La mediazione nel diritto (pubblico) canonico: il can. 1733 C.I.C.



La mediazione nel diritto canonico non un procedimento formalizzato ma unattivit di avvicinamento delle parti esperibile anche nel diritto pubblico. Davanti ai provvedimenti di governo il can. 1733 C.I.C. invita alla mediazione anzich al contenzioso amministrativo. Gli ambiti interessati possono essere: uffici ecclesiastici, insegnamento della religione cattolica, attivit pastorale retribuita, sostentamento del clero. Mediation in (Public) Canon Law: can. 1733 C.I.C.

 

Mediation in Canon Law is not a formalized procedure but an activity of bringing the Parties closer, also available in Public Law. As regards the Governance measures, can. 1733 C.I.C. calls for Mediation rather than administrative litigation. The areas concerned might be: ecclesiastical offices, teaching of the Catholic religion, paid pastoral activity, clergy remuneration.




Per affrontare in modo adeguato il tema della mediazione nel diritto canonico ai fini della risoluzione delle controversie necessario osservare innanzitutto che il termine conciliazione non presente nel codice canonico latino ma solo nella dottrina, mentre il termine mediazione appare nel codice ma non usuale in dottrina. Non di meno: i due termini sono utilizzati dalla maggioranza degli autori come veri sinonimi, senza curarsi affatto della loro differente natura e funzionalit. 1. La Chiesa e le liti

1.1. Approccio sostanziale

Dal punto di vista espressamente canonico, non si sbaglierebbe se si affermasse – anche in linea di principio – che il diritto della Chiesa ha una sorta di idiosincrasia con lambito contenzioso come tale: una vera pre-comprensione sfavorevole verso la contesa in s e per s, sia in ambito privatistico che pubblicistico. Si tratta di un atteggiamento radicato ed originario per il quale risulta fondante lappello di san Paolo in 1Cor 6,7 che sollecitava addirittura a lasciar perdere il proprio diritto (privato) piuttosto che litigare con un fratello (cfr. 1Cor 6,9), redento anchesso dal sangue prezioso di Cristo (cfr. 1Pt 1,19). stato questo presupposto espressamente teologico a creare nel cristianesimo un atteggiamento molto pi favorevole ai diversi modi di soluzione informale e pacifica delle questioni che non alla loro formalizzazione e soluzione giudiziale. I secoli, in realt, hanno contribuito ad indirizzare in tuttaltra direzione lattivit ecclesiale strutturando in capo al vescovo una vera funzione giudiziale, anche civilistica, gi a partire dalla episcopalis audientia nel IV sec. (Maym, 166), sebbene tale dimensione sia gradualmente andata contraendosi dopo il medio evo con lautonomizzarsi delle strutture giudiziarie civili. In questa prospettiva, anche se lattuale ordinamento canonico offre un diritto processuale completo, adatto a gestire praticamente ogni tipo di controversia (cfr. can. 1400 1), non di meno la realt mostra una dinamica giudiziale limitata in massima parte alla nullit matrimoniale, che solo molto indirettamente pu essere considerata una vera lite (v. infra). Non di meno, ogni accesso al giudice ecclesiastico potrebbe avere quale proprio esito addirittura auspicabile quello di evitare il giudizio stesso, attraverso uno dei differenti modi previsti dalla legge (cfr. cann. 1713-1716). Ci accade poich tutto ci che sia disponibile alle parti (mai il vincolo sacramentale!) pu sempre essere oggetto di soluzione equitativa tra le stesse senza trasformarsi necessariamente in causa giudiziale vera e propria. Il can. 1695 per il processo di separazione coniugale risulta paradigmatico in merito, poich spinge il giudice a consigliare la riconciliazione tra i coniugi anzich la lite. Lo stesso accadeva per la nullit matrimoniale nel precedente can. 1676 del CIC, oggi abrogato nella sua lettera dal m.p. Mitis Iudex (Franciscus 2015), sebbene rimanga invariata la prescrizione generale del can. 1446 riguardante i compiti del giudice ecclesiastico di cui era peculiare espressione. In proposito non si pu ignorare che – ex natura rei et ex testimonio histori – alla base del diritto canonico sta primariamente la concreta verit dei fatti (Gherri 2015, 189; 192). Una verit dei fatti che riguarda pressoch sempre rapporti tra persone e loro eventuali beni che, una volta accertata, non chiede altro che di essere ripristinata (la c.d. restitutio in integrum dello status quo ante). In tale prospettiva il processo giudiziale canonico non costituisce prima di tutto un istituto costitutivo per creare nuove realt giuridiche (come accade spesso nel diritto statuale), ma una peculiare modalit epistemica (Arroba Conde, 283-314; Di Bernardo 2016, 135; 146) per raggiungere la verit su atti e fatti del passato non pi accessibili alla conoscenza ordinaria delle cose, evidenziando come la maggior parte dei giudizi canonici siano essenzialmente processi di cognizione anzich costitutivi. per questo che nella Chiesa il raggiungimento della verit conclude qualunque istanza e, soprattutto, lite/contesa, non dandosi nella vita della Chiesa ulteriori traguardi da conseguire attraverso lo strumento giudiziale. Di natura radicalmente diversa sono le considerazioni circa eventuali circostanze o conseguenze connesse alle condotte in questione (ex facto oritur ius), alle quali si cerca di rispondere in modo equitativo, contemperando con ragionevolezza e benevolenza eventuali stati di necessit particolarmente gravosi per qualcuno dei soggetti interessati alla questione, come avviene spesso nei confronti dei c.d. obblighi naturali della vita coniugale (cfr. cann. 1148 3; 1611, 2), come pure nei casi di dimissione dallIstituto religioso (cfr. cann. 686 3; 702 2) o di dispensa dagli obblighi dello stato clericale. In proposito potrebbe rivelarsi utile la distinzione tra privatezza delle parti in causa e privatezza dei beni in causa o, se lo si vuole, tra bene privato e bene pubblico, tenendo conto che la materia regolata canonicamente non dallo status dei litiganti ma dalla natura dei beni in questione; al punto che due diocesi in giudizio per il possesso di un edificio di culto (p.es.: un santuario) configurerebbero un giudizio inerente un bene privato (= una propriet), mentre i coniugi putativi in giudizio per la nullit del loro vincolo nuziale configurano senzaltro un giudizio inerente un bene pubblico (= un sacramento). In questa prospettiva: da una parte, ci che coinvolge esclusivamente linteresse o il bene c.d. privato gode delle possibilit pi ampie di soluzionabilit extra-giudiziale; dallaltra, ci che riguarda il c.d. bene pubblico non risulta disponibile a soluzioni espressamente conciliative/pattizie, poich nessuno pu disporre in modo privato (cio non nomine Ecclesi) del bene pubblico ecclesiale. La cosa comprensibile considerando che, a differenza del venir meno della lite/contesa per cessazione dei suoi presupposti – come avviene con la riconciliazione delle parti (diversa, per, dalla procedura di conciliazione extra-giudiziale) –, una vera conciliazione (come istituto giuridico) in materia di bene pubblico non risulta esperibile poich non accettabile che i contendenti dispongano in proprio del bene pubblico come tale. Ci vale a maggior ragione quando le parti non agiscano inter pares ma allinterno di un rapporto gerarchico (e pertanto pubblicistico), comՏ il governo ecclesiale cui sindirizza specificamente la norma del can. 1733 (v. infra). 1.2. Approccio normativo

Che lapproccio canonico si caratterizzi per un deciso orientamento ad evitare del tutto la lite giudiziale, risulta ben evidenziato dal can. 1446 CIC che, inaugurando le norme riguardanti lufficio dei giudici e dei ministri del tribunale, impone al giudice stesso di non omettere non soltanto di esortare le parti ma, addirittura, di aiutarle (in qualunque momento della causa) a cercare di comune accordo unequa soluzione della controversia, anche attraverso unattivit di mediazione che eviti il sorgere della lite/contesa. Il 3 dello stesso canone affida addirittura al giudice, quando la lite/contesa verta sul bene privato delle parti, di vedere se sia possibile trovare una soluzione anche attraverso strumenti extra-giudiziali quali la transazione o larbitrato (Ortiz 1999, 69), rimandando espressamente alla loro specifica normazione nei cann. 1713-1716 riguardanti gli strumenti giuridici per evitare le liti. Significativamente, pertanto, la prima norma sullattivit propria del giudice canonico gli impone di evitare del tutto il contenzioso come tale. In questo la differenza col giudice civile evidente, soprattutto per il fatto che in ambito civile gli istituti extra-giudiziali di mediazione e conciliazione risultano ormai funzionalizzati allaccesso al giudice con finalit deflattiva nei confronti dellattivit giudiziaria come tale. La generale non predilezione canonica per gli strumenti giudiziali di risoluzione delle liti/contese non si limita, per, alle sole questioni private poich anche in qualche specifica situazione di bene pubblico (come sono le cause matrimoniali) lordinamento preferirebbe la soluzione extra giudiziale, come accade emblematicamente per la dispensa super rato che si rendesse plausibile in corso di giudizio di nullit matrimoniale, cos da evitare di giungere a sentenza (cfr. can. 1678 4 CIC-2015; olim can. 1681 CIC). Non di meno: quando si tratti di bene pubblico la preferenza per lextra-giudizialit della trattazione delle questioni, riguarda maggiormente le modalit che non il loro esito, visto che – nel citato caso del super rato – sar lautorit a concedere eventuale dispensa dallimpedimento di vincolo, senza che tra le parti possano intervenire soluzioni alternative, tanto meno di natura pattizia. Tale consapevolezza di fondo rileva in modo particolare in riferimento al diritto matrimoniale canonico, nel quale non possibile lasciare alle parti private la possibilit di accordarsi (o venire a patti) in base a loro interessi, sulla soluzione della vicenda riguardante la validit o meno del loro matrimonio come finisce spesso per accadere nelle separazioni e divorzi consensuali in ambito civile (Buselli Mondin 2006; 2011; 2016; 2017; Zuanazzi, 622-627). Diversa invece la possibilit di accedere al giudizio in modo concorde (= litisconsortio) sui fatti che hanno impedito al matrimonio di raggiungere la validit: fattore previsto in modo speciale dalle nuove norme sul processo pi breve innanzi al vescovo diocesano introdotte col m.p. Mitis Iudex del 2015, pur non risultando escluso dalle precedenti norme del codice del 1983 (Buselli Mondin 2010, 291-345). Lambiguit circa questo particolarissimo accordo delle parti in vista della causa di nullit matrimoniale pu essere rimossa ab origine considerando che i concetti di riferimento di questo peculiare approccio giudiziale non sono quelli privatistici (n quelli arbitrali) civili ma quelli proposti dalla c.d. restorative justice progressivamente affermatasi in ambito penale minorile (Riondino, 193-195) in ragione e in vista di una miglior prospettiva di ricupero delle relazioni tra le parti in conflitto (offensore ed offeso nel diritto penale, coniugi putativi in quello matrimoniale). Non vale invece nella Chiesa la prospettiva tipica delladversarial trial anglosassone che, quasi, costringe le parti private a transare prima del dibattimento giudiziale vero e proprio cos da conseguire un risultato al contempo certo e pure parzialmente favorevole per ciascuna di esse (Di Bernardo 2013, 32). Canonicamente, infatti, non si tratta di accordarsi sugli esiti delle vicende, ma di essere concordi sulle loro premesse, cos che sia la verit condivisa ad emergere ed indirizzare la soluzione, nella consapevolezza che quello matrimoniale canonico soltanto un processo di cognizione orientato a provare, contro la presunzione della legge, che latto (matrimoniale) sebbene posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni (cfr. can. 124 2) non corrispondeva, in realt, alla sua verit intrinseca, dipendente delle disposizioni (oggettive e soggettive) dei nubenti. Si tratta, con evidenza, di un presupposto radicalmente diverso dalle cause civili poich nel processo matrimoniale canonico non vi alcun bene conteso tra le parti, come affermava Benedetto XVI nel suo discorso alla Rota Romana del 28 gennaio 2006 (Benedictus 2006, 137). 2. Mediazione vs. conciliazione nel diritto canonico

Il codice canonico latino utilizza il termine mediazione solo due volte, nei cann. 1446 e 1733, in entrambi i casi in riferimento non ad un istituto o procedimento giuridico formalizzato o formalizzabile, ma rimandando al semplice coinvolgimento operativo di persone autorevoli nella soluzione di questioni (Corso, 48-49). Un dettato normativo che offre un riferimento piuttosto generico ed a-tecnico, presumibilmente finalizzato soltanto ad allargare il numero dei soggetti legittimamente coinvolgibili al fine di risolvere la controversia. La cosa nella sua sostanzialit non isolata poich anche in altri frangenti lordinamento impone al decidente unico di operare con lapporto (= consultazione e confronto) di altre persone: i c.d. assessori, sia del giudice (cfr. cann. 1424; 1425; 1673 4; 1676 3; 1685; 1687; 1720) che dellordinario (cfr. cann. 1742 1; 1750). Il fatto rileva tanto maggiormente nel gi citato can. 1446 espressamente diretto ad illustrare lattivit in cui consiste il ministero proprio ed esclusivo del giudice ordinario, soprattutto quando si tratta di affiancarlo con altre figure che, pur cooperando alla certezza morale, non possono tuttavia porre in ombra il giudice come tale: si vedano in merito le figure peritali (De Lanversin, 55) o gli assessori del giudice unico. Va poi osservato come lapporto delle persone autorevoli del can. 1446 appaia orientato allestinzione della controversia impedendole di trasformarsi in lite giudiziale. Il differente inquadramento giuridico della disposizione del can. 1733 riguardante una controversia tra autorit di governo e destinatario di suo provvedimento non sembra mutare la natura e portata dellattivit mediativa in ambito canonico. Il can. 1733, addirittura, pare suggerire unulteriore linea interpretativa, poich alliniziale generica attivit di mediazione affianca quella di studio, entro un contesto non paritetico tra soggetti dissenzienti non circa uno stato di cose – eventualmente immateriali come possono essere i diritti (anche reali) – ma una decisione di governo, di per s autoritativa, che pu risultare controversa (cio non condivisa) ma non contesa. Il contesto tale che potrebbe difficilmente sopportare un accordo tra la disposizione autoritativa di governo ed eventuali resistenze nei suoi confronti. Daltra parte lattivit di governo ecclesiale non tocca mai le persone come tali, n beni privati, ma sempre il solo bene pubblico, vista la sua impossibilit dintervenire direttamente sulle persone dei fedeli ed i loro beni (sia materiali che spirituali). Non di meno: il quadro ermeneutico della norma e degli istituti giuridici connessi reso ulteriormente peculiare dal fatto che lordinamento canonico, a differenza di quelli statuali, non affatto egualitario, visto che in esso esistono specifici Ordines di fedeli (chierici e consacrati, in primis) (Gherri 2018, 160) i cui membri, proprio in virt di tale appartenenza, sono tenuti a specifiche condotte in quanto astretti da obblighi e doveri speciali (p.es.: cann. 273; 590) inerenti lo status individuale, prima di qualsiasi funzione loro affidata (come sono gli uffici ecclesiastici). Doveri speciali tra cui eccelle lobbedienza (p.es.: cann. 260; 273; 590; 601; 698) da intendersi non tanto in termini di mera sottomissione ma piuttosto di disponibilit, dedizione e affidamento nelladempimento della missione ecclesiale propria di ciascuno. Obblighi e doveri speciali di per s totalizzanti e difficilmente parzializzabili in mere attivit o funzioni, come accade, invece, per i funzionari pubblici in ambito statuale: lavoratori dipendenti, a tutti gli effetti (Gherri 2015, 283-284). In tale contesto a confrontarsi ed eventualmente opporsi non sono due positiones di due soggetti inter pares, come potrebbe darsi per luso di beni materiali o la libert di operare in determinati ambiti della vita ecclesiale: posizioni di espressa titolarit individuale, suscettibili anche di tutela giudiziale ordinaria (cfr. can. 1400 1). La materia del can. 1733 attiene, invece, a una relazione istituzionale asimmetrica (= il governo) operante in materia di funzioni ed attivit (generalmente uffici ecclesiastici o anche solo incarichi ecclesiali) di per s non-originarie dei fedeli che le realizzano (non derivanti, cio, dal battesimo come tale) e non nella loro disponibilit sostanziale, ma ad essi tecnicamente conferite o da essi assunte a norma di diritto. Questo, per, lambito di per s pubblico della vita ecclesiale (Corso, 46). La complessit dellapproccio deve poi anche tener conto che mediazione e conciliazione prospettano tipologie operative e relazionali ben differenti tra loro: mentre, infatti, la conciliazione estingue la lite/contesa evitandola o risolvendola per via extra-giudiziale, la mediazione generalmente lascia aperta la controversia contentandosi, pi semplicemente, di avvicinare i punti di vista delle parti, rendendo maggiormente accettabili e/o compatibili le rispettive posizioni, soprattutto quando non paritarie, come sono quelle connesse al governo ecclesiale. Non si pu infatti ignorare come – a differenza delle liti/contese ordinarie su atti, fatti, diritti, sempre possibili sebbene non auspicabili – la maggior parte dei provvedimenti di governo nasca da precisi obblighi legali cui lautorit tenuta per dovere dufficio: fattore che rende non opinabile lesistenza del provvedimento che, come tale, potr risultare controverso ma non evitabile, pur rimanendo vero che il bene pubblico da proteggere non ammette ununica soluzione ragionevole, quella prospettata nellatto controverso (Ortiz 1999, 69). In tal caso lattivit mediativa assumer le caratteristiche pi di una sintonizzazione che di una vera e propria opposizione bona fide semper servata. Non di meno: va considerato pure come la conciliazione – inter pares – si realizzi o per via morale rimuovendo le cause della contesa (= ri-conciliazione) oppure attraverso un vero e proprio accordo tra le parti assimilabile nel suo esito ad una sostanziale transazione (cfr. can. 1713). Tanto basta per affermare che in diritto canonico non esiste qualche specifico procedimento di conciliazione, ma soltanto uneventuale, sempre possibile, attivit mediativa: unattivit mediativa che, tuttavia, non pu essere intesa come semplice facilitazione della transazione tra le parti, agevolando il loro accordo amichevole (ibidem) poich lattivit (dovuta) di governo non pu essere assoggettata a transazione, visto che, secondo lo stesso autore: Latto amministrativo che subentra a quello che ha originato il conflitto non è pattuito: non ha origine nella transazione ma nella volont dellamministrazione (ibidem, nota n. 91). 3. Lattivit mediativa del can. 1733

3.1. I presupposti

Per comprendere adeguatamente loggetto del can. 1733, che intende porre rimedio allinefficacia di un provvedimento singolare di governo, necessario considerarlo unitamente alle norme alle quali lo stesso provvedimento avrebbe dovuto sottostare al momento della sua formazione ed adozione: quanto, cio, previsto dai cann. 50 e 51 CIC. Tali canoni evidenziano come il cuore della problematica che sorga in ragione del provvedimento, cos come le sue soluzioni possibilmente condivise ed equitative, in realt, vada individuato nella sostanziale carenza di informazione e valutazione degli elementi sui quali si fonda il provvedimento contestato (Gherri 2017, 217-218). Che si tratti di contenuti – previ o successivi al provvedimento – e non di sua legittimit risulta palese dal dettato normativo codiciale che non parla mai di legittimit nelle norme in oggetto, n in quelle codiciali connesse. Proprio per perch di contenuti si tratta, possibile cercare una soluzione di pi ampio respiro e radicamento nella realt (= le informazioni e prove del can. 50), attraverso lo studio e la ricerca di possibili soluzioni che facciano fronte alle esigenze sia del governo ecclesiale che di coloro i quali ne risultino coinvolti in prima persona. questa lattivit di mediazione istituzionale a cui il can. 1733 rimanda, alla quale il destinatario del provvedimento prende parte fornendo ex post elementi informativi e valutativi che risultino eventualmente de-potenzianti rispetto ai presupposti del provvedimento stesso cos da poterlo rendere pacificamente applicabile, nel caso in cui risulti effettivamente necessario ai fini del bene pubblico che lo dovrebbero ispirare. In merito si parlato di verifica istituzionale a posteriori (Gherri 2018, 29-30). Trattandosi di informazioni, prove, ed altri elementi fondativi del provvedimento di governo, risulta chiaro ex natura rei che non si tratta di cercare un accordo in cui le parti contrattino i rispettivi esiti favorevoli della controversia, come accadrebbe per diritti o prerogative o pretese inter pares, poich si tratta qui di questione di pubblico interesse (Corso, 51). Nella stessa logica: sia le persone autorevoli che gli organismi evocati come co-protagonisti di tale attivit sono chiamati a proporre soluzioni in qualche modo alternative al mero disposto nel provvedimento contestato: soluzioni che tengano conto di tutto quanto emerso, spesso pi dal punto di vista tecnico che non di parte, evitando che le parti – appunto – si lascino irretire da posizioni di principio ed emotive, e non sappiano – invece – risolvere il problema di cui si tratta, tenendo effettivamente conto di tutti gli elementi e fattori in gioco, sia di cose che di circostanze che di persone. 3.2. La modalit

Dal punto di vista operativo lattivit mediativa del can. 1733 3 legata al tempo di 30 giorni stabilito dalla legge per la necessaria risposta alla Remonstratio, profilando unattivit la cui gestione risulta per alquanto indeterminata (operi principalmente allorquando [] n siano spirati i termini per ricorrere), rendendo non chiaro come lavvio dellattivit mediativa possa concretamente interferire con la reale possibilit/necessit del ricorso gerarchico. In merito va osservato che, se da un lato comprensibile che la norma abbia tenuto ben fissi e perentori i termini per questo genere di operativit in modo da non estendere indebitamente le possibilit di contrasti istituzionali, dallaltro per altrettanto non chiaro luso che lautorit ecclesiale potrebbe fare dello strumento mediativo, p.es. perdendo tempo in vista della perenzione dei termini per il possibile ricorso gerarchico contro il suo provvedimento. Non di meno: altrettanto certo che lattivit mediativa vada effettivamente intrapresa proprio durante i 30 giorni utili per la risposta alla Remonstratio, senza alcuna interferenza con essi in vista del ricorso gerarchico che – se deciso da parte del destinatario dellatto amministrativo – deve comunque essere avviato, senza che questo intralci affatto lattivit mediativa poich, in caso di soluzione della controversia, il ricorso gerarchico pu sempre essere ritirato. Non vale invece il contrario: lattivit mediativa non affatto sospensiva dei tempi per il ricorso e potrebbe, anzi, essere utilizzata dallautorit – in modo scorretto – proprio per far giungere a scadenza tale possibilit che la vedrebbe svantaggiata e, comunque, sotto accusa. In tal senso la proposta da parte dellautorit dintraprendere unattivit mediativa non pu n deve essere considerata come risposta alla Remonstratio, disinnescando il silenzio negatorio previsto come adatto ad attivare il ricorso gerarchico. Sarebbe infatti troppo semplice – e soprattutto contrario alla mens del legislatore (e della norma) – intraprendere unattivit mediativa che si trascini oltre i 30 giorni previsti dal can. 1735 cos da intralciare la resistenza del destinatario del provvedimento offrendo allautorit scappatoie meramente formali come la perenzione dei – soli – primi termini per il ricorso gerarchico. Primi termini poich, in realt, la legge impone allautorit che deve dare una risposta un termine massimo di 3 mesi (cfr. can. 57) entro cui ottemperare al proprio dovere dufficio; contro tale effettiva risposta il richiedente pu sempre agire a tutela della propria posizione. I 30 giorni previsti in caso di non decisione dellautorit hanno, infatti, una funzione meramente deterrente nei confronti di sue inerzie e disinteressamento. Si osservi in merito come il can. 1735, in realt, non parli affatto di silenzio dellautorit, ma di sua non decisione (= nihil decernat): non decisione che, legittimamente, potrebbe anche attribuirsi allinefficienza dellattivit mediativa portata per le lunghe. Giova tener presente in questo caso come la dimostrazione certa di dolo da parte dellautorit che abbia agito per far trascorrere inutilmente il tempo della – sola – attivit mediativa potrebbe non precludere, in linea di principio, la possibilit di presentare ugualmente, se non proprio il ricorso a termine di legge, almeno qualche altra richiesta di interessamento attivo alla questione da parte del superiore gerarchico. La prassi della Segnatura apostolica conosce infatti casi di accettazione di ricorso contenzioso pure al di l della scadenza dei termini perentori; anche perch il concetto di tempo utile (cfr. can. 201 2) lo estende oltre la sua dimensione semplicemente fisica. 4. Ambiti applicativi del can. 1733

Il fatto che le modalit operative per realizzare lattivit mediativa evocata dal can. 1733 non siano concretamente indicate da alcuna specifica normativa non toglie che in effetti esistano invece alcuni ambiti nei quali tale attivit potrebbe non solo risultare maggiormente probabile ma diventare addirittura istituzionale, comportando leffettiva creazione degli organismi locali cui lo stesso canone fa riferimento. Una rapida disamina delle attuali funzionalit ecclesiali, soprattutto nel mondo c.d. occidentale, suggerisce di porre attenzione prima di tutto alle problematiche sostanzialmente legate allambito lavorativo in connessione allesercizio di funzioni/attivit ecclesiastiche o ecclesiali nelle quali la normativa canonica incroci quella giuslavoristica statuale e internazionale, senza per escludere ambiti espressamente pastorali o anche istituzionali, come potrebbe darsi per gli Istituti di vita consacrata o alcuni interventi disciplinari nei confronti dei chierici. a) Ambito lavorativo

- Si tratta principalmente degli uffici ecclesiastici che comportano una qualche forma di remunerazione o di compenso per il loro espletamento, indipendentemente da chi ne sia lerogatore. Uffici ecclesiastici propriamente intesi e non semplice lavoro presso enti ecclesiastici; solo nei primi, infatti, i provvedimenti dellordinario possono introdurre variazioni giuridicamente problematiche. Il riferimento ad ambiti storicamente identificabili come ministeri o servizi ecclesiastici ma ora divenuti pienamente lavorativi a causa del coinvolgimento di personale laico, come avviene – p.es. – per i tribunali ecclesiastici (giudici, patroni stabili, notai, ecc.) e le curie (cancelliere, economo diocesano o altri addetti).

- Sempre in ragione dellufficio ecclesiastico emergono aree problematiche a riguardo anche del sostentamento economico dei chierici (cfr. can. 281), visto che la loro posizione allinterno dei sistemi nazionali – come accade, p.es., in Italia – dipende in larga parte da provvedimenti dellordinario. Il problema non di minore portata nei Paesi in cui il sostentamento dei chierici non sia centralizzato ma affidato agli enti presso cui essi svolgono il loro ministero o servizio, creando situazioni individuali anche particolarmente complesse di cui occorre tener conto nei casi di trasferimento ad altro ufficio ecclesiastico che muti qualche elemento o fattore connesso al sostentamento.

- Altro ambito prospettabile quello delle attivit lavorative che comportino uno speciale legame con la Chiesa o la gerarchia ecclesiale, come accade in Italia per gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche o in ambito germanico per i Pastoralreferenten: un legame che presuppone elementi di idoneit morale (p.es.: situazione matrimoniale irregolare, propaganda di dottrine non compatibili con linsegnamento morale cattolico) e non di sola professionalit (= titolo di studio). Anche lambito disciplinare potrebbe rilevare in questo genere di situazioni quando, p.es. in materia di abusi sessuali, non si trattasse di chierici ma di laici ai quali non si applica la normativa canonica sui graviora delicta. Il caso si presenta, p.es., per linsegnate di religione cattolica nella scuola statale che abbia patteggiato la pena per abuso su minore: la conseguente – giustificata – revoca dellidoneit allinsegnamento comporterebbe la perdita del lavoro, se inquadrato come precario, o un suo diverso collocamento nellorganico scolastico, se inquadrato in ruolo, generando unevidente discrasia tra ordinamento canonico e civile.

- Sempre in ambito lavorativo/professionale occorre considerare i grandi numeri di soggetti coinvolti in attivit espressamente confessionali, sia dirette che indirette, come sono scuole, cliniche, pastorale parrocchiale e caritativa, con attenzione alle c.d. organizzazioni di tendenza, soprattutto in relazione alla c.d. libert di religione: tematica particolarmente delicata in Europa in ragione della tutela che la C.E.D.U. impone in ambito di convinzioni religiose e filosofiche in applicazione soprattutto dellart. 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali; emblematica in merito la vicenda dellallontanamento del prof. Lombardi Vallauri dalla docenza presso lUniversit Cattolica di Milano (C.E.D.U.; Toscano, 518; Turchi).

- Ambito problematico di recente delineazione risulta pure quello connesso allesercizio dellattivit forense presso i tribunali ecclesiastici, il cui accesso riservato agli iscritti allalbo dei patroni di ciascun singolo tribunale (cfr. can. 1488 1), Rota Romana compresa. Le accese polemiche scaturite in Italia dallapplicazione del m.p. Mitis Iudex sono un sintomo pi che evidente delle conflittualit potenziali di tale ambito (Giansoldati); senza ignorare il precedente progressivo sorgere di associazioni locali di patroni degli stessi tribunali in vari luoghi dItalia; associazioni che di fatto condensano interessi professionali strutturati, economicamente non trascurabili. b) Ambito pastorale Non solo lambito lavorativo, tuttavia, potrebbe palesarsi come possibile fucina di controversie suscettibili di attivit mediativa ex can. 1733. Anche la forte rimodulazione delle attivit pastorali, soprattutto liturgiche, che attraversa ormai lintero occidente potrebbe infatti creare questioni in rapporto a decisioni di carattere organizzativo adatte a generare gravame in carico a qualche soggetto, anche istituzionale o associativo come sono Istituti religiosi, o confraternite, o altri in relazione, p.es., al numero ed orario di celebrazione delle sante Messe nelle chiese non parrocchiali; in tali circostanze, infatti, la diminuzione dei fedeli – e delle conseguenti offerte – potrebbe generare uninsufficienza economica per la gestione delledificio di culto causandone la chiusura e conseguenti abbandono e decadenza. Questioni amministrativistiche potrebbero sorgere anche in relazione, p.es., al riconoscimento o meno dello statuto funzionale di santuario o di chiesa parrocchiale o rettorile, ecc., per qualche edificio di culto. c) Ambito istituzionale della vita consacrata Qualche utilit di organismi mediativi ex can. 1733 potrebbe porsi anche in relazione alle c.d. obbedienze negli Istituiti di vita consacrata: i provvedimenti, cio, attraverso cui i Superiori assegnano le persone sia alle case dellIstituto che ad opere o attivit dello stesso. Si tratta di ambiti della vita consacrata che stanno diventando progressivamente pi problematici sia per motivi socioculturali, sia per motivi anche semplicemente organizzativi connessi alla diminuzione dei membri dellIstituto e alle conseguenti sproporzioni tra esigenze dellIstituto e risorse personali effettivamente disponibili.

- Il quadro dei possibili conflitti potestativi potrebbe ampliarsi ulteriormente in relazione alle varie fusioni o accorpamenti di Province religiose conseguenti alla stabile tendenza alla riduzione di membri e correlate opere e strutture istituzionali. Cessare attivit ed opere, chiudere case religiose, riconsegnare parrocchie, ricollocare decine di religiosi o religiose eventualmente in Paesi differenti da quelli di nascita e vita, costituiscono attivit di governo ecclesiale sempre pi complesse e, soprattutto, rischiano di concentrare malumori, dissapori, contrariet, potenzialmente capaci di rendere difficoltosa lattivit di governo degli Istituti.

- Allo stesso modo anche il cambio da protagonisti diretti delle opere del carisma (p.es., scuola o sanit), a datori di lavoro, a lavoratori dipendenti di altri enti, seppure nello stesso ambito del carisma di ciascun Istituto, generano potenziali scompensi esistenziali, oltre che organizzativi, cui pi di qualcuno potrebbe opporsi quando coinvolto direttamente. d) Ambito istituzionale disciplinare Nuovo ambito istituzionale di possibile attivit mediativa che si profila ormai come inevitabile allorizzonte quello connesso ai c.d. provvedimenti cautelativi nei confronti dei chierici in materia di abusi sessuali. Sono infatti ormai molte le controversie che giungono fino alla Segnatura Apostolica contestando lincongruit di provvedimenti che di fatto equivalgono a vere sospensioni a divinis: contese che spesso la Segnatura risolve a favore del destinatario del provvedimento stesso, proprio in ragione di incongrue applicazioni in decernendo di quanto disposto dalle norme canoniche. La delicatezza della materia potrebbe trovare una sede adeguata in un organismo che, pur senza intervenire sullan del provvedimento, spesso dovuto per ufficio e sanzionato nel suo non darsi (come ben evidenzia il m.p. Come una madre amorevole – Franciscus 2016), aiuti tuttavia la messa a punto del quomodo, cos da risultare una reale cautela anche per il suo destinatario e non una effettiva Sanzione irrogata in modo presuntivo. Totalmente estranea al can. 1733 – poich in ambito privatistico – risulta, invece, la nuova problematica che negli ultimi decenni sta prendendo corpo in varie realt ecclesiali in connessione ad uno degli ambiti che contraddistinguono la vita economica della Chiesa da pi tempo: quello delle pie volont testamentarie (cfr. can. 1299). Pur senza poter accedere a specifiche raccolte di dati in merito, fa tuttavia parte dellesperienza ordinaria di curia la crescente difficolt per gli enti canonici ad entrare in possesso di quanto lasciato ad essi in eredit o legato testamentario, a causa dellormai abituale impugnazione del testamento da parte di pretendenti eredi. La vicenda della ditta FAAC lasciata in eredit allarcidiocesi di Bologna nellanno 2012 costituisce un caso tanto eclatante quanto tipico in materia, anche per la sua probabile conclusione: una transazione dellimporto di 70 milioni di Euro. La nuova fattispecie espressamente conflittuale costituisce un fronte aperto per gli enti canonici, costretti sempre pi spesso a latenze operative pluriennali (mediamente 3-5 anni) prima di poter godere di quanto legittimamente lasciato loro in eredit/legato. 5. Realizzazioni canoniche in ambito mediativo

5.1. Iniziative post conciliari

La dottrina canonistica che si occupata della materia ha fatto spesso riferimento ad un certo numero di iniziative intraprese in varie parti del mondo, trascurando tuttavia di tenere ben separate – soprattutto dal punto di vista concettuale – quelle espressamente derivanti dallapplicazione del can. 1733 del 1983 da quelle precedenti ad esso, non rapportabili tra loro dal punto di vista n sistematico n ordinamentale. Gli anni 70 del XX sec., in contemporanea con la revisione del codice pio-benedettino, avevano visto la messa in opera di alcune realizzazioni miranti a dar esito concreto allindicazione dei princpi per la revisione codiciale del 1969 (Synodus, 77-85) di creare strutture di tutela dei diritti dei fedeli nella Chiesa (Gherri 2015, 134-137). Grocholewski e poi Ortiz, ripresi dalla dottrina successiva, hanno messo in evidenza: - il Progetto attuato dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, sotto il titolo On Due Process (approvato addirittura ad modum experimenti dalla Santa Sede nel 1971); - il Progetto denominato A Conciliation Procedure (preparato nel 1973 dallAssociazione canonistica della Gran Bretagna ed Irlanda, dietro richiesta della Conferenza episcopale locale); - la proposta elaborata nella Nuova Zelanda di istituire nellordinamento canonico una particolare figura dellufficio di Ombudsman o difensore civico; - la proposta dellarcidiocesi di Milano di un Consiglio diocesano di giustizia; - i vari uffici di arbitrato e conciliazione eretti in Austria negli anni 70; - lorganismo eretto negli stessi anni nella diocesi di Chur, nella Svizzera tedesca; - gli organismi istituiti in Baviera nel 1971; - i c.d. tribunali eretti in Germania, per volont del sinodo nazionale della Repubblica Federale Tedesca, svoltosi negli anni 1971-1975 nella città di Wrzburg, e approvato dal medesimo sinodo il 19 novembre 1975 (Grocholewski, 471-472; Ortiz 1999, 71). Nonostante laltisonanza delle formule testuali con cui si denominarono tali organismi o le loro procedure si tratt, per il vero, diniziative non solo di scarsa efficacia pratica ma, pi radicalmente, di tuttaltra natura rispetto alla previsione del successivo can. 1733 CIC, essendo sostanzialmente rivolte alla tutela extra-giudiziale dei diritti dei fedeli o istituzioni/enti ecclesiali inter pares e non alla soluzione – estremamente pi specifica – delle contentiones ort ex acto potestatis administrativ. 5.2. Diritto complementare ex can. 1733 del CIC 1983

Nonostante gli albeggi degli anni 70 in ambito ecclesiale sassone (Paesi anglofoni e di lingua tedesca), la recezione del can. 1733 2 da parte delle Conferenze episcopali nei 35 anni trascorsi dalla promulgazione del CIC pone in bella mostra la sostanziale irrilevanza pratica della norma. Nellanno 2009, infatti, su 69 Conferenze episcopali monitorate, risultavano soltanto 22 quelle che avevano preso in considerazione il mandato del canone: Argentina, Bolivia, Corea, Ecuador, Filippine, Francia, Gambia e Sierra Leone, India, Italia, Guatemala, Malta, Messico, Nigeria, Olanda, Pacifico, Panama, Paraguay, Per, El Salvador, Sri Lanka, Venezuela, Zimbabwe (Martens 2012, 350-352), entro un ventaglio istituzionale esteso dalla creazione di organismi nazionali fino alla decisione che nothing to specify (Martn de Agar 2009, 896). Dal punto di vista tecnico le decisioni adottate dalle diverse Conferenze episcopali sono le pi varie.

1) Creazione di organismo nazionale e fissazione delle norme di sua composizione e funzionamento: El Salvador e Nigeria (questa, in realt, ha creato unintera struttura a 4 livelli: parrocchia, diocesi, regione, nazione) (Martn de Agar 2009, 1082; 839-841).

2) Obbligo di costituzione di organismo diocesano e indicazioni sulla sua composizione (Filippine) oppure senza indicazione alcuna in merito (Sri Lanka) (Martn de Agar 2009, 355-356; 1186).

3) Soltanto norme per la costituzione di organismo diocesano e suo funzionamento (Francia e Olanda) senza per stabilirne con chiarezza lobbligatoriet (Martn de Agar 2009, 398-399; 881-884).

4) Costituzione facoltativa di organismo diocesano senza alcuna ulteriore indicazione in merito Guatemala (Martn de Agar 1990, 319), (Bolivia, Messico, Venezuela, Zimbabwe – Martn de Agar 2009, 162; 782; 1345; 1360), oppure con indicazioni o norme sulla sua composizione (Corea, Panama e Paraguay – Martn de Agar 2009, 315-316; 913; 960), o lasciando ai vescovi ricerca di strumenti (India – Martn de Agar 2009, 574).

5) Costituzione raccomandata di organismo diocesano e norme per la sua erezione e funzionamento: Argentina (Martn de Agar 2009, 91-92).

6) Costituzione se possibile di organismo diocesano e indicazioni sulla sua composizione: Ecuador (Martn de Agar 2009, 338).

7) Decisione di non costituire alcun organismo e mandato ai vescovi diocesani di ricercare strumenti in materia: Italia e Malta (Martn de Agar 2009, 673; 755).

8) Decisione di non stabilire nulla in merito: Pacifico e Per (Martn de Agar 2009, 896; 976).

9) Decisione che tale organismo risulta non desiderato: Gambia - Sierra Leone (Martn de Agar 2009, 414). 5.3 Iniziative diocesane successive al 1983

Allosservatore attento non sfugge il fatto che le decisioni assunte dalle pochissime Conferenze episcopali effettivamente entrate nel merito della disposizione del can. 1733 2 non abbiano avuto quasi nessuna conseguenza, a parte il caso – bizzarro – dellOlanda che, una volta stabilite le norme di costituzione e funzionamento dellorganismo diocesano nel 1987 (Martn de Agar 2009, 881-884), sebbene da esse non sia comprensibile se tali organismi vadano obbligatoriamente eretti oppure no, gi a dicembre del 1989 revoc il proprio decreto generale, sia perch differenti soluzioni adottate ad hoc si erano gi dimostrate sufficientemente efficaci, sia perch nessunaltra Conferenza episcopale (europea) aveva deliberato la creazione di tali organismi (Martens 2002, 241). In realt dagli anni 90 alcune diocesi olandesi hanno poi preso liniziativa procedendo autonomamente allerezione di Consigli di conciliazione: Breda (1990), Utrecht (1992), Groningen (1995), Rotterdam (1996) (ibidem). Una seconda osservazione riguarda il fatto che un certo numero di organismi diocesani sono stati effettivamente creati allinterno di Conferenze episcopali sostanzialmente inerti (come Australia, Stati Uniti, Germania) che nulla hanno deciso in sede unitaria ma presso le quali ha sostanzialmente proseguito lattivit gi intrapresa in modo sperimentale nel decennio precedente la promulgazione del codice del 1983: Melbourne (Australia); Kildare-Leighlin e Ferns-Clogher (Irlanda), Aquisgrana, Erfurt, Nassau, Wrzburg (Germania). Non di meno: lesempio olandese e tedesco ha ben presto messo sotto pressione lEpiscopato belga che, pur senza alcun consenso al proprio interno, ha dovuto per cedere alle istanze del Consiglio pastorale interdiocesano (organismo laicale) della parte fiamminga del Belgio, iniziando a costituire singoli Consigli diocesani di conciliazione a partire dal 1994 (Martens 2002, 242-243). Anche gli Stati Uniti hanno continuato a muoversi entro la logica del Due Process gi sperimentata in precedenza (Martens 2002, 240; Martens 2012, 352) creando vari Diocesan Office of Due Process (Portland, Maine, Dallas); nelle arcidiocesi di Milwaukee e St.Paul/Minneapolis, inoltre, pure stato eretto il tribunale amministrativo (Ortiz 1999, 72). Per entrambe le iniziative statunitensi vale il lucido giudizio secondo cui malgrado il nome e la procedura che si vuole dare a tali Organi, la [loro] natura è quella di Organi di conciliazione che operano seguendo una procedura presa dalle norme sul processo contenzioso ordinario (Ortiz 1999, 73). In merito si permetta di dubitare che la maggior parte di tali realizzazioni costituisca unadeguata applicazione del can. 1733, quanto piuttosto un sostanziale restyling di ci che era gi stato realizzato in sua assenza, finendo per utilizzare in modo del tutto strumentale la nuova norma codiciale a semplice copertura formale delle prassi precedentemente instaurate a partire da altri fondamenti e criteri. A ci si unisca lestrema ambiguit rispetto alle norme codiciali alle quali tali realizzazioni spesso affiancano procedure pi concorrenti che davvero alternative (= lamericano Due Process), col gravissimo rischio – gi osservato in dottrina – di non permettere unappropriata ed efficace applicazione della procedura universalmente stabilita per i ricorsi gerarchici (Martens 2002, 248; Ortiz 1999, 73, nota n. 101). Tanto pi che alla base di tali istituzioni ed attivit si pone un evidente peccato originale: ignorare che lattivit degli organismi diocesani di mediazione indicati dal CIC postula quale proprio innesco la Remonstratio (cfr. can. 1733 3 in rimando al can. 1734 2), possibile soltanto contro il vescovo diocesano, visto che – secondo il can. 1734 3 – avverso provvedimenti dei suoi vicari o delegati ci si rivolge a lui direttamente senza Remonstratio previa, n si media col vescovo quanto disposto in modo differente da un suo vicario/delegato. Con evidenza, infatti, i cann. 1732-1734 riguardano lopposizione ai provvedimenti apicali (= del vescovo diocesano), deferibili attraverso ricorso gerarchico soltanto alla Curia Romana. 5.4 Iniziative specifiche successive al 1983

Le ombre che permangono intorno alle iniziative in qualche modo generalistiche realizzate sia da parte delle Conferenze episcopali, sia in sede diocesana, non sono per sufficienti ad oscurare lintero orizzonte profilatosi allinterno dellordinamento canonico a partire dai presupposti sostanziali del can. 1733 in relazione alla resistenza verso i provvedimenti di governo, visto che si possono indicare alcune realizzazioni di differente natura e portata riguardanti ambiti peculiari dellattivit ecclesiale in cui gli spazi aperti dai presupposti della norma sembrano portare effettivi miglioramenti non soltanto alla prassi. Si tratta di provvedimenti di rango completamente diverso: Santa Sede, Conferenza episcopale italiana, una diocesi italiana; provvedimenti che vengono qui solo indicati con funzione evocativa e non specificamente esaminati. a) Per quanto concerne la Santa Sede il riferimento alla creazione del Collegio di conciliazione e arbitrato dellUfficio del lavoro della Sede Apostolica (U.L.S.A.) (Ioannes Paulus 1989a; 1989b; Mattioli, 505-506; Esquivias, 333-340; Corso, 50-51). Lo statuto dellorganismo vaticano prevede un doppio livello dintervento in caso di controversie di lavoro: dapprima il coinvolgimento del direttore generale dellU.L.S.A. per un tentativo di conciliazione (art. 10,5), in seconda battuta – quando la conciliazione non si realizzi a tale livello – laccesso al Collegio di conciliazione e arbitrato (art. 11). b) La C.E.I. per parte propria, nonostante la decisione di non costituire alcun organismo diocesano ex can. 1733, ha tuttavia dato norme per lerezione di organismi diocesani di composizione delle controverse tra sacerdoti e Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero (Ruotolo, 62-71), disciplinandoli attraverso gli artt. 8 e 9 della delibera n. 58/1991, in applicazione dellart. 34 della legge 222/85 recettiva del Concordato italiano. c) A livello diocesano si segnala qui, in quanto semplicemente indicativa di una crescente attenzione alla materia (seppure non pienamente congrua alla disposizione del can. 1733), la decisione del vescovo diocesano di Rimini di formalizzare nel Regolamento diocesano per gli insegnanti di religione cattolica una procedura minimale, ma significativa, in riferimento ad eventuali note negative circa il comportamento di un insegnate di religione prima di revocarne lidoneit a norma del can. 805. Si tratta di una disposizione regolamentare che incrementa quanto gi stabilito dalla CEI nella delibera n. 41 (14-18 maggio 1990 – C.E.I. 1990) circa il riconoscimento e la revoca dellidoneit allinsegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane. Mentre, infatti, la norma nazionale stabilisce la procedura da applicarsi da parte dellordinario, il vescovo riminese aggiunge un ulteriore livello previo da attuarsi presso il responsabile dellUfficio diocesano per la scuola attraverso apposito dialogo. Sebbene la disposizione non implementi ancora n un coinvolgimento di persone autorevoli, n di uno specifico organismo, tuttavia compito dello stesso ufficio diocesano attivare un rapporto non potestativo con la persona interessata ad un eventuale provvedimento senza dubbio gravoso sia dal punto di vista economico che, non meno, di buona fama. Proprio la natura non-potestativa di questattivit assegnata allUfficio diocesano pu indirizzarsi – seppure indirettamente – in chiave mediativa permettendo un incontro e dialogo di per s adatto addirittura ad evitare la revoca dellidoneit allinsegnamento. 5.5 Considerazioni tecniche in merito allerezione di organismi ex can. 1733

Gli elementi e le osservazioni emergenti dalla breve illustrazione sin qui proposta permettono, pur senza pretese, di offrire qualche considerazione di carattere funzionale in vista dellerezione di organismi effettivamente rispondenti al disposto del can. 1733, alla sua mens ed alla sua ratio.

- La prima considerazione riguarda la natura di tali organismi: si tratta di istituzioni e non di procedure, come invece stato per le iniziative anglosassoni legate allidea di Due Process. Un organismo non una procedura! Ed una mediazione non un procedimento formalizzabile. Le tematiche sono radicalmente diverse poich la ricerca di una soluzione ad un problema che sorga da un provvedimento di governo non pienamente ricevibile da parte del suo destinatario, non pu essere il risultato di un mero procedimento congruo ma di un pi ampio e capace rapporto con la realt, sia di persone che di fatti.

- La seconda considerazione riguarda la denominazione di tali uffici/consigli, poich gi luso di un termine rispetto ad un altro indirizza le precomprensioni dei potenziali fruitori. Il problema non di accessibilit e stabilit, poich entrambi sarebbero comunque stabilmente costituiti, ma di profilo operativo: ad un ufficio si rivolgono – generalmente – i destinatari di attivit o decisioni altrui, ad un consiglio si rivolge chi concretamente intraprende unattivit complessa o difficoltosa. Pare, pertanto, pi indicata la seconda denominazione come, daltra parte, anche concretamente avvenuto nella maggioranza dei casi in cui lorganismo diocesano stato eretto. Dal punto di vista istituzionale, si potrebbe ragionevolmente parlare di ufficio (solo) nei casi in cui si trattasse di una procedura obbligatoria: in tal caso il dissenziente dovrebbe rivolgersi a tale ufficio per attivare la procedura prevista. Il can. 1733, tuttavia, non permette dintraprendere tal genere di sviluppi. Di carattere pi sostanziale risultano invece le competenze ratione materi e, subordinatamente, la composizione di tali organismi.

- La specificit dei campi di coinvolgimento gi indicata pi sopra, indirizza senza ragionevoli dubbi alla creazione di organismi in qualche modo settoriali, individuati e distinti in ragione della specifica materia in cui possano intervenire: trasferimento di ufficio ecclesiastico, sostentamento del clero, idoneit allinsegnamento della religione cattolica, coordinamento degli orari delle Messe e funzionalit degli edifici di culto, limitazioni dellesercizio del ministero ordinato, compiti interni agli Istituti religiosi, sono ambiti problematici di natura estremamente diversa che richiedono preparazione e conoscenze del tutto peculiari ben difficilmente rinvenibili nelle stesse persone. questo un fattore che rende per poco plausibile la creazione di tali organismi tematici in sede soltanto diocesana; le Conferenze episcopali, almeno regionali, potrebbero invece provvedere efficacemente in tal senso.

- Il quid condiziona con tutta evidenza anche il quis, nel senso che la composizione di tali organismi dovrebbe derivare in modo diretto dalle competenze richieste materia per materia. Che alcune Conferenze episcopali abbiano indicato quali componenti di tali organismi membri del Consiglio presbiterale, ed in materia si sia espresso qualche autore (Ortiz 1999, 70, nota n. 93), non pare effettivamente significativo rispetto alla prevalenza delle conoscenze oggettive richieste per trovare soluzioni, trattandosi spesso di questioni pi tecniche che non politiche come dovrebbe verificarsi in ragione del gravame che sta alla base della possibilit prevista dai cann. 1732-1739 di opporre Remonstratio e poi ricorso gerarchico verso un provvedimento di governo. Unultima considerazione a riguardo delloperativit di tali organismi. Probabilmente prima di scegliere se erigerli varrebbe la pena prendere in considerazione la plurisecolare esperienza e prassi dei Dicasteri della Curia Romana che utilizzano regolarmente i c.d. Consultori (sia stabili che ad casum) proprio per risolvere una parte dei ricorsi gerarchici che li raggiungono: quelli pi complessi ed articolati. Sottoporre ad un tecnico della materia (completamente estraneo rispetto alle parti in conflitto) i provvedimenti di governo e gli elementi ed argomenti ad essi contrari offre senza dubbio una buona opportunit di rivedere il merito delle decisioni assunte, cos da ricondurre al minimo mezzo (Gherri 2018, 272-276; Serra, 53-63) il costo esistenziale che ne deriva. BIBLIOGRAFIA

 

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