RECENSIONE A: A. PITTA, Giustificati per Grazia. La giustificazione nelle Lettere di Paolo, Coll. Biblioteca di Teologia contemporanea, n. 190, Brescia, 2018, pp. 233



Che un canonista si permetta di approcciare (pi che recensire) lopera di un biblista cosa pi unica che soltanto rara rischiando di suscitare unimmediata Azione riconvenzionale rispetto al passato in cui si imponeva ai teologi di silere in munere alieno.

1. Una questione metodologica

La cosa, in effetti, si presenterebbe ragionevolmente eccentrica se non si tenesse adeguatamente conto della necessit della Teologia del Diritto canonico (Disciplina portata avanti, solitamente, da canonisti) di verificare leffettivo fondamento e la conseguente tenuta di un certo numero di affermazioni (divulgate spesso come veri e propri assiomi) a riguardo del rapporto tra sacra Scrittura – Nuovo Testamento, in particolare – e Diritto canonico; tanto pi, visto il perdurare – praticamente incontrastato – delle posizioni che affermano la presa diretta tra il testo biblico globalmente preso e le Norme canoniche, nel loro sostanziale fondamento divino.

In effetti il testo del prof. Pitta, incentrato sulla giustificazione nelle Lettere di san Paolo (autore di cui il docente lateranense uno dei maggiori conoscitori ed interpreti a livello internazionale), permette al canonista contemporaneo di rileggere un numero significativo di elementi e fattori che lo conducono con certezza – e fondatamente – a comprendere e dover considerare come la maggior parte delle pubblicazioni canonistiche (o ad esse strettamente connesse) in termini di giustizia – poich questo il punto di vista pertinente per il canonista! – si dimostrano (e sono dimostrabili!) del tutto in-pertinenti, oltre che in-fondate e – finalement – scorrette.

Dal punto di vista esegetico e teologico le cose sono cristalline sin dalle prime pagine del libro (la Prefazione, e i primi due capitoli introduttivi) dalle quali emerge con chiarezza che spesso il termine paolino dikaiosýnē andrebbe tradotto non con giustizia (intesa, caso mai, come virt cardinale, etico-sociale) ma con giustificazione (cfr. p. 31), visto che la giustizia di Dio (dikaiosýnē The) indica, in buona sostanza, la sua azione giustificante: la giustizia che ha Dio come proprio soggetto agente e la giustizia che ha in Dio il proprio autore (cfr. pp. 32-33).

Senza entrate tuttavia, in questa sede, nelle questioni pi espressamente teologiche o anche solo esegetiche, meritevoli comunque di grande attenzione da parte del canonista che non intenda farsi magister in munere alieno, vale la pena di cogliere, in chiave espressamente metodologica, alcuni elementi che lautore del volume in esame offre a mo di inquadramento generale della tematica giustificazione-giustizia in san Paolo ma valide, anche, per il NT pi in generale: elementi di grande interesse per la scientificit – e fondatezza – della riflessione canonistica.

Valga come primo elemento da cui far procedere il resto, quanto gi a suo tempo affermato in termini di esemplarit e comunicazione del Diritto per lintero orizzonte biblico:

A causa della dimensione profondamente umana dellesperienza giuridica naturale [] il Dio biblico pare aver adottato il Diritto quale strumento efficace di relazione tra s e lumanit: un modo sicuro di intendersi allinterno di un linguaggio comune che non richiede inutili chiarimenti aggiuntivi.

Lautore, per parte sua, parla – indirettamente – di metafora (p. 10) senza indugiare sulla questione che, tuttavia, risulta di estremo interesse e rilevanza per i canonisti proprio sulla linea gi suggerita del modo sicuro di intendersi: la metafora, per propria natura, costituisce uno strumento comunicativo e gnoseologico utile a suscitare la comprensione di un minus o in- cognitum attraverso la maggior famigliarit con un magis cognitum che non necessita di spiegazioni. Inutile fermarsi qui a dimostrare la penetrativit che lesperienza giuridica ha evidenziato a livello socio-antropologico sin dalle prime testimonianze del vivere storico, almeno dellambito mediterraneo e mediorientale: dagli Egizi, ai Sumeri, ai Babilonesi per giungere al pi assimilato Ellenismo, fino alla Romanit pi nota secondo il celebre passo del poeta che collocava la pratica forense tra i cardini della civilt umana: dal d che nozze, Tribunali ed are

Metafora, quindi, e non realt. La giustificazione insieme con la semantica connessa – la giustizia, in primis – (stato) uno soltanto dei possibili modi di esprimere il mistero soteriologico contenuto nel Buon Annuncio  (= Evangelo) cristiano. La giustificazione cio, in quanto stato finale di giustezza attribuita da parte di Dio alluomo, sarebbe soltanto uno dei modi possibili di dire la salvezza cristiana: un modo che, proprio per la sua facile comprensibilit alla maggior parte delle persone, si mostra efficace per far giungere a loro un contenuto teologico di per s innovativo. Nulla di eccezionale per Paolo, che si comporta allo stesso modo quando, per farsi capire senza esitazioni fuori dalla cultura giudaica, usa la metafora del Testamento o della Tutela dellerede non emancipato: nel mondo greco-romano il Diritto spiega la realt teologica (e non la fonda!).

La giustificazione si presenta cos come uno dei possibili modi di esprimere il mistero soteriologico: forse quello statisticamente maggiore, preponderante soprattutto a causa della necessit impellente di farsi capire allinterno di culture, quella ellenistica e poi romana, significativamente distanti da quella ebraico-biblica che disponeva anche di altre possibilit ermeneutiche (e teologiche) non per altrettanto fruibili allesterno come: la messianicit, lespiazione; il riscatto, la redenzione Non solo, tuttavia, il fondamentale problema di dire la salvezza trov una via di straordinaria efficacia nella metafora giudiziale, ma questo modo di esprimersi fin pure per trovarsi in buona coerenza col tema evangelico (e kerygmatico) della ammissione al Regno (cfr. Mt 8,12; 13,41-43; 13,49-50; 22,11-14; 25,10-13; Lc 13,25-28 – riferimenti non testuali), prospettata sovente in termini di giudizio (v. infra).

La dottrina della giustificazione possiede questa forza di una categoria ermeneutica perch traspone tutta la Teologia nella dimensione di una controversia giuridica, cio della controversia giuridica di Dio per il proprio onore, che in quanto tale una controversia giuridica per la dignit delluomo (p. 15).

Al giurista, dal punto di vista concettuale, utile evidenziare che ci a cui la metafora della giustificazione – o giustizia di Dio – fa riferimento lesperienza di uscire non-condannati da un Giudizio di per s sfavorevole a causa delle premesse oggettive esistenti alla sua base; premesse che, in quanto tali, non lasciavano presagire nulla di buono per limputato ma che, invece, sono state superate da un atto (di clemenza) del Giudice. Si legge infatti, nella prima tradizione paolina, che Dio ha annullato la contro di noi obbligazione scritta con i decreti, che era contraria a noi, anche essa tolse da il mezzo avendo inchiodato essa alla croce (Col 2,14). Si pure notato che il verbo dikaiō [] assume sempre valore relazionale e positivo nelle Lettere paoline, mentre nellambiente greco imperiale svolge spesso il ruolo negativo di condannare o dichiarare giusto e forense (p. 27, nota n. 11).

Per meglio comprendere tale dinamica si pensi ad un Giudizio in materia commerciale/fallimentare (non penale): si tratta di insolvenze, inadempimenti, mancati pagamenti, debiti... la logica della remissione (del debito: Mt 6,12; 18,23-35) che rispetto al riscatto (pur utilizzato) non richiede per qualcuno a cui pagarlo, risultando pi immediata e meno ambigua. In questo modo la metafora della giustificazione opera un rimando diretto ed esplicito allesperienza peculiarissima del non essere stati condannati! Non si tratta, cio, della propria innocenza o della inesistenza del fatto, ma della sua non-imputazione, pur in assenza di qualsiasi esimente. Non si tratta di giustizia – propria – del soggetto ma di sua assoluzione, di remissione, appunto.

In merito osserva significativamente lautore:

Si deve a C. Breytenbach aver precisato e sottolineato la matrice diplomatica della riconciliazione nelle Lettere paoline. Di per s la riconciliazione non appartiene al contesto religioso, cultuale, n sacrificale, ma proviene dallambiente diplomatico antico fra persone o popoli in stato di conflitto. Chi pi debole o in torto perora il ristabilimento della pace o la riconciliazione presso chi pi forte o ha ragione (p. 52-53).

Ci si trova innanzi ad unoperazione linguistica e concettuale non isolata nel NT: basti pensare a quante volte Ges stesso ha espressamente evocato il Giudizio (κρίσις) per indicare sia la propria funzione (di Giudice) che la dinamica dellagire umano (v. infra). Daltra parte: che il rapporto finale tra Dio e gli uomini, lincontro tra le loro libert, si realizzi come un Giudizio dato assolutamente certo negli stessi Vangeli (testualmente: Mt 5,21; 5,22; 10,15; 11,22; 11,24; 12,18; 12,20; 12,36; 12,41; 12,42; 23,33; Lc 10,14; 11,31; 11,32; 11,42; Gv 3,19; 5,22; 5,24; 5,27; 5,29; 5,30; 7,24; 8,16; 12,31; 16,8; 16,11);

Pertanto si pu ben condividere la premessa sulla relazione tra la giustificazione e il giudizio ribadita pi volte da P. Stuhlmacher: Se vogliamo comprendere la dottrina paolina della giustificazione, dobbiamo prima considerare che la giustificazione comprende unazione di giudizio (p. 29).

2. Giustificazione e ministero paolino

Di non minore importanza dal punto di vista fondazionale (per la Canonistica) risultano le considerazioni dellautore sulla circostanzialit e contingenza (contestualit, secondo lautore – p. 101) del tema giustizia/giustificazione nellepistolario paolino e nella Teologia stessa dellApostolo:

Paolo detta e invia le sue Lettere perch costretto dalle situazioni delle sue Comunit o di fratelli e sorelle che ben conosce []. La giustificazione non sorge per riflessione sistematica, n teologica, ma dalle relazioni contingenti tra Paolo e i destinatari delle sue Lettere (p. 25).

La situazione la stessa che riguarda il tema della Legge (spesso strettamente congiunto alla giustificazione): si tratta di dare risposte puntuali a questioni puntuali sorte (o a rischio di sorgere) in specifiche Comunit cristiane, senza che ci costituisca – con buona pace di Lutero – il quid stantis vel cadentis dellintero annuncio evangelico.

La Lettera ai Romani non lEvangelo pi puro, come sosteneva M. Lutero, n tanto meno la Summa teologica di Paolo, come pensava F. Melantone. Se non ci fosse stata la diffamazione, richiamata in Rm 3,8, sulla sua predicazione per cui bisognerebbe compiere il male dellinosservanza della Legge in vista del bene della Grazia, forse la Lettera ai Romani non sarebbe neanche stata inviata da Paolo (p. 24).

Detto altrimenti: lannuncio paolino in s e per s non dipende, originariamente e strutturalmente, n dalla giustificazione, n dalla Legge, come tali; esse infatti costituiscono le due facce di uno soltanto dei maggiori problemi che lApostolo incontr in alcune delle sue Comunit ed ai quali decise di opporre adeguata resistenza anche per via dogmatica: trattasi del dilemma se la giustificazione avvenga per la Grazia di Dio (= la croce di Cristo) o per il compimento delle opere della Legge mosaica.

Eloquente il silenzio sul dilemma della giustificazione per gran parte della tradizione paolina e la sua ripresa, in termini antropologici generali, nel conflitto tra le opere compiute dagli esseri umani e la Grazia divina. Da una parte tale slittamento dimostra che il conflitto ha creato diversi problemi nelle Comunit delle tradizioni paoline, per cui la giustizia assume una portata etica, dallaltra lopposizione si sposta dalle opere della Legge contro la fede di Cristo a quella tra opere giuste e la Grazia in generale. Tale slittamento dimostra che paolinismo e antipaolinismo sono pervenuti a un conflitto insanabile per cui il confronto tra la Legge e la giustizia risolto, in negativo o in positivo. Lasserzione per cui la Legge non fatta per chi giusto, ma per gli iniqui e i ribelli (cfr. 1Tm 1,9), segnala che il conflitto tra la Legge e le vie della giustizia terminato, a discapito della Legge mosaica, oppure ha assunto una portata non soltanto etnica, ma antropologica sullalternativa tra le opere compiute dagli esseri umani e la Grazia divina.

Pertanto lalternativa sulle vie della giustificazione propria delle Lettere autoriali di Paolo e coinvolge in prima istanza Galati, Romani e Filippesi. Tuttavia gi in 1-2 Corinzi si delinea la relazione tra Cristo, la sua croce e la giustificazione, da una parte, i credenti, la croce e la giustificazione dallaltra (p. 35).

Al di fuori di queste circostanzialit il Vangelo di Paolo (cfr. 1Cor 15,1; Gal 2,2; Rm 2,16; 16,25; 2Tm 2,8) era infatti (e sarebbe stato) diverso:

La parabola cronologica permette di rilevare che il dilemma sulla giustificazione risalta dopo la corrispondenza con i Corinzi e non prima. Di fatto in 1 Tessalonicesi Paolo non avverte lesigenza di parlarne []. Il dilemma sulle vie – se per la Legge o per la fede – esplode in Galati ed ripensato con maggiore ampiezza in Romani, per assumere, a nostro parere, valore preventivo in Filippesi. [] Di fatto, se da una parte in Colossesi tale dialettica scompare, con Efesini il sostantivo giustizia assume una predominante connotazione valoriale ed etica (cfr. Ef 4,24; 5,9; 6,14). Un analogo slittamento si verifica con 1-2 Timoteo, dove la giustizia raccomandata come virt a Timoteo (cfr. 1Tm 6,11; 2Tm 2,22) e a quanti sono formati nelle Comunit cristiane (cfr. 2Tm 3,16) (p. 34).

Significativamente lautore osserva come

la prima occorrenza del termine dikaiosýnē nelle Lettere paoline si verifichi in 1Cor 1,30, dove svolge una portata cristologica: nellevento della sua morte di croce, Cristo Ges stato reso da Dio per noi sapienza, giustificazione, santificazione e riscatto (p 31),

proseguendo la propria traiettoria di messa in luce del fatto che

quella di 1Cor l,30 la sintesi pi abbreviata della Cristologia paolina, dove la giustizia attribuita a Cristo con forza metonimica dellastratto al posto del concreto. Il dato implica che, anche se non ovunque, la giustificazione in Cristo e nella sua morte assume una connotazione salvifica, per cui il sostantivo dikaiosýnē andrebbe reso non con giustizia, ma con giustificazione. [] importante evidenziare che il rapporto tra Cristo e la giustizia divina precede qualsiasi polemica sulle condizioni per la giustificazione. [] La metonimia dellastratto al posto del concreto non riguarda pi Cristo, ma i credenti; resta il paradosso della croce che accomuna le due proposizioni nella corrispondenza con i Corinzi. Diventare giustizia di Dio non altro che essere stati giustificati dallazione paradossale di Dio in Cristo, per mezzo dello Spirito. [] Paolo non ha una visione organica della giustificazione, ma situazionale che ingenerata, se non motivata, dalle polemiche con gli avversari che sono subentrati in Galazia, lo hanno diffamato a Roma e rischiano di operare a Filippi (p 31).

3. Giustificazione e giustizia

Lapporto teologico risultante dalla minuziosa ricerca ed esposizione dellautore, non solo non pu lasciare il canonista tranquillo nelle proprie (supposte) convinzioni riguardo alla giustizia ma, molto maggiormente, risulta imprescindibile per impostare una corretta (ed adeguata) comprensione di tale categoria – troppo generica ed ambigua –soprattutto a livello di Teoria generale e di Teologia del Diritto canonico. Si legge nella Prefazione del volume:

Difficile trovare termini pi ambigui e discussi di giustizia e giustificazione. In dipendenza dei contesti in cui sono usati, assumono accezioni diverse e, a volte, contrastanti. Il fatto che giustizia e giustificazione sono pi termini relazionali che qualit o virt a s stanti. E poich a Paolo sta pi a cuore la relazione tra Dio e gli esseri umani, giustizia e giustificazione diventano termini ancora pi complessi. Per lui la giustizia di Dio ha a che fare soltanto con lazione giustificante per Grazia di Dio o anche con la sua volont e la dichiarazione per una persona esente da colpa o innocente, come Ges Cristo? E se la giustificazione per gli esseri umani avviene soltanto per mezzo della Grazia, perch bisogna cercare la giustizia? (p. 9).

Il risultato che ne segue dal punto di vista concettuale esige recezione e consapevolezza da parte dei giuristi poich: non solo in diversi casi i termini scelti per la giustificazione nelle Lettere paoline sono commutabili, per cui la giustizia e la giustificazione sidentificano (p. 25), ma pure:

i termini dikaiosýnē (giustizia, in Rm 3,21), dikiōsis (giustificazione, in Rm 4,25) e dikiōma assumono accezioni diverse nella stessa Lettera. Se in Rm 1,32 il termine dikiōma corrisponde a giudizio, in Rm 2,26 il plurale dikaiōmata equivale alle prescrizioni della Legge e in Rm 5,16.18 sidentifica con la giustificazione (p. 25).

Il fatto comprensibile – e doveroso – poich, dal punto di vista teologico: non la giustizia ma

la giustificazione esprime la quintessenza dellazione salvifica operata da Dio mediante Ges Cristo, che toglie in maniera inattesa e immeritata il peccato delluomo. In essa Dio convince luomo del suo peccato, lo trasferisce in un rapporto nuovo, equo, vale a dire giusto, con s, lo fa accedere alla sua libert e porta cos a termine, con la Grazia, la sua volont creatrice nei riguardi delluomo contro la resistenza di questi (p. 16).

La prima conseguenza di questo dato tecnico, che condiziona e deve strutturare lapproccio canonistico, il fatto che la giustizia di Dio termine relazionale che coinvolge in prima istanza la visione di Dio e della persona umana (p. 21). Ci senza nascondere la crux interpretum circa il valore sintattico – non meno che concettuale – della formula stessa: di qual genere di genitivo si tratta? In che senso, cio, tale giustizia sarebbe di Dio? Si tratta di un genitivo soggettivo, oppure di autore, o altro ancora?

Alla Lettera, lespressione giustizia di Dio (dikaiosýnē The) non compare mai nella versione greca dei LXX, anche se sono diffuse espressioni analoghe, mentre utilizzata pi volte nella Lettera ai Romani. Sul significato dellespressione, intorno agli anni 60-70 del secolo scorso si assistito a un acceso dibattito fra gli studiosi riformatori. Mentre per H. Conzelmann la giustizia di Dio sarebbe da intendere come genitivo di autore o di relazione, con implicazioni antropologiche, per E. Kasemann e, in seguito, P. Stuhlmacher e S. Lyonnet, si tratterebbe di un genitivo soggettivo per alludere a una propriet apocalittica di Dio. E se la portata soggettiva della giustizia di Dio per Conzelmann un errore filologico, per Kasemann , al contrario, un capolavoro teologico. Nel tentativo di mediare le due prospettive, K. Kertelge ha proposto di considerare la giustizia di Dio come genitivo soggettivo e di autore nello stesso tempo. [] Per questo preferibile pensare a un genitivo dagente, in cui la portata soggettiva e dautore coesistono e non sono cos contrastanti. Tale opzione risponde alla tradizione agostiniana pi originaria: La giustizia di Dio, non per la quale Egli giusto, ma per cui noi siamo fatti (giusti) da Lui. Vedremo come la Retorica epistolare apporta un importante contributo per il superamento definitivo della questione, perch per esempio la metonimia di 2Cor 5,21, dove i credenti sono definiti giustizia di Dio, allude alla loro condizione di giustificati da Dio (genitivo soggettivo) in Cristo (genitivo dautore) (p. 32-33).

Non si pu ignorare che, nelle Lettere paoline, la giustizia di Dio profondamente vincolata allevento della morte e risurrezione di Cristo (p. 30).

Lesito per il teologo del Diritto canonico immediato: nella formula giustizia di Dio non cՏ nulla di utile sotto il profilo della consistenza teoretica; il concetto fondazionale, cio, di giustizia cui riferirsi per il Diritto della Chiesa.

In proposito si legge, nel volume, che la visione greco-romana della giustizia intesa come virt umana non estranea a Paolo, ma di gran lunga inferiore rispetto a quella salvifica di origine anticotestamentaria e giudaica (p. 28), comparendo in modo poco pi che incidentale con finalit retorica oppure meramente argomentativa, mentre il retroterra giudaico sulle opere della Legge e la giustizia di Dio svolge un ruolo determinante per la nostra cognizione della giustizia divina al tempo di Paolo (p. 30); infatti: sulla piattaforma della Scrittura o dellAT che viaggia la sua visione della giustificazione (p. 27), dovendosi prendere atto che uno dei passi che pi chiarifica la natura della giustizia divina per Paolo si trova in Is 51,5-8 (p. 28).

Non si dovrebbe neppure trascurare la (pi volte richiamata dallautore) metonimia dellastratto al posto del concreto quale modalit retorica che permette/consiglia di utilizzare efficacemente un astratto (comՏ la giustizia, sic) per indicare la, invece, concretissima azione/attivit/condotta di pronunciare un giudizio di Grazia/remissione (che tale la giustificazione). Un nomen actionis, come lo chiama lautore: La prima ricorrenza di dikaiosýnē nelle Lettere paoline andrebbe intesa come nomen actionis: un nome o sostantivo che sostituisce e designa lazione della giustificazione compiuta da Dio mediante la croce di Cristo (p. 42), oppure anche nomen agentis, laddove la giustizia divina [] nomen agentis o sostantivo in azione, che vede Dio come soggetto operante (p. 61; 165).

4. Giustizia ed epistolario paolino

4.1 La parola della croce e la giustificazione (pp. 36-47)

Decisivo per il tema dinteresse il capitolo terzo del volume, dedicato allo studio della 1 Corinzi, in cui lautore fissa lattenzione in modo strategico sulla prima volta di dikaiosýnē: 1Cor 1,30, che traduce cos: E a causa sua voi siete in Cristo Ges, che fu reso da Dio sapienza per noi, giustizia, e anche santificazione e riscatto.

Laffermazione [] un concentrato di Cristologia: Paolo capace di dire in un versetto quel che richiederebbe un trattato. Precisiamo anzitutto che la sua attenzione posta sullessere in Cristo Ges dei Corinzi e che egli stato reso sapienza, giustificazione, santificazione e riscatto. [] Dio stesso ha reso tale Ges Cristo per noi e gli esseri umani ricevono il dono di essere in Cristo (p. 41).

Posizione chiara, ulteriormente sancita – con utilit del canonista – da una successiva precisazione posta in nota:

Con buona pace di L.L. Welborn, Paul, the Fool of Christ, cit., 233, la giustizia a cui si accenna in 1Cor 1,30 non la virt richiesta al cittadino ideale, ma quel che Dio ha reso Ges Cristo per il noi dei credenti (p. 43, nota n. 20).

Lapproccio alla missiva paolina si consolida col riferimento a 1Cor 6,11 in cui non si ricorre alla metonimia dellastratto per il concreto ma si pongono in bella vista i verbi, le azioni: E tali eravate alcuni, ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signore Ges Cristo e con lo Spirito del nostro Dio (p. 44; corsivi non originari).

Al di l della specifica Conclusione esegetico-teologica proposta dallautore (p. 47), giova al canonista osservare la dura res (gi anticipata supra) che la dikaiosýnē/giustizia/giustificazione sia soltanto una delle possibili modalit espressive della salvezza cristiana: una insieme a sapienza, santificazione, riscatto, purificazione. Tanto basta per confermare che giustizia e giustificazione come tali, per Paolo, non costituiscono tendenzialmente fattori dogmatico-teologici in qualche modo autonomi dei quali (tentar di) fare il nucleo profondo/fondazionale del Diritto (canonico) ma appartengano, invece, ad un universo simbolico (p. 9; 183): la metafora alla quale si gi accennato.

A questa consapevolezza testuale-concettuale occorre poi aggiungerne unaltra non meno importante sotto il profilo del c.d. metodo teologico, soprattutto dopo la Riforma: la necessit di non confondere termini e dottrine quando si tratti di valorizzare adeguatamente – e differenziare – lemmi e concetti. Potrebbero infatti innescarsi – ancora una volta – pericolosi deduttivismi che, dalla irrinunciabilit per la fede cristiana della dottrina della giustificazione, arrivino ad imporre il dj vu dellirrinunciabilit del concetto di giustizia non solo per fondare il Diritto canonico ma anche la stessa esperienza ecclesiale.

4.2 I credenti, giustizia di Dio e la diaconia della giustificazione (pp. 48-65)

Il capitolo dedicato alla 2 Corinzi offre lopportunit dindagare, e comprendere, unaltra espressione (dopo giustizia di Dio) capace, di per s, di costituire un vero inciampo (= scandalo – sic) per il canonista: il ministero della giustizia (2Cor 3,9) che, come i c.d. falsi amici in Linguistica potrebbe far supporre lesistenza di elementi teologici di fatto inesistenti.

La complessa missiva paolina utilizza pi volte il termine dikaiosýnē (cfr. 2Cor 3,9; 5,21; 6,7; 6,14; 9,9; 9,10; 11,15), anche se il sostantivo assume connotati diversi, cos che in 2Cor 5,21 i credenti sono definiti, per antonomasia, giustizia di Dio; in 6,7 subentra la virt della giustizia; e in 6,14 si riscontra lantitesi tra la giustizia e lempiet (p. 49), dovendosi porre anche la questione su che cosa intende Paolo con la diaconia della giustizia che utilizza per definire il proprio ministero (p. 48). Le questioni dinteresse canonistico sono pi duna, riguardando espressamente la giustizia, pi che la giustificazione.

a) Primariamente si tratta dellevangelico ministero della giustizia (2Cor 3,9) contrapposto al mosaitico ministero della condanna, anticipo indiretto della tensione tra annuncio cristiano e Legge mosaica. Scrive lautore, senza lasciare spazio ad elucubrazioni inutili e false deduzioni:

Si tratta di nuovo di un ministero che produce la giustizia e quindi oggettivo o che nasce dalla giustizia o dalla giustificazione? La relazione con la precedente diaconia dello Spirito (2Cor 3,8) chiarifica che ora subentra la diaconia ingenerata dalla giustificazione in Cristo per mezzo dellazione dello Spirito. Per questo il genitivo la diaconia della giustizia non pi oggettivo, come per la diaconia della condanna o della morte, ma soggettivo in quanto generato dallo Spirito che opera nella giustificazione dei credenti. Nuovamente lo Spirito si trova allorigine della giustificazione/giustizia e rende capaci del ministero o dellapostolato. [] Pertanto lapostolato in quanto diaconia o servizio che nasce dalla giustificazione pone di nuovo laccento sullazione dello Spirito (cfr. 1Cor 6,11) da cui deriva il ministero per la parola di Dio (cfr. 2Cor 2,17) o per lEvangelo (p. 58-59).

b) Viene poi la questione che riguarda i fedeli visti come giustizia di Dio (2Cor 5,21):

Come per 1Cor 1,30, la giustizia divina non forense, n distributiva, ma assume una fondamentale accezione salvifica. E in tale connotazione risalta la relazione tra la giustificazione e la riconciliazione in 2Cor 5,11-21. [] La giustizia non una semplice dichiarazione sulla nuova condizione umana, ma esprime un percorso salvifico compiuto in modo paradossale da Dio (p. 52-53).

c) Altro tema significativo – seppure incidentale – sono le armi della giustizia (2Cor 6,7) facilmente associabili alla virt cardinale. Secondo lautore

la giustizia menzionata di passaggio in 2Cor 6,7 non la giustificazione donata da Dio, ma la virt della giustizia, vista come armatura per la propria partecipazione alla battaglia per la fede. Per questo le armi della giustizia non sono le armi funzionali (genitivo oggettivo) o ricevute dalla giustizia/giustificazione (genitivo soggettivo), bens le armi che sidentificano con la virt della giustizia (genitivo epesegetico o attributivo) (p. 54-55).

Si tratterebbe, tuttavia, di una metafora (p. 55) utilizzata anche altrove (cfr. Ef 6,14 – p. 188) per indicare una dimensione etico-comportamentale pi spirituale (nel contesto della panoplia o militia Christi p. 54) che non semplicemente umana, comՏ la virt cardinale  (v. infra).

d) Ampliativa dellintera tematica sulla giustizia e la sua corretta interpretazione (sic!), non solo neotestamentaria, si presenta la contrapposizione di 2Cor 6,14 tra giustizia (= dikaiosýnē) ed empiet (= anoma) in una prospettiva chiaramente teologico-spirituale e non semplicemente etico-sociale/umana (v. supra).

La domanda retorica che la comunica pone laccento sulla loro incompatibilit. In caso diverso la giustizia si contamina dellempiet. Per questo tra la giustizia e lempiet non cՏ alcuna relazione o partecipazione (metoch). Dunque la giustizia a cui si accenna in 2Cor 6,14 presenta sia caratteri identitari, come in 2Cor 5,21, sia caratteri etici, come per 2Cor 6,7, contro quanti separano in modo netto luna dallaltra. La duplice prospettiva diventer pi chiara con lasserzione di Rm 6,19 dove Paolo ricorda che, mentre in passato i credenti prestavano le loro membra come schiave per limpurit in vista dellempiet, ora sono esortati a prestarle come schiave della giustizia in vista della loro santificazione. Si comprende bene che, poich si giustificati per pura Grazia, si esortati a non contaminare la propria condizione di giustificati con lempiet (p. 56).

Per il canonista il tema si fa ampio – ben oltre la proposta dellautore – chiamando immediatamente in gioco anche il termine giusto (= luomo giusto) nella sua portata primariamente religiosa. Il giusto contrapposto allempio – anzich allingiusto – designa infatti una categoria daltro genere e portata: si tratta del non-empio, pertanto il pio, colui che – come Giuseppe di Nazareth (cfr. Mt 1,19) – segue il comando / la volont di Dio.

e) Incrementale per la comprensione in chiave teologico-spirituale anzich etico-sociale della giustizia praticata dai credenti (v. supra) risulta anche luso di dikaiosýnē in 2Cor 9,9-10 a riguardo della c.d. colletta per la Comunit cristiana di Gerusalemme (che lautore – autonomamente – chiama raccolta della giustizia – p. 61). A riguardo della doppia menzione della giustizia attribuita al (futuro) donante, si legge nel volume:

la giustizia che rimane per sempre ricalca lagire gratuito del Signore poich non si regge sul dare a ciascuno il suo, ma su una generosit che non sattende il contraccambio del povero. Alla generosit gratuita delluomo giusto risponde lazione del Signore, a cui si allude in 2Cor 9,10 (p. 63).

In tal modo: sebbene a prima vista si potrebbe pensare a una giustizia distributiva, propria di chi elargisce i propri beni ai poveri per aderire a un principio di eguaglianza sociale,

in realt in questione non una giustizia equanime o di perequazione economica, ma la giustizia generosa e gratuita che si lascia coinvolgere dalle indigenze altrui per cercare di colmarle. Di fatto i poveri di Gerusalemme non saranno mai in grado di corrispondere in danaro ai sostegni economici inviati dalle Comunit paoline, ma saranno sempre grati per un tale inenarrabile dono (cfr. 2Cor 9,15). La giustizia gratuita di Dio si riflette in quella dei credenti che, diventati giustizia di Dio in Cristo (cfr. 2Cor 5,21), producono una giustizia corrispondente nelle loro scelte etiche: una giustizia che resta per sempre e che il Signore fa crescere giorno per giorno, sino allincontro finale con lui. Il commento pi appropriato al raccolto che nasce dallessere stati giustificati per Grazia si trova nella Lettera ai Filippesi dove Paolo augura ai destinatari che siano in grado di distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi del frutto (karpon) della giustizia per mezzo di Ges Cristo, a gloria e lode di Dio (Fil 1,11) (p. 64).

La non equivocabilit del significato ed uso del termine in senso etico-sociale sancita dalla conclusione secondo cui:

La gratuit della giustificazione non appartiene soltanto alla sfera divina, che lascia i credenti come semplici ricettori, ma si travasa nella giustizia di chi partecipa alla colletta per i poveri di Gerusalemme. In tal senso la netta separazione tra la giustificazione divina e la giustizia umana non trova riscontro nellesortazione a favore della colletta, poich questultima non corrisponde alleguaglianza sociale di chi distribuisce a ciascuno quel che gli spetta, ma scaturisce dalla generosit di chi opera a causa della gratuit con cui stato giustificato (p. 65).

f) Questione finale non meno significativa, luso del termine che lApostolo fa in 2Cor 11,15 chiamando servitori di giustizia gli pseudo-apostoli che stanno turbando la Comunit di Corinto diffamando lo stesso Paolo. In merito va osservato che, seppure a prima vista lespressione ministri di giustizia (dikonoi dikaiosýnēs) potrebbe essere intesa nella stessa traiettoria della diaconia della giustizia con cui Paolo ha definito il proprio ministero [] (cfr. 2Cor 3,9) (p. 60), nondimeno poco prima gli stessi erano stati definiti come operai fraudolenti [] che si mascherano da Apostoli di Cristo (cfr. 2Cor 11,13-14) cosicch lattenzione andrebbe rivolta alle intenzioni fraudolente con cui stanno operando nella Comunit di Corinto. [] Lelenco degli abusi (cfr. 2Cor 11,20), con cui gli avversari si comportano a Corinto, conferma tale ipotesi (p. 61).

Pertanto, anche se lespressione pu richiamare la diaconia della giustizia, a cui Paolo ha accennato in 2Cor 3,9, ora subentra la falsa giustizia con cui i suoi avversari sfruttano, divorano e umiliano i Corinzi, facendosi sostenere per la loro predicazione di Cristo, segnata dal do ut des e non dalla gratuit. In tal senso gli avversari di Paolo si mascherano da ministri giusti o equanimi, ma operano con dolo e sfruttano le Comunit paoline. La diversa accezione del ministero della giustizia per 2Cor 3,9 e dei ministri giusti in 2Cor 11,15 evidenzia limportanza della Retorica epistolare per interpretare espressioni analoghe, ma con accezioni diverse (p. 61).

Nella stessa linea lApostolo si era mosso in 2Cor 7,2 quando affermava di non aver arrecato ai Corinzi alcuna ingiustizia (ēdikēsamen) con la propria condotta in mezzo a loro (cfr. p. 57) e quando, polemicamente, in 2Cor 12,13 chiama ingiustizia (adika) il proprio comportamento di totale gratuit a Corinto.

4.3 Giustificazione e figliolanza divina (pp. 66-99)

Linteresse del canonista per la giustizia nella Lettera ai Galati (che costituisce il vero casus belli dellintera problematica affrontata nel volume) risulta piuttosto limitato, poich lattenzione sia dellApostolo che dellesegeta e teologo si concentrano non tanto sulla dikaiosýnē The di cui il credente finir per godere (= la tematica sin qui trattata) ma sui suoi veri presupposti: il dilemma sulla giustificazione (p. 75). lalternativa sulle vie della giustificazione: se per le opere della Legge o la fede in Cristo (cfr. Gal 2,16) (p. 66); questione essenzialmente teologica che difficilmente raggiunge con immediatezza gli ambiti giuridici come tali.

La posizione dellApostolo delle genti chiara: Dio giustifica non per mezzo delle opere qualificate dalla Legge o per le tradizioni dei padri dei diversi movimenti giudaici, ma per la fede in Ges Cristo (p. 79); infatti: Se la giustificazione si realizzasse mediante la Legge, la morte di Cristo e la Grazia di Dio sarebbero inutili (p. 83).

In tale dinamica il tema della giustizia acquisisce nuova forza divenendo, se cos pu dirsi, il vero oggetto dellintera discussione ed argomentazione sul tema: la giustizia attribuita da Dio – per primo – ad Abramo e poi ai credenti in Cristo, veri discendenti del Patriarca nella fede, anzich nella carne (della circoncisione).

Nel dettato di Paolo la citazione di Gen 15,6 assume il ruolo principale sulla relazione tra la fede e lattribuzione della giustizia poich volge in positivo la citazione indiretta di Sal 142,2 (LXX) in Gal 2,16 che assumeva un ruolo negativo: se da un lato dalle opere della Legge non sar giustificata nessuna carne (Gal 2,16), finalmente dallaltro Abramo credette a Dio e gli fu accreditato per la giustizia (p. 86).

In tale prospettiva sinnesta poi il discorso sulla funzione della Legge mosaica (cfr. Gal 3,21):

Il termine dikaiosýnē, che corrisponde alla giustificazione, e non semplicemente alla giustizia assume di nuovo una funzione di metonimia o dellastratto al posto del concreto. Di fatto il sostantivo giustificazione sostituisce il verbo giustificare (p. 90).

La conclusione, teologica, che rasserena il canonista innanzi alla complessit delle problematiche affrontate, riequilibra lintero approccio:

In base alla sua disposizione retorica epistolare, il cratere principale dellEvangelo per Galati non la giustificazione, nonostante vi siano studiosi che continuano a sostenerne la centralit, pi per partito preso che per dimostrazione, ma la figliolanza abramitica e divina. Non che la giustificazione sia periferica, ma funzionale alla figliolanza, tantՏ che quando subentra lalternativa sul tipo di figliolanza – se della schiava o della libera (cfr. Gal 4,21-5,l) – la figliolanza occupa la scena centrale e non si parla pi della giustificazione (p. 97).

4.4 La giustizia di Dio, centro dellEvangelo (pp. 100-176)

Il corpo centrale del volume dedicato alla trattazione del pezzo grosso dellepistolario paolino in termini di giustificazione: la Lettera ai Romani, nella quale lApostolo, rispondendo a situazioni concrete provocate nelle Chiese domestiche di Roma (p. 101), lungi dal proporre un trattato teorico o generale sulla dottrina della giustificazione (p. 101), cerca di chiudere la partita impostandola direttamente sul legame inscindibile tra lEvangelo e la giustizia di Dio (p. 101), visto che sulla figliolanza abramitica dei giudeo-cristiani di Roma non ci sono gli stessi problemi che su quella dei Galati, pagano-cristiani.

Tra i primi elementi testuali da osservarsi per il canonista, si colloca lestensione – e complicazione – del vocabolario della giustizia:

Il sostantivo dikiōma che si trova soltanto in Romani per le Lettere paoline assume diversi significati, in dipendenza del contesto in cui riportato. In Rm l,31 si riferisce non a la giustizia di Dio introdotta in Rm l,17, bens al giudizio di Dio che con la sua collera entra in conflitto con lingiustizia (adika) umana (p. 114).

Rispetto alla tematica della giustizia, quella di Rm 3,21-4,25 la dimostrazione che vede la maggior concentrazione del sostantivo dikaiosýnē e il relativo campo semantico per la Lettera ai Romani (p. 121).

Mai come di fronte a tale cognizione della giustizia di Dio risalta che essa non una qualit di Dio, distinta dalla sua azione, ma che giustizia e giustificazione equivalgono (p. 125).

In tal modo illustrato ancora una volta il significato di dikaiosýnē (vv. 17.21), dikiōma (vv. 16.18) e dikiōsis (v. 18). I tre termini sono commutabili e le variazioni tra luno e laltro sono di semplice natura stilistica a causa della commoratio che domina il paragrafo (p. 141).

Tralasciando, come gi sopra, la componente pi esegetico-teologica dello studio dellautore e delle soluzioni proposte, risulta dinteresse per il canonista levidenziare come anche allinterno di discussioni (fittizie/retoriche) cos accese proprio in tema di giustificazione, lApostolo faccia tuttavia uso anche di altre categorie metaforiche (ausiliarie) per dire la salvezza cristiana ponendo in gioco – come gi in 1Cor 1,30 – la dinamica del riscatto, realizzato gratuitamente per la sua Grazia. Si tratta di un passo avanti che pone ulteriori ostacoli alle troppo facili connessioni tra Diritto (canonico) e giustizia (etico-sociale/virt umana) poich comporta il rifiuto della logica retributiva, come evidenzia lautore.

Corrispondente della giustificazione non la retribuzione, come invece per il giusto giudizio finale, ma la Grazia divina segnata dal paradosso. In tale orizzonte il riscatto e la giustificazione stanno e cadono insieme perch sono accomunati dalla Grazia. Dunque marcato il contrasto tra la rivelazione della collera e quella della giustificazione: sono incompatibili perch la prima risponde alla logica della retribuzione, la seconda a quella della Grazia (p. 123).

La metafora del riscatto serve a Paolo in questa circostanza per dare maggior concretezza e consistenza effettiva allevento salvifico – gratuito – realizzato da Dio per mezzo di Cristo; in questottica infatti

si comprende bene che la giustificazione tuttaltro che una semplice dichiarazione: in diversi casi, come quello di Rm 6,7, sinonimo di riscatto o liberazione da qualcuno o da qualcosa (p. 145).

Pertanto, fermo restando che la giustificazione rimane dono della Grazia divina in Cristo [], i credenti sono esortati a servire la giustificazione, ricevuta per Grazia, come le membra di un esercito per una battaglia a cui devono partecipare ogni giorno, sino alla definitiva partecipazione della risurrezione di Cristo (p. 146).

Lampliamento della metafora-concetto della dikaiosýnē attraverso il riscatto, si manifesta non occasionale con la successiva sottolineatura che lautore fa (in riferimento a Rm 8,28-30) della

contiguit tra i verbi chiamare, giustificare e glorificare: la chiamata realizzata da Dio in Cristo funzionale alla giustificazione e questa si chiude con la glorificazione o la divinizzazione degli esseri umani. Ancora una volta, a motivare la giustificazione non una giustizia distributiva o equanime, ma la chiamata originaria di Dio che eleggendo giustifica e giustificando glorifica (p. 158).

Un ultimo accenno dinteresse giuridico offerto dalle considerazioni sulluso di dikaiosýnē in Rm 14-15. In proposito lautore afferma che

non ha senso pensare alla giustizia sociale per il contesto di Rm 14,7 poich in questione non lequit tra i forti e i deboli, ma laccoglienza reciproca, improntata alla modalit con cui Cristo ha accolto gli uni e gli altri (cfr. Rm 15,7). [] Come per la partecipazione alla colletta per i poveri di Gerusalemme, sotto valutazione non lequit nella giustizia sociale, ma leffetto che produce la gratuit della giustificazione in Cristo (p. 174).

4.5 Conformazione e giustificazione dalla fede (pp. 177-184)

Lautore dedica una particolare attenzione alla Lettera ai Filippesi, intravista come prosecuzione ideale delle trattazioni di Galati e Romani, redatta tuttavia in modalit preventiva rispetto al possibile insorgere anche in quella Comunit delle medesime problematiche (p. 34), anche se la Lettera stata inviata non per chiarire alcuni contenuti dellEvangelo, ma per sostenere i destinatari nella diffusione dellEvangelo (cfr. Fil 1,12) (p. 177).

Dinteresse canonistico linterpretazione della formula frutto di giustizia (Fil 1,11), alla quale lautore dedica specifica attenzione chiedendosi se si tratti del frutto che consiste nella giustizia (genitivo oggettivo), della giustizia in quanto frutto (genitivo epesegetico o attributivo) o della giustizia che produce il suo frutto (genitivo soggettivo) (p. 178). Non solo la sua conclusione in merito chiara sotto il profilo esegetico e teologico: Ǐ preferibile pensare alla giustificazione in Cristo che ha iniziato a produrre il suo frutto (genitivo soggettivo) con il sostegno economico per Paolo in prigione (p. 178-179), ma anche al canonista viene offerta unulteriore via di fuga dalle semplificazioni – letteralistiche – sempre incombenti.

A prima vista poich del frutto della giustizia parla gi il profeta Amos, si potrebbe pensare a una giustizia sociale anche per Fil 1,9-10. [] In realt non soltanto il contesto, ma anche il contenuto del frutto della giustizia diverso in Fil 1,9-10. In questione non una giustizia sociale, fondata sui diritti umani dei poveri, bens quanto con gratuit e generosit i Filippesi hanno fatto recapitare a Paolo in prigione. Per questo ci troviamo di fronte al frutto della giustificazione: giustificati per Grazia, i credenti si fanno carico delle necessit dei poveri e di Paolo con una gratuit corrispondente. Il miglior commento alla giustificazione che produce il frutto del sostegno economico nei confronti di Paolo si trova in uno dei detti di Ges: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8). Pertanto la gratuit originaria della giustificazione diventa gratuit nella risposta etica dei credenti che, senza cadere nella logica del dare per ricevere o del do ut des, partecipano cos alla diffusione dellEvangelo (p. 179).

Lidea (= la certezza!) ripresa alla fine delle considerazioni (molto pi ampie) sulla missiva paolina:

A ritroso il frutto della giustizia, che ha introdotto la Lettera (cfr. Fil 1,11), non designa la virt, n il valore della giustizia sociale, ma quel che capace di produrre la giustificazione fondata sulla fede o sulla Grazia (p. 184).

4.6 Giustificati per la sua Grazia (pp. 185-199)

Terminato lapprofondito esame delle Lettere autoriali di Paolo, lautore completa il proprio studio con ci che, a proposito della dikaiosýnē, emerge anche dalle due successive tradizioni paoline (p. 185) che rimodulano, a modo loro e secondo necessit, la tematica nei decenni successivi sia alla morte dellApostolo che alla caduta di Gerusalemme, sancendo la definitiva frattura del cristianesimo col giudaismo e le problematiche connesse: il dilemma fede/Legge, in primis.

Linizio del capitolo ottavo del volume precisa da subito che la tematica della giustificazione manca del tutto in 2 Tessalonicesi e Colossesi, mentre ripresa con una traiettoria diversa nella Lettera agli Efesini e nelle Lettere pastorali (p. 185); evidentemente per le Comunit che si riflettono nelle Lettere della prima tradizione paolina, gli interrogativi sulla giustificazione hanno perso di mordente e non richiedono dessere ripercorsi, n tanto meno interpretati (p. 189). Lassenza della tematica, tuttavia, non significa lassenza anche dellutilizzo della semantica connessa.

a) Un primo caso quello di Col 4,1 in cui, allinterno del c.d. codice domestico, si esortano i padroni a rendere ai loro schiavi quel che giusto (t dikaon) ed equanime. In tal caso laggettivo t dikaon ha unaccezione sociale e corrisponde alla virt dellequit (p. 185, nota n. 1). Si tratta, probabilmente, dellunica ricorrenza di tale accezione del lemma (almeno) nellepistolario paolino; un dato non inutile al giurista canonico (v. infra).

b) Un secondo uso del vocabolario della giustificazione – vocabolario e non pi metafora (teologica) – appare in 2Ts 1,5 a proposito del giusto giudizio di Dio (dikaiokrisa) che con il linguaggio tipico dellapocalittica giudaica (p. 186) Paolo evoca come esito finale della storia.

La prospettiva quella della giustizia retributiva inversa: a coloro che perseverano per la fede nella tribolazione riservata lappartenenza al Regno di Dio, mentre la tribolazione sar ricambiata per coloro che li affliggono. Pi che essere resi degni, i credenti che perseverano nella fede sono considerati degni del futuro Regno di Dio (p. 186).

c) Dikaiosýnē appare anche in Ef 4,24 dove i destinatari sono esortati a rivestirsi delluomo nuovo, creato secondo Dio, nella giustizia, la santit e la verit.

Nellottica delluomo nuovo la dikaiosýnē, menzionata in Ef 4,24, non corrisponde pi alla giustificazione, come in genere per le Lettere autoriali, n tanto meno alla giustizia sociale, ma alla volont o al disegno divino nella creazione delluomo nuovo. In tal senso la giustizia a cui si accenna in Efesini pi vicina a quella del Ges di Matteo (cfr. Mt 5,6.20; 6,33) che alla giustificazione per Paolo (p. 187).

Nondimeno, per il canonista rileva losservazione che: Luso della coppia giustizia e santit in contesti diversi come in 2Ts 2,10; Tt 1,8; Lc 1,75 e Ap 16,5 conferma lorizzonte etico o valoriale della giustizia in Ef 4,24 (p. 187) (v. infra).

d) La giustizia ritorna in Ef 5,9 nelle indicazioni per la vita cristiana:

Siamo nel risvolto antropologico della stessa giustizia menzionata in Ef 4,24: se la giustizia, con cui stato creato luomo nuovo, la volont di Dio, al credente chiesto di comportarsi come figlio della luce, capace di produrre il frutto della luce con ogni giustizia o discernimento della volont divina che corrisponde a quel che gradito al Signore (p. 188).

Nella stessa linea sostanziale, Ef 6,14 ripropone unimmagine gi nota: la corazza della giustizia, figura apparentemente stimolante per il canonista. Anche in questoccasione, tuttavia, lautore rifiuta lapproccio pi immediato:

A prima vista poich lesortazione dettata nel contesto della panoplia o dellarmatura per la battaglia, si potrebbe pensare alla virt della giustizia derivante dalla condizione giustificata del credente, come per 2Cor 5,21-6,79. In realt, tale accezione della giustizia ignorata in Efesini, dove peraltro manca del tutto il verbo giustificare (dikaiō) (p. 188).

Al contrario, ricuperando la componente teologico-spirituale della virt, anzich quella etico-sociale, lautore precisa:

In tale contesto la corazza della giustizia la virt richiesta al credente per la lotta contro il male, in adesione alla volont divina. [] Il linguaggio metaforico, ma esprime bene la lotta che i credenti devono sostenere per realizzare la volont di Dio contro qualsiasi prevaricazione del male (p. 189).

e) Da ultimo, non senza apporti ai quali il canonista dovr riservare attenzione (v. infra), la valutazione delle Lettere indirizzate a Comunit (anzich a singoli, v. infra) pu concludere che

la Lettera agli Efesini sembra ignorare la cognizione della giustificazione per la fede, spostando lattenzione sulla giustizia intesa come volont di Dio, a cui i credenti sono esortati a rispondere nella lotta contro il male. Sintomatico a riguardo lo spostamento dallalternativa per la giustificazione a quella per la salvezza in Ef 2,8-9. [] La distinzione tra la salvezza pi sviluppata nelle Lettere della tradizione e la giustificazione che non occupa alcuna rilevanza per Colossesi ed Efesini sintomatica (p. 189).

f) Il cambio di registro gi segnalato per le Lettere pastorali offre al canonista nuovo materiale di sicuro interesse, visto che le Lettere pastorali sono, tra laltro, accomunate dalla virt della giustizia (p. 196). cos che in riferimento specificamente a 1Tm 6,11 e 2Tm 2,22 pu giungere a chiusura il discorso – lasciato sin qui in sospeso lungo queste note – riguardante la giustizia come virt. Nelle Lettere pastorali, infatti risaltano le formule incentrate sulla ricerca della giustizia e i cataloghi delle virt che comprendono la giustizia (p. 196); per due volte si raccomanda a Timoteo di perseguire la giustizia (p. 196).

In entrambe le occasioni la giustizia introduce la lista delle virt raccomandate a Timoteo. [] Il retroterra profetico permette di considerare la giustizia in una traiettoria analoga a quella che abbiamo riscontrato nella Lettera agli Efesini (cfr. Ef 4,24; 5,9). In quanto esemplare uomo di Dio, a Timoteo raccomandato di perseguire la giustizia che la volont di Dio e sincarna nelle relazioni interpersonali. Per questo in entrambe le formule, le liste delle virt introdotte dalla giustizia riguardano le relazioni con Dio e con il prossimo. Il duplice versante sulla giustizia come valore e virt raccomandato allEpiscopo della Comunit cristiana. [] Paolo presentato come lideale uomo di Dio che persegue la giustizia o la volont di Dio (p. 197).

In merito giova segnalare che

il livello etico della giustizia si distanzia da quello divino della giustificazione, dallaltra chi persegue la giustizia non ha timore di comparire davanti a Dio e a Ges Cristo, che verr a giudicare i vivi e i morti (cfr. 1Tm 4,1). [] Per inverso, la giustizia intesa come ricerca della volont divina o di quanto gradito a Dio (p. 198).

5. Note conclusive

Il percorso rettificato – come lo chiamerebbe un cartografo – sin qui tracciato per i canonisti, semplificando significativamente le complesse pagine di alta Esegesi e Teologia del volume del prof. Pitta sul tema della giustificazione (dikaiosýnē) nellepistolario paolino, ha permesso di porre il lettore innanzi ad un puro dato di fatto: la domanda – retorico-polemica, alla san Paolo – su quanta giustizia si trovi nel Nuovo Testamento trova una risposta piuttosto imprevista per i pi: quasi nulla almeno stando al pi grande utilizzatore di tale terminologia. San Paolo, infatti, si distingue per limpego dei termini dikaiō, dikaios, dikaiosýnē per ben 102 volte, su 211 dellintero NT (poco meno della met delle ricorrenze totali degli stessi termini): un uso che alla giustizia intesa come virt cardinale/etico-sociale lascia meno di un palmo di mano di ricorrenze che difficilmente gli utilizzi negli altri scritti neotestamentari potranno sovvertire statisticamente (indagine che rimane, comunque, del tutto aperta). Non solo questo, tuttavia.

Il complesso volume ha messo in luce alcuni fattori che richiedono specifica attenzione da parte del canonista che intenda approcciare il tema della giustizia divina in connessione al Diritto canonico (ambito tipico della Teologia del Diritto canonico).

a) La prima attenzione riguarda la costante necessit di delineare senza ambiguit il corretto significato da attribuire a dikaiosýnē, tra giustizia e giustificazione e non solo.

b) La seconda attenzione da esercitare – subordinata alla precedente – riguarda poi la corretta identificazione del tipo di giustizia di cui si tratta di volta in volta: se [a] quella di Dio e, nel caso, quale tra quella salvifica intrastorica (riconducibile, a sua volta, al nomen actionis della giustificazione) e quella escatologica, oppure [b] quella – conseguente – richiesta agli uomini quale corrispondenza alla salvezza gratis data, individuata in chiave etica (= la virt), di peculiare interesse per i canonisti.

c) In questultimo caso, nondimeno, rimane necessario individuare correttamente quale sia la virt in oggetto: se [a] quella umana/etico-sociale normalmente indentificata con la virt cardinale della cultura greco-romana, la c.d. giustizia distributiva inter homines, oppure [b] quella teologico-spirituale coram Domino, maggiormente rilevante a livello scritturistico, identificabile con la conformit alla volont divina (Ef 4,24; 5,9; 6,14; 1Tm 6,11; 2Tm 2,22; 3,16).

d) infatti questa che qualifica, nella maggior parte dei casi biblicamente rilevabili, lessere giusti rispetto allessere empi, entrando a partecipare anche delle dinamiche connesse al dilemma tra accoglienza spirituale della volont divina ed osservanza materiale dei (suoi) precetti.

Il percorso qui laboriosamente tracciato, lungi dal liquidare una tematica di cos grande spessore e portata sotto il profilo contenutistico, ha cercato di offrire un esempio operativo della concretezza della vocazione (ed identit) pi profonda della Teologia del Diritto canonico nella sua concezione metodologica di crinale tra gli ambiti scientifici della Teologia e della Canonistica.


in: RICERCHE TEOLOGICHE, XXXI (2020), vol. 1, 171-198