Prædicate Evangelium Art. 197: novità o conferma?

Introduzione

Tra le novità – almeno testuali – della Costituzione apostolica Prædicate Evangelium non può passare inosservata all’occhio dell’amministrativista, la nuova formulazione dell’Art. 197 in sostituzione del precedente Art. 123 della Pastor Bonus e dell’identico Art. 34 della – ormai reformanda – Lex propria della Segnatura Apostolica del 2008.

Una nuova formulazione che potrebbe – alla fine – chiudere una lunga stagione dominata da una ‘narrativa’ mono-tono in materia di ‘identità’, più che di ‘competenza’ vera e propria, della Segnatura Apostolica e ridimensionare in modo sostanziale il vocabolario ed il concettuario del “contenzioso amministrativo” che la dottrina – ma non il Legislatore – ha introdotto in relazione all’Art. 106 della Regimini Ecclesiæ Universæ di Paolo VI, del 1967.

Due sono gli elementi di maggior significatività della nuova Norma fondamentale in tema di identità della Segnatura Apostolica: 1) l’espressa indicazione della Segnatura stessa come “Tribunale amministrativo per la Curia Romana”; 2) la scomparsa del termine “illegittimità” in tema di competenza della Segnatura. Ad essi va poi aggiunta quella che, senza dubbio, è invece una vera novità: la sottoposizione alla Segnatura Apostolica anche della Segreteria di Stato (elemento sul quale non è possibile soffermarsi ora, ma che evidenzia senza ombra di dubbio la concezione che della stessa ha l’attuale Pontefice).

Dalla nuova formulazione sorge la domanda posta nel titolo di queste note: “novità o conferma”? Siamo , cioè, innanzi ad uno stravolgimento della Normativa precedente oppure al suo consolidamento?

1. Segnatura Apostolica come Tribunale amministrativo per la Curia romana

Il primo elemento – che è pure il più importante! – riguarda l’inciso di nuova introduzione: «quale Tribunale amministrativo per la Curia romana»: una specifica – un obiter dictum – che, sebbene apparentemente inutile (e così potrebbe essere risultata a molti canonisti in questi due mesi… ma anche ai diversi ‘revisori’ del testo legislativo stesso), mina – invece – alla radice le teorizzazioni imperanti in ambito amministrativistico canonico dalla creazione della “Sectio Altera” il 15 agosto del 1967.

Con l’Art. 197 di Prædicate Evangelium la Segnatura Apostolica è indicata e – costituita (sic!) – “quale Tribunale amministrativo per la [sola] Curia romana”.

Se per il Legislatore (e per una buona struttura testuale normativa) era inutile aggiungere quell’avverbio (= sola), altrettanto non può dirsi per la dottrina! Affermare, infatti, che la Segnatura Apostolica è Tribunale amministrativo soltanto per la Curia romana, significa concretamente negare quanto da 55 anni si va ripetendo in materia a livello dottrinale: che, cioè, con la ‘creazione’ montiniana dalla “Sectio Altera” nel 1967 si era introdotto nella Chiesa cattolica il c.d. Sistema della “doppia giurisdizione”: ordinaria ed amministrativa… come nella maggior parte degli Stati europei continentali, Italia in primis, dalla quale è stata tratta la quasi totalità degli elementi teoretici e dogmatici sin qui utilizzati per modellare ab extrinseco quest’ambito dell’Ordinamento canonico nel quale nessun Legislatore sino ad oggi si è effettivamente avventurato.

Se questa lettura è corretta, siamo innanzi alla conferma di quella che molto probabilmente era stata la mens e la ratio, oltre che la causa stessa, della Norma originaria: imporre all’attività delle Congregazioni romane il primato della Legge rispetto all’amplissima potestà esecutiva (un tempo detta anche œconomica) concretamente esercitabile ed effettivamente esercitata in modo spesso ab-solutus nei confronti di molte vicende e traversie ecclesiali… sotto la ‘copertura’ della suprema potestas pontificia esercitata in modo vicario. Se così fosse saremmo oggi – finalmente – innanzi alla corretta formulazione dell’innovazione montiniana: ipotesi confermata in obliquo dall’ulteriore volontà di Papa Francesco di sottoporre alla Segnatura Apostolica anche la Segreteria di Stato.

La questione, dal punto di vista teoretico, è fondamentale poiché si passerebbe dal principio cardine della “giustizia amministrativa” a quello della “legalità del governo”. Si tratterebbe, cioè, di perseguire non la giustizia amministrativa ex parte Christifidelium, ma di esigere la legalità del governo ex parte Auctoritatum… smorzando le dinamiche rivendicazioniste, per accentuare quelle effettivamente pastorali, tanto più in un contesto, come quello attuale, in cui Papa Francesco sta rimettendo in luce la dimensione di custodia, protezione, responsabilità, proprie della episkopé (basti pensare al m.p. Come una madre amorevole).

Certo: scambiare una “giustizia” con una “legalità” potrebbe sembrare, ad oggi, fuori contesto… un ritorno di formalismo positivistico indegno dei tempi attuali e di una Chiesa “in uscita”… Molto dipende, tuttavia, dalla concezione che si ha del Diritto canonico. Se, infatti, la Norma canonica costituisce il ‘punto d’arrivo’ della riflessione ecclesiale sulla vita e le dinamiche della Chiesa stessa: ciò che ne concentra ed organicizza i valori e le idealità… ciò che ne configura la missione (= la “grammatica” della “Pastorale”)… allora la sottomissione a questa “Norma” diventa il primo criterio di discernimento per le decisioni di governo, affinché non si decida “secondo me”, ma secondo ciò che la Chiesa ha già valutato e adottato come regula et mesura (= kanon) per la propria identità, prima, e vita, poi.

Ulteriormente: se ciò fosse vero, l’Art. 197 della Prædicate Evangelium costituirebbe la definitiva sconfessione del c.d. contenzioso amministrativo imposto per via dottrinale quale presupposto della creazione della “Sectio Altera” ed instancabilmente ripresentato nei decenni, fino all’affermazione, ancora nel 2010, che «l’Art. 106 [della Regimini Ecclesiæ Universæ] sostituiva il disposto del Can. 1601 del Codex 1917».

Sia permesso esplicitare qualche dettaglio in merito, vista la peculiarità della materia e la singolarità delle questioni.

La dottrina costante di quegli anni (dai maturi Pinna, Lobina, Gordon, Graziani, ai giovani D’Ostilio, Moneta, Pinto, ecc.) affermò senza esitazioni che con la “Sectio Altera” era stata creata (anche) nella Chiesa la doppia giurisdizione poiché, finalmente, i fedeli potevano opporsi ai Provvedimenti di governo attraverso l’Azione giudiziale innanzi ad uno speciale Giudice/Tribunale (la “Sectio Altera”, appunto), anziché al Tribunale ordinario (come accaduto per secoli attraverso la Appellatio extraiudicialis, fino alla “Sapienti Consilio” nel 1908 – sistema della c.d. giurisdizione unica), ed anziché doversi sottomettere alle decisioni del Superiore gerarchico (come voluto da Pio X con la sua riforma della Curia e col Can. 1601 del CIC – sistema c.d. del Superiore-Giudice). Secondo la dottrina del tempo e del mezzo secolo successivo, la creazione della “Sectio Altera” aveva superato questi sistemi (giudicati ancestrali) per dare corpo ad una specifica tipologia giudiziale ‘moderna’: il “contenzioso amministrativo”, espressione di un progresso teoretico e dogmatico inarrestabile, individuato come strumento operativo della più sostanziale “giustizia amministrativa”.

L’approccio, in quegli anni, era assolutamente plausibile: erano gli anni della revisione del Codice… gli anni dei “principia” che l’avrebbero dovuta guidare (il n. 7 in particolare, con la richiesta della erezione proprio dei Tribunali amministrativi locali)… gli anni della Lex Ecclesiæ Fundamentalis … gli anni della velocissima redazione dello Schema “De Procedura administrativa”, addirittura in predicato di promulgazione immediata attraverso m.p. In tal modo, gli anni 1967-1982 furono 15 anni che convinsero la dottrina della reale ‘esistenza’ di ciò di cui parlava, poiché pure effettivamente presente negli ultimi Canoni del nuovo CIC in elaborazione: il loop tra autori e legislatore era completo ed auto-alimentante.

Quegli stessi anni, però, alla fine non approdarono a nulla: quando la Lex Ecclesiæ Fundamentalis non venne promulgata e, soprattutto, i Cann. 1736-1763 dello Schema Codicis del marzo 1982 vennero espunti nel Codice latino promulgato dieci mesi dopo.

Dal punto di vista legislativo, ed ordinamentale, l’intero sistema presunto non aveva trovato alcuna realizzazione: non esisteva, infatti alcun Tribunale amministrativo “per” la Chiesa come tale! Né esiste ad oggi.

Tutto rimase praticamente fermo al 15 agosto 1967, all’Art. 106 della Regimini Ecclesiæ Universæ… Eppure si continuò, contra facta et Leges, a sostenere l’approccio tanto propagandato: nella Chiesa cattolica esiste una specifica giurisdizione amministrativa competente in materia di contenzioso amministrativo! In fondo: la “Sectio Altera” era “Tribunale amministrativo”…

La narrativa dottrinale (confermata dai Giudici ed Officiali che da essa si erano formati – sic!) continuò a proporre le logiche, le dinamiche e gli strumenti propri del contenzioso amministrativo… dovendo però ammettere che ad esso non si poteva accedere che dopo aver esaurito la scala dei Ricorsi gerarchici, imposta dal Can. 1601 del CIC del 1917 ed ora dal Can. 1400 §2 del CIC del 1983, complici le successive Pastor Bonus del 1988 e la Lex propria della Segnatura Apostolica del 2008 (40 anni dopo le Normæ speciales).

La concreta inaccessibilità, per i fedeli, del Giudizio in Segnatura Apostolica venne costantemente dissimulata, dalla dottrina, secondo le logiche deflattive ormai diffuse nel Diritto degli Stati in ambito civilistico: l’accesso al Giudice passa attraverso tentativi obbligatori di risoluzione extra-giudiziale.

In realtà: non si trattò mai di doppia giurisdizione in senso proprio, né di superamento del sistema creato da Pio X, ma semplicemente di correggere lo strapotere delle Congregazioni romane, assoggettando le loro decisioni ad un vaglio di stretta legalità che impedisse, almeno la violazione della Legge. Ciò che l’Art. 197 di Prædicate Evangelium di fatto sancisce in modo chiaro!

Tanto più che – con certezza – consta che ancora nella consultazione della primavera del 2019 sia stata proposta al Legislatore la possibilità di dar finalmente corpo ai Tribunali amministrativi ‘locali’… proposta finita nel nulla a testimonianza del permanere della non volontà del supremo Legislatore di assecondare l’indirizzo dottrinale prevalente.

2. Scomparsa della “illegittimità” degli Atti dalle competenze della Segnatura

Il secondo elemento meritevole di attenzione, tra novità e conferma, è costituito dalla scomparsa della “illegittimità” degli Atti dalle competenze della Segnatura Apostolica: il §2 dell’Art. 197, infatti, non utilizza più la ‘scorciatoia’ dell’Art. 123 di Pastor Bonus e 34 della Lex propria.

In merito è necessario esplicitare qualche osservazione partendo dalla consapevolezza che tale termine, pur presente dall’inizio nell’Art. 106 della Regimini Ecclesiæ Universæ, aveva poi cambiato collocazione in Pastor Bonus, proprio in espressi termini di competenza della Segnatura Apostolica.

1) La prima osservazione è di carattere strutturale, dovendosi constatare che il termine “illegittimità” compariva all’origine per qualificare la causa petendi dell’Azione giudiziale presso la Segnatura Apostolica: «In his casibus videt sive de admissione Recursus sive de illegitimitate Actus impugnati». Formulazione che portò nel giro di pochi anni alla necessaria Interpretazione autentica dell’11 gennaio 1971 che confermò l’utilizzo del termine, seppure non più in modalità ‘assoluta’ ma ‘relativa’ rispetto al “merito” della Causa, secondo la dialettica – civilistica, italica – tra legittimità e merito, in una prospettiva che, probabilmente, esplicita meglio ciò che il testo normativo originario intendeva indicare, seppur laconicamente.

Significativamente l’evoluzione della Norma in Pastor Bonus perse il termine, ritenuto ormai inutile dopo che le stesse Interpretazioni del gennaio 1971 avevano precisato in modo cristallino che oggetto del Giudizio in Segnatura è la “violatio Legis in decernendo vel in procedendo”: così si esprime in modo compiuto e completo il §1 dell’Art. 123 della Pastor Bonus in riferimento alla competenza specifica e peculiare dalla Segnatura Apostolica. De Iure la legittimità dell’Atto impugnato non è più a tema in ambito di competenze della Segnatura apostolica.

2) Pastor Bonus, Art. 123, tuttavia, conteneva ancora il termine “illegittimità” nel §2, laddove il Legislatore concedeva alla Segnatura Apostolica di poter – eventualmente – giudicare anche circa la riparazione dei danni arrecati dall’Atto già sottoposto al suo giudizio in ragione della competenza peculiare propria indicata nel §1 (un artificio di pura economia processuale attraverso l’istituto processuale della “connessione” di Cause ex Can. 1414).

Fu in quel contesto logico che il termine “illegittimità” venne utilizzato per qualificare, ab extrinseco rispetto alla Norma del §1, il Giudizio circa la “violatio Legis in decernendo vel in procedendo”. La Norma così di esprimeva: «In his casibus, præter iudicium de illegitimitate, cognoscere etiam potest…», finendo per identificare – per sola via grammaticale – la violatio Legis con la illegittimità.

Il §2 dell’Art. 197 di Prædicate Evangelium elimina la questione, depurando il linguaggio con la rinuncia all’uso in obliquo di un termine tecnico innecessario (= l’illegittimità, appunto), accontentandosi di rimandare al paragrafo precedente in modo letterale, ripetendo ciò di cui si tratta: la violatio Legis.

3. Concludendo

Con la Costituzione apostolica Prædicate Evangelium pare giungere ad epilogo la lunga contrapposizione tra Legislatore materiale (in realtà: la sola dottrina) e Legislatore formale (= l’unico vero Legislatore!) dopo decenni dominati da una vera e propria eterogenesi dei fini, nella irriducibile differenza tra quanto insistentemente preteso dalla dottrina e dagli stessi Consultori pontifici in sede normativa (= i Canoni “De Procedura administrativa” del CIC 1982) e quanto costantemente stabilito nelle Norme dell’Ordinamento.

In materia – sebbene non “in merito” – non può infatti tacersi più oltre il sostanziale e costante non recepimento da parte del Legislatore supremo di tutto quanto sollecitato dagli autori (e Legislatori materiali) per oltre mezzo secolo, sancendo quanto affermava cinquant’anni fa uno dei protagonisti di tale stagione, Paolo Moneta che nel 1973 scriveva:

 

«Ne deriva così l’impressione che il Legislatore non abbia voluto impegnarsi a porre in essere un sistema di giustizia amministrativa ben definito e, almeno in larga misura, compiuto, ma abbia preferito lasciarlo aperto a quegli sviluppi che sarebbero risultati più idonei in seguito ad una adeguata sperimentazione pratica, fidando soprattutto nell’opera di adattamento della Giurisprudenza, che in questo campo, come è avvenuto negli Ordinamenti statali, dovrebbe avere una parte molto importante nell’elaborazione e persino nella vera e propria codificazione di regole e principi».

Ciò che, appunto, ha portato alla conclusione odierna: “tanto rumore per nulla”, come avrebbe detto Shakespeare.

Se ciò fosse ancora ritenuto insufficiente per infirmare le posizioni dominanti della dottrina e di molta Giurisprudenza, nondimeno dal 5 giugno 2022 continuare la narrativa degli ultimi 55 anni diventerà almeno “illegale”… mentre, ad ogni effetto, nulla è cambiato rispetto alla lucida volontà di Paolo VI innanzi al dilemma millenario di ogni struttura di governo: “quis custodet ipsos custodes?”. Per la Curia Romana: c’è la Segnatura Apostolica!



in: F. GIAMMARRESI (cur.), La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. Struttura, contenuti e novità, Città del Vaticano, 2022, 97-104.