Sommario.
1. Premesse terminologiche e concettuali. 2. Applicabilit del can. 1733. 3. Applicazione del can. 1733.
Lultimo decennio fortemente segnato dalle tematiche connesse alle soluzioni extragiudiziali dei sempre pi frequenti conflitti che attraversano le diverse societ soprattutto nel c.d. mondo occidentale, dove il moltiplicarsi dei diritti sta generando una correlativa crescita smisurata della pretesa di loro riconoscimento, affermazione e tutela. In questo contesto mediazione e conciliazione sono divenute ormai due mantra dai quali si attendono esiti quasi miracolosi un po in ogni campo come se si trattasse di un nuovo antibiotico ad ampio spettro.
A nutrire speranze in questambito non per soltanto larea privatistica (diritto di famiglia, in primis), vista limportanza crescente assunta in diritto penale dalla mediazione minorile, ma un po da ogni parte cresce linteresse verso la tematica, arrivando a coinvolgere anche – pi o meno direttamente – lambito canonico.
in questo contesto di crescente interesse per la materia, anche allinterno del diritto amministrativo canonico, che si collocano le seguenti note relative alle possibilit offerte dal can. 1733 CIC nella gestione delle problematiche connesse alla non – immediata – esecuzione dei provvedimenti di governo ecclesiale.
1. Premesse terminologiche e concettuali
Per affrontare in modo adeguato lo studio del can. 1733 del Codice latino necesario premettere qualche chiarimento – a livello pi sostanziale che non semplicemente terminologico – sui termini mediazione e conciliazione ai quali facilmente si fa riferimento in dottrina, partendo dal dato di fatto che il termine conciliazione non presente nel Codice canonico latino ma solo nella dottrina, mentre – al contrario – il termine mediazione appare nel Codice ma non usuale in dottrina. Nondimeno: i due termini sono utilizzati dalla maggioranza dei canonisti come veri sinonimi, senza curarsi affatto della loro differente natura e funzionalit; in realt spesso ignorate anche in ambito civile/statuale.
In merito si considerino, pertanto, alcuni elementi e fattori di fondo.
1) Il primo elemento di cui tener conto la prevalenza in ambito giuridico generale del concetto di conciliazione, che giunge fino ad assumere la consistenza di un vero istituto giuridico con la funzione di ridurre lattivit giudiziale ordinaria: la c.d. conciliazione giudiziale, spesso affiancata alla transazione o allarbitrato, soprattutto in ragione del risultato (= estinzione della lite) cui si perviene per via extragiudiziale. Il concetto di conciliazione, tuttavia, rimane ambiguo poich capace dindicare allo stesso tempo [a] sia lattivit volta al suo conseguimento, [b] sia lesito stesso di tale attivit: un esito che dissolve la contrapposizione tra le parti evitando la lite/contesa e quindi il Giudizio propriamente detto, da cui deriva la funzione deflattiva normalmente attribuita o riconosciuta alla conciliazione come tale. Lo stesso non pu dirsi, invece, per il concetto di mediazione, che risulta meno ampio poich lesito positivo di unattivit di mediazione non pu essere denominato in tal modo, sebbene anchessa raggiunga la consistenza dellistituto giuridico, integrato perfino nella procedura giudiziaria, almeno nella sua forma di mediazione obbligatoria quale soglia necessaria per accedere al contenzioso giudiziale vero e proprio, in caso dinefficacia, come prevista, p.es., nellordinamento italiano. Trattandosi di condizione di accesso al Giudizio si parla giustamente di mediazione e non di conciliazione obbligatoria, altrimenti il Giudizio risulterebbe concretamente inattuabile; nondimeno lesito sperato dal legislatore (a scopo deflattivo per i tribunali) la conciliazione. 2) Un secondo elemento comune alle due attivit merita di essere posto in evidenza: si tratta dellintervento di (almeno) un terzo esercitante una funzione espressamente compositoria tra le parti. Ci che caratterizza, infatti, la mediazione e la conciliazione non la semplice trattativa (pi o meno diretta) tra le parti – intese come posizioni –, visto che entrambe le attivit si realizzano attraverso lapporto strutturale di un terzo che, tecnicamente, non parte. Un terzo radicalmente diverso dal Giudice o dallarbitro non tanto perch conciliatore e mediatore non possiedano alcuna capacit dimporre una decisione, ma per il fatto che proprio tale decisione risulta del tutto esclusa dal loro compito, espressamente orientato, invece, allavvicinamento (sostanzialmente) morale delle parti anzich alla soluzione giuridica della contesa. questa presenza del terzo, a sua volta, che differenzia la conciliazione dalla transazione o qualunque altra forma di accordo, pi o meno, bonario tra le sole parti come tali, sebbene non spontanea. 3) In terzo luogo va considerato il fatto che, seppure concettualmente si tratti di attivit simili (da cui linstabilit del linguaggio anche tecnico, spesso), gli effetti pratici non sono per assimilabili poich soltanto la conciliazione presuppone un esito extra-giudiziale positivo: la conciliazione, appunto. Diversamente si sar trattato soltanto di (tentata) attivit compositoria. questa la possibile differenza concettuale e teoretica che si pu rinvenire tra i due concetti: mentre, sostanzialmente, la conciliazione – in quanto esito – pone fine alla contesa risolvendola tra le parti, la mediazione – in quanto attivit –, per parte propria, non raggiunge generalmente un tale esito, ma soltanto rende le parti maggiormente consapevoli delle implicazioni delle loro rispettive posizioni (ed eventuali responsabilit), come accade espressamente nella c.d. mediazione penale (minorile). 4) Unultima considerazione va indirizzata agli ambiti giuridici di possibile applicabilit della conciliazione e della mediazione in campo specificamente canonico, tenendo conto di una peculiarit del diritto della Chiesa: la irriducibile distinzione tra pubblico e privato derivante dalla strutturale gerarchicit dellordinamento stesso. Uno stato di cose che obbliga lapproccio canonistico a tener conto di due distinti ambiti giuridici rispondenti a presupposti e funzionalit radicalmente diversi tra loro: 1) un ambito privatistico che non oppone resistenze n alla conciliazione n alla mediazione n ad alcun altro strumento giuridicamente efficace (cfr. cann. 1713-1716), 2) un ambito pubblicistico al cui interno difficilmente sar possibile andare oltre la (semplice) mediazione. A questo peculiare ambito fa riferimento il can. 1733 CIC.La tendenziale disorganicit teoretica della materia suggerisce di esplicitare qualche altro elemento, utile alla miglior delineazione delle fisionomie proprie delle diverse attivit, istituti giuridici e – maggiormente – loro realizzatori, soprattutto in chiave dialettica rispetto allordinaria funzione giudicante. In tale prospettiva occorre sottolineare alcuni ulteriori elementi di natura funzionale.
1) Le attivit del mediatore e del conciliatore si caratterizzano per la creazione di un ambiente relazionale non contrappositorio, capace di ampliare le prospettive delle parti, favorendo la comprensione delle rispettive esigenze ben prima che posizioni. Il Giudice, al contrario, finisce spesso per consolidare le posizioni di parte per giungere a decidere (soltanto) in base alle Prove a lui fornite. 2) Ancora: il Giudice chiamato a far osservare la legge, riportando ad essa le vicende oggetto di contesa. mediatore e conciliatore, invece, sono chiamati a far s che le parti accrescano la loro conoscenza e consapevolezza degli elementi da cui origina la contesa favorendone un ragionevole ridimensionamento, se non anche il riconoscimento della (parziale o potenziale) fondatezza della posizione dellaltra parte, privilegiando la quaestio facti (in gran parte ragioni) rispetto alla mera quaestio Iuris (solitamente quasi solo diritti). 3) Mentre, poi, il Giudice non pu, ordinariamente, aggiungere al contraddittorio processuale nuovi dati ed elementi, una delle maggiori opportunit di mediatori e conciliatori proprio quella di (far) condividere le informazioni disponibili alle parti, sia facendole scambiare tra loro, sia anche integrandole con ulteriori dati ed elementi, come accade spesso quando si tratti di questioni di una certa tecnicit. Nondimeno: spetta a loro anche il proporre soluzioni. Questo per porta a qualificare il conflitto secondo criteri diversi dalla contesa, attivando approcci pi valutativi che non rivendicativi, integrando spesso le posizioni di parte, cos da prospettarne esiti efficaci inizialmente non considerati n, forse, ipotizzabili dalle parti come tali prima del loro incontro.2. Applicabilit del can. 1733
Analizzando il can. 1733 con specifica attenzione al suo effettivo contesto normativo (= i Ricorsi contro i decreti amministrativi – v. infra), occorre porre in rilievo alcuni elementi e fattori generalmente non palesati in dottrina ma di tutta evidenza in campo applicativo e, come tali, da integrare nella riflessione teoretica sulle Norme espresse in tale canone.
1) Prima di addentarsi nella materia occorre considerare la sostanziale non riconducibilit del can. 1733 allambito generico della soluzione dei conflitti nella Chiesa (cio tra i fedeli come tali) e neppure alla semplice tutela dei c.d. diritti dei fedeli, ai quali la prassi e la dottrina, soprattutto nellEuropa centro-occidentale e anglofoni, hanno dedicato un notevole impegno nei due decenni della revisione codiciale. In tali contesti, infatti, canonisti e Conferenze episcopali simpegnarono per creare (fuori dal Codice pio-benedettino allora vigente, ma anche lungi da quello futuro) procedure ed organismi vistosamente alternativi ai tribunali ecclesiastici di ogni ordine e grado, che lantigiuridismo del tempo riteneva non pi tollerabili/ipotizzabili. Il canone 1733, infatti, non evoca affatto n sollecita (n permette!) una specifica procedura per la tutela extra-giudiziale dei diritti dei diversi soggetti canonici alternativa, di fatto, alla previsione del can. 1400 1 e non pertinenti la materia del 2 dello stesso canone. A ci si aggiunga che – come riconosce la stessa dottrina – tali dispositivi, dove ancora attivi, si presentano come potenziali ostacoli al regolare svolgimento di quanto normato ai cann. 1732-1739. 2) In secondo luogo – facendo la necessaria tara applicativa al can. 1732 – occorre prendere atto che la Norma non riguarda affatto tutti, ogni e ciascun Atto posto da chiunque possieda potest di governo n, tanto meno, ogni suo silenzio innanzi alle pur legali sollecitazioni dei fedeli. Il canone non riguarda, infatti, i semplici atti dellautorit ma soltanto i suoi provvedimenti effettivamente decisori, indipendentemente dalla loro forma: soltanto questo, infatti, vuole indicare il can. 1732 col suo estendersi oltre i soli decreti formalmente tali, anche in ragione della estrema libert di forme che tali provvedimenti assumono in modo crescente, creando – sovente – effettivi problemi di riconoscimento ed identificazione. Tendenzialmente infatti gli Atti c.d. graziosi – Dispense in primis – sono esclusi dalla previsione dei cann. 1732-1739: la libera valutazione, infatti, dellesistenza o meno della giusta e ragionevole causa per concedere ci che la legge ha gi preventivamente ed astrattamente escluso come possibile attivit lecita dei fedeli (cfr. can. 90 1) non incontra nellordinamento limitazioni n di opportunit, n discrezionali. La giusta e ragionevole causa, infatti, si colloca allinterno di un differente ordine valutativo, di pertinenza esclusiva dellautorit di governo ecclesiale rispetto a valutazioni assiologiche generali (e generiche) gi previamente operate dal legislatore in via negativa. Esistono, inoltre, Atti di valutazione della specifica congruit di determinate condotte rispetto a criteri stabiliti o a peculiari circostanze, come avviene per le Licenze ed Autorizzazioni del Libro V del CIC, ma anche per un certo numero di attivit o condotte generalmente proibite a chierici e religiosi (cfr. cann. 283; 285 2-3; 286; 287 2; 289 1; 672), difficilmente riconducibili sia allambito della grazia che della mera decisione. Completamente estranei alla Norma sono anche gli Atti amministrativi generali (cfr. cann. 29-34), vista la loro funzione regolamentare e non semplicemente provvedimentale. 3) Occorre poi riconoscere che i diversi provvedimenti dellautorit esecutiva di governo non hanno tutti la stessa qualit. La prassi, infatti, evidenzia come i provvedimenti di cui ai cann. 1732-1739 non siano affatto omogenei nei loro presupposti e pertanto anche nella loro possibile gestione. Non si pu infatti ignorare che una parte significativa dei provvedimenti adatti a dar corso alla previsione del can. 1733 (cio alla Remonstratio e successivo eventuale Ricorso gerarchico) sono provvedimenti indirizzati a presidiare non tanto il bene (pubblico) ma principalmente lordine pubblico, trattandosi di provvedimenti di natura disciplinare (decreti e precetti) e non soltanto funzionale/organizzativa, come sono invece i provvedimenti provvisionali (riguardanti, cio, gli uffici ecclesiastici), quelli ordinatri e gli altri coi quali si provvede – generalmente – al c.d. bene pubblico inteso come miglior funzionalit della vita ecclesiale. Affidare un Ufficio ecclesiastico (bene pubblico) o doverne limitare/impedire lesercizio (ordine pubblico) non sono provvedimenti comparabili, n da porsi e tutelarsi allo stesso modo.Il semplice screening cos suggerito permette di evidenziare prima di tutto come oggetto del can. 1733 sia essenzialmente il contenuto dei provvedimenti.
- La questione non inutilmente posta poich solo in base al contenuto pu sorgere ragionevole controversia. Questioni di illegittimit, infatti, andrebbero affrontate in altro modo, soprattutto perch – canonicamente – la contestazione di un provvedimento possibile gi a motivo della sua gravosit per il destinatario, al di l della stessa liceit del provvedimento (= la c.d. inefficacia estrinseca). Non di meno risulterebbe giuridicamente stravagante mediare o conciliare in termini di legittimit. - La seconda considerazione riguarda la previsione – indiretta, ma costitutiva – che il provvedimento abbia generato una situazione problematica alla quale trovare una equa soluzione: il tema dello studio nel quale, eventualmente, coinvolgere (il canone dice ricorrendo a) persone competenti o anche organismi (= uffici o consigli) incaricati di ricercare e suggerire eque soluzioni. Il can. 1733 1, infatti, davanti alla gi avvenuta contestazione di un provvedimento oggettivamente inadeguato (= Remonstratio) esplicita che si tratta di trovare – per quanto possibile di comune accordo – una soluzione alla controversia: soluzione che – per natura propria – si d innanzi ad un problema che, come tale, generalmente sorge da un Atto lecito e legittimo, e non – invero – innanzi ad una lesione di diritti (Causa iurium) o conflitto dinteressi! Problema applicativo (= disfunzionalit) e lesione di posizioni giuridiche soggettive (= illiceit) non sono entit comparabili n reciprocamente riducibili.Ci risponde al principio che le concrete divergenze operative, quali sono le controversi sia del can. 1400 2 che del can. 1733 (controversi usa il legislatore, diverso da contentiones, oggetto del c.d. contenzioso), devono essere risolte allinterno dellambito – seppure allargato (cfr. can. 1733 1-2) – del governo come tale, diversamente da quanto previsto, invece, per dichiarare e rivendicare fatti e diritti (Causae iurium), per i quali competente il tribunale ordinario, ex can. 1400 1, 1 (= lite/contesa).
La disposizione del can. 1733 risulta cos pienamente inquadrabile allinterno del concetto di Autotutela (amministrativa) di cui gode in vari ordinamenti (giuridici) lautorit di governo al fine di veder comunque realizzate senza inutili dilazioni e pretestuosi ostacoli, come risultano essere spesso i c.d. tempi processuali, le finalit di ordine generale affidate alla sua attivit. LAutotutela infatti permette di risolvere le questioni pratiche, pi che di principio – e tali sono i problemi (= controversi) –, connesse al conseguimento delle finalit istituzionali (bene ed ordine pubblico), a differenza del contenzioso (= contentiones) propriamente detto, pi proprio della dimensione individuale (per non utilizzare in modo improprio il linguaggio della privatezza).
Ci a tanto maggior ragione per il fatto che la maggioranza dei provvedimenti di governo, soprattutto se rispondenti a doveri dUfficio imposti dalla legge, sono del tutto leciti poich non violano alcun diritto (= right) di nessuno, mentre oggetto del Ricorso gerarchico (ex can. 1733 1) sono provvedimenti dellautorit ritenuti gravosi (gravatum se decreto putet – can. 1733 1) dal loro destinatario o qualche altro avente-causa. Leventuale illegittimit del provvedimento – caratterizzandolo come discordante dalla legge, sebbene ad essa non-contrario – porrebbe invece lattenzione su elementi e fattori riconducibili allerrore in decernendo o in procedendo: errore generalmente ricuperabile dallautorit quando venga opportunamente posto in evidenza (= Autotutela): a questo serve infatti la Remonstratio.
Lerrore, tuttavia, nelladozione di un provvedimento (= illegittimit) radicalmente diverso dal problema che il provvedimento crea con la propria esecuzione (= gravame): non pu sfuggire al giurista che si tratti di elementi incomparabili ed irriducibili.
3. Applicazione del can. 1733
3.1 I presupposti
Dopo aver meglio precisato il perimetro reale (e realistico – sic) dapplicazione del can. 1733, al fine di comprendere adeguatamente anche loggetto effettivo di tale Norma necessario considerarlo unitamente alle Norme alle quali il provvedimento rivelatosi inefficace, almeno di fatto, avrebbe dovuto sottostare gi al momento della sua formazione ed adozione, secondo la previsione dei cann. 50 e 51 CIC, secondo i quali: 1) prima di fare un decreto singolare, lautorit ricerchi le notizie e le prove necessarie, e, per quanto possibile, ascolti coloro i cui diritti possono essere lesi; 2) il decreto si dia per iscritto esponendo, almeno sommariamente, le motivazioni, se si tratta di una decisione.
I canoni indicati evidenziano come il cuore della problematica che sorga in ragione del provvedimento, cos come le sue soluzioni possibilmente condivise ed equitative (si provveda di comune accordo a ricercare unequa soluzione), in realt, vada individuato nella sostanziale carenza di informazione e valutazione degli elementi sui quali si fonda il provvedimento contestato: una carenza che il legislatore latino non ha saputo evitare prevedendo che il destinatario stesso del provvedimento venga comunque coinvolto nella sua fase elaborativa. Un errore che lo stesso legislatore formale ha poi evitato di ripetere nel can. 1517 del CCEO che, invece, richiede tale partecipazione previa.
Questo, per, significa che occorre volgere lattenzione non tanto a ci che la dottrina (e la Giurisprudenza) hanno indicato ininterrottamente per decenni: la illegittimit dellAtto amministrativo singolare, comunque inteso e compreso ex can. 1732 (v. supra – sic), ma primariamente – se non esclusivamente – i contenuti del provvedimento oggetto di resistenza da parte del suo destinatario.
Che si tratti di contenuti – previ o successivi al provvedimento – e non di sua legittimit risulta palese dal dettato normativo codiciale che non parla mai di legittimit nelle Norme in oggetto, n in quelle codiciali connesse. Ed proprio perch si tratta di contenuti che possibile cercare un esito di pi ampio respiro e radicamento nella realt (= le informazioni e prove del can. 50), attraverso lo studio e la ricerca di possibili soluzioni che facciano fronte alle esigenze sia del governo ecclesiale (autore del provvedimento inefficace) che di coloro i quali ne risultino coinvolti in prima persona: coloro che il decreto direttamente raggiunge (can. 1517 CCEO). questa lattivit mediativa istituzionale a cui il can. 1733 rimanda: unattivit alla quale – ragionevolmente – il destinatario del provvedimento prende parte fornendo ex post elementi informativi e valutativi che risultino de-potenzianti rispetto ai presupposti del provvedimento stesso, cos da poterlo rendere applicabile, almeno nella sua sostanza, nel caso in cui sia effettivamente necesario ai fini del bene pubblico che lo dovrebbero ispirare. In merito si parlato di verifica istituzionale a posteriori dellinefficacia del provvedimento.
Trattandosi di informazioni, prove, ed altri elementi fondativi del provvedimento di governo, risulta chiaro ex natura rei che non si tratta di cercare un accordo in cui le parti contrattino i rispettivi esiti favorevoli della controversia, come accadrebbe per diritti o prerogative o pretese inter pares (cfr. cann. 1713-1716), poich si tratta qui di questione di pubblico interesse e non di posizioni, beni, interessi privati. Anche perch a differenza del contenzioso giudiziale ordinario (cfr. can. 1400 1) non si tratta di posizioni soggettive ma di disposizioni autoritative che modificano la vita del loro destinatario.
espressamente in questottica che sia le persone autorevoli che gli organismi evocati come co-protagonisti di tale attivit sono chiamati a proporre soluzioni in qualche modo alternative al mero disposto nel provvedimento contestato: soluzioni che tengano conto di tutto quanto emerso, spesso pi dal punto di vista tecnico che non di parte, evitando che le parti – appunto – si lascino irretire da posizioni di principio ed emotive, e non sappiano – invece – risolvere il problema di cui si tratta, tenendo effettivamente conto di tutti gli elementi e fattori in gioco, sia di cose che di circostanze che di persone. In tal senso il tenore testuale della Norma non pare rimandare in alcun modo n ad istituti giuridici formalizzati (in similitudine con la conciliazione civilistica) n a peculiari procedure, come il Due Process dellEpiscopato statunitense o le Strutture inglesi, olandesi, belghe, riferite dalla dottrina. Tanto pi che tali attivit extra-codiciali hanno finito per stravolgere completamente la natura stessa delle cose, giungendo perfino a chiamare tribunali amministrativi organismi privi di qualunque potest, destinati ad emettere soltanto vota non vincolanti per lautorit di governo coinvolta la quale, a volte, non li ha neppure recepiti.
3.2 La modalit
Dal punto di vista operativo lattivit mediativa del can. 1733 3 legata al tempo di 30 giorni stabilito dalla legge per la necessaria Risposta alla Remonstratio, profilando unattivit la cui gestione risulta per alquanto indeterminata (operi principalmente allorquando [] n siano spirati i termini per ricorrere), rendendo non chiaro come lavvio dellattivit mediativa possa concretamente interferire con la reale possibilit/necessit del Ricorso gerarchico.
In merito va osservato che, se da un lato comprensibile che la Norma abbia tenuto ben fissi e perentori i termini per questo genere di operativit in modo da non estendere indebitamente le possibilit di contrasti istituzionali, dallaltro per altrettanto non chiaro luso che lautorit ecclesiale potrebbe fare dello strumento mediativo, p.es.: perdendo tempo in vista della perenzione dei termini per il possibile Ricorso gerarchico contro il suo provvedimento.
Nondimeno: altrettanto certo che lattivit mediativa vada effettivamente eseguita proprio durante i 30 giorni utili per la risposta alla Remonstratio, senza alcuna interferenza con essi in vista del Ricorso gerarchico che – se deciso da parte del destinatario dellAtto amministrativo – deve comunque essere avviato, senza che questo intralci affatto lattivit mediativa poich, in caso di soluzione della controversia, il Ricorso gerarchico pu sempre essere ritirato. Non vale invece il contrario: lattivit mediativa non affatto sospensiva dei tempi per il Ricorso e potrebbe, anzi, essere utilizzata dallautorit – in modo scorretto – proprio per far giungere a scadenza tale possibilit che la vedrebbe svantaggiata e, comunque, sotto accusa. In tal senso la proposta da parte dellautorit dintraprendere unattivit mediativa non pu n deve in alcun modo essere considerata come risposta alla Remonstratio, disinnescando il silenzio negatorio previsto come adatto ad attivare il Ricorso gerarchico quando alla Remonstratio non si sia data alcuna risposta istituzionale. Sarebbe infatti troppo semplice – e soprattutto contrario alla mens del legislatore (e della Norma) – proporre unattivit mediativa che si trascini oltre i 30 giorni previsti dal can. 1735 cos da impantanare la resistenza del destinatario del provvedimento offrendo allautorit scappatoie meramente formali come la perenzione dei – soli – primi termini per il Ricorso gerarchico. Primi termini poich, in realt, la legge impone allautorit che deve dare una risposta un termine massimo di 3 mesi (cfr. can. 57) entro cui ottemperare al proprio dovere dUfficio; contro tale risposta, se e quando effettivamente data, il richiedente pu sempre agire a tutela della propria posizione. I 30 giorni previsti in caso di non decisione dellautorit hanno, infatti, una funzione meramente deterrente nei confronti di inerzie e disinteressamento. Si osservi in merito come il can. 1735, in realt, non parli affatto n di silenzio dellautorit – come fa la maggior parte della dottrina – n di risposta comunque data (come la su indicata proposta di attivit mediativa) ma di sua non decisione (= nihil decernat): non decisione che, legittimamente, potrebbe attribuirsi allinefficienza dellattivit mediativa portata per le lunghe (cio: oltre i 30 giorni).
Giova tener presente in questo caso come la dimostrazione certa di dolo da parte dellautorit che abbia agito per far trascorrere inutilmente il tempo della – sola – attivit mediativa potrebbe non precludere, in linea di principio, la possibilit di presentare ugualmente, se non proprio il Ricorso a termine di legge, almeno qualche altra richiesta di interessamento attivo alla questione da parte del superiore gerarchico. La Giurisprudenza della Segnatura apostolica conosce infatti casi di accettazione di Azione contenziosa pure al di l della scadenza dei termini perentori; anche perch il concetto di tempo utile (cfr. can. 201 2) lo estende oltre la sua dimensione semplicemente fisica.
3.3 Il proponente
Questione alla quale non risulta sia stato dedicato, fino ad oggi, specifico interesse da parte degli autori quella che riguarda il chi debba intraprendere lattivit indicata dal can. 1733: lattivazione, cio, dellattivit mediativa volta ad evitare che sorga contesa tra il destinatario e lautore del decreto.
Al di l della evidentissima mera affermazione di principio operata dal legislatore, lamministrativista attento (o critico) potrebbe porre il dubbio se/che la non attivazione dellattivit possa eventualmente – un domani – ricadere in malo su uno dei due protagonisti, potendogli essere posta a carico come condotta (finanche dolosa) che non ha reso possibile unadeguata pronta soluzione del problema. Uneventualit non senza possibile rilievo in sede di decisione del successivo Ricorso gerarchico quando, valutando appunto la sostanzialit delle circostanze di persone e loro condotte, potesse emergere – p.es. – un atteggiamento arrogante o litigioso in grado di sottrarre ogni plausibilit al merito della questione e alla rivendicazione del proprio punto di vista. A ci si aggiunga che il rilievo, anche disciplinare, che un tale fattore potrebbe assumere lungo il tempo non puramente teorico, come potrebbe dimostrarsi per la condotta di un superiore (diocesano o religioso) costantemente chiuso ad ogni rapporto, incontro, confronto, coi destinatari dei suoi provvedimenti di governo al quale tale condotta venisse contestata in termini di abuso di potere o arbitrariet nel governo o altro del genere; non diversamente per il chierico o il religioso petulante e litigioso che non accetti mai quando disposto a suo riguardo (uffici ecclesiastici, obbedienze religiose, ecc.) da parte dei superiori. Semel et semper in decernendo idem non valent
Concretamente: la volont di non giovarsi affatto dellattivit mediativa, quanto pu effettivamente incidere sulla (non) soluzione del problema? Quanto, nondimeno, un superiore pu pretendere – e conseguentemente contestare – la disponibilit del destinatario del provvedimento a cercare di comune accordo unequa soluzione per il problema delineatosi? Di conseguenza, sotto il profilo della prassi: chi interpone Remonstratio avverso un provvedimento di governo ecclesiale (forse) tenuto ad offrire espressamente la propria disponibilit o a chiedere quella del superiore per risolvere di comune accordo il problema? Da tale assenza nel testo della Remonstratio il superiore pu dedurre lindisponibilit della persona ad affrontare insieme la questione, sentendosi cos legittimato ad assumere un atteggiamento restrittivo nei suoi confronti? Di pari passo: il superiore gerarchico che riceve un Ricorso deve valutare anche lassenza di riferimenti a tale attivit, consigliata ma non necessaria? In quale modo?
Risposta non cՏ. Rimane per il fatto che uno stile di condotta ecclesiale effettivamente ispirato a comunionalit, corresponsabilit, bonum Ecclesi et personarum, dovrebbe saper giovarsi di questo genere di opportunit per risolvere – spesso, involontari – problemi anzich crearne – improvvidamente – di nuovi.
Ci detto per le numerosissime situazioni in cui tutto sia affidato alla sola buona volont delle parti, non pu tacersi il fatto che, laddove siano stati istituiti gli organismi/uffici o altro indicati dal canone per partecipare allattivit mediativa in oggetto, possano rimanere ancora numerosi ed importanti problemi ai quali cercare unadeguata risposta.
In merito si deve infatti tener conto che lattivit mediativa in oggetto non pu ritenersi in qualche modo alternativa – n, tanto meno, previa – allinterposizione della Remonstratio canonica spettante ex Lege al destinatario di un provvedimento di governo ecclesiale (cfr. cann. 1733-1739). Non pu, cio, lUfficio o lorganismo sostituirsi al (o sostituire il) superiore ecclesiale che ha emanato il provvedimento nellesercizio del proprio Ufficio ecclesiastico. Ci sia perch occorre comunque che sia stata interposta la Remonstratio, sia – pi sostanzialmente – perch scopo della Remonstratio attivare un proficuo incontro tra i due protagonisti della vicenda e non il semplice reperimento di una soluzione – qualsiasi – che ciascuno dei due accolga (autonomamente).
Ci in linea di principio!
3.4 Attivit mediativa intraecclesiale non canonica
Per quanto concerne gli organismi/uffici di conciliazione attivi ad intra Ecclesi, occorre porre adeguata attenzione alla loro vera natura giuridica e funzionale, sapendo riconoscere e distinguere quelli propriamente canonici (previsti dal can. 1733) da quelli meramente ecclesiali, oppure: quali funzioni essi svolgano in materia di stretto governo ecclesiale (ex can. 1733) e quali in altre materie coinvolgenti Istituzioni ed autorit ecclesiali.
Chi entra nella materia deve infatti riconoscere che esistono ambiti di mera attivit svolta in riferimento alla Chiesa nei quali le funzioni proprie dei superiori ecclesiali coincidono o si affiancano (di diritto o anche solo di fatto) con altre funzioni la cui specifica natura non ha nulla di propriamente ecclesiale: cos per ci che riguarda – principalmente e paradigmaticamente – lambito lavorativo connesso allattivit degli enti canonici scuole, cliniche, uffici, ecc. In tali contesti, infatti, le funzioni di direzione e gestione, seppure svolte da superiori ecclesiali, non configurano affatto quelle di governo ecclesiale propriamente inteso. Si pensi al Vescovo diocesano in riferimento ai dipendenti laici degli uffici della Curia diocesana oppure di una scuola cattolica o di attivit assistenziali (mensa, dormitorio) svolte direttamente dalla Diocesi in quanto Ente giuridico. Lessere Pastore proprio della Portio Populi Dei eo commissa, o lessere lAmministratore e Rappresentante dellEnte giuridico connesso a iure con tale Ufficio ecclesiastico (cfr. can. 393), non sono la stessa cosa, n funzionano allo stesso modo. Assunzioni, licenziamenti, trasferimenti, ordini di servizio, interventi disciplinari, ecc. verso i dipendenti dellEnte Diocesi sono senza dubbio provvedimenti amministrativi indirizzati a singoli destinatari, ma di natura radicalmente estranea allesercizio della potest di governo ecclesiale al quale sindirizzano i cann. 1732-1739.
Diverso nei presupposti canonici, anche se molto simile nelloperativit concreta e nelle conseguenze, lambito – eminentemente concordatario – dei c.d. gradimenti o nulla osta di competenza dellautorit canonica per lo svolgimento di attivit specifiche di terzi, comՏ, in Italia, per linsegnamento della Religione cattolica nelle scuole statali o la docenza nelle Universit cattoliche. A differenza di quanto illustrato pi sopra per gli enti canonici che svolgano in proprio specifiche attivit comportanti lassunzione diretta di lavoratori dipendenti, nei casi qui in esame si tratta di lavoratori dipendenti di enti generalmente non-canonici (= le scuole statali) la cui possibilit lavorativa, tuttavia, dipende da un Atto dellautorit ecclesiastica come tale. Si noti pure come in questo caso non si tratti di attivit autonoma di tale autorit (un decreto o Precetto) ma di un sostanziale Rescritto su istanza dellinteressato per ottenere una – mera – Dichiarazione abilitante (= idoneit) ad unattivit di terzi: una condizione cui assolvere per poter svolgere una propria attivit lavorativa, presso terzi, sebbene dinteresse finale della Chiesa come tale (cfr. cann. 794; 799). In ragione della portata e consistenza espressamente morale di tale idoneit, essa non pu venire richiesta/accordata una tantum (al pari di uneventuale certificazione dei Titoli accademici) ma devessere rinnovata periodicamente mettendo potenzialmente a rischio lattivit lavorativa del soggetto interessato, con tutte le conseguenze (etiche e sociali) del caso, risultando potenzialmente atta a far perdere il posto di lavoro.
In questi ambiti (preferenziali, ma anche solo indicativi) si assistito – e si continua – alla creazione, diocesana o nazionale, di specifici organismi o anche uffici di conciliazione espressamente incaricati di intervenire, a volte anche obbligatoriamente, nelle situazioni problematiche connesse prima di tutto alla tutela del lavoratore o a tematiche similari, generalmente di natura economica, seguendo una logica radicalmente diversa da quella posta alla base dei cann. 1732-1739. Una logica che, sebbene interna e appartenente allattivit della Chiesa, non pu tuttavia esser considerata propriamente canonica e pertanto pretendere di venir – anche solo gradualmente – assunta ed applicata nellambito normato dal can. 1733. Ci senza pregiudizio alcuno nei confronti della eventuale identit dellorganismo/Ufficio come tale, che potrebbe operare sia canonicamente (ex can. 1733), sia ecclesialmente (per le materie assegnate), caso per caso.