testo dell'articolo senza le note - per la versione integrale consultare la versione a stampa

I fondamenti del Diritto canonico secondo K. Mörsdorf. Note contenutistiche alla traduzione italiana degli scritti maggiori


Certamente pregevole –ed ormai necessaria– la scelta dell’Editore veneziano di offrire in lingua italiana i maggiori scritti dottrinali di uno dei capiscuola della Canonistica del secolo scorso, aprendone così l’accesso ‘diretto’ al grande mondo canonistico neo-latino che può finalmente attingere con immediatezza a tale patrimonio dottrinale senza doversi, invece, accontentare soltanto di quanto altri –pur autorevoli– avevano sino ad oggi citato e tradotto secondo, tuttavia, le loro –sempre parziali– prospettive e necessità.

Un plauso del tutto particolare va all’anima (anche perché invisibile tipograficamente) di tale opera, cui è attribuita almeno la ‘scelta’ dei saggi da tradurre e pubblicare, uno dei maggiori studiosi e sostenitori dell’opera dottrinale del canonista bavarese: il prof. Arturo Cattaneo che –pur dall’interno di ben altra Scuola canonistica– gli dedicò il lavoro della propria tesi dottorale oltre vent’anni fa: “Questioni fondamentali della Canonistica nel pensiero di Klaus Mörsdorf ”.


Il libro in oggetto contiene nove saggi del canonista bavarese pubblicati dal 1951 al 1976: cinque sulle “questioni generali” della Canonistica e quattro “sulla struttura della Potestà sacra”, la tematica ‘tecnica’ a lui più cara, cui si affiancano alcune Appendici ed un corposo Prologo. L’affidabilità della traduzione –‘garantita’ dalla doppia madre-lingua del curatore (che è anche giurista e canonista)– risulta però appesantita dalla scelta di mantenere una sintattica troppo fedele all’originale tedesco, con –p. es.– la frequente struttura ‘avverbio di modo’-‘verbo’, che rende meno scorrevole la lettura dell’italiano.


Le prime 45 pagine sono occupate da un “Prologo” (pp. 5-50) a firma del traduttore ed editore –il prof. S. Testa Bappenheim– con cui s’introducono a larghe linee: a) l’Autore, b) la sua Scuola, c) le sue idee principali; tale successione tematica tuttavia non appare del tutto precipua in quanto i ‘fatti’ della Scuola vengono anteposti alle ‘idee’, da cui sarebbero scaturiti tanto l’attività che l’indirizzo dottrinale della Scuola stessa. Stringatissima la parte biografica, compensata però dalla più puntuale Appendice finale (pp. 301-302).


Inutile dire come, per uno studioso (italiano) di Teologia del Diritto canonico, una tale opera risulti assolutamente preziosa… allo stesso modo che altrettanto stimolante ad entrare immediatamente in medias res. Sarà questo, d’altra parte, lo specifico punto di vista delle considerazioni che seguono, conferendo maggiore importanza alle reali questioni fondative del Diritto canonico e della Canonistica.

…Come ogni ‘prima volta’ che si rispetti, il desiderio di raggiungere ‘subito’ quanto così a lungo atteso, conferisce alla lettura qui proposta –ed alle conseguenti riflessioni– un’intensità insolita per una ‘recensione’.


Notabilia e glosse ai testi

- PARTE PRIMA: QUESTIONI GENERALI

1) Saggio: “Diritto sacramentale antico? Una discussione sulle opinioni di Rudolph Sohm sui fondamenti interni del Decretum Gratiani” [originale: Studia gratiana, vol. I, Bologna, 1953, 483-502] (pp. 53-74).

Il saggio permette d’entrare direttamente nella disputa serrata dell’Autore bavarese con le teorie di R. Sohm in riferimento al profondo cambio funzionale e concettuale subito dal Diritto canonico (e conseguentemente dalla Canonistica) col “Decretum Gratiani”, cui Sohm attribuisce il mutamento della natura stessa di ciò che ordinariamente viene chiamato “Diritto canonico”… o, almeno, gli inizi di tale mutamento, col passaggio ‘tecnico’ dall’(alt)kanonischen Recht del primo millennio cristiano al Kirchenrecht del secondo, dominato dall’introduzione della c.d. giurisdizione che Mörsdorf lega direttamente alla Potestas.

Sotto il profilo metodologico risalta splendidamente come Mörsdorf accolga ed utilizzi gli stessi termini –le stesse categorie(?)– di Sohm: “Parola” e “Sacramento”, di fatto proprietari della mens theologica protestante di cui Sohm era stato acceso ed agguerrito sostenitore, allo stesso modo l’adozione del termine “Kirchenrecht” (usato da Sohm) ben più presente di “kanonische Recht”. Dallo scritto emerge anche una forte impostazione apologetica che costituisce, probabilmente, uno dei maggiori problemi metodologici del pensiero dell’Autore, per il quale occorreva contraddire Sohm partendo dai suoi stessi punti di vista… dai suoi termini e dalle sue categorie! Categorie che Mörsdorf, tuttavia, finisce per adottare lui stesso, seppure con significati diametralmente opposti, come accade con la nozione –che diventerà portante per tutta la sua dottrina– di “Diritto sacramentale”, introdotta ‘originariamente’ proprio di Sohm.


Venendo al testo si sollevano alcune osservazioni riguardo ai contenuti sostanziali:

a) «…è decisiva non la convinzione interiore sull’autorità intrinseca della Parola, ma l’autorità del Dio palesatosi: per conseguenza, una ragione formale e giuridica» (p. 63).

Osservazione. Il fondamento cui ci si riferisce per qualificare/stabilire la ‘giuridicità’ è palese: l’autorità di Dio (Ius quia iussum). È in ragione di questo elemento puramente estrinseco e formale che si stabilisce la giuridicità della Parola stessa. Autorità ed estrinsecismo fanno sospettare –addirittura– che in fondo il ‘contenuto’ di tale Parola sia pressoché insignificante poiché conta non la sua “autorità intrinseca” derivante dal contenuto (posizione di R. Sohm - qui contestata) ma solo la statuizione formale, accompagnata dalla ‘sanzione’ punitiva per chi non l’accolga: «chi crede e si fa battezzare, verrà salvato, ma chi non crede, sarà condannato» (Mc 16, 16).


b) «In quanto simbolo tangibile e visibile di un’invisibile realtà salvifica, il Sacramento è utilizzato con un simbolo giuridico. Si trova, insieme a questo, ad un livello profondo, che riguarda le radici sacrali del Diritto» (p. 64).

Osservazione. L’affermazione –che ritornerà in altri tre articoli tradotti nel libro– risulta tra le fondamentali di Mörsdorf: si tratta del nesso tra Sacramento e giuridicità, nesso che qui appare affidato ad un “mit” (con/attraverso/per mezzo di) posto a cavallo tra “Sacramento” e “simbolo giuridico” senza giustificazione alcuna ed in modo del tutto estrinseco. Va notato come fino a quel momento non si fosse mai utilizzata nel testo la nozione di ‘giuridico/giuridicità’; in tal modo l’improvvisa comparsa di un “simbolo giuridico” stupisce più di quanto chiarisca inserendosi nella logica del discorso. C.M. Redaelli, tuttavia, aveva tradotto molto meglio tale affermazione, decisiva per il pensiero del Maestro bavarese: «imparentato con il simbolo giuridico», rimandando ad una similitudine o corrispondenza fra Sacramento e simbolo giuridico… posizione poco più che evocativa, tutto sommato concettualmente accettabile per indicare la struttura complessa (parole, gesti, conseguenze) tanto del Sacramento che del simbolo giuridico.

Oltre a ciò non si può non osservare come il tema di trattazione del saggio in esame sia di natura storica, nello specifico la rilettura di Graziano ad opera di R. Sohm, coinvolgendo vari secoli di concezioni giuridiche ben differenti; in tale contesto l’introduzione repentina di un “simbolo giuridico”, non supportato da alcuna specificazione individuativa e contenutistica, risulta quantomeno dubbia quanto a consistenza e correttezza concettuale, oltre che dare per presupposta una concezione di Diritto non tematizzata, e quindi equivoca, soprattutto al di fuori dello stretto contesto dell’Autore.

Non meno problematica risulta la comparsa inattesa delle «radici sacrali del Diritto», anch’esse prive di argomentazioni ed appoggi logico-dimostrativi, quasi si tratti di un presupposto assodato ed indiscusso, come in realtà appare dalla concezione teocratica del Diritto che emerge via via.


c) «In quest’ampia ottica, tutto il Diritto canonico, servendo alla costruzione della Chiesa come baluardo di salvezza, può venir definito “Diritto sacramentale”» (p. 74).

Osservazione. A proposito dell’utilizzo della formula “Diritto sacramentale” non si può ignorare come essa derivi originariamente –e qualitativamente– dal linguaggio e dalle concettualizzazioni di R. Sohm contestate dall’Autore bavarese, il quale tuttavia finisce per adottarla secondo un significato del tutto estrinseco e praticamente contrario all’originale. Per R. Sohm, infatti, il Diritto canonico [antico] (altkanonischen Recht) sarebbe “Diritto sacramentale” poiché –logicamente e funzionalmente– derivato direttamente dai Sacramenti (Battesimo ed Ordine in particolare), per Mörsdorf, invece, tale Diritto assume funzione ‘sacramentale’ poiché costruisce la Chiesa “baluardo di salvezza”. La situazione è paradossale dal punto di vista teologico poiché Mörsdorf scivola evidentemente dall’ambito ecclesiologico nel quale i Sacramenti costruiscono la Chiesa (tesi di Sohm e posizione teologicamente corretta secondo la dottrina cattolica) a quello soteriologico in cui il Diritto è connesso alla salvezza eterna: posizione tipica del protestantesimo, che nell’antitesi legge-vangelo, diritto-grazia, coglie l’essenza della Soteriologia.


Rimane poi non colta anche una delle maggiori problematicità dell’intero impianto dottrinale: quanto è realmente compatibile l’uso che fa Sohm del termine/concetto di Sacramento (uno solo! …quale?) con quello che cattolicamente dovrebbe farne lo stesso Mörsdorf? Ovvero: che cosa significa cattolicamente il termine “Sacramento” utilizzato da Mörsdorf in continuità –effettiva– con Sohm? A ‘quale’ Sacramento si riferisce? Si noti che nel saggio del 1963, come in altri scritti, l’Autore userà direttamente l’espressione “Ursakrament” riversata dalla Teologia tedesca del dopo-guerra sulla Chiesa cattolica del Vaticano II e da cui molti canonisti faranno poi dipendere la funzione sacramentale del Diritto canonico stesso. La problematicità di tale concetto all’interno della dottrina sacramentale cattolica, fissata a Trento –ed invariata nel Vaticano II– proprio contro ‘questa’ genericità, rimane del tutto aperta e non risolta.


2) Saggio: “Riflessioni sull’adeguamento del Codice di Diritto Canonico” [originale: 1960] (pp. 75-140).

Il saggio (il più lungo della raccolta), che costituisce un ‘parere’ del 1960 sulla riforma del CIC annunciata da Giovanni XXIII, presenta notevole interesse per la molteplicità degli argomenti trattati: a) questioni sui laici, b) la Potestà, c) la dimensione comunitaria dell’Eucaristia, d) una rilettura meno formalistica del Matrimonio, e) la rilevanza effettiva del Diritto penale.

Una prospettiva di grande respiro ‘pastorale’ nel senso più impegnativo del termine, ben lontana dalla maggioranza delle trattazioni coeve, soprattutto canonistiche.

La considerazione dell’autentica sensibilità e profondità teologica e pastorale dell’Autore motiva senza dubbio il grande credito attribuito a lui ed la sua dottrina proprio negli anni del Concilio e, forse, più ancora nel decennio successivo… quasi ne fosse una delle migliori espressioni di stampo ‘istituzionale’, al di là di singole posizioni ed argomenti specifici. Sulla base di questo genere di testi, pare addirittura legittimo ipotizzare che il grande successo ottenuto dalla Scuola canonistica bavarese sia da attribuirsi maggiormente a questa innovativa ‘sensibilità’ teologico-pastorale, piuttosto che all’adeguata considerazione e consistenza dei suoi reali fondamenti giuridico-dogmatici e metodologici in ambito espressamente giuridico e canonistico.

Nella trattazione delle diverse questioni si apprezza la grande attenzione riservata al Diritto canonico orientale che appare ben conosciuto …cosa non facile al tempo.


3) Saggio: “Sulla fondazione del Diritto canonico” [originale: 1963] (pp. 141-176).

Il terzo saggio –di fatto anteriore a quello del 1953, in quanto ripropone praticamente alla lettera quanto già pubblicato sulla “Münchener Theologische Zeitschrift” nel 1952– si presenta come di grande importanza per la comprensione del pensiero dell’Autore bavarese in chiave fondazionale del “Kirchenrecht” e costituisce una buona espressione del suo pensiero in merito.

Tale saggio, proprio per la sua portata dottrinale, risulta di grande importanza per mettere a fuoco quella che –probabilmente– è l’incomprensione/aporia di base da cui è derivata una buona parte delle incongruenze ed inconsistenze dottrinali della Scuola canonistica bavarese: la traduzione –incontestata ed incontestabile dal dopo-guerra– di “Kirchenrecht” con “Diritto canonico”; i forti e strategici riferimenti infatti alla dottrina di R. Sohm costantemente attuati da Mörsdorf non permetterebbero ciò, poiché nelle opere del grande giurista protestante di fine Ottocento “Kirchenrecht” indicava –con certezza– il Diritto posto dallo Stato su/per le Chiese… secondo l’insegnamento luterano e la concezione ‘etica’ dello Stato propugnata da Sohm stesso. In quest’ottica non è affatto corretto tradurre il “Kirchenrecht” (“Diritto per la Chiesa”) di Sohm col “Recht der Kirche” (“Diritto della Chiesa”) di Mörsdorf; l’incongruità di tradurlo (dopo 60 anni) con “Diritto canonico” –o “Diritto (intra)ecclesiale”– diventa, così, fatale per l’intera proposta dogmatica bavarese.


Il saggio inizia ponendo l’accento sul tema soteriologico in chiave sacramentale, non senza un’importante confusione tra “simbolo” e “segno”, ed asserendo ex abrupto che «in quanto segno di salvezza, l’organizzazione comunitaria ecclesiastica ha impronta sacramentale» (p. 141). Mentre però cosa significhi e comporti questa “impronta” non è esplicitato dal testo, non può sfuggire come proprio tale enunciazione formale della tesi risulti di fatto identica a quella di Sohm –riportata dall’Autore–, secondo cui il Diritto della Chiesa è sacramentale (p. 149). Proprio su questa base, infatti, Sohm contestava alla Chiesa cattolica medioevale l’allontanamento dall’assetto originario e teologicamente fondato (primo millennio), per sostituire (dopo Graziano) questa prospettiva carismatico-sacramentale –l’(alt)kanonischen Recht– con quella istituzionale-giuridica –il Kirchenrecht– in cui la Potestas scivolava dall’Ordine alla giurisdizione (pp. 149-151). Si palesa in questo modo come nell’Autore bavarese l’equivocità del termine/concetto “Diritto sacramentale” sia il tarlo che sbriciola dall’interno l’intero impianto: per Sohm, infatti, essa indicava la provenienza del Diritto e delle sue conseguenze nella vita ecclesiale dalla celebrazione dei Sacramenti (Sacramento => Diritto), per Mörsdorf, invece, esso indica la funzione soteriologica del Diritto della Chiesa… assieme –se non al pari– ai (sette) Sacramenti (Diritto => Sacramento). I Sacramenti, addirittura, hanno «struttura giuridica» (p. 148)… e questo diventa elemento e motivo di connessione al pensiero –identico a livello testuale– di Sohm, per il quale «la struttura giuridica del Sacramento è […] così palese ch’egli fa nascere il Diritto canonico insieme al Sacramento» (p. 149), tesi accolta e radicalizzata da Mörsdorf che dichiara ‘giuridico’ il Sacramento.

Emerge in tal modo, sotto il profilo epistemologico, l’incapacità di formalizzare il linguaggio –e con ciò le stesse strutture del ragionamento– e l’assenza di Logica proposizionale –con la derivata capacità di distinguere tra ‘soggetti’ e loro ‘attribuzioni’–, confondendo la ‘fonetica’ con la ‘semantica’. Si conferiscono così alle formule testuali significati ‘occasionali’ ed ‘opportunistici’, rischiando di –e riuscendo a– rimanere poi vittime di vere contraddizioni in termini dal punto di vista logico-contenutistico.

Non sfugge lungo il testo anche l’affermazione secondo cui la Chiesa visibile «ha una struttura giuridica, cioè vi è nella Chiesa un potere normativo, che non si accontenta di destare riflessioni e convinzioni interiori, ma si presenta come un Diritto validamente vincolante» (p. 144), confondendo –evidentemente– la ‘struttura’ con le proprie ‘conseguenze’: il “cioè” (originale tedesco: «d. h.» = das heißt) che regge la connessione non lascia dubbi sul pensiero dell’Autore il quale, tuttavia, non spiega affatto secondo quale ‘logica’ la struttura giuridica coincida di fatto (“cioè”) con l’esercizio di Potestà normativa (Ius quia iussum). La concezione ‘giuridica’ sottesa è palesemente autoritaria e normativista: Cristo va ubbidito perché così –Egli che è Dio– ha preteso e voluto (p. 146); la sua Parola vincola a motivo della sanzione connessa (p. 147); gli Apostoli sono veri vicari di Cristo costituiti «mediante delega giuridica […] come suoi sostituti», «in generale in ambiti vincolanti per il Signore» (p. 147).

Di seguito riappare l’affermazione sul nesso profondo tra Sacramento e simbolo giuridico (pp. 147-148) a proposito della quale occorre criticare non solo una traduzione italiana infedele –come già fatto per il primo saggio–: «impiegato come simbolo», ma anche la sua immotivata differenza (che si ripeterà) dalla traduzione già fornita, mentre l’originale è identico ai testi del 1953, del 1965 e del 1975.


Nel saggio sono poi presenti elementi interessanti circa la natura e consistenza del Diritto naturale in sé e per sé, secondo la concezione più ‘classica’: il Diritto naturale è «sacro ordinamento creato da Dio» (p. 153), «è una forza vivente nella costituzione della vita comunitaria ecclesiale, ma pienamente collocata nell’esistenza soprannaturale della Chiesa» (p. 154), ed in relazione col Diritto canonico:

«i legami normativi naturali che il Diritto naturale dà per la vita in comunità si trovano anche nella Chiesa, ma, al tempo stesso, subiscono un’elevazione ed una precisazione mediante l’ordinamento dato da Dio alla Chiesa con la Parola ed il Sacramento» (p. 152).


Interessante in proposito l’affermazione: «ubi societas ibi Ius! Dove si mostra un’aggregazione societaria, lì prende vita il Diritto» (p. 152)… peccato che E. Corecco e non solo(!), devoti discepoli di tanto Maestro, abbiano strenuamente combattuto ed espressamente rifiutato proprio questo principio –inficiato di Giusnaturalismo– per dimostrare –su base barthiana– la ‘novità’ ed ‘alterità’ dell’Ordinamento canonico rispetto ad ogni altro Ordinamento giuridico.

Interessanti, ma non pertinenti per la prospettiva qui intrapresa, le questioni che seguono sulla natura bipolare della Gerarchia ecclesiastica cui sarebbe connessa la natura sacramentale della Chiesa stessa (pp. 154 ss).


4) Saggio: “Parola e Sacramento come elementi strutturali della costituzione della Chiesa” [originale: 1965] (pp. 177-188).

Saggio breve ma significativo pubblicato a fine Concilio, ma sostanzialmente duplicato rispetto a quello del 1953, di cui costituisce una sintesi depurata dalle originarie questioni storiche (il riferimento al Decretum Gratiani). Il popolo di Dio è segno visibile di una realtà invisibile fondata da Dio (p. 180).

Con un semplice ‘appoggio’ su «l’essenza della Chiesa» si passa a considerare la posizione di R. Sohm in merito a tale tema, introducendo tuttavia la tematica in modo inaspettato: «del problema dei legami fra Chiesa e Stato si è occupato Rudolph Sohm» (p. 181); la non scontatezza del passaggio svela, così, il giusto contesto dogmatico delle affermazioni originarie del professore protestante i cui asserti –contestati ma assunti da Mörsdorf– non riguardavano la Chiesa in sé ma il suo rapporto con lo Stato (moderno, assolutista, giurisdizionalista, ‘etico’, qual era la Prussia di O. von Bismark in pieno Idealismo): non il “Diritto canonico” (latinamente inteso), ma il “Kirchenrecht” germanico! …Che appare qui in tutta la sua ambiguità, svelando –oltre ogni intenzione/consapevolezza dell’Autore– la profonda aporia su cui si regge l’intera dottrina ‘fondativa’ e ‘teologica’ della Münchener Schule; verrebbe la tentazione di applicare il principio della “excusatio non petita”.

Continuano –nonostante Lumen Gentium– le affermazioni in chiave autoritaria: la struttura giuridica della Chiesa è fondata sulla sua origine divina e sul divino governo (p. 182); la struttura giuridica si palesa nella impronta sacramentale (p. 183). Allo stesso modo il carattere giuridico di Parola e Sacramento continua ad essere solo affermato di principio e soltanto successivamente ricondotto al mandato di Cristo (p. 184), per goderne dell’autorità impositiva. Si ribadisce convintamente l’essenza autoritativa/taria del Diritto che richiede necessariamente un’autorità che comandi sulla comunità (p. 187); si riprendono poi gli accenni alla relazione Diritto naturale e Chiesa: i legami normativi naturali che il Diritto naturale dà per la vita nella comunità «sussistono anche nella Chiesa, ma incontrano un’elevazione…» (ibidem).

Si giunge, chiudendo, all’enunciazione di una delle maggiori ‘tesi/assiomi’ della dottrina dell’Autore:

«il Diritto canonico è Diritto salvifico, poiché è lo strumento di Dio per la missione affidata alla Chiesa per la salvezza degli uomini. Non è un male necessario […] Non è qualcosa di esteriore o di secondaria importanza […] è un elemento essenziale della natura simbolico-sacramentale della Chiesa» (p. 188);


come, perché, in base a che cosa… non è detto!

La chiusura del terzo saggio sul tema dei ‘fondamenti’ pone tuttavia il delicato problema del confronto tra tre ‘passaggi’ apparentemente identici sotto il profilo testuale ma contraddittori sotto quello logico-proposizionale se –salvo miglior giudizio– si deve dar pieno credito alla traduzione italiana: le pagine 62, 146, 184. Si tratta di due proposizioni logiche [a] e [b] ripetute a seguito di ‘premesse’ differenti che ne cambiano in modo consistente il significato finale.


p. 62

p. 146

p. 184

Sohm non si è da nessuna parte posto la domanda se Gesù Cristo avrebbe potuto porre i precetti di Dio, e se li abbia posti, in una maniera tale che il destinatario fosse obbligato all’obbedienza non in virtù della [a] sua intima convinzione nella forza della Parola, ma, invece, [b] solo per il motivo che la fonte della Parola fosse il Figlio di Dio.

Sohm non ha mai posto la domanda se Gesù Cristo potesse in qualche modo dettare i comandi di Dio, e ha ritenuto che il destinatario dei comandi sia obbligato all’obbedienza non in ragione [a] della fede nella forza intrinseca della Parola, ma [b] per la ragione formale che la fonte della Parola è il Figlio di Dio. 


Il Signore ha strutturato i precetti divini in modo tale che il destinatario, non solo in virtù [a] della convinzione nella forza intrinseca della Parola, ma anche per [b] la ragione formale che la Parola sia stata annunziata dal Figlio di Dio, sia obbligato all’obbedienza. 


Nel primo testo si afferma che R. Sohm riconduce l’obbligo dell’obbedienza alla Parola di Cristo alla [a] intima convinzione circa la forza della Parola, mentre la corretta causa di tale obbedienza sarebbe –secondo Mörsdorf– il [b] motivo formale che sua fonte è Cristo, Figlio di Dio.

Nel secondo testo si afferma che Sohm abbia ritenuto che l’obbligo derivi da [b] e non da [a], contraddicendo quanto già affermato.

Nel terzo testo è l’Autore stesso che, illustrando la propria posizione, afferma tanto [a] quanto [b], la prima in modo concessivo (“non solo”), la seconda in modo fondamentale, ricadendo nella prospettiva autoritaria-imperativista (Ius quia iussum).


5) Saggio: “La Canonistica quale disciplina teologica” [originale: 1975] (pp. 189-208).

Il saggio, anche per l’autorevolezza della sua collocazione, è senza dubbio tra i più interessanti, non solo perché riassume in modo conclusivo la dottrina del Maestro bavarese, ma a causa dell’immensa questione che evoca sulla natura della Canonistica; questione ‘posta’ proprio dallo stesso Mörsdorf e rimbalzata lungo il trentennio successivo… ed ancor oggi senza adeguata soluzione sotto il profilo epistemologico. Il tema viene qui impostato nei seguenti termini, preclusivi e perentori:

«il Diritto canonico è una realtà teologica, che è stata data inscindibilmente dalla natura essenziale della Chiesa, basata sulla fondazione divina, cosicché ogni discussione sul carattere teologico del Diritto canonico e della disciplina scientifica che ad esso si dedica è inutile» (p. 189).


Lo scritto si mostra piuttosto articolato e tocca molti punti ed elementi di portata teoretica significativa, evidenziando però un certo numero di incongruità concettuali e logiche che non contribuiscono certo alla chiarezza della proposta dottrinale.

a) Nella citazione di Paolo VI che –secondo l’Autore– dovrebbe pronunciarsi «molto risolutamente […] a favore del carattere teologico del Diritto canonico» (p. 190), in realtà il soggetto delle affermazioni pontificie (soprannaturale, conduzione alla vita eterna) è la societas –che è la Chiesa–, e non il suo Diritto.

b) Il Diritto canonico sarebbe teologico perché anche Graziano usa fonti comuni alla Teologia sistematica di oggi (S. Scrittura, Canoni conciliari, Magistero pontificio):

«si tratta di fonti che sono fondamentali per ogni lavoro di ricerca teologica. […] anche dal punto di vista tematico, la raccolta di Graziano, è fatta con ciò che oggi rientra nella Teologia sistematica» (p. 192);


quanto tale discorso sia probante ed efficace sotto il profilo epistemologico contemporaneo non merita rilievo.

c) Qualche perplessità di carattere epistemologico, oltre che storico, è suscitata dall’affermazione secondo cui

«nell’istituzione della Canonistica come disciplina scientifica autonoma ebbe un ruolo importante il legame fra Chiesa e Stato, un fattore politico che è diventato fatalmente importante per l’autocomprensione della Canonistica» (p. 193);


allo stesso modo la successiva ‘prova’ d’appoggio sull’utrumque Ius, ponendo poi il XIV secolo quale versante che mise in crisi tale situazione (p. 194): è difficile, dal punto di vista storico, parlare di ‘Stato’ prima di quella data, tanto più in tema di utrumque Ius! …Allo stesso modo la storia medioevale (ri)scritta dai tedeschi nell’Ottocento (proprio R. Sohm ne fu alacre protagonista!) aveva ‘anticipato’ il Reich già alle prime forme di organizzazione germanica nell’Europa post-romana. Che proprio ‘ciò’(?) abbia causato il distacco della Canonistica dalla Teologia rimane tesi più ‘creativa’ che scientifica.

d) La percezione e concezione del Diritto mostrata da Mörsdorf (p. 189) appare essenzialmente la stessa di Sohm (p. 197) e soltanto la rivendicazione della ‘teologicità’ del Diritto canonico lo salva dalla sua ‘statualizzazione’. Appare così chiaro il pre-supposto ‘dogmatico’ (in realtà semplicemente apologetico) dell’intera dottrina bavarese: se non si difende l’origine divina/sacrale del Diritto canonico, se ne fa un semplice Diritto dello Stato in materia di organizzazione religiosa: Kirchenrecht, appunto: come Sohm …e Lutero!

e) L’Autore –contro Sohm che vede la scissione nel Decretum Gratiani– retroietta il tema della duplice Potestà direttamente a Gesù Cristo che ha «la pienezza di entrambe le Potestà, ma assolutamente sotto forma di una sola» (p. 199), perseverando così nella linea autoritaria sottesa alla giuridicità, anche canonica …e senza addurre ‘spiegazioni’ o ‘fondamenti’ di sorta di tali affermazioni.

f) Nella stessa linea (giuridica perché autoritaria, ed autoritaria perché giuridica): «i pieni poteri conferiti agli Apostoli si fondano su un formale atto di delega, ed hanno carattere giuridico» (p. 200).

g) Il riferimento a Sohm circa la vincolatività della Parola (p. 201) non esce dai problemi logici già segnalati più sopra per le pagine 62, 146, 184.

i) Tornando al “Diritto sacramentale” (p. 202) non è chiaro il passaggio dal pensiero di Sohm a quello dell’Autore che, in realtà, pare proprio penderlo per buono. Segue la ripetizione della formula del Sacramento «impiegato con un simbolo giuridico», per la quale si segnala ancora la scorretta traduzione all’italiano e la non omogeneità nel corpus tradotto.

Da segnalare anche la specificità del vocabolario utilizzato nell’originale tedesco, una vera eccezione all’uso consolidato dell’Autore: nel saggio redatto per la Congregazione dei Seminari, infatti, prevale –seppur di poco– l’uso di “Kanonischen Recht” (28 volte) contro le 24 di “Kirchenrecht” (sempre con le relative varianti semantiche); ciò –tuttavia– in modo tale che l’unità centrale del testo (ripreso con evidenza dagli scritti precedenti) viri bruscamente verso l’uso ‘originale’ di “Kirchenrecht”; la radice “kanonischen” di fatto appare solo in testa (pp. 189-195) ed in coda allo scritto (p. 208), appositamente adattato all’occasione ed al tema della formazione canonistica nei Seminari.

Peccato che la traduzione italiana non abbia potuto/saputo cogliere queste non-sfumature terminologiche (in realtà sostanziali perché semantiche e non semplicemente fonetiche), e non ne abbia almeno segnalato l’esistenza e l’importanza.


- PARTE SECONDA: SULLA STRUTTURA DELLA POTESTÀ SACRA

Il gruppo di quattro saggi sul tema della sacra Potestas rende ragione di una delle tematiche più care all’Autore bavarese, in una prospettiva ben diversa da quella dei ‘fondamenti’ del Kirchenrecht –e per noi di minore importanza–; continua tuttavia a risaltare la pre-concezione circa l’essenza ‘autoritaria’ del giuridico, di cui la Potestà rimane espressione privilegiata.


6) Saggio: “Distinzione e rapporto fra Potestà di Ordine e di governo” [originale: 1951] (pp. 211-234).

La struttura della Chiesa risulterebbe retta dalla doppia gerarchia d’Ordine e di giurisdizione, «entrambe si basano su disposizione divina e rappresentano, quindi, l’intangibile struttura fondamentale della Chiesa» (p. 211); «è conforme a questa bipolare gerarchia la distinzione fra Potestas Ordinis e Potestas iurisdictionis, le quali, parimenti, come la gerarchia bipolare, si fondano su disposizioni divine» (p. 212). Per l’Autore tutto era così fin dall’inizio, anche se ci volle un millennio ed aspre battaglie sui ‘principi’ fondamentali della costituzione della Chiesa per chiarificare e fissare la situazione (cfr. ibidem).

Il dogmatismo deduttivo ed antistorico emerge senza troppe remore, concentrandosi poi su aspetti (pseudo)storici e citazioni codiciali canoniche, piegate allo scopo; un vero asset apologetico a tutto tondo.


7) Saggio: “Lo sviluppo della duplice articolazione della gerarchia ecclesiastica” [originale: 1952] (pp. 235-259).

Nonostante l’autore mostri una buona conoscenza storica ed attui nei propri scritti ampi riferimenti ad essa –intesa come ‘fatti’–, si nota tuttavia una prevalenza delle tesi dogmatiche sostenute: «ogni missione ed autorità della Chiesa trova la propria origine storicamente concreta in Gesù Cristo» (p. 236), al punto che

«i pieni poteri conferiti agli Apostoli si fondano su un formale atto di delega. L’Apostolo è il rappresentante del Signore, non solo in senso simbolico, ma, soprattutto, in modo vincolante per il Signore. In tutto ciò che l’Apostolo chieda in nome del Signore, egli ha, poiché rappresenta la Persona del Signore, il diritto all’obbedienza che sarebbe dovuta al Signore stesso» (p. 237).


Di fatto si nota, dal punto di vista strettamente storiografico, una tendenziale considerazione sincronica delle tematiche, che rischia di fissare nel tempo anche le strutture ecclesiastiche contemporanee, affermando, p. es., l’esistenza nel periodo post-apostolico di «titolari di ufficio legati al territorio» (p. 240). Si nota, nella stessa linea, l’interconnessione –più o meno diretta– di fatti e circostanze cronologicamente molto distanti, passando –anche a ritroso– dalle «mani dei signori feudali» alla «diffusione del Cristianesimo sul continente» (p. 257). Un modo di procedere abbastanza tipico di una Scienza ecclesiastica prettamente ‘sistematica’ –ancora in gran parte apologetica– molto attenta ai ‘contenuti’ rispetto alle loro ‘forme’; la stessa formazione dell’autore (neotomistica come teologo e pandettistico-normativistica come giurista) aveva certamente influito in tale direzione.


8) Saggio: “Potestà sacra” [originale: 1968] (pp. 261-279).

Si ripropone la questione teologica e conciliare della triplice Potestas indicata come «estranea alla tradizione cattolica», illustrandone l’origine protestante in Martin Bucer e Giovanni Calvino (p. 265) …e ricordando solo en passant il fondamento di tale dottrina già nel “Catechismo romano” seguito al Concilio tridentino e divenuto uno dei cardini della c.d. Controriforma cattolica e della ‘svolta’ catechistica di Pio X.

L’Autore rimane fermo sulla sua posizione: in Cristo vi è la pienezza di entrambe le Potestates ma sotto forma di una unica Potestas (p. 267) che ha cominciato a differenziarsi «quando la missione del Signore viene trasmessa agli uomini» (p. 268); è evidente la retroiezione ed universalizzazione dogmatica della circostanza –politica– grazianea! Si riporta poi tutto alla questione delle Ordinazioni assolute e relative su base territoriale... Certamente suggestiva la lettura della parabola della vite di Gv 15, 1-11 in cui la Potestà d’Ordine è vista come forza vivificante (la vite) e quella di giurisdizione come forza regolatrice (il vignaiolo)… (pp. 271-272), tuttavia, però, con quale efficacia fondativa e dogmatica?


9) Saggio: “Il Sacramento dell’Ordine nella sua portata per la struttura giuridico-costituzionale della Chiesa” [originale: 1976] (pp. 281-299).

Nel saggio, al di là della suggestione del titolo, a seguito di un lungo discorso sul laicato dopo il Concilio, si sviluppa una effettiva efficace illustrazione della consiliarità ecclesiale (p. 297).


Il libro si conclude utilmente con un’Appendice di cenni biografici sull’Autore; 17 pagine di bibliografia dello stesso con quasi 200 titoli di varia portata, dai manuali alle recensioni (pp. 303-318); seguono sei pagine di bibliografia sull’Autore stesso (pp. 319-324).


Considerazioni finali

La traduzione italiana di scritti così significativi permette ora di effettuare anche semplici ricerche ed approfondimenti che sino ad oggi non risultavano possibili attraverso i soli ‘brandelli’ testuali riportati nelle diverse pubblicazioni dei vari Autori –e seguaci– della Scuola bavarese. Soprattutto, oggi si può leggere e mettere alla prova ciò che davvero il caposcuola ha scritto, in modo da verificarne la reale fondatezza, consistenza e portata, al di là delle personali interpretazioni e fruizioni della dottrina più in generale.


Tra le osservazioni conclusive, sempre in chiave metodologica, va rilevato come la laurea in –solo– Diritto civile tedesco del 1931 abbia giocato con evidenza un ruolo profondo nella formazione delle categorie giuridiche dell’Autore e soprattutto nella sua concezione del Diritto, anche canonico; gli studi canonistici ‘ordinari’ gli avrebbero offerto, forse, altre prospettive e fondamenti. Di fatto ci troviamo dinanzi ad un docente che si è ‘creato’ in proprio il Diritto canonico che insegnava: una geniale mistura di Giurisprudenza e Teologia tedesche pre-belliche… condotte per mano da uno spiccato senso pastorale che ha prevalso spesso sulla componente epistemologica, del tutto sconosciuta negli ambienti ecclesiastici di buona parte del secolo scorso, ancora pienamente votati all’Apologetica neo-scolastica ed antimodernista …Probabilmente proprio ciò che lui stesso riconosceva al Maestro Graziano: «altrettanto teologo quanto giurista, e, perciò, vero canonista» (p. 74).



La forte criticità di queste note, soprattutto a riguardo dei contenuti dottrinali espressi dall’Autore bavarese, risulta di fatto irrinunciabile nel confronto scientifico con le reali idee che hanno motivato e generato nel secolo scorso una così radicale influenza tanto sul concetto di Diritto canonico che della Scienza relativa, per mezzo di decine di Autori, centinaia di pubblicazioni e fiorire di sedi accademiche divenute cassa di risonanza di tali idee e contenuti.


È auspicabile che la presente traduzione all’italiano di testi così significativi costituisca un sicuro punto di partenza per una seria riconsiderazione di buona parte del pensiero canonistico –italiano– degli ultimi decenni.


Un sincero “grazie” al Traduttore e all’Editore.


in: IUS CANONICUM, XLIX (2009), 677-696.