Il concetto amministrativistico di ‘efficacia’: linee evolutive

- Paolo Gherri (P.U.L.)


Secondo la dottrina canonistica dominante l’atto amministrativo è ‘efficace’ quando, ‘perfettamente’ confezionato, si presenta alla propria ‘esecuzione’. In tal modo l’efficacia sarebbe soltanto la «concreta attitudine dell’atto a produrre gli effetti che gli sono propri» [Compendio, 194], in una prospettiva di semplice ‘potenzialità’ che lascia però del tutto aperto il tema dell’effettivo conseguimento delle finalità ispiratrici l’atto stesso. In tal modo la legittimità/validità dell’atto diventa ‘conclusiva’. Non di meno, una tale efficacia risulta essere soltanto la semplice premessa necessaria dell’esecuzione: la sua condizione di attuabilità.

Una tale concettualizzazione soffre di almeno due ‘problemi’ che la rendono non pienamente assumibile:

1) esistono ex-Lege ‘fattispecie’ in cui si prevede espressamente la non-efficacia di un atto giuridico in sé “perfetto”: è il caso del Decreto di dimissione del Religioso non ancora ‘confermato’ dalla S. Sede (Can. 700), atto teoricamente ‘efficace’, ma non ancora mandabile ad esecuzione;

2) esiste poi un’altra istanza che riguarda il concreto ‘risultato’ conseguito dall’atto canonico come tale considerato nell’arco completo della propria ‘operatività’: si tratta della prospettiva che qualifica l’efficacia come “l’attuale situazione di concreto adempimento/realizzazione degli scopi ispiratori dell’atto giuridico: il pieno conseguimento della sua finalità” così come intesa dal suo autore.

Ne deriva la necessità di articolare il concetto stesso di ‘efficacia’ dell’agire –e non del solo ‘atto’– (giuridico) in due fasi: [a] quella ‘iniziale’ e quella [b] ‘definitiva’, in modo da poter integrare all’interno di una stessa sistematica sia l’intenzione che la finalità, sia la volontà che il suo esito.

D’altra parte, l’efficacia come “risultato corrispondente alla volontà che lo ha perseguito” non potrebbe mai esistere sulla carta soltanto, né dipendere dalle sole caratteristiche degli strumenti giuridici attraverso cui s’intenda perseguirlo …indipendentemente dalla sua concreta realizzazione.

Queste considerazioni trovano il proprio specifico fondamento in Iure nei Canoni del CIC sui c.d. Ricorsi amministrativi (Cann. 1733 ss.) che prevedono –a priori(!) trattandosi della Legge stessa– la possibile non-efficacia degli atti potestativi indirizzati a singoli soggetti (Can. 1732) che, in quanto coinvolti in prima persona, ritengano di non poter assumere la condotta loro ‘richiesta’.

Ciò significa concretamente –e comporta– la possibile ‘resistenza’ del destinatario dell’atto potestativo stesso, impedendo di fatto la realizzazione di quanto esigito nei suoi riguardi, causandone così l’inefficacia. Una inefficacia, però, non puramente circostanziale e de facto (come sarebbe una mera non-esecuzione), ma de Iure, visto che ciò risulta espressamente previsto e normato dalla Legge.

Ci si trova così –inevitabilmente– dinnanzi ad un doppio livello di efficacia dell’agire giuridico, un doppio livello (iniziale e definitivo) che richiede ed integra l’apporto sia di chi ‘agisce’ (=chi pone l’atto) che di chi ‘deve agire’ (=chi deve attuare).

Ciò presenta il vantaggio di offrire una vera partecipazione attiva del destinatario all’agire giuridico che lo coinvolge, senza tuttavia scadere in una concezione recettizia dell’agire giuridico canonico che renderebbe, invece, l’accettazione dell’atto ‘parte costituente’ dell’atto stesso.

La non-opposizione interviene così a dare efficacia definitiva all’agire giuridico, assicurando inoltre –ex post– la sostanziale congruità dell’agire stesso a cui non sia stata mossa adeguata opposizione, ad normam Iuris. Non di meno, quanto previsto dal Legislatore non è affatto la decadenza né l’inefficacia dell’atto posto ma non-accettato, quanto, invece, la necessità di una sua maggiore/migliore ponderatezza e circostanzialità di persone, di condizioni/relazioni e di cose.

Quanto stabilito in generale ed a priori dai Cann. 124 e 144 costituisce quella che può essere chiamata “efficacia iniziale” dell’agire giuridico. Essa, infatti, al solo ‘costo’ minimale richiesto dalla norma giuridica assicura validità all’agire intenzionale delle persone in ambito sociale/comunitario. La cosa rileva soprattutto a riguardo delle decisioni che investono la vita delle persone: “chi si senta gravato da un Decreto” (Cann. 1733; 48; 49) emanato dall’Autorità ecclesiale può presentare alla stessa Autorità la propria Remonstratio… fino ad ottenere che il Decreto stesso sia esaminato anche dall’Autorità gerarchica superiore a quella che l’ha emesso, in vista di una sua revisione, correzione o anche cancellazione.

Tra le maggiori conseguenze di un doppio livello di efficacia dell’agire giuridico si pone la chiara distinzione tra [a] Ricorso e [b] Contenzioso (amministrativo). Infatti: la c.d. via amministrativa (=Ricorso) non è di per sé strumento per ‘vantare/tutelare’ come tali diritti posseduti ed ‘azionabili’ secondo le ‘caratteristiche’ di una vera rivendicazione, originando un ‘contenzioso’ propriamente detto (=via giudiziale).

Le Procedure volte a conferire efficacia definitiva ad un Provvedimento ‘valido’ ma non-accolto non toccano, infatti, i ‘diritti’ dei soggetti ma le caratteristiche ‘interne’ dell’agire giuridico, soprattutto potestativo, indirizzando maggiormente verso la sua miglior ‘qualità’ che non verso il contenzioso come tale.