro) la suprema Autorit della Chiesa che, proprio in quanto tale, esercita una vera sollicitudo verso la Chiesa tutta (= universa) sebbene in modalit estremamente indiretta. Ci, tuttavia, non senza problemi, poich in questa prospettiva non esiste alcuna fictio Iuris ed il riferimento alla e per la Ecclesia universa non minimamente dubitabile, cos come non lo nulla di ci che riguarda lOrdo/Corpus come tale.

            Questo, nondimeno, corrisponde anche al percorso fondamentale della riflessione conciliare svolta in Lumen Gentium per approdare, dopo almeno cinque secoli, alla fissazione della specifica sacramentalit dellEpiscopato, insieme alla delineazione di base dei rapporti allinterno dellOrdo/Corpus stesso: Primato petrino in primis, che gli risulta in qualche modo inglobato. Proprio questo percorso tuttavia, insieme al suo esito, continua a corrispondere sostanzialmente e principalmente alla prospettiva ontologica assoluta della sacramentalit in s e per s (= status/Ordinatio episcopalis), rafforzando per questa via, anzich per quella ecclesiologica (= Officium episcopalis), la prospettiva universa(le) rispetto a quella particolare, consolidando in tal modo il vero e proprio binario che universa(le) e particolare strutturano ed alimentano, ben al di l del tattico – e solo interlocutorio – in quibus et ex quibus col quale LG 23 ha sedato temporaneamente la questione, seppure a livello di Chiese soltanto, ma non di Vescovi.

Ci nonostante, va pure preso seriamente atto che la nuova configurazione basata sulla natura absoluta dellEpiscopato in quanto Sacramento (ontologicamente autonomo) sortisce efficacemente lesito dincidere in modo innovativo sia sulla figura che sul ruolo del romano Pontefice, (ri)collocato ora allinterno del ministero episcopale e considerato innanzitutto nella sua qualit sacramentale, anzich a partire dalla consegna a Pietro di un primatus iurisdictionis in universam Dei Ecclesiam, prevalendo la sottolineatura dellunit fra i Vescovi e il Papa e della natura collegiale dellEpiscopato. In tal modo

con il riconoscimento del carattere sacramentale dellinvestitura di un Vescovo, la Chiesa definisce la fondazione trascendente dellEpiscopato, sotto il cui ombrello andr considerato il rapporto del Vescovo, sia con la sua Chiesa particolare sia con il papato, essendo il ministero del Papa e quello del Vescovo immersi dentro la medesima realt sacramentale e fondati su un identico e unico Sacramento,

senza che (quasi) nulla possano pi dire o comportare le questioni connesse alla Iurisdictio episcopale quale emanazione di quella primaziale, come sviluppatesi nel millennio precedente. Addirittura: se da una parte la fondazione sacramentale del papato, dato che il Sacramento actio Dei, ne eleva il ministero a una dimensione universale al tempo stesso tale concezione – e principio – ne spiazza limpostazione esclusivamente giurisdizionale.

La questione (pur originata in ambito sacramentale) non affatto secondaria dal punto di vista espressamente ecclesiologico poich permette di riportare in primo piano la premessa – per cos dire – sia del papato che del Primato che gli compete: la capitalit di una Chiesa particolare, seppure specialissima, comՏ quella di Roma che presiede alla Carit il cui Vescovo (diocesano) successore dellApostolo Pietro. Non va infatti dimenticato che lelezione del Papa si configura come lazione propria di una Chiesa locale e niente affatto come un atto della Chiesa universale: il Papa Episcopus universalis solo in quanto Vescovo della Chiesa particolare di Roma della quale i Cardinali sono formalmente costituti clero, cos da poterlo eleggere secondo lantica tradizione, non intaccata – fuori dai possedimenti della Chiesa romana – dalla Lotta per le Investiture (v. supra). questo, daltra parte, un approccio in evidente crescita negli ultimi decenni al quale Papa Francesco si mostrato particolarmente attento, fin dal suo primo apparire: quando si present dalla loggia centrale della basilica vaticana proprio come Vescovo di Roma.

Ulteriormente non pu trascurarsi che, seppure indirettamente

il recupero del carattere sacramentale del ministero episcopale ha, quindi, aperto allEcclesiologia nuovi orizzonti, verso i quali muoversi al di l dello spazio semantico, nel quale il termine Chiesa non poteva essere declinato al plurale, perch lIstituzione ecclesiastica sembrava impostata esclusivamente su base giurisdizionale, in una catena discendente di Deleghe, [] operando in maniera massicciamente unitaria, con al suo vertice lautorit papale, dalla quale sola la Chiesa attingeva la sua unit.

6. Vescovi, Chiese e Strutture sovra-episcopali

6.1 Vescovi, Chiese e gerarchie intra-episcopali

Purtroppo la riflessione in ambito latino non stata in grado (e tuttora non lo pare) di uscire dalle strettoie della sola collegialit (ratione status/Sacramenti), cos faticosamente conquistata nel Vaticano II, per leggere ed interpretare i rapporti allinterno dellEpiscopato come tale e tra questo e il Primato. Ridurre infatti tutta la tematica episcopale alla sola collegialit (meramente funzionale, poich modus e non res) produce uno schiacciamento prospettico che nega nei fatti la grande ricchezza che, invece, sarebbe disponibile se si ragionasse in termini di Ordo o di Corpus, come lo stesso Concilio ha intenzionalmente – seppure in modo discontinuo – fatto con maggiore appropriatezza teologica rispetto a Collegium (v. supra: NEP alla LG). Non si pu infatti trascurare come la collegialit – al di l della suggestione della formula – offra uno spessore concettuale e teoretico in realt limitatissimo poich di fatto tutto si riduce alla sola attivit collegiale strettamente detta, che pone tutti sullo stesso piano secondo unidea di paritariet assoluta: un voto ciascuno. Una realt che, anche affettivamente, lascia il tempo che trova.

Non solo questo, tuttavia, poich in questa prospettiva non diventa possibile ipotizzare nessuna relazione interna allOrdo Episcoporum che non sia soltanto o paritaria, o primaziale.

La cosa, per contro, risulterebbe molto pi prospettica (e consistente!) se si ragionasse in termini di Ordo/Corpus, come suggerito dalla Nota Explicativa Prvia. Il concetto di Ordo/Corpus, infatti, permette – e potrebbe addirittura richiedere – Strutture e livelli gerarchici al proprio interno senza contraddirsi in nulla, come accade nelle Chiese orientali che

ci mostrano almeno tre figure di Vescovi nettamente differenziate, quella del Vescovo comune, quella del Metropolita e quella del Patriarca o dellArcivescovo maggiore []. LOccidente invece ha di fatto, al di l dei titoli, ununica figura di Vescovo, giacch il ruolo del Metropolita gode di scarsa rilevanza giuridica e pastorale, mentre la figura del Patriarca, dopo essere stata assorbita da quella del Papa, di fatto non esiste.

Nelle Chiese orientali, per di pi, il Patriarca (o lArcivescovo maggiore) non par inter pares come i Presidenti delle Conferenze episcopali ma Pater et Caput (cfr. Can. 55 CCEO) dellintera Chiesa sui Iuris alla quale presiede. Ne risulterebbero altres disinnescate molte delle difficolt connesse, nella Chiesa latina, alle Conferenze episcopali in quanto espressioni di mera collegialit, visto lo strutturale rapporto assolutamente paritario tra i loro membri, sempre e solo persone fisiche, in un contesto – di singoli anzich di Chiese – che non ritiene ammissibile che qualcosa possa frapporsi tra ciascun singolo Vescovo e lAutorit primaziale. infatti lidea stessa di Collegium a non permetterlo poich costruita ratione status/Sacramenti anzich ratione Officii (v. supra).

Diversamente: ragionare in termini di Ordo/Corpus, lasciando alla collegialit il solo proprio vero spazio, che quello conciliare (insieme agli equivalenti teorici del Can. 337 2), permetterebbe di ipotizzare ed accogliere allinterno dellOrdo/Corpus stesso anche Strutture c.d. (seppure in modo inadeguato) intermedie che, come tali, non pregiudicano minimamente lOrdo/Corpus, mentre minerebbero alla base il Collegium. Strutture, per altro, esistenti in tutta la Chiesa fin dai primissimi secoli, sebbene depotenziate ed inoperanti nel post-Concilio proprio ratione Collegii cio: ratione status/Sacramenti Episcopati.

Questo, per, dovrebbe spostare lattenzione dal fatto di essere Vescovi (= lo status) al perch si Vescovi (= lOfficium), permettendo in tal modo di riconoscere uno specifico valore al dove/di chi si Vescovi, cosicch lessere Patriarca, Primate o Metropolita non siano soltanto un mero Titulus individualis Ordinationis ma possano fare uneffettiva differenza rispetto ai Vescovi di Chiese minori, per storia, tradizioni, risorse. Al proposito va anche tenuto conto del fatto che, purtroppo, ormai la Chiesa – post-conciliare (sic!) –

non conosce che una sola figura di Vescovo e una sola figura di Parroco, mentre la Chiesa antica e medioevale ha conosciuto Curati e Pievani (o Preti e Arcipreti), Vescovi di campagna e Vescovi urbani, Arcivescovi metropoliti e Patriarchi,

implementando in tal modo una vera struttura ecclesiale, ben prima che una mera gerarchia ecclesiastica. Un coordinamento sistematico ed organico di Chiese e Comunit cristiane – prima che degli ecclesiastici al loro servizio – in un rapporto spesso materno-filiale tra le une e le altre, dove la (Chiesa) matrice era davvero considerata madre, della fede prima di tutto, e della madre conservava molte funzioni anche istituzionalizzate (= Arcidiocesi, Arcipretura): una concezione saldamente teologica della quale ormai rimane poco pi che la celebrazione della Festa della Dedicazione della Basilica lateranense quale monile di archeologia liturgica. Nondimeno, al di l del – solo virtuale – scandalo delle continue autocefalie ecclesiali del mondo ortodosso, occorre pure riconoscere che leffettivo parallelismo al quale approdano le Chiese particolari latine non delinea, in effetti, profili sostanziali troppo differenti nel considerare le Chiese tutte uguali: sorelle anzich madri e figlie cos come (e perch) i loro Pastori sono tutti uguali: membri ex quo dello stesso (quasi) Collegio.

La questione non puramente teorica, come ben evidenzia il (mal) funzionamento di Conferenze episcopali particolarmente numerose e/poich disomogenee in ragione delle Diocesi coinvolte; in esse, infatti, continua lesperienza degli squilibri di forza votante (= collegialit effettiva) tra maggioranze costituite dai molti Vescovi di Diocesi di modestissime dimensioni e minoranze costituite dai pochi Vescovi di Diocesi di dimensioni multiple anche centinaia di volte.

Lantica struttura provinciale/metropolitana, nondimeno, era gi stata concepita con una propria piena dignit ecclesiologica, come ben testimonia la possibilit di tenere addirittura Concili provinciali, ormai spazzati via dalle riunioni dei Vescovi delle c.d. Conferenze episcopali regionali (p.es.: in Italia) o dellintera Conferenza episcopale nazionale. Nondimeno: il suo nascere, consolidarsi ed operare non aveva legami alla prospettiva collegiale, tutta novecentesca, n, al tempo stesso, era pensabile in quella prospettiva la concettualizzazione di strutture intermedie (tra Autorit suprema e locale) come quasi inevitabile oggi: si trattava, allora, di semplici strutture sovra diocesane. La medietas, infatti, presuppone due estremi che la superioritas, invece, non postula affatto, pur potendoli gestire nel loro eventuale delinearsi.

6.2 Vescovi, Chiesa e gerarchia inter-episcopale

Proprio la medietas, tuttavia, sembra costituire il vero problema ad oggi insolubile a causa del generale (e condiviso, tra i Vescovi latini) timore che tra i due poli, tanto difficoltosamente individuati, separati e contro-bilanciati nellultimo Concilio (cfr. NEP alla LG), finisca per inserirsi qualcosa che, ancora una volta, pregiudichi non tanto lo status ma lOfficium dellEpiscopato come tale (in realt: la sua potestas), ben oltre la sacramentalit che, in fondo, mai fece davvero problema.

La questione, per – ancora una volta –, non espressamente inter-ecclesiale ma inter-episcopale, come ben appare, p.es., dal m.p. Apostolos Suos che ha

come sua prima preoccupazione, quella di garantire questo aspetto della fede cattolica e di promuovere un Ordinamento canonico che non lo oscuri in nulla. A questo presupposto fondamentale Apostolos Suos aggiunge la preoccupazione che nulla si interponga tra il potere del Collegio con a capo il Papa sulla Chiesa universale, da un lato, e quello del Vescovo locale sulla sua Chiesa particolare, dallaltro.

Dato che la potestas del Vescovo sulla sua Chiesa di istituzione divina, la si intende tutelare fino al punto da dichiarare che neanche il Vescovo stesso pu limitarla in favore della Conferenza episcopale, del suo Consiglio, delle sue Commissioni o del suo Presidente,

al punto che le decisioni delle Conferenze episcopali in materia dottrinale devono ricevere il consenso unanime dei soli Vescovi (e non dei Prelati non-Vescovi a capo di Chiese particolari della stessa Conferenza episcopale) in quella che , ad ogni effetto, unaltra fictio Iuris che si aggiunge a tutte le precedenti in materia episcopale: tutti i Vescovi, cio ogni singolo Vescovo (!), hanno assunto la stessa decisione. Decisione che non della Conferenza episcopale come tale, visto che il voto dei membri non-Vescovi non conta su tali questioni, cosicch – di Diritto – la Conferenza episcopale come tale sparisce in quanto soggetto potenzialmente (ed ostativamente) intermedio lasciando pienamente sgombro lo spazio tra singolo Vescovo diocesano e Collegio episcopale – cum et sub Petro – come tale.

Non si pu, infatti, ignorare che dopo il Vaticano II, promotore della teorizzazione collegiale dellEpiscopato in parallelo alla sua espressa sacramentalit,

le istanze della collegialit intermedia sono state sottoposte [] a una severa revisione critica in nome di due timori opposti: luno che esse detraggano qualcosa al Primato del Papa e alla potestas del Collegio episcopale inteso nella sua totalit, laltro che esse detraggano qualcosa alla potestas del singolo Vescovo sulla sua Chiesa.

Al delicato ed intricato tema, in effetti, stata dedicata negli ultimi trentanni

una serie di documenti della Santa Sede, preoccupati di eliminare qualsiasi istanza intermedia fra la potestas del Vescovo nella sua Chiesa locale e quella del Collegio episcopale e del Papa sulla Chiesa universale. Communionis Notio del 1992 ha tentato di offrire un supporto teologico a questa linea. [] Coerentemente, nel 1998, Apostolos Suos verr a legiferare sulle Conferenze episcopali a partire dallasserto, secondo il quale la potest del Collegio episcopale su tutta la Chiesa non viene costituita dalla somma delle potest dei singoli Vescovi sulle loro Chiese particolari.

In tal modo: ancora una volta, dopo i momenti critici della Riforma gregoriana, del Conciliarismo, della Riforma tridentina, del Giurisdizionalismo e della serrata di fine Ottocento, continua a doversi riconoscere – in effetti – che

la linea perseguita dalla Santa Sede dopo il Concilio ha le sue spiegazioni nel timore che, nella situazione, non di rado turbolenta, del dibattito ecclesiologico seguito allevento, potesse uscirne compromessa lunit della Chiesa garantita dallautorit del Papa.

Ci detto principalmente in riferimento alla Chiesa latina, occorre per riconoscere pure che, sebbene ci che riguarda i singoli Vescovi (ratione status/Sacramenti) ed il Collegio – cum et sub Petro – coinvolga, di per s, anche i Vescovi delle Chiese orientali e valga anche per loro allo stesso modo che per i latini, tuttavia il loro paradigma – sia ecclesiale che episcopale – rimane del tutto diverso poich maggiormente gerarchico e maggiormente collegiale al tempo stesso, seppure in altre prospettive e modalit.

Le Strutture sovradiocesane e sovra-episcopali delle Chiese orientali, infatti, non sono concepite su base collegiale (come le Conferenze episcopali latine) ma sinodale, intorno ad un Pater et Caput, e realizzano una sinodalit effettiva, e non emotiva soltanto, che prende corpo in Istituzioni precise e stabili: il Sinodo dellintera Chiesa (quasi collegiale) e quello permanente (assolutamente non tale).

Ci si comprende e si spiega con una certa facilit se si tiene conto che levento divaricante in materia stato, di fatto, il Dictatus Pap che, nel rapporto con lImperatore dOccidente, ha tolto – nella Chiesa latina, entro i cui confini si disputava la lotta – la corrispondenza diretta tra Vescovi e (loro) Chiese, Roma compresa (sic), avocando al Papa in quanto tale la scelta (= electio) dei Vescovi, prima europei e poi latini in genere. Ne conseguito il fatto che in Occidente non pi la Chiesa particolare che sceglie il suo Pastore, che in tal modo la significa e la esprime – e non la rappresenta soltanto – interrompendo di Diritto, oltre che di fatto, tale fattore strutturante dellEpiscopato poich il Vescovo mandato da Roma spesso un benemerito estraneo per la Chiesa della quale si tratta. Questo crea in Occidente una discrepanza che in Oriente non ha ragion dessere poich la corrispondenza latina tra Vescovo e (sua) Chiesa e rimane del tutto formale, mentre in Oriente compete agli altri Vescovi della stessa Chiesa sui Iuris eleggere i nuovi Vescovi eparchiali, ordinarli e accoglierli nella comune sollecitudine della stessa Chiesa.

In questa prospettiva si consideri – significativamente – come, a fine 2018, i Vescovi diocesani provenienti non dalle Chiese particolari ma dagli Istituti di vita consacrata (et similia) fossero 1.273, rispetto a 4.116 provenienti dal clero secolare. Certamente occorre considerare che la loro maggior parte opera in territori soggetti a Propaganda Fide, nondimeno si tratta comunque del 23,6% dei Vescovi diocesani stessi (quasi un quarto), la cui provenienza non solo totalmente estrinseca rispetto [a] alla sede ministeriale ma spesso anche rispetto a quella specifica porzione di Popolo di Dio, come per la quasi totalit dellEpiscopato latino ma, pure [b] alla stessa dinamica della Chiesa particolare propriamente intesa.

Rimangono comunque aperte possibilit non solo teoriche in materia, visto che

il dettato di Apostolos Suos, che esclude qualsiasi istanza intermedia fra lautorit del Vescovo nella sua Chiesa locale e quella del Papa e dellintero Collegio episcopale, non ha valenza dogmatica: cՏ quindi, nella pi perfetta ortodossia cattolica, la possibilit di creare sistemi di rapporti collegiali dei Vescovi a base locale e di attivare un esercizio collegiale della potestas episcopale, intermedio fra quello del singolo Vescovo sulla sua Chiesa e quello del Papa e dellintero Collegio episcopale sulla Chiesa universale.

Tanto pi che ormai,

rispetto alla drammatica stagione del Conciliarismo e del Gallicanesimo, nella quale gli Stati intendevano sottrarre i Vescovi al potere del Papa per sottometterli al proprio, dopo il Concilio Fiorentino, quello di Trento, il Vaticano I e il II, la questione del carattere rappresentativo delle Chiese locali nel Corpo episcopale pu essere ripresa senza preoccupanti ipoteche

dal punto di vista dellindipendenza politica ed unit della Chiesa.

7. Episcopalis Communio: una tappa evolutiva?

Le riflessioni critiche sin qui proposte su alcune delle problematicit sottostanti ai rapporti tra Episcopato e Chiese, in particolare sullincongruo rapporto tra dimensione collegiale (= status) e dimensione funzionale (= Officium) dellEpiscopato stesso, sembrano poter trovare qualche elemento di sostegno anche nel testo e contesto della recente Costituzione apostolica attraverso la quale Papa Francesco ha riformato (o ri-fondato?) il Sinodo dei Vescovi, non principalmente nella sua operativit (pur avendo aggiunto la nuova Fase consultiva previa ed esplicitato la Fase attuativa) ma, piuttosto, nella sua identit pi profonda soprattutto a livello della concezione dellEpiscopato sottesa. Una concezione in palese progressivo allontanamento dal linguaggio e dalle referenze di una – semplicistica – collegialit intra-episcopale, approcciata icasticamente ed innovativamente come episcopalis communio, a vantaggio di una pi chiara emersione del soggetto – quasi endiadico – Vescovo-Chiesa particolare.

Senza poter sopravvalutare la portata teoretica e sistematica del breve testo normativo sostanziale, composto in gran parte da citazioni, tuttavia possibile operare qualche osservazione circa i suoi contenuti maggiormente significativi per la riflessione sin qui proposta, al di l della – ritenuta ancor oggi – irrinunciabile referenza alla collegialit episcopale. [1] Non sfugge in primis lattenzione dedicata ai Vescovi ed ai loro rapporti, cosicch quanto trattato nel testo (= il loro Sinodo) debba comunque essere rapportato con tale soggetto; [2] in secondo luogo non si pu ignorare la marcata presenza delle Chiese particolari con un rilievo di vero protagonismo; [3] ulteriormente: il rapporto Vescovi-Chiese particolari non appare secondario n collaterale, pur allinterno della pi volte richiamata sollecitudine per la Chiesa universa o lintero Popolo di Dio; [4] da ultimo: allinterno del contesto di ascolto costituito dal Sinodo, sembrano essere innanzitutto le Chiese particolari e non quella universa ad ascoltare ed essere ascoltate, esse sono (le) vere protagoniste del Sinodo

In questa prospettiva va notato – sebbene con adeguate precauzioni – come nel testo della Costituzione il riferimento a le Chiese ricorra ben otto volte (cinque volte: tutte le Chiese; due volte: Chiese particolari), contro sedici nella ben pi ampia Lumen Gentium (che usa sei volte: Chiese particolari). Interessante anche il fatto – sebbene presuntamente pi stilistico che effettivamente teologico – che due di queste otto ricorrenze si attuino attraverso la citazione diretta di Ap 2,7: ci che lo Spirito dice alle Chiese, rilanciando una formula, ma pi ancora una concezione, originaria dellEcclesiologia del Nuovo Testamento.

Va pure osservato come al Collegio episcopale (tre ricorrenze) si affianchi pure il Corpo episcopale e lOrdine episcopale (una ricorrenza ciascuno), ad evidenza di quanto osservato pi sopra in merito alla crescente instabilit della denominazione che ancora palesa problemi concettuali irrisolti. Quattro volte appare anche lEpiscopato (due volte sine glossa due volte cattolico).

Non mancano neppure riferimenti espliciti alla dimensione dellOfficium episcopale, in riferimento al Vescovo che vive in mezzo ai suoi fedeli (EC 5) o ai Vescovi che rappresentano innanzitutto le proprie Chiese (EC 6). Anche il riferimento alle Conferenze episcopali, quali origini maggioritarie dei membri del Sinodo e dei contributi che lo alimentano (cfr. EC 3; 6), sottolinea ulteriormente la costitutiva assoluta maggioranza dei Vescovi diocesani quali membri di Diritto del Sinodo rispetto a quelli titolari, con chiara prevalenza dellOfficium episcopale rispetto al solo status a non confermare – pienamente – gli elementi e fattori che nello stesso testo legislativo rimandano alla collegialit episcopale propriamente detta ed intesa.

Si aggiunga inoltre il probabile valore strategico da doversi riconoscere alla scelta della peculiare natura giuridica dello strumento novatorio: una Constitutio apostolica e non le Litter apostolic motu proprio dat, cos frequenti nel modo di governare di Papa Francesco. La scelta operata non pu non porre interrogativi – forse solo retorici – circa la volont, anche formale, di attribuire al Sinodo dei Vescovi (maggioritariamente diocesani) una portata davvero strutturale per la vita e lo stesso governo della Ecclesia universa, in evidente (contro)bilanciamento con la Curia Romana, essa pure retta da una propria Constitutio apostolica, attualmente in revisione. Lo strumento giuridico della Legge ordinaria (= Constitutio apostolica), anzich straordinaria o speciale (= il c.d. motu proprio) che Paolo VI aveva utilizzato per creare originariamente il Sinodo e che molti avrebbero visto in modo favorevole per riformarlo, pare infatti voler porre unaffermazione di principio proprio a livello strategico: dal Sinodo dei Vescovi (maggioritariamente diocesani) non si prescinde! Ci al di l del fatto che esso rimanga – come anche la stessa Curia Romana – in sostanziale funzione del Primato, anzich del Collegium. Pretendere – oggi – qualcosa di pi sarebbe stato praticamente impossibile. Nondimeno: questo Primato, sia [1] col cinquantennale inserimento tra i membri dei Dicasteri curiali romani di un certo numero di Vescovi diocesani come membri, sia [2] con la maturit istituzionale e giuridica assegnata al Sinodo dei Vescovi (maggioritariamente diocesani), riduce sempre maggiormente la propria distanza sostanziale dalle Chiese particolari altre rispetto a quella romana, custode del Primato stesso.

Anche lanticipo cronologico del nuovo assetto giuridico del Sinodo dei Vescovi rispetto alla riforma della Curia, ben pi attesa oltre che promessa, sollecita perseveranza nello scrutare un orizzonte dove lendiadi Vescovo-Chiesa particolare pare uscire progressivamente dalle nebbie di un Episcopato concepito solo ratione sui/status/Sacramenti, tessuto sullordito di una collegialit che, a fronte dellattesa – e pretesa – risoluzione di un problema quasi millenario (= il rapporto Primato-Episcopato), non tuttavia stata in grado di congedare definitivamente – e dogmaticamente – n la problematica teorica sottesa n le sue conseguenze pratiche.


in APOLLINARIS, APOLLINARIS, XCII (2019), 127-176