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M. NACCI, Origini, sviluppi e caratteri del Jus publicum ecclesiasticum

Il volume di Matteo Nacci, pubblicato nella Collana “Corona Lateranensis” che raccoglie le migliori Tesi dottorali della Pontificia Università Lateranense, costituisce la sua Tesi dottorale in Diritto canonico (condotta sotto la guida del prof. Luciano Musselli). L’autore, già laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Firenze col prof. Paolo Grossi con una Tesi sulla Consuetudine, insegna attualmente “Storia delle Fonti e della Scienza del Diritto canonico” e “Storia delle Istituzioni di Diritto canonico” presso la Pontificia Università Lateranense, dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia del Diritto: curriculum discipline canonistiche ed ecclesiasticistiche (sotto la guida del prof. Silvio Ferrari) ed aver insegnato le stesse materie presso l’Istituto “Di-Re-Com” di Lugano (CH).

L’opera, divisa in tre capitoli (di cui il secondo particolarmente voluminoso), intende ripercorrere e presentare in modo sintetico la dottrina dei cinque maggiori teorici del “Diritto pubblico ecclesiastico” della c.d. Scuola curiale romana: Giovanni Soglia (pp. 38-59), Camillo Tarquini (pp. 60-79), Felice Cavagnis (pp. 80-116), Alfredo Ottaviani (pp. 117-150) e Pietro Gasparri (pp. 151-174).

Il testo, anche attraverso un abbondante apparato critico, riportante i testi di riferimento, permette di farsi una chiara –per quanto solo introduttiva– idea della dottrina dei singoli autori esaminati; soprattutto in ciò che li collega ed in quanto li differenzia reciprocamente.

Nonostante l’autore si mantenga molto aderente ai testi con un intento chiaramente illustrativo che non sembra palesare un’espressa intenzionalità teoretica, il risultato effettivo dell’opera appare vocato a ben altri esiti …soprattutto in vista di una elaborazione (ancora sostanzialmente assente) di una vera Teoria generale del Diritto canonico alla quale offre senza dubbio una significativa ‘antologia’ di testi e citazioni ‘tematiche’. Leggendo, infatti, gli ampi brani riportati –e ben organizzati dall’autore– dei maestri dello Jus publicum ecclesiasticum curiale su cui, in fondo, si basò la stessa elaborazione del primo Codice di Diritto canonico è possibile adombrare con una certa plasticità la maggior parte dei ‘presupposti’ teoretici che presiedettero tale opera ‘normativa’ e la sua immediata recezione ed applicazione, tanto ad intra che ad extra Ecclesiæ, soprattutto in riferimento alla teoria ed alla prassi concordataria della convulsa prima metà del XX sec.

L’opera di Nacci, facilmente leggibile a chi abbia qualche dimestichezza col latino ecclesiastico di fine Ottocento, si presenta inoltre (ed è questo il suo ‘valore aggiunto’) come uno strumento utilissimo per conoscere –e quindi comprendere– il ‘non-detto’ (anche se espressamente assunto e professato) da buona parte dei canonisti della metà del secolo XX: quelli stessi che giunsero al Vaticano II ed operarono nei diversi Cœtus Studii per la revisione codiciale. I ‘presupposti’ dottrinali, infatti, dei probati auctores della Canonistica post-codiciale che tendono a non emergere dai loro scritti (spesso solo presuntamente ‘esegetici’) sono chiaramente esplicitati –e quindi oggi meglio raggiungibili– attraverso il pensiero teoretico dei loro Maestri che, liberi dal successivo ingombro codiciale (con l’incombenza del suo ‘gravame storico’), poterono esprimersi liberamente, al passo coi tempi ed in aperta apologia coi contemporanei, soprattutto gli a-cattolici ed i giurisdizionalisti conservatori mittel-europei o i liberali anti-clericali. Tra i temi fondamentali: la natura, portata ed esercizio della potestà ecclesiastica sia ad intra (Jus publicum ecclesiasticum internum) che ad extra (Jus publicum ecclesiasticum externum) ed i rapporti tra ‘pubblico’ e ‘privato’ sia nella Chiesa che nella società civile, all’interno della quale la Chiesa non può esser considerata mera realtà ‘privata’ (come le ‘confessioni’ e ‘denominazioni’ protestanti nel mondo della Riforma protestante).

Due i maggiori apporti al lavoro scientifico canonistico: a) la messa in luce delle ‘teorie generali’ sottese alla codificazione canonica, quasi indipendentemente rispetto ai suoi effettivi ‘contenuti’ normativi; b) l’emersione del profilo espressamente apologetico che caratterizzò le linee ritenute maggiormente ‘evolutive’ della Canonistica post-conciliare.

Sul primo versante la cosa è d’interesse ed attualità poiché, mutatis mutandis tra le due codificazioni latine (1917 e 1983) cioè una parte significativa delle norme concrete, la mens sostanziale del legislatore canonico materiale (i diversi ‘periti’) non pare –spesso– troppo differente né discontinua, palesando quella post-conciliare soltanto come una ‘vera’ e ‘propria’ revisione codiciale …non radicalmente diversa dalla ‘rilettura’ che il P. Vidal fece dello “Ius decretalium” del Wernz una volta promulgato il Codice pio-benedettino.

Sul secondo versante è possibile intuire la profondità e la portata del problema ‘fondativo’ del Diritto canonico che attraversò la Canonistica post-conciliare: conoscendo infatti tali ‘premesse’ si capisce bene la necessità irrinunciabile di volgere altrove il proprio sguardo e cercare ‘fondamenti’ assolutamente ‘alternativi’; quanto suggerirà con sagacia Paolo VI e porteranno avanti –in vari modi– vari canonisti, stimolando così il sorgere di scuole di pensiero canonistico finalizzate alla sua innovazione, come accadde a Monaco. Proprio in quest’ottica, p.es., quanto riportato circa la concezione del Diritto canonico propugnata dal Card. Gasparri appare significativo in riferimento alla ‘fondamentazione’ remota delle teorie post-conciliari sulla ‘teologicità’ del Diritto canonico: se infatti –neppure– Gasparri distingueva tra Teologia, Diritto e Morale… non stupisce che altri autori (formatisi sulla sua dottrina) non abbiano saputo porsi il problema. Per quanto a cinquant’anni almeno di distanza le cose ex parte Theologiæ fossero ormai state ben chiarite!

Sotto il profilo squisitamente tecnico-scientifico va assunto con positività anche il fatto che un giovane ricercatore abbia saputo dedicare spazio alla ricerca ed allo studio diretto delle c.d. ‘Fonti’ della dottrina canonica, dimostrandone ancora una volta la fecondità ed irrinunciabilità. La triste –e mai scongiurata– ‘alternativa’ è quella di appoggiarsi invece alle sole dottrine (dogmatiche e normativistiche) contemporanee innalzandole improvvidamente ad analogatum princeps cui ‘ridurre’ (spesso) la dottrina e la teoria canonistica, senza la possibilità di verificare dal suo stesso interno quali ne siano state le tendenze e forze di sviluppo o di regresso specificamente attinenti le dinamiche dell’Ordinamento canonico e, più in profondità, della stessa vita ecclesiale. Dal punto di vista metodologico non ci si può che augurare il proseguimento di questo genere di ricerche, auspicando che proprio i giovani sappiano ricuperare quelle ‘Fonti’ che i seniores hanno spesso ormai scartato dal loro orizzonte di ricerca e riflessione.

Paolo Gherri


in: APOLLINARIS, LXXXIII (2010), 317-320.