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Compendio di Diritto amministrativo canonico. Note ad una proposta teoretica

Il “Compendio di Diritto amministrativo canonico” recentemente pubblicato dalla Pontificia Università della S. Croce, pur presentandosi come la traduzione italiana del “Compendio de Derecho administrativo canónico” edito da EUNSA (Pamplona) nel 2001, va tuttavia considerato quale seconda edizione aggiornata della precedente, poiché «in occasione della revisione del testo tradotto, gli autori hanno aggiunto i necessari cambiamenti e aggiornamenti rispetto alla versione in lingua spagnola» (p. 20).

La struttura –di stampo didattico– in dieci Lezioni, si articola in tre Parti di cui la centrale occupa la maggior estensione (pp. 83-286; 6 Lezioni). La prima Parte (Funzione amministrativa e Amministrazione pubblica ecclesiastica) funge da introduzione teoretico-sistematica per l’intera opera, e per la materia amministrativistica come tale; la seconda Parte (Attività giuridica dell’Amministrazione ecclesiastica) sviluppa le tematiche istituzionali e tecniche della materia, soprattutto in riferimento agli atti amministrativi; la terza (Il sistema dei ricorsi contro gli atti amministrativi) affronta una delle tematiche specifiche di maggiore importanza tecnica ed operativa.


Le prime Lezioni sono le più interessanti sotto il profilo dottrinale in quanto, impostando l’intera materia, ne illustrano presupposti e fondamenti, mostrando quale sia la concezione di Diritto amministrativo canonico cui gli autori fanno riferimento, oltre che l’Ecclesiologia presupposta. Sarà questa anche la nostra ottica principale, non essendo opportuno in questa sede avventurarsi in disquisizioni espressamente tecniche.

I) Si parte dal settimo principio di revisione codiciale per introdurre la necessità sociale e politica della separazione dei poteri, appoggiandosi anche alle c.d. Encicliche sociali ed al “Catechismo della Chiesa Cattolica” per giustificare ab extrinseco la necessità di ‘ordinare’ la vita socio-comunitaria degli uomini e, quindi, le funzioni dell’autorità pubblica in generale. Si conclude evidenziando «tre ordini di esigenze naturali della vita sociale: stabilire norme generali che la ordinano, decidere e realizzare quanto necessario per perseguire il bene pubblico nelle situazioni concrete e amministrare la giustizia per risolvere le controversie» (pp. 25-27).

Il classico riferimento (parziale) a LG 8 offre la possibilità di assumere la Chiesa come ‘società’ in modo da fondare il ricorso alla «tripartizione [dei poteri] comune nella Filosofia politica». La distinzione tra le tre ‘funzioni’ della pubblica autorità/potestà conduce poi ad evidenziare l’amplissima e multiforme articolazione e portata della funzione amministrativa ecclesiale, la cui importanza viene messa in risalto –addirittura– per via ‘sacramentale’, tanto in riferimento alla Chiesa (LG 1) che alla reale ‘gestione’ dei mezzi che «sono stati posti nelle mani dei sacri pastori affinché li custodiscano e li amministrino» nel contesto di un Popolo di Dio che «si presenta in questo mondo come una società gerarchicamente strutturata di modo che la Gerarchia e gli altri fedeli svolgano funzioni diverse […] in ordine alla stessa missione della Chiesa». Alla base delle varie articolazioni della potestà pubblica della Chiesa e della sua stessa strutturazione ed organizzazione vanno tuttavia riconosciute non solo esigenze e soluzioni ‘umane’ (sociologiche o politiche) ma la peculiare presenza di elementi immutabili (poiché struttura essenziale, di Diritto divino) e mutabili (poiché storicamente sviluppati) (pp. 28-34).

Si passa poi all’Amministrazione ecclesiastica non solo come ‘funzione’ ma anche quale vero ‘soggetto’, in una prospettiva che –didatticamente– viene introdotta in parallelo con la P.A. statuale. L’Amministrazione pubblica ecclesiastica è proposta come vero soggetto canonicamente rilevante, pur nella sua differenziazione dalla ‘semplice’ Gerarchia ecclesiastica, della quale rappresenta solo una funzione (a differenza degli Stati). Per contrappunto rispetto alle categorie proprie delle Scienze dell’organizzazione si descrivono poi le peculiarità della ‘organizzazione’ canonica, profondamente condizionata dalla natura non subordinata delle Chiese particolari (pp. 34-50).

Si giunge quindi a definire il Diritto amministrativo canonico come «le norme giuridiche positive che formalizzano e reggono tecnicamente sia la composizione sia l’attività dell’Amministrazione», nell’ottica di E. Labandeira secondo cui «il Diritto amministrativo canonico è il Diritto dell’amministrazione pubblica e della funzione amministrativa della Chiesa», includendo tuttavia anche «tutte le attività di gestione pubblica» (pp. 50-52).

Ne emerge l’impressione di un procedere su base deduttiva a partire dal presupposto societario, acquisito e non dimostrato se non evocativamente (o forse presupposto nello Ius Publicum Ecclesiasticum?). In tal senso la soggettivizzazione della “Pubblica Amministrazione Ecclesiastica” pone seri problemi sotto il profilo ecclesiologico e, quindi, radicalmente fondativo; tale soggettivizzazione infatti non fuga le ombre di una societas inequalium articolata in Ecclesia regnans et Ecclesia obœdiens. Si pone inoltre il problema della distinzione di buona parte di ‘questo’ Diritto amministrativo canonico rispetto alla semplice strutturazione/organizzazione ecclesiastica propria del Trattato De Hierarchia, riducendo di fatto la vita ecclesiale a struttura ed azione gerarchica.

II) La seconda Lezione s’inaugura col linguaggio ‘ministeriale’ del Vaticano II (LG 24 e 27) affermando come «la funzione di governo è servizio», in una concezione ministeriale del governo ecclesiastico (LG 18) per cui i pastori devono edificare il gregge nella verità e nella santità (LG 27). Tale governo è quindi ‘ordinato’: ha una finalità costitutiva propria ed irrinunciabile «in forza della sua origine divina»; ne deriva (?) che «la dimensione giuridica della Chiesa è intrinseca». Si passa così al linguaggio ed alle istanze del c.d. Diritto costituzionale canonico, per giungere alla logica dei diritti e doveri fondamentali dei fedeli, tra cui emergerebbe quello –inespresso– al buon governo ecclesiastico. Il tutto in base a «principi ed esigenze di giustizia […] che stanno alla base della configurazione giuridica costituzionale del governo nella Chiesa e della tutela dei beni e dei valori ai quali si riferiscono». La traduzione giuridica della ministerialità del governo ecclesiastico è ricondotta al principio di legalità come superamento del libero arbitrio di chi governa, senza però che tale legalità indichi l’egemonia della Legge fine a se stessa ma la ‘stabilità’ del fine ecclesiale della salus animarum, anche di un solo singolo. Fondamento di tale principio è il riconoscimento dei diritti fondamentali dei fedeli, mentre la tripartizione delle funzioni le è solo strumentale (pp. 53-61).

Il desiderio di definire con precisione l’ambito d’azione dell’attività amministrativa attribuendone l’origine alla predeterminazione della Legge pare, però, confliggere di fatto con la (ribadita) competenza ‘residuale’ dell’attività amministrativa stessa. Una carrellata di «elementi principali della regolamentazione giuridica dell’attività dell’amministrazione nel CIC» completa la Sezione e la prima Parte dell’opera (pp. 62-78).

A fronte di una marcata –ed apprezzabilissima– ricerca di precisione nell’esposizione della materia, soprattutto per principi, si coglie però una ‘ipostatizzazione’ dell’Amministrazione (scritta con lettera maiuscola) inadeguata rispetto ai ricorrenti fondamenti conciliari della funzione di governo in chiave ministeriale cui si dice di riferirsi. Soggetti e referenti della trattazione non sono infatti pastori e popolo loro affidato ma una (impersonale) “Amministrazione” ed (eventuali) diritti fondamentali dei fedeli; l’insufficienza ecclesiologica già riscontrata non si ridimensiona, pertanto, nonostante i vari riferimenti conciliari.

III) La terza Lezione affronta il tema dell’attività normativa dell’Amministrazione ecclesiastica distinguendo –più che opportunemente– tra ‘atti amministrativi’ e ‘norme amministrative’ (pp. 85-89).

L’approccio alla funzione legislativa mette subito allo scoperto uno dei ‘nervi’ di questa impostazione di scuola: la giusta volontà infatti di distinguere il Diritto dalla Legge porta immediatamente all’incongruenza d’identificare ‘Diritto’ e ‘diritti’ (Law e rights). La funzione legislativa pare poi limitarsi alle caratteristiche di generalità ed astrattezza portando alla distinzione (innecessaria e foriera di confusione) tra Legge materiale e Legge formale (pp. 89-93).

Il tema dei Decreti generali legislativi (trattata più a partire dal Can. 30 che dal 29) crea più confusione che chiarezza, ponendo tutto sotto la categoria di Legge (formale) anche se delegata, mentre il Can. 29 li attribuisce propriamente al (solo) legislatore. Anche il rilancio alle Conferenze episcopali è sbilanciato nella linea della delega di potestà legislativa. Più chiare le considerazioni circa l’agire con delega legislativa da parte della Curia romana (pp. 93-100).

Interessante la posizione circa l’emanazione di Decreti generali esecutivi da parte del legislatore canonico, ritenuti propriamente Legge. Utile la distinzione tra Statuti in senso proprio e Leggi statutarie (pp. 100-110).

Il controllo di legalità dell’attività normativa è affidato alla razionalità delle norme, individuato nell’accordo con la realtà delle cose, la non contraddizione col Diritto divino (naturale o positivo), la non contraddittorietà alla realtà sociale e al bene comune. Frettoloso è l’accenno alla gerarchia delle norme, limitandosi poco più che alla Curia romana; buona, invece, l’osservazione circa «la mancanza di chiarezza formale nel momento in cui si emanano le norme». Ardito ma necessario il cenno alla possibilità di impugnazione delle norme amministrative illegittime (pp. 110-114).

IV) La trattazione specifica degli atti amministrativi singolari è preceduta da un’inserzione ‘atipica’ sull’attività contrattuale e sanzionatoria dell’amministrazione ecclesiastica, generalmente ignorata dalla sistematica dottrinale, ma quanto mai opportuna.

In effetti la P.A. ecclesiastica esercita attività contrattuale per procurarsi risorse strumentali per la propria azione, oppure intraprende attività secondo specifiche volontà ‘private’ (pie volontà e pie fondazioni), oppure ancora instaura collaborazioni volte a perseguire propri fini istituzionali (pastorali) (pp. 115-129).

In campo sanzionatorio la poca sistematicità del Diritto penale canonico finisce per attribuire all’Amministrazione svariate competenze, anche improprie. Si assiste così ad uno sbilanciamento sanzionatorio in chiave ‘penale’ che porta gli autori ad addentrarsi in questo campo specifico, lasciando però del tutto esclusi i c.d. abusi, che cadono espressamente sotto il dovere di vigilanza dell’Ordinario proprio (materia disciplinare). Una prospettiva più semplicemente ‘disciplinare’ avrebbe favorito, per contro, la chiarezza teoretica generale e la specificità degli interventi sanzionatori per via amministrativa (pp. 129-145).

V) Siccome l’Amministrazione ecclesiastica deve perseguire il bene pubblico ecclesiale, secondo le finalità che le sono proprie, operando d’ufficio e con immediatezza quanto le compete, lo strumento giuridico adatto a perseguire questi fini è l’atto amministrativo singolare (pp. 147-149).

Due le articolazioni di studio minuziosamente illustrate: l’atto amministrativo (pp. 150-165) ed il procedimento (pp. 165-185).

VI) Gli atti amministrativi si caratterizzano in base a specifiche “qualità giuridiche”: perfezione, efficacia, validità. Tale posizione risulta tuttavia non del tutto chiara –e forse anche parziale– sotto il profilo sistematico poiché, riducendo l’efficacia a semplice ‘attitudine’, finisce per porre come conclusiva la legittimità (o la validità). Se, invece, al vertice qualitativo si ponesse l’efficacia degli atti giuridici ecclesiali anziché la validità si ovvierebbe a questa difficoltà, seppure con una certa prevalenza delle “situazioni di fatto” rispetto alle ‘pure’ qualità giuridiche… (pp. 187-188).

Durata ed ambito oggettivo dell’efficacia (analizzando puntualmente i Cann. 36-39) (pp. 188-202) e trattamento codiciale dell’invalidità degli atti amministrativi e delle responsabilità dell’Amministrazione ecclesiastica articolano il resto della Lezione (pp. 202-216).

VII) La trattazione del Decreto (e del Precetto) singolare si svolge con meticolosità, in vista soprattutto della possibilità di urgerne l’applicazione, attuando anche una buona presentazione sistematica della materia, con un occhio indiretto alla prassi (pp. 217-239).

Anche quanto concerne l’ampio settore dei Rescritti (e delle Licenze) è puntualmente esposto secondo le precise statuizioni dei Canoni, in un contesto di organicità che permette di focalizzare bene la materia. Qualche piccolo esempio (indiretto) aiuta a rendersi conto della reale portata di previsioni normative che possano apparire troppo teoretiche (pp. 240-261).

VIII) L’ultima Lezione della seconda Parte è dedicata al ‘contenuto’ dei Rescritti: Grazie, Privilegi e Dispense.

È Grazia «la concessione da parte dell’autorità che dà origine a una determinata situazione avente rilevanza giuridica […] ritenuta favorevole, in quanto amplia la sfera giuridica di colui che ne beneficia» (pp. 263-269).

Interessante la sistematizzazione del Privilegio, «che non è una norma, e neppure un atto amministrativo». La differenza con la Dispensa emerge a livello di ‘causa’: il Privilegio conferisce un ‘diritto’ (permanente), mentre la Dispensa una semplice Grazia ‘attuale’ ed ‘episodica’ (pp. 269-275).

Anche la trattazione della Dispensa risulta molto articolata, con una buona sistematizzazione teoretica dell’istituto, tanto da un punto di vista oggettivo che soggettivo; non altrettanto evidente e fondata appare, invece, la sua (doppia) presentazione come «concessione di un diritto ad agire contra legem» (pp. 275-296).

IX) L’introduzione teoretica sui ricorsi amministrativi è piuttosto stringata e non priva di qualche semplificazione quando ricorre al termine “danneggiato” per indicare il soggetto di tale procedura. La prospettiva generale proposta, poi, appare indirizzata soltanto verso il Ricorso gerarchico come tale, trascurando –a livello sistematico generale– la specifica natura e portata di quanto previsto dal CIC quale prima possibilità di ‘reazione’ all’atto amministrativo singolare (pp. 301-303).

Sotto il profilo teoretico rimane una certa ‘tensione’ tra elementi quali ‘danno’, ‘diritto soggettivo in senso stretto’, ‘situazione giuridica degna di tutela’, palesando un’evidente difficoltà ad uscire dallo schema di ‘tutela giuridica dei diritti’ verso una prospettiva maggiormente ‘pastorale’, nonostante si evochi anche un «orientamento profondamente personalista delle istituzioni giuridiche» (pp. 303-313).

La presentazione procedurale dei Cann. 1733ss appare carente di visione sistematica, ponendo in semplice sequenza codiciale i diversi elementi ‘previ’ al Ricorso gerarchico: la mediazione e la richiesta di revoca o correzione dell’atto. Marcatamente carente sotto il profilo teoretico generale è la considerazione della ‘petitio/supplicatio’ quale “semplice domanda” col fine di “avvertire l’autorità” dell’intenzione d’impugnare l’atto amministrativo in oggetto. La questione non risulta rilevante per gli autori poiché «non si instaura ancora una lite giuridica, vale a dire un contraddittorio tra l’autorità e l’interessato», dimostrando in tal modo che la visione sottesa –tipicamente contenziosa– non riconosce concretamente a questa ‘prima fase’ alcuna portata o consistenza giuridica ‘propria’. Meticolosa ed arricchita rispetto alle statuizioni codiciali è, invece, la parte che riguarda l’attività presso il Superiore gerarchico, per quanto orientato quasi solo alla Curia romana (pp. 313-332).

La nona Lezione si chiude con l’interessante trattazione dello specifico procedimento di ricorso davanti ai Dicasteri della Curia romana, non contemplato nel CIC ed informato alla “Pastor Bonus” ed al “Regolamento Generale della Curia Romana”, unitamente ad elementi di prassi e Giurisprudenza (pp. 332-348).

X) Dopo un’introduzione sulla necessità di ‘completare’ la via amministrativa di revisione dell’attività di governo (ricorso gerarchico) anche attraverso l’apporto di un ‘terzo’ che non decida ma giudichi (ricorso contenzioso-amministrativo) (pp. 349-351), s’illustra e motiva come tale pronunciamento –di ‘sola’ legittimità– non sia però unicamente formale (procedura) ma anche in relazione a violazioni di Legge che coinvolgano la reale consistenza di diritti dei fedeli o dell’Amministrazione stessa… e la necessità di accertarli o dichiararli a vantaggio dell’intero Ordinamento (pp. 351-360).

La Lezione si chiude con un’articolatissima esposizione della complessa procedura effettuata dalla Segnatura Apostolica per ammettere (prima) e decidere (poi) dei Ricorsi ad essa indirizzati: un prezioso strumento che permette di formarsi una buona idea dello svolgimento di una procedura di grande differenza rispetto a tutte le altre indicate dal CIC (pp. 360-377).

Completa l’opera un utilissimo “Glossario” di termini e concetti amministrativistici di oltre 380 voci (pp. 379-408).


Si tratta senza dubbio di un’opera di grande portata e precisione in un campo fin troppo esteso ed articolato com’è quello amministrativo canonico, segnalandosi come efficace vademecum (appunto: compendio) per chi intenda addentrarsi –prevalentemente– in alcune parti della materia.

Si possono tuttavia segnalare alcune ‘carenze’ che potrebbero interferire con lo specifico indirizzo didattico dell’opera: a) eccesso di attenzione alle norme positive, b) carenza di sistematizzazione teoretica della materia, c) assenza di una concreta proposta metodologica, d) insufficiente articolazione grafica del testo.

- I primi due elementi sono in qualche modo complementari: la netta prevalenza assegnata alla dottrina generale sugli atti amministrativi (singolari) ed il commento sistematico dei Canoni sui ‘Ricorsi’ rischiano, infatti, di dissimulare l’assenza di una vera ‘teoria’ dell’esercizio della funzione di governo ecclesiale, limitando quasi tutto alle norme ed alla Giurisprudenza e prassi, riducendo l’intera materia alla possibilità e necessità di azione dell’Amministrazione ecclesiastica, nei confronti del cui operato si può solo ‘ricorrere’. Tolti i presupposti di ‘giustizia’ e giustiziabilità all’interno dell’Ordinamento canonico, ridimensionata la portata del 7° criterio di revisione codiciale, esaurita la possibilità di ricorso (contenzioso-)gerarchico e contenzioso-giurisdizionale, alla prospettiva eminentemente ecclesiale e pastorale richiesta dal Vaticano II e dalla natura stessa del CIC (in quanto sua ‘traduzione’ in linguaggio canonistico) resta ben poco da dire.

- Per quanto riguarda il profilo metodologico, si segnala come l’efficace ‘ricostruzione’ dogmatica dei singoli ambiti ed Istituti amministrativistici non offra tuttavia nessuna indicazione, né strutturale né operativa, sul modo concreto di esercitare l’attività tecnica amministrativistica attraverso un adeguato utilizzo degli strumenti istituzionali, normativi e teoretici presenti nell’Ordinamento canonico. In tal modo si permette certamente di ‘conoscere’ quanto stabilito dal Diritto, ma non di ‘operare’ a partire dalle stesse conoscenze.

- L’estrema complessità di un testo così variamente articolato, come ben appare dal lungo indice iniziale, fatica ad emergere con altrettanta efficacia nella grafica delle singole pagine in cui titoli, sottotitoli, numerazioni e suddivisioni non riescono a rendere sufficiente ragione della propria collocazione ‘relativa’ rispetto all’intera tematica affrontata; l’utilizzo della numerazione a più livelli (1.3.3.5) avrebbe potuto ovviare l’inconveniente.

Nel complesso: un ottimo strumento di conoscenza di una parte del Diritto amministrativo canonico …fatta salva la forte impostazione ‘di scuola’ ad esso sottesa.


in: APOLLINARIS, LXXXI (2008), 1035-1042