La mediazione nel diritto (pubblico) canonico: il can. 1733 C.I.C.
La mediazione nel diritto canonico non un procedimento formalizzato ma unattivit di
avvicinamento delle parti esperibile anche nel diritto pubblico. Davanti ai provvedimenti di governo il can. 1733 C.I.C. invita alla mediazione anzich al contenzioso amministrativo. Gli ambiti interessati possono essere:
uffici ecclesiastici, insegnamento della religione cattolica, attivit
pastorale retribuita, sostentamento del clero.
Mediation
in (Public) Canon Law: can. 1733 C.I.C.
Mediation in
Canon Law is not a formalized procedure but an activity of bringing the Parties
closer, also available in Public Law. As regards the Governance measures, can.
1733 C.I.C. calls for Mediation rather than administrative litigation. The
areas concerned might be: ecclesiastical offices, teaching of the Catholic
religion, paid pastoral activity, clergy remuneration.
Per affrontare in modo adeguato il tema della mediazione nel
diritto canonico ai fini della risoluzione delle controversie necessario
osservare innanzitutto che il termine conciliazione non presente nel codice
canonico latino ma solo nella dottrina, mentre il termine mediazione appare
nel codice ma non usuale in dottrina. Non di meno: i due termini sono
utilizzati dalla maggioranza degli autori come veri sinonimi, senza curarsi
affatto della loro differente natura e funzionalit.
1. La Chiesa e
le liti
1.1. Approccio
sostanziale
Dal punto di vista espressamente canonico, non si sbaglierebbe se
si affermasse – anche in linea di principio – che il
diritto della Chiesa ha una sorta di idiosincrasia con lambito contenzioso
come tale: una vera pre-comprensione
sfavorevole
verso la contesa in s e per s, sia in ambito privatistico che pubblicistico.
Si tratta di un atteggiamento radicato ed originario per il
quale risulta fondante lappello di san Paolo in
1Cor 6,7 che sollecitava addirittura a lasciar perdere il proprio
diritto (privato) piuttosto che litigare con un fratello (cfr.
1Cor 6,9), redento anchesso dal sangue
prezioso di Cristo (cfr.
1Pt 1,19).
stato questo presupposto
espressamente
teologico a creare nel cristianesimo un atteggiamento molto pi favorevole
ai diversi modi di soluzione informale e pacifica delle questioni che non alla
loro formalizzazione e soluzione giudiziale. I secoli, in realt, hanno
contribuito ad indirizzare in tuttaltra direzione lattivit ecclesiale
strutturando in capo al vescovo una vera funzione giudiziale, anche
civilistica, gi a partire dalla
episcopalis
audientia nel IV sec. (Maym, 166), sebbene tale dimensione sia
gradualmente andata contraendosi dopo il medio evo con lautonomizzarsi delle
strutture giudiziarie civili.
In questa prospettiva, anche se lattuale ordinamento canonico
offre un diritto processuale completo, adatto a gestire praticamente ogni
tipo di controversia (cfr. can. 1400 1), non di meno la realt mostra una
dinamica giudiziale limitata in massima parte alla nullit matrimoniale, che
solo molto indirettamente pu essere considerata una vera lite (
v. infra). Non di meno, ogni accesso al
giudice ecclesiastico potrebbe avere quale proprio esito addirittura
auspicabile quello di
evitare il giudizio
stesso, attraverso uno dei differenti modi previsti dalla legge (cfr. cann.
1713-1716). Ci accade poich tutto ci che sia disponibile alle parti (mai il
vincolo sacramentale!) pu sempre essere oggetto di soluzione equitativa tra le
stesse senza trasformarsi necessariamente in causa giudiziale vera e propria.
Il can. 1695 per il processo di separazione coniugale risulta paradigmatico in
merito, poich spinge il giudice a consigliare la riconciliazione tra i coniugi
anzich la lite. Lo stesso accadeva per la nullit matrimoniale nel precedente
can. 1676 del
CIC, oggi abrogato
nella sua lettera dal m.p.
Mitis Iudex
(Franciscus 2015), sebbene rimanga invariata la prescrizione generale del can.
1446 riguardante i compiti del giudice ecclesiastico di cui era peculiare
espressione.
In proposito non si pu ignorare che –
ex natura rei et ex testimonio histori –
alla base del diritto canonico sta primariamente la
concreta verit dei fatti (Gherri 2015, 189; 192). Una verit dei
fatti che riguarda pressoch sempre
rapporti
tra persone e loro eventuali beni che, una volta accertata, non chiede altro
che di essere ripristinata (la c.d.
restitutio
in integrum dello
status quo ante).
In tale prospettiva il processo giudiziale canonico non costituisce prima di
tutto un istituto costitutivo per creare nuove realt giuridiche (come
accade spesso nel diritto statuale), ma una peculiare modalit epistemica
(Arroba Conde, 283-314; Di Bernardo 2016, 135; 146) per raggiungere la verit
su atti e fatti del passato non pi accessibili alla conoscenza ordinaria delle
cose, evidenziando come la maggior parte dei giudizi canonici siano
essenzialmente
processi di cognizione
anzich costitutivi. per questo che nella Chiesa il raggiungimento della
verit conclude qualunque istanza e, soprattutto, lite/contesa, non dandosi
nella vita della Chiesa ulteriori traguardi da conseguire attraverso lo
strumento giudiziale.
Di natura radicalmente diversa sono le considerazioni circa
eventuali circostanze o conseguenze connesse alle condotte in questione (
ex facto oritur ius), alle quali si
cerca di rispondere in modo equitativo, contemperando con
ragionevolezza e
benevolenza eventuali stati di necessit particolarmente gravosi
per qualcuno dei soggetti interessati alla questione, come avviene spesso nei
confronti dei c.d. obblighi naturali della vita coniugale (cfr. cann. 1148 3;
1611, 2), come pure nei casi di dimissione dallIstituto religioso (cfr. cann.
686 3; 702 2) o di dispensa dagli obblighi dello stato clericale.
In proposito potrebbe rivelarsi utile la distinzione tra
privatezza delle parti in causa e privatezza dei beni in causa o, se lo si
vuole, tra
bene privato e
bene pubblico, tenendo conto che la
materia regolata canonicamente non dallo
status
dei litiganti ma dalla natura dei beni in questione; al punto che due diocesi
in giudizio per il possesso di un edificio di culto (p.es.: un santuario)
configurerebbero un giudizio inerente un
bene
privato (= una propriet), mentre i coniugi putativi in giudizio per
la nullit del loro vincolo nuziale configurano senzaltro un giudizio inerente
un
bene pubblico (= un
sacramento).
In questa prospettiva: da una parte, ci che coinvolge
esclusivamente linteresse o il bene c.d.
privato
gode delle possibilit pi ampie di soluzionabilit extra-giudiziale;
dallaltra, ci che riguarda il c.d.
bene
pubblico non risulta disponibile a soluzioni espressamente conciliative/pattizie,
poich nessuno pu disporre in modo privato (cio non
nomine Ecclesi) del bene pubblico ecclesiale.
La cosa comprensibile considerando che, a differenza del venir
meno della lite/contesa per cessazione dei suoi presupposti – come
avviene con la
riconciliazione delle
parti (diversa, per, dalla procedura di conciliazione
extra-giudiziale) –, una vera conciliazione (come istituto
giuridico) in materia di bene pubblico non risulta esperibile poich non
accettabile che i contendenti dispongano in proprio del bene pubblico come
tale. Ci vale a maggior ragione quando le parti non agiscano
inter pares ma allinterno di un
rapporto gerarchico (e pertanto pubblicistico), comՏ il governo ecclesiale
cui sindirizza specificamente la norma del can. 1733 (
v. infra).
1.2. Approccio
normativo
Che lapproccio canonico si caratterizzi per un deciso
orientamento ad
evitare del tutto la
lite giudiziale, risulta ben evidenziato dal can. 1446
CIC che, inaugurando le norme riguardanti lufficio dei giudici e
dei ministri del tribunale, impone al giudice stesso di non omettere non
soltanto di esortare le parti ma, addirittura, di aiutarle (in qualunque
momento della causa) a cercare di comune accordo unequa soluzione della
controversia, anche attraverso unattivit di mediazione che eviti il sorgere
della lite/contesa. Il 3 dello stesso canone affida addirittura al giudice,
quando la lite/contesa verta sul
bene
privato delle parti, di vedere se sia possibile trovare una soluzione
anche attraverso strumenti extra-giudiziali quali la transazione o larbitrato
(Ortiz 1999, 69), rimandando espressamente alla loro specifica normazione nei
cann. 1713-1716 riguardanti gli strumenti giuridici per
evitare le liti.
Significativamente, pertanto, la prima norma sullattivit propria
del giudice canonico gli impone di
evitare
del tutto il contenzioso come tale. In questo la differenza col giudice
civile evidente, soprattutto per il fatto che in ambito civile gli istituti
extra-giudiziali di mediazione e conciliazione risultano ormai funzionalizzati
allaccesso al giudice con finalit deflattiva nei confronti dellattivit
giudiziaria come tale.
La generale non predilezione canonica per gli strumenti giudiziali
di risoluzione delle liti/contese non si limita, per, alle sole questioni
private poich anche in qualche specifica situazione di bene pubblico (come
sono le cause matrimoniali) lordinamento preferirebbe la soluzione extra
giudiziale, come accade emblematicamente per la dispensa
super rato che si rendesse plausibile in corso di giudizio di
nullit matrimoniale, cos da evitare di giungere a sentenza (cfr. can. 1678 4
CIC-2015;
olim can. 1681
CIC). Non
di meno: quando si tratti di
bene
pubblico la preferenza per lextra-giudizialit della trattazione delle
questioni, riguarda maggiormente le
modalit che non il loro
esito,
visto che – nel citato caso del
super
rato – sar lautorit a concedere eventuale dispensa
dallimpedimento di vincolo, senza che tra le parti possano intervenire
soluzioni alternative, tanto meno di natura pattizia.
Tale consapevolezza di fondo rileva in modo particolare in
riferimento al diritto matrimoniale canonico, nel quale non possibile
lasciare alle parti private la possibilit di accordarsi (o venire a patti)
in base a
loro interessi, sulla
soluzione della vicenda riguardante la validit o meno del loro matrimonio
come finisce spesso per accadere nelle separazioni e divorzi consensuali in
ambito civile (Buselli Mondin 2006; 2011; 2016; 2017; Zuanazzi, 622-627).
Diversa invece la possibilit di accedere al giudizio in modo concorde
(=
litisconsortio) sui fatti che
hanno impedito al matrimonio di raggiungere la validit: fattore previsto in
modo speciale dalle nuove norme sul processo pi breve innanzi al vescovo
diocesano introdotte col m.p.
Mitis Iudex
del 2015, pur non risultando escluso dalle precedenti norme del codice del 1983
(Buselli Mondin 2010, 291-345). Lambiguit circa questo particolarissimo
accordo delle parti in vista della causa di nullit matrimoniale pu essere
rimossa
ab origine considerando che i
concetti di riferimento di questo peculiare approccio giudiziale non sono
quelli
privatistici (n quelli
arbitrali) civili ma quelli proposti
dalla c.d.
restorative justice
progressivamente affermatasi in ambito penale minorile (Riondino, 193-195) in
ragione e in vista di una miglior prospettiva di
ricupero delle relazioni tra le parti in conflitto (offensore ed
offeso nel diritto penale, coniugi putativi in quello matrimoniale). Non vale
invece nella Chiesa la prospettiva tipica dell
adversarial trial anglosassone che, quasi, costringe le parti
private a transare prima del dibattimento giudiziale vero e proprio cos da
conseguire un risultato al contempo certo e pure parzialmente favorevole per
ciascuna di esse (Di Bernardo 2013, 32). Canonicamente, infatti, non si tratta
di
accordarsi sugli esiti delle
vicende, ma di essere
concordi sulle loro
premesse, cos che sia la
verit
condivisa ad emergere ed indirizzare la soluzione, nella consapevolezza che
quello matrimoniale canonico soltanto un processo di cognizione orientato a
provare, contro la presunzione della legge, che latto (matrimoniale) sebbene
posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni (cfr. can. 124 2) non
corrispondeva, in realt, alla sua
verit
intrinseca, dipendente delle disposizioni (oggettive e soggettive) dei
nubenti. Si tratta, con evidenza, di un presupposto radicalmente diverso dalle
cause civili poich nel processo matrimoniale canonico non vi alcun bene
conteso tra le parti, come affermava Benedetto XVI nel suo discorso alla Rota
Romana del 28 gennaio 2006 (Benedictus 2006, 137).
2. Mediazione
vs. conciliazione nel diritto canonico
Il codice canonico latino utilizza il termine mediazione solo
due volte, nei cann. 1446 e 1733, in entrambi i casi in riferimento non ad un
istituto o procedimento giuridico formalizzato o formalizzabile, ma rimandando
al semplice
coinvolgimento operativo
di persone autorevoli nella soluzione di questioni (Corso, 48-49). Un dettato
normativo che offre un riferimento piuttosto generico ed a-tecnico,
presumibilmente finalizzato soltanto ad allargare il numero dei soggetti
legittimamente coinvolgibili al fine di risolvere la controversia. La cosa
nella sua sostanzialit non isolata poich anche in altri frangenti
lordinamento impone al decidente unico di operare con lapporto
(= consultazione e confronto) di altre persone: i c.d. assessori, sia del
giudice (cfr. cann. 1424; 1425; 1673 4; 1676 3; 1685; 1687; 1720) che
dellordinario (cfr. cann. 1742 1; 1750).
Il fatto rileva tanto maggiormente nel gi citato can. 1446
espressamente diretto ad illustrare lattivit in cui consiste il ministero
proprio ed esclusivo del giudice ordinario, soprattutto quando si tratta di
affiancarlo con altre figure che, pur cooperando alla certezza morale, non
possono tuttavia porre in ombra il giudice come tale: si vedano in merito le
figure peritali (De Lanversin, 55) o gli assessori del giudice unico. Va poi
osservato come lapporto delle persone autorevoli del can. 1446 appaia
orientato all
estinzione della
controversia impedendole di trasformarsi in lite giudiziale.
Il differente inquadramento giuridico della disposizione del can.
1733 riguardante una controversia tra autorit di governo e destinatario di suo
provvedimento non sembra mutare la natura e portata dellattivit mediativa in
ambito canonico. Il can. 1733, addirittura, pare suggerire unulteriore linea interpretativa,
poich alliniziale generica attivit di mediazione affianca quella di
studio, entro un contesto non paritetico tra soggetti dissenzienti non circa
uno
stato di cose
– eventualmente immateriali come possono essere i diritti (anche
reali) – ma una
decisione di
governo, di per s autoritativa, che pu risultare
controversa (cio non condivisa) ma non
contesa.
Il contesto tale che potrebbe difficilmente sopportare un
accordo tra la disposizione autoritativa di governo ed eventuali resistenze
nei suoi confronti. Daltra parte lattivit di governo ecclesiale non tocca
mai le persone come tali, n beni privati, ma sempre il solo
bene pubblico, vista la sua
impossibilit dintervenire direttamente sulle persone dei fedeli ed i loro
beni (sia materiali che spirituali).
Non di meno: il quadro ermeneutico della norma e degli istituti
giuridici connessi reso ulteriormente peculiare dal fatto che lordinamento
canonico, a differenza di quelli statuali, non affatto egualitario, visto
che in esso esistono specifici
Ordines
di fedeli (chierici e consacrati,
in
primis) (Gherri 2018, 160) i cui membri, proprio in virt di tale
appartenenza, sono tenuti a specifiche condotte in quanto astretti da obblighi
e doveri speciali (p.es.: cann. 273; 590) inerenti lo
status individuale, prima di qualsiasi funzione loro affidata (come
sono gli uffici ecclesiastici). Doveri speciali tra cui eccelle l
obbedienza (p.es.: cann. 260; 273; 590;
601; 698) da intendersi non tanto in termini di mera
sottomissione ma piuttosto di
disponibilit,
dedizione e
affidamento nelladempimento della missione ecclesiale propria di
ciascuno. Obblighi e doveri speciali di per s
totalizzanti e difficilmente parzializzabili in mere attivit o
funzioni, come accade, invece, per i funzionari pubblici in ambito statuale:
lavoratori dipendenti, a tutti gli effetti (Gherri 2015, 283-284).
In tale contesto a confrontarsi ed eventualmente opporsi non sono
due
positiones di due soggetti
inter pares, come potrebbe darsi per
luso di beni materiali o la libert di operare in determinati ambiti della
vita ecclesiale: posizioni di espressa titolarit individuale, suscettibili
anche di tutela giudiziale ordinaria (cfr. can. 1400 1). La materia del can.
1733 attiene, invece, a una
relazione istituzionale
asimmetrica (= il governo) operante in materia di funzioni ed attivit
(generalmente uffici ecclesiastici o anche solo incarichi ecclesiali) di per s
non-originarie dei fedeli che le realizzano (non derivanti, cio, dal battesimo
come tale) e non nella loro disponibilit sostanziale, ma ad essi tecnicamente
conferite o da essi assunte a norma di diritto. Questo, per, lambito di
per s pubblico della vita ecclesiale (Corso, 46).
La complessit dellapproccio deve poi anche tener conto che
mediazione e conciliazione prospettano tipologie operative e relazionali ben
differenti tra loro: mentre, infatti, la conciliazione
estingue la lite/contesa evitandola o risolvendola per via
extra-giudiziale, la mediazione generalmente lascia aperta la controversia
contentandosi, pi semplicemente, di
avvicinare
i punti di vista delle parti, rendendo maggiormente accettabili e/o compatibili
le rispettive posizioni, soprattutto quando non paritarie, come sono quelle
connesse al governo ecclesiale. Non si pu infatti ignorare come – a
differenza delle liti/contese ordinarie su atti, fatti, diritti, sempre
possibili sebbene non auspicabili – la maggior parte dei
provvedimenti di governo nasca da precisi obblighi legali cui lautorit
tenuta per dovere dufficio: fattore che rende non opinabile lesistenza del
provvedimento che, come tale, potr risultare controverso ma non evitabile, pur
rimanendo vero che il bene pubblico da proteggere non ammette ununica
soluzione ragionevole, quella prospettata nellatto controverso (Ortiz 1999,
69). In tal caso lattivit mediativa assumer le caratteristiche pi di una
sintonizzazione che di una vera e propria opposizione
bona fide semper servata.
Non di meno: va considerato pure come la conciliazione
–
inter pares –
si realizzi o per via morale rimuovendo le cause della contesa
(= ri-conciliazione) oppure attraverso un vero e proprio accordo tra le
parti assimilabile nel suo esito ad una sostanziale transazione (cfr. can.
1713).
Tanto basta per affermare che in diritto canonico non esiste
qualche specifico procedimento di conciliazione, ma soltanto uneventuale,
sempre possibile, attivit mediativa:
unattivit mediativa che, tuttavia, non pu essere intesa come semplice
facilitazione della transazione tra le parti, agevolando il loro accordo
amichevole (
ibidem) poich
lattivit (dovuta) di governo non pu essere assoggettata a transazione,
visto che, secondo lo stesso autore: Latto amministrativo che subentra a
quello che ha originato il conflitto non è
pattuito: non ha origine nella transazione ma nella volont
dellamministrazione (
ibidem, nota
n. 91).
3. Lattivit
mediativa del can. 1733
3.1. I
presupposti
Per comprendere adeguatamente loggetto del can. 1733, che intende
porre rimedio allinefficacia di un provvedimento singolare di governo,
necessario considerarlo unitamente alle norme alle quali lo stesso
provvedimento avrebbe dovuto sottostare al momento della sua formazione ed
adozione: quanto, cio, previsto dai cann. 50 e 51
CIC.
Tali canoni evidenziano come il cuore della problematica che sorga
in ragione del provvedimento, cos come le sue soluzioni possibilmente
condivise ed equitative, in realt, vada individuato nella
sostanziale carenza di informazione e valutazione degli elementi
sui quali si fonda il provvedimento contestato (Gherri 2017, 217-218).
Che si tratti di contenuti – previ o successivi al
provvedimento – e non di sua legittimit risulta palese dal
dettato normativo codiciale che
non parla
mai di legittimit nelle norme in oggetto, n in quelle codiciali connesse.
Proprio per perch
di contenuti si
tratta, possibile cercare una soluzione di pi ampio respiro e radicamento
nella realt (= le informazioni e prove del can. 50), attraverso lo studio
e la ricerca di possibili soluzioni che facciano fronte alle esigenze sia del
governo ecclesiale che di coloro i quali ne risultino coinvolti in prima
persona. questa lattivit di mediazione istituzionale a cui il can. 1733
rimanda, alla quale il destinatario del provvedimento prende parte fornendo
ex post elementi informativi e
valutativi che risultino eventualmente de-potenzianti rispetto ai presupposti
del provvedimento stesso cos da poterlo rendere pacificamente applicabile, nel
caso in cui risulti effettivamente necessario ai fini del bene pubblico che lo
dovrebbero ispirare. In merito si parlato di verifica istituzionale a
posteriori (Gherri 2018, 29-30).
Trattandosi di informazioni, prove, ed altri elementi fondativi
del provvedimento di governo, risulta chiaro
ex natura rei che non si tratta di cercare un accordo in cui le
parti contrattino i rispettivi
esiti favorevoli
della controversia, come accadrebbe per diritti o prerogative o pretese
inter pares, poich si tratta qui di
questione di pubblico interesse (Corso, 51).
Nella stessa logica: sia le
persone
autorevoli che gli
organismi
evocati come co-protagonisti di tale attivit sono chiamati a proporre
soluzioni in qualche modo alternative al mero disposto nel provvedimento
contestato: soluzioni che tengano conto di tutto quanto emerso, spesso pi dal
punto di vista tecnico che non di parte, evitando che le parti
– appunto – si lascino irretire da posizioni di
principio ed emotive, e non sappiano – invece –
risolvere il problema di cui si tratta, tenendo effettivamente conto di
tutti gli elementi e fattori in gioco,
sia di cose che di circostanze che di persone.
3.2. La
modalit
Dal punto di vista operativo lattivit mediativa del can. 1733 3
legata al tempo di 30 giorni stabilito dalla legge per la necessaria risposta
alla
Remonstratio, profilando
unattivit la cui gestione risulta per alquanto indeterminata (operi
principalmente allorquando [] n siano spirati i termini per ricorrere),
rendendo non chiaro
come lavvio
dellattivit mediativa possa concretamente interferire con la reale
possibilit/necessit del ricorso gerarchico.
In merito va osservato che, se da un lato comprensibile che la
norma abbia tenuto ben fissi e perentori i termini per questo genere di
operativit in modo da non estendere indebitamente le possibilit di contrasti
istituzionali, dallaltro per altrettanto non chiaro luso che lautorit
ecclesiale potrebbe fare dello strumento mediativo, p.es. perdendo tempo in
vista della perenzione dei termini per il possibile ricorso gerarchico contro
il suo provvedimento.
Non di meno: altrettanto certo che lattivit mediativa vada
effettivamente intrapresa proprio
durante
i 30 giorni utili per la risposta alla
Remonstratio,
senza alcuna interferenza con essi in vista del ricorso gerarchico che
– se deciso da parte del destinatario dellatto
amministrativo – deve comunque essere avviato, senza che questo
intralci affatto lattivit mediativa poich, in caso di soluzione della
controversia, il ricorso gerarchico pu sempre essere ritirato. Non vale invece
il contrario: lattivit mediativa
non
affatto sospensiva dei tempi per il ricorso e potrebbe, anzi, essere
utilizzata dallautorit – in modo scorretto – proprio
per far giungere a scadenza tale possibilit che la vedrebbe svantaggiata e,
comunque, sotto accusa. In tal senso la proposta da parte dellautorit
dintraprendere unattivit mediativa
non
pu n deve essere considerata come risposta alla
Remonstratio, disinnescando il silenzio negatorio previsto come
adatto ad attivare il ricorso gerarchico. Sarebbe infatti troppo semplice
– e soprattutto contrario alla
mens
del legislatore (e della norma) – intraprendere unattivit
mediativa che si trascini oltre i 30 giorni previsti dal can. 1735 cos da
intralciare la resistenza del destinatario del provvedimento offrendo
allautorit scappatoie meramente formali come la perenzione dei
– soli –
primi
termini per il ricorso gerarchico. Primi termini poich, in realt, la
legge impone allautorit che deve dare una risposta un termine massimo di 3
mesi (cfr. can. 57) entro cui ottemperare al proprio dovere dufficio; contro
tale effettiva risposta il richiedente pu sempre agire a tutela della propria
posizione. I 30 giorni previsti in caso di non decisione dellautorit hanno,
infatti, una funzione meramente deterrente nei confronti di sue inerzie e
disinteressamento. Si osservi in merito come il can. 1735, in realt, non parli
affatto di silenzio dellautorit, ma di sua non decisione (=
nihil decernat): non decisione che,
legittimamente, potrebbe anche attribuirsi allinefficienza dellattivit
mediativa portata per le lunghe.
Giova tener presente in questo caso come la dimostrazione certa di
dolo da parte dellautorit che abbia agito per far trascorrere inutilmente
il tempo della – sola – attivit mediativa potrebbe non
precludere, in linea di principio, la possibilit di presentare ugualmente, se
non proprio il ricorso a termine di legge, almeno qualche altra richiesta di
interessamento attivo alla questione da parte del superiore gerarchico. La
prassi della Segnatura apostolica conosce infatti casi di accettazione di
ricorso contenzioso pure al di l della scadenza dei termini perentori; anche
perch il concetto di tempo utile (cfr. can. 201 2) lo estende oltre la sua
dimensione semplicemente fisica.
4. Ambiti
applicativi del can. 1733
Il fatto che le modalit operative per realizzare lattivit
mediativa evocata dal can. 1733 non siano concretamente indicate da alcuna
specifica normativa non toglie che in effetti esistano invece alcuni ambiti nei
quali tale attivit potrebbe non solo risultare maggiormente probabile ma
diventare addirittura istituzionale, comportando leffettiva creazione degli
organismi locali cui lo stesso canone fa riferimento.
Una rapida disamina delle attuali funzionalit ecclesiali,
soprattutto nel mondo c.d. occidentale, suggerisce di porre attenzione prima di
tutto alle problematiche sostanzialmente legate all
ambito lavorativo in connessione allesercizio di funzioni/attivit
ecclesiastiche o ecclesiali nelle quali la normativa canonica incroci quella
giuslavoristica statuale e internazionale, senza per escludere ambiti
espressamente
pastorali o anche
istituzionali, come potrebbe darsi per
gli Istituti di vita consacrata o alcuni interventi disciplinari nei confronti
dei chierici.
a) Ambito lavorativo
- Si tratta principalmente degli uffici
ecclesiastici che comportano una qualche forma di remunerazione o di compenso
per il loro espletamento, indipendentemente da chi ne sia lerogatore. Uffici
ecclesiastici propriamente intesi e non semplice lavoro presso enti ecclesiastici; solo nei primi, infatti, i
provvedimenti dellordinario possono introdurre variazioni giuridicamente
problematiche. Il riferimento ad ambiti storicamente identificabili come
ministeri o servizi ecclesiastici ma ora divenuti pienamente lavorativi a
causa del coinvolgimento di personale laico, come avviene – p.es. –
per i tribunali ecclesiastici (giudici, patroni stabili, notai, ecc.) e le
curie (cancelliere, economo diocesano o altri addetti).
- Sempre in ragione dellufficio
ecclesiastico emergono aree problematiche a riguardo anche del sostentamento
economico dei chierici (cfr. can. 281), visto che la loro posizione
allinterno dei sistemi nazionali – come accade, p.es., in
Italia – dipende in larga parte da provvedimenti dellordinario. Il
problema non di minore portata nei Paesi in cui il sostentamento dei chierici
non sia centralizzato ma affidato agli enti presso cui essi svolgono il loro
ministero o servizio, creando situazioni individuali anche particolarmente
complesse di cui occorre tener conto nei casi di trasferimento ad altro ufficio
ecclesiastico che muti qualche elemento o fattore connesso al sostentamento.
- Altro ambito prospettabile quello
delle attivit lavorative che comportino uno speciale legame con la Chiesa o la
gerarchia ecclesiale, come accade in Italia per gli insegnanti di religione
cattolica nelle scuole pubbliche o in ambito germanico per i Pastoralreferenten: un legame che
presuppone elementi di idoneit morale (p.es.: situazione matrimoniale
irregolare, propaganda di dottrine non compatibili con linsegnamento morale
cattolico) e non di sola professionalit (= titolo di studio). Anche
lambito disciplinare potrebbe rilevare in questo genere di situazioni quando,
p.es. in materia di abusi sessuali, non si trattasse di chierici ma di laici ai
quali non si applica la normativa canonica sui graviora delicta. Il caso si presenta, p.es., per linsegnate di
religione cattolica nella scuola statale che abbia patteggiato la pena per
abuso su minore: la conseguente – giustificata – revoca
dellidoneit allinsegnamento comporterebbe la perdita del lavoro, se
inquadrato come precario, o un suo diverso collocamento nellorganico
scolastico, se inquadrato in ruolo, generando unevidente discrasia tra
ordinamento canonico e civile.
- Sempre in ambito
lavorativo/professionale occorre considerare i grandi numeri di soggetti
coinvolti in attivit espressamente confessionali, sia dirette che indirette,
come sono scuole, cliniche, pastorale parrocchiale e caritativa, con attenzione
alle c.d. organizzazioni di tendenza, soprattutto in relazione alla c.d. libert
di religione: tematica particolarmente delicata in Europa in ragione della
tutela che la C.E.D.U. impone in ambito di convinzioni religiose e filosofiche
in applicazione soprattutto dellart. 9 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti delluomo e delle libert fondamentali; emblematica in merito la
vicenda dellallontanamento del prof. Lombardi Vallauri dalla docenza presso
lUniversit Cattolica di Milano (C.E.D.U.; Toscano, 518; Turchi).
- Ambito problematico di recente
delineazione risulta pure quello connesso allesercizio dellattivit forense
presso i tribunali ecclesiastici, il cui accesso riservato agli iscritti
allalbo dei patroni di ciascun singolo tribunale (cfr. can. 1488 1), Rota
Romana compresa. Le accese polemiche scaturite in Italia dallapplicazione del
m.p. Mitis Iudex sono un sintomo pi
che evidente delle conflittualit potenziali di tale ambito (Giansoldati);
senza ignorare il precedente progressivo sorgere di associazioni locali di
patroni degli stessi tribunali in vari luoghi dItalia; associazioni che di
fatto condensano interessi professionali strutturati, economicamente non
trascurabili.
b) Ambito pastorale
Non solo lambito lavorativo, tuttavia, potrebbe palesarsi come
possibile fucina di controversie suscettibili di attivit mediativa ex can.
1733. Anche la forte rimodulazione delle attivit pastorali, soprattutto
liturgiche, che attraversa ormai lintero occidente potrebbe infatti creare
questioni in rapporto a decisioni di carattere organizzativo adatte a generare
gravame in carico a qualche soggetto, anche istituzionale o associativo come
sono Istituti religiosi, o confraternite, o altri in relazione, p.es., al
numero ed orario di celebrazione delle sante Messe nelle chiese non
parrocchiali; in tali circostanze, infatti, la diminuzione dei fedeli
– e delle conseguenti offerte – potrebbe generare
uninsufficienza economica per la gestione delledificio di culto causandone la
chiusura e conseguenti abbandono e decadenza.
Questioni amministrativistiche potrebbero sorgere anche in
relazione, p.es., al riconoscimento o meno dello statuto funzionale di
santuario o di chiesa parrocchiale o rettorile, ecc., per qualche edificio di
culto.
c) Ambito istituzionale della vita consacrata
Qualche utilit di organismi mediativi ex can. 1733 potrebbe porsi
anche in relazione alle c.d. obbedienze
negli Istituiti di vita consacrata: i provvedimenti, cio, attraverso cui i Superiori
assegnano le persone sia alle case dellIstituto che ad opere o attivit dello
stesso. Si tratta di ambiti della vita consacrata che stanno diventando
progressivamente pi problematici sia per motivi socioculturali, sia per motivi
anche semplicemente organizzativi connessi alla diminuzione dei membri
dellIstituto e alle conseguenti sproporzioni tra esigenze dellIstituto e
risorse personali effettivamente disponibili.
- Il quadro dei possibili conflitti potestativi potrebbe ampliarsi
ulteriormente in relazione alle varie fusioni o accorpamenti di Province
religiose conseguenti alla stabile tendenza alla riduzione di membri e
correlate opere e strutture istituzionali. Cessare attivit ed opere, chiudere
case religiose, riconsegnare parrocchie, ricollocare decine di religiosi o
religiose eventualmente in Paesi differenti da quelli di nascita e vita,
costituiscono attivit di governo ecclesiale sempre pi complesse e,
soprattutto, rischiano di concentrare malumori, dissapori, contrariet,
potenzialmente capaci di rendere difficoltosa lattivit di governo degli
Istituti.
- Allo stesso modo anche il cambio da
protagonisti diretti delle opere del carisma (p.es., scuola o sanit), a datori
di lavoro, a lavoratori dipendenti di altri enti, seppure nello stesso ambito
del carisma di ciascun Istituto, generano potenziali scompensi esistenziali,
oltre che organizzativi, cui pi di qualcuno potrebbe opporsi quando coinvolto
direttamente.
d) Ambito istituzionale disciplinare
Nuovo ambito istituzionale di possibile
attivit mediativa che si profila ormai come inevitabile allorizzonte quello
connesso ai c.d. provvedimenti cautelativi nei confronti dei chierici in
materia di abusi sessuali. Sono infatti ormai molte le controversie che
giungono fino alla Segnatura Apostolica contestando lincongruit di
provvedimenti che di fatto equivalgono a vere sospensioni a divinis: contese che spesso la Segnatura risolve a favore del
destinatario del provvedimento stesso, proprio in ragione di incongrue
applicazioni in decernendo di quanto
disposto dalle norme canoniche. La delicatezza della materia potrebbe trovare
una sede adeguata in un organismo che, pur senza intervenire sullan del provvedimento, spesso dovuto per
ufficio e sanzionato nel suo non darsi (come ben evidenzia il m.p. Come una
madre amorevole – Franciscus 2016), aiuti tuttavia la messa a punto del quomodo, cos da risultare una reale
cautela anche per il suo destinatario e non una effettiva Sanzione irrogata
in modo presuntivo.
Totalmente estranea al can. 1733 – poich in ambito
privatistico – risulta, invece, la nuova problematica che negli
ultimi decenni sta prendendo corpo in varie realt ecclesiali in connessione ad
uno degli ambiti che contraddistinguono la vita economica della Chiesa da pi
tempo: quello delle pie volont testamentarie (cfr. can. 1299). Pur senza
poter accedere a specifiche raccolte di dati in merito, fa tuttavia parte
dellesperienza ordinaria di curia la crescente difficolt per gli enti canonici
ad entrare in possesso di quanto lasciato ad essi in eredit o legato
testamentario, a causa dellormai abituale impugnazione del testamento da parte
di pretendenti eredi. La vicenda della ditta FAAC lasciata in eredit
allarcidiocesi di Bologna nellanno 2012 costituisce un caso tanto eclatante
quanto tipico in materia, anche per la sua probabile conclusione: una
transazione dellimporto di 70 milioni di Euro. La nuova fattispecie
espressamente conflittuale costituisce un fronte aperto per gli enti canonici,
costretti sempre pi spesso a latenze operative pluriennali (mediamente 3-5
anni) prima di poter godere di quanto legittimamente lasciato loro in
eredit/legato.
5.
Realizzazioni canoniche in ambito mediativo
5.1.
Iniziative post conciliari
La dottrina canonistica che si occupata della materia ha fatto
spesso riferimento ad un certo numero di iniziative intraprese in varie parti
del mondo, trascurando tuttavia di tenere
ben separate – soprattutto dal punto di vista
concettuale – quelle espressamente derivanti dallapplicazione del
can. 1733 del 1983 da quelle precedenti
ad esso, non rapportabili tra loro dal punto di vista n sistematico n
ordinamentale.
Gli anni 70 del XX sec., in contemporanea con la revisione del
codice pio-benedettino, avevano visto la messa in opera di alcune realizzazioni
miranti a dar esito concreto allindicazione dei princpi per la revisione
codiciale del 1969 (Synodus, 77-85) di creare strutture di tutela dei diritti
dei fedeli nella Chiesa (Gherri 2015, 134-137). Grocholewski e poi Ortiz,
ripresi dalla dottrina successiva, hanno messo in evidenza:
- il Progetto attuato dalla Conferenza episcopale degli Stati
Uniti, sotto il titolo On Due Process
(approvato addirittura ad modum
experimenti dalla Santa Sede nel 1971);
- il Progetto denominato A
Conciliation Procedure (preparato nel 1973 dallAssociazione canonistica
della Gran Bretagna ed Irlanda, dietro richiesta della Conferenza episcopale
locale);
- la proposta elaborata nella Nuova Zelanda di istituire nellordinamento
canonico una particolare figura dellufficio di Ombudsman o difensore civico;
- la proposta dellarcidiocesi di Milano di un Consiglio
diocesano di giustizia;
- i vari uffici di arbitrato e conciliazione eretti in Austria
negli anni 70;
- lorganismo eretto negli stessi anni nella diocesi di Chur,
nella Svizzera tedesca;
- gli organismi istituiti in Baviera nel 1971;
- i c.d. tribunali eretti in Germania, per volont del sinodo
nazionale della Repubblica Federale Tedesca, svoltosi negli anni 1971-1975
nella città di Wrzburg, e approvato dal medesimo sinodo il 19 novembre
1975 (Grocholewski, 471-472; Ortiz 1999, 71).
Nonostante laltisonanza delle formule testuali con cui si
denominarono tali organismi o le loro procedure si tratt, per il vero,
diniziative non solo di scarsa efficacia pratica ma, pi radicalmente, di
tuttaltra natura rispetto alla previsione del successivo can. 1733 CIC,
essendo sostanzialmente rivolte alla tutela extra-giudiziale dei diritti dei
fedeli o istituzioni/enti ecclesiali inter
pares e non alla soluzione – estremamente pi
specifica – delle contentiones
ort ex acto potestatis administrativ.
5.2. Diritto
complementare ex can. 1733 del CIC 1983
Nonostante gli albeggi degli anni 70 in ambito ecclesiale sassone
(Paesi anglofoni e di lingua tedesca), la recezione del can. 1733 2 da parte
delle Conferenze episcopali nei 35 anni trascorsi dalla promulgazione del CIC pone in bella mostra la sostanziale irrilevanza pratica della norma.
Nellanno 2009, infatti, su 69 Conferenze episcopali monitorate, risultavano
soltanto 22 quelle che avevano preso in considerazione il mandato del canone:
Argentina, Bolivia, Corea, Ecuador, Filippine, Francia, Gambia e Sierra Leone,
India, Italia, Guatemala, Malta, Messico, Nigeria, Olanda, Pacifico, Panama,
Paraguay, Per, El Salvador, Sri Lanka, Venezuela, Zimbabwe (Martens 2012,
350-352), entro un ventaglio istituzionale esteso dalla creazione di organismi
nazionali fino alla decisione che nothing
to specify (Martn de Agar 2009, 896).
Dal punto di vista tecnico le decisioni adottate dalle diverse
Conferenze episcopali sono le pi varie.
1) Creazione
di organismo nazionale e fissazione delle norme di sua composizione e
funzionamento: El Salvador e Nigeria (questa, in realt, ha creato unintera
struttura a 4 livelli: parrocchia, diocesi, regione, nazione) (Martn de Agar
2009, 1082; 839-841).
2) Obbligo
di costituzione di organismo diocesano e indicazioni sulla sua composizione
(Filippine) oppure senza indicazione alcuna in merito (Sri Lanka) (Martn de
Agar 2009, 355-356; 1186).
3) Soltanto
norme per la costituzione di organismo diocesano e suo funzionamento
(Francia e Olanda) senza per stabilirne con chiarezza lobbligatoriet (Martn
de Agar 2009, 398-399; 881-884).
4) Costituzione facoltativa di organismo diocesano senza alcuna ulteriore
indicazione in merito Guatemala (Martn de Agar 1990, 319), (Bolivia, Messico,
Venezuela, Zimbabwe – Martn de Agar 2009, 162; 782; 1345; 1360), oppure
con indicazioni o norme sulla sua composizione (Corea, Panama e Paraguay
– Martn de Agar 2009, 315-316; 913; 960), o lasciando ai vescovi ricerca
di strumenti (India – Martn de Agar 2009, 574).
5) Costituzione raccomandata di organismo diocesano e norme per la sua erezione e
funzionamento: Argentina (Martn de Agar 2009, 91-92).
6) Costituzione se possibile di organismo diocesano e indicazioni sulla sua
composizione: Ecuador (Martn de Agar 2009, 338).
7) Decisione di non costituire alcun organismo e mandato ai vescovi diocesani di
ricercare strumenti in materia: Italia e Malta (Martn de Agar 2009, 673;
755).
8) Decisione di non stabilire nulla in merito: Pacifico e Per (Martn de Agar
2009, 896; 976).
9) Decisione che tale organismo risulta
non desiderato: Gambia - Sierra
Leone (Martn de Agar 2009, 414).
5.3 Iniziative
diocesane successive al 1983
Allosservatore attento non sfugge il fatto che le decisioni
assunte dalle pochissime Conferenze episcopali effettivamente entrate nel
merito della disposizione del can. 1733 2 non abbiano avuto quasi nessuna
conseguenza, a parte il caso – bizzarro – dellOlanda
che, una volta stabilite le norme di costituzione e funzionamento
dellorganismo diocesano nel 1987 (Martn de Agar 2009, 881-884), sebbene da
esse non sia comprensibile se tali organismi vadano obbligatoriamente eretti
oppure no, gi a dicembre del 1989 revoc il proprio decreto generale, sia
perch differenti soluzioni adottate ad
hoc si erano gi dimostrate sufficientemente efficaci, sia perch
nessunaltra Conferenza episcopale (europea) aveva deliberato la creazione di
tali organismi (Martens 2002, 241). In realt dagli anni 90 alcune diocesi
olandesi hanno poi preso liniziativa procedendo autonomamente allerezione di
Consigli di conciliazione: Breda (1990), Utrecht (1992), Groningen (1995),
Rotterdam (1996) (ibidem).
Una seconda osservazione riguarda il fatto che un certo numero di
organismi diocesani sono stati effettivamente creati allinterno di Conferenze
episcopali sostanzialmente inerti (come Australia, Stati Uniti, Germania) che
nulla hanno deciso in sede unitaria ma presso le quali ha sostanzialmente
proseguito lattivit gi intrapresa in modo sperimentale nel decennio precedente
la promulgazione del codice del 1983: Melbourne (Australia); Kildare-Leighlin e
Ferns-Clogher (Irlanda), Aquisgrana, Erfurt, Nassau, Wrzburg (Germania).
Non di meno: lesempio olandese e tedesco ha ben presto messo
sotto pressione lEpiscopato belga che, pur senza alcun consenso al proprio
interno, ha dovuto per cedere alle istanze del Consiglio pastorale
interdiocesano (organismo laicale) della parte fiamminga del Belgio, iniziando
a costituire singoli Consigli diocesani di conciliazione a partire dal 1994
(Martens 2002, 242-243).
Anche gli Stati Uniti hanno continuato a muoversi entro la logica
del Due Process gi sperimentata in
precedenza (Martens 2002, 240; Martens 2012, 352) creando vari Diocesan Office of Due Process
(Portland, Maine, Dallas); nelle arcidiocesi di Milwaukee e
St.Paul/Minneapolis, inoltre, pure stato eretto il tribunale amministrativo
(Ortiz 1999, 72). Per entrambe le iniziative statunitensi vale il lucido
giudizio secondo cui malgrado il nome e la procedura che si vuole dare a tali
Organi, la [loro] natura è quella di Organi di conciliazione che operano
seguendo una procedura presa dalle norme sul processo contenzioso ordinario
(Ortiz 1999, 73).
In merito si permetta di dubitare che la maggior parte di tali
realizzazioni costituisca unadeguata applicazione del can. 1733, quanto
piuttosto un sostanziale restyling di
ci che era gi stato realizzato in sua assenza, finendo per utilizzare in modo
del tutto strumentale la nuova norma codiciale a semplice copertura formale
delle prassi precedentemente instaurate a partire da altri fondamenti e criteri. A ci si unisca lestrema ambiguit
rispetto alle norme codiciali alle quali tali realizzazioni spesso affiancano
procedure pi concorrenti che davvero
alternative (= lamericano Due Process), col gravissimo rischio
– gi osservato in dottrina – di non permettere
unappropriata ed efficace applicazione della procedura universalmente
stabilita per i ricorsi gerarchici (Martens 2002, 248; Ortiz 1999, 73, nota n.
101).
Tanto pi che alla base di tali istituzioni ed attivit si pone un
evidente peccato originale: ignorare che lattivit degli organismi diocesani
di mediazione indicati dal CIC
postula quale proprio innesco la Remonstratio
(cfr. can. 1733 3 in rimando al can. 1734 2), possibile soltanto contro il
vescovo diocesano, visto che – secondo il can. 1734 3 –
avverso provvedimenti dei suoi vicari o delegati ci si rivolge a lui
direttamente senza Remonstratio
previa, n si media col vescovo quanto disposto in modo differente da un suo
vicario/delegato. Con evidenza, infatti, i cann. 1732-1734 riguardano
lopposizione ai provvedimenti apicali (= del vescovo diocesano),
deferibili attraverso ricorso gerarchico soltanto alla Curia Romana.
5.4 Iniziative
specifiche successive al 1983
Le ombre che permangono intorno alle iniziative in qualche modo
generalistiche realizzate sia da parte delle Conferenze episcopali, sia in
sede diocesana, non sono per sufficienti ad oscurare lintero orizzonte
profilatosi allinterno dellordinamento canonico a partire dai presupposti
sostanziali del can. 1733 in relazione alla resistenza verso i provvedimenti di
governo, visto che si possono indicare alcune realizzazioni di differente
natura e portata riguardanti ambiti peculiari dellattivit ecclesiale in cui
gli spazi aperti dai presupposti
della norma sembrano portare effettivi miglioramenti non soltanto alla prassi.
Si tratta di provvedimenti di rango completamente diverso: Santa
Sede, Conferenza episcopale italiana, una diocesi italiana; provvedimenti che
vengono qui solo indicati con funzione evocativa e non specificamente
esaminati.
a) Per quanto concerne la Santa Sede il riferimento alla
creazione del Collegio di conciliazione e arbitrato dellUfficio del lavoro
della Sede Apostolica (U.L.S.A.) (Ioannes Paulus 1989a; 1989b; Mattioli,
505-506; Esquivias, 333-340; Corso, 50-51). Lo statuto dellorganismo vaticano
prevede un doppio livello dintervento in caso di controversie di lavoro:
dapprima il coinvolgimento del direttore generale dellU.L.S.A. per un
tentativo di conciliazione (art. 10,5), in seconda battuta
– quando la conciliazione non si realizzi a tale
livello – laccesso al Collegio di conciliazione e arbitrato (art.
11).
b) La C.E.I. per parte propria, nonostante la decisione di non
costituire alcun organismo diocesano ex can. 1733, ha tuttavia dato norme per
lerezione di organismi diocesani di composizione delle controverse tra
sacerdoti e Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero
(Ruotolo, 62-71), disciplinandoli attraverso gli artt. 8 e 9 della delibera n.
58/1991, in applicazione dellart. 34 della legge 222/85 recettiva del
Concordato italiano.
c) A livello diocesano si segnala qui, in quanto semplicemente
indicativa di una crescente attenzione alla materia (seppure non pienamente
congrua alla disposizione del can. 1733), la decisione del vescovo diocesano di
Rimini di formalizzare nel Regolamento diocesano per gli insegnanti di
religione cattolica una procedura minimale, ma significativa, in riferimento
ad eventuali note negative circa il comportamento di un insegnate di
religione prima di revocarne lidoneit a norma del can. 805. Si tratta di una
disposizione regolamentare che incrementa quanto gi stabilito dalla CEI nella
delibera n. 41 (14-18 maggio 1990 – C.E.I. 1990) circa il riconoscimento
e la revoca dellidoneit allinsegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche italiane. Mentre, infatti, la norma nazionale stabilisce la
procedura da applicarsi da parte dellordinario, il vescovo riminese aggiunge
un ulteriore livello previo da
attuarsi presso il responsabile dellUfficio diocesano per la scuola attraverso
apposito dialogo. Sebbene la disposizione non implementi ancora n un
coinvolgimento di persone autorevoli, n di uno specifico organismo, tuttavia
compito dello stesso ufficio diocesano attivare un rapporto non potestativo con la persona interessata ad un eventuale
provvedimento senza dubbio gravoso sia dal punto di vista economico che, non
meno, di buona fama. Proprio la natura non-potestativa di questattivit
assegnata allUfficio diocesano pu indirizzarsi – seppure
indirettamente – in chiave mediativa
permettendo un incontro e dialogo di per s adatto addirittura ad evitare
la revoca dellidoneit allinsegnamento.
5.5
Considerazioni tecniche in merito allerezione di organismi ex can. 1733
Gli elementi e le osservazioni emergenti dalla breve illustrazione
sin qui proposta permettono, pur senza pretese, di offrire qualche
considerazione di carattere funzionale in vista dellerezione di organismi
effettivamente rispondenti al disposto del can. 1733, alla sua mens ed alla sua ratio.
- La prima considerazione riguarda la
natura di tali organismi: si tratta di istituzioni e non di procedure,
come invece stato per le iniziative anglosassoni legate allidea di Due Process. Un organismo non una
procedura! Ed una mediazione non un procedimento formalizzabile. Le tematiche
sono radicalmente diverse poich la ricerca di una soluzione ad un problema
che sorga da un provvedimento di governo non pienamente ricevibile da parte del
suo destinatario, non pu essere il risultato di un mero procedimento congruo
ma di un pi ampio e capace rapporto con la realt, sia di persone che di
fatti.
- La seconda considerazione riguarda la
denominazione di tali uffici/consigli, poich gi luso di un termine rispetto
ad un altro indirizza le precomprensioni dei potenziali fruitori. Il problema
non di accessibilit e stabilit, poich entrambi sarebbero
comunque stabilmente costituiti, ma di profilo
operativo: ad un ufficio si rivolgono – generalmente – i
destinatari di attivit o decisioni altrui, ad un consiglio si rivolge chi
concretamente intraprende unattivit complessa o difficoltosa. Pare, pertanto,
pi indicata la seconda denominazione come, daltra parte, anche
concretamente avvenuto nella maggioranza dei casi in cui lorganismo diocesano
stato eretto. Dal punto di vista istituzionale, si potrebbe ragionevolmente
parlare di ufficio (solo) nei casi in cui si trattasse di una procedura
obbligatoria: in tal caso il dissenziente dovrebbe rivolgersi a tale ufficio
per attivare la procedura prevista. Il can. 1733, tuttavia, non permette
dintraprendere tal genere di sviluppi.
Di carattere pi sostanziale risultano invece le competenze ratione materi e, subordinatamente, la
composizione di tali organismi.
- La specificit dei campi di
coinvolgimento gi indicata pi sopra, indirizza senza ragionevoli dubbi alla
creazione di organismi in qualche modo settoriali, individuati e distinti in
ragione della specifica materia in cui possano intervenire: trasferimento di
ufficio ecclesiastico, sostentamento del clero, idoneit allinsegnamento della
religione cattolica, coordinamento degli orari delle Messe e funzionalit degli
edifici di culto, limitazioni dellesercizio del ministero ordinato, compiti
interni agli Istituti religiosi, sono ambiti problematici di natura
estremamente diversa che richiedono preparazione e conoscenze del tutto
peculiari ben difficilmente rinvenibili nelle stesse persone. questo un
fattore che rende per poco plausibile la creazione di tali organismi
tematici in sede soltanto diocesana; le Conferenze episcopali, almeno
regionali, potrebbero invece provvedere efficacemente in tal senso.
- Il quid condiziona con tutta evidenza anche il quis, nel senso che la composizione di tali organismi dovrebbe
derivare in modo diretto dalle competenze richieste materia per materia. Che
alcune Conferenze episcopali abbiano indicato quali componenti di tali
organismi membri del Consiglio presbiterale, ed in materia si sia espresso
qualche autore (Ortiz 1999, 70, nota n. 93), non pare effettivamente
significativo rispetto alla prevalenza delle conoscenze oggettive richieste per
trovare soluzioni, trattandosi spesso di questioni pi tecniche che non politiche
come dovrebbe verificarsi in ragione del gravame che sta alla base della
possibilit prevista dai cann. 1732-1739 di opporre Remonstratio e poi ricorso gerarchico verso un provvedimento di
governo.
Unultima considerazione a riguardo delloperativit di tali
organismi. Probabilmente prima di scegliere se erigerli varrebbe la pena
prendere in considerazione la plurisecolare esperienza e prassi dei Dicasteri
della Curia Romana che utilizzano regolarmente i c.d. Consultori (sia stabili
che ad casum) proprio per risolvere
una parte dei ricorsi gerarchici che li raggiungono: quelli pi complessi ed
articolati. Sottoporre ad un tecnico della materia (completamente estraneo
rispetto alle parti in conflitto) i provvedimenti di governo e gli elementi ed
argomenti ad essi contrari offre senza dubbio una buona opportunit di rivedere
il merito delle decisioni assunte, cos da ricondurre al minimo mezzo (Gherri
2018, 272-276; Serra, 53-63) il costo esistenziale che ne deriva.
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